Mauro Icardi
Il fosforo (P) è un elemento essenziale della vita, è presente in tutti gli organismi viventi ed èfondamentale in agricoltura per garantire la produttività dei suoli coltivati. Trattandosi di una risorsa nonrinnovabile e limitata, la crescente domanda di fertilizzanti sta gradualmente esaurendo le riserve di rocce fosfatiche. Inoltre i giacimenti di fosforo sono situati in zone specifiche del pianeta. Alcuni dei paesi produttori di fosforo si trovano in condizioni di instabilità geopolitica. Questo rende il prezzo soggetto a forti variazioni, ed allo stesso tempo meno certa la possibilità di approvvigionamento. L’Europa nord-occidentale importa l’88% del fabbisogno di fosforo, circa 6,37 milioni di tonnellate per anno, da nazioni non appartenenti all’Unione Europea.
Il fosforo può essere recuperato in diverse fasi del trattamento delle acque reflue, sia sulla matrice acqua che sui fanghi di depurazione. I fanghi di depurazione che si producono alla fine dei trattamenti eseguiti sull’acqua da depurare, contengono circa il 95-99% di acqua e l’1-5% di materia secca. Purtroppo In Italia forse più che in altri paesi, esiste un diffuso senso di perplessità nei confronti di tutto quello che riguarda la gestione ed il trattamento dei fanghi. Con molta probabilità per il risalto che hanno avuto alcune vicende di cattiva gestione. Proprio per questa ragione vanno invece incoraggiate buone pratiche e la ricerca, per la gestione di questi inevitabili residui del trattamento delle acque reflue. E aumentati i controlli sul ciclo dei rifiuti.
Dopo i processi di separazione solido/liquido, la frazione acquosa dei fanghi contiene dal 5 al 20% del fosforo in forma disciolta. Da questa frazione è possibile separare la struvite, sale fosfo-ammonico-magnesiaco. Il processo è conosciuto fin dagli anni 80 ed è utilizzato nei paesi del nord Europa. Avevo trattato il tema già nel 2015.
Tuttavia la maggior parte del fosforo (dall’80 al 95%) rimane nei fanghi di risulta, ottenuti dopo i processi di disidratazione meccanica. Se i fanghi vengono essiccati termicamente fino ad avere una percentuale di sostanza secca intorno al 40%, diventano idonei per un processo di termovalorizzazione alimentato dalla combustione dei soli fanghi (mono-incenerimento). La combustione è il trattamento termico oggi più utilizzato (ma non in Italia come vedremo più avanti), per la valorizzazione energetica dei fanghi non idonei per l’utilizzo in ambito agricolo. Il potere calorifico dei fanghi di depurazione essiccati fino al valore del 40% di secco, consente la loro combustione senza necessità di ricorrere all’uso di combustibili ausiliari. Con una progettazione adeguata è possibile recuperare calore per il preriscaldamento dei fanghi, o per la produzione di energia.

La percentuale di fanghi inceneriti sul totale dei fanghi prodotti è del 3% in Italia, 19% in Francia, 24% in Danimarca, 44% in Austria, 56% in Germania, 64% in Belgio, e il 100% nei Paesi Bassi e in Svizzera. Negli Stati Uniti e in Giappone le percentuali sono rispettivamente del 25% e del 55%. In Svizzera è stato vietato totalmente l’utilizzo agricolo dei fanghi di depurazione. I fanghi di depurazione in Svizzera sono destinati unicamente all’incenerimento, dopo essere stati sottoposti a disidratazione ed essicamento termico.
Il recupero del fosforo può essere effettuato precipitandolo come struvite dalle acque di risulta del processo di disidratazione dei fanghi, prima che esse siano reimmesse all’ingresso del trattamento depurativo. Queste acque ne contengono all’incirca il 15% del totale. Il rimanente quantitativo, come detto precedentemente, è concentrato nei fanghi umidi. In Svizzera cantone di Zurigo ha realizzato un impianto centralizzato che tratta 84mila tonnellate/anno di fanghi umidi, e produce 13000 tonnellate/anno di ceneri ricche di fosforo residuo del processo di incenerimento. I fanghi provengono da tutti gli impianti di depurazione cantonali. L’ufficio federale per l’ambiente della Svizzera sta modificando la propria normativa sui rifiuti, ed ha già rilasciato permessi per lo stoccaggio delle ceneri derivanti da incenerimento dei soli fanghi di depurazione. Questo in previsione di poter sviluppare una tecnica adatta ed economicamente conveniente per il recupero del fosforo da questa matrice, con l’intenzione ridurre drasticamente l’importazione di fertilizzanti a base di fosforo. Anche in Danimarca si sta procedendo nella stessa maniera.

Le ceneri di fanghi di depurazione ottenuti da incenerimento potrebbero diventare delle principali risorse secondarie di fosforo. La percentuale di fosforo presente nelle ceneri, espressa come anidride fosforica, di solito varia tra il 10 e il 20%, cioè praticamente uguale alle percentuali presenti nelle rocce fosfatiche minerali. In Svizzera ma anche nell’Unione Europea e in Italia, sono stati sviluppati negli ultimi anni diversi progetti finanziati dall’Unione Europea per lo sviluppo di tecniche per il recupero del fosforo. Non soltanto dalle acque reflue, ma anche dai residui dell’industria agroalimentare, di quella farmaceutica e di quella siderurgica.
In Lombardia un gruppo di aziende del ciclo idrico ha sviluppato in collaborazione con il Politecnico di Milano, l’università degli di studi Milano-Bicocca e IRSA CNR la piattaforma Per FORM WATER 2030. Le attività di ricerca mirano ad ottimizzare le risorse e a sviluppare tecniche per il recupero di energia e materia dai depuratori. Relativamente al fosforo, il recupero effettuato sui fanghi umidi è una strada ormai abbandonata, per ragioni di scarsa convenienza economica. L’attenzione si è focalizzata quindi sulle ceneri da mono incenerimento di fanghi, e principalmente su due tecniche per il recupero del fosforo da questa matrice: la lisciviazione acida, e l’arrostimento termico. Il processo termochimico è costituito da un dosaggio di cloruro e da un trattamento termico tra gli 850 e i 1000°C in modo da rimuovere i metalli pesanti. Questa tecnologia nasce a partire dal progetto europeo SUSAN EU-FP6. In un forno rotativo le ceneri dei fanghi reagiscono con Na2SO4 lasciando evaporare i metalli pesanti e precipitare le ceneri contenenti fosfati.
Nei processi di lisciviazione a umido si effettua una dissoluzione in ambiente acido (pH< 2) seguita solitamente da una filtrazione, oppure da una separazione liquido-liquido e una successiva precipitazione o scambio ionico. Le tecniche sono attualmente ancora allo stadio realizzativo di impianti pilota. In Italia le sperimentazioni si fermano alle prove di laboratorio, in quanto attualmente sul territorio nazionale non esistono impianti di incenerimento dedicati unicamente alla combustione di fanghi.
Il passaggio allo stato applicativo vero e proprio è ancora frenato dai costi del processo. Se attualmente il prezzo medio del fosforo ottenuto da rocce fosfatiche è di circa 1-1,2 €/Kg le tecniche sperimentali per estrarlo da ceneri arrivano ad un prezzo di produzione pari a 2-2,5 €/Kg. Ma la crescita della popolazione, l’impoverimento dei suoli, la siccità potrebbero essere fattori che con molta probabilità potranno concorrere ad ulteriori richieste di fosforo sul mercato. Ed è facile prevedere la possibilità di ulteriori rincari e difficoltà di approvvigionamento.

Non sono a mio parere importanti le sole considerazioni tecnico-economiche. I passaggi precedenti allo sviluppo di queste tecnologie dovrebbero riguardare un uso meno esasperato della concimazione dei suoli, una diminuzione dello spreco di cibo, una procreazione ponderata e ragionata. Una educazione alla conoscenza delle leggi naturali, delle dinamiche dei cicli biogeochimici, una disintossicazione da un consumismo esagerato e compulsivo, seguito da una negazione dei problemi ambientali del pianeta terra che non ha più nessuna giustificazione logica.
La chimica in questo senso riveste un ruolo fondamentale. La chimica è studio della materia e, come diceva Primo Levi, non interessa affatto quale sia la sua origine prossima. Se siamo stati distrattamente avidi depauperando le risorse disponibili, dobbiamo imparare e costruire la chimica e la tecnica delle materie residue.