Tensioattivi “biologici” in cosmetica e cura della persona

(In base al testo di C. Bettenhausen, Switching to sustainable surfactants., C&EN, May 1, 2022)

Rinaldo Cervellati

Mentre la maggior parte delle industrie punta a zero emissioni entro il 2050, i marchi di prodotti di consumo che producono sapone, shampoo, lozioni e cosmetici fissano i loro obiettivi di sostenibilità al 2030. Questi obiettivi vanno anche oltre alle sole emissioni di anidride carbonica.

Infatti, quando le persone acquistano prodotti per la cura della persona, cercano anche biodegradabilità, basso impatto ambientale e un approvvigionamento sostenibile ed etico.

I tensioattivi sono un ingrediente primario per rendere i prodotti più efficienti. Queste molecole svolgono un ruolo centrale in tutti i tipi di prodotti per la cura della persona, avendo il potere di rimuovere lo sporco e il grasso contenuti nei cosmetici per viso e corpo. Molti tensioattivi aiutano anche a idratare e levigare la pelle e i capelli.

Neil Burns, amministratore delegato di un’azienda produttrice di cosmetici, dice: “È un buon momento per vendere nuovi ingredienti, i marchi per la cura della persona sono più ricettivi di quanto lo fossero un tempo. Grandi nomi aziendali si impegnano per obiettivi piuttosto ambiziosi in materia di sostenibilità. Data la portata degli impegni e data la lista odierna di materie prime prontamente disponibili, hanno bisogno di ingredienti nuovi”.

Ma quali sono le loro opzioni per questi ingredienti e quali sono le migliori per il pianeta? Mentre le aziende produttrici cercano di sostituire i tensioattivi sintetici con alternative più ecologiche e a basse emissioni di carbonio, sono tre le categorie principali tra cui scegliere: biotensioattivi microbici, tensioattivi intrinsecamente biobased[1] e versioni biobased dei tensioattivi convenzionali. Le decisioni che verranno prese potrebbero avere un impatto duraturo sul nostro ambiente.

Biotensioattivi Microbici

Chimicamente parlando, i tensioattivi sono molecole che hanno sezioni sia idrofile che idrofobiche. Il tradizionale sapone ha una testa di acido carbossilico attratta dall’acqua e una lunga coda di idrocarburi attratta dai grassi. Molte altre molecole naturali, sintetiche e semisintetiche possono avere lo stesso effetto con diverse combinazioni di motivi molecolari polari e apolari.

Il termine biotensioattivo si riferisce ai glicolipidi prodotti da alcuni microrganismi. La testa idrosolubile è un gruppo zuccherino e la coda idrosolubile è una lunga catena di idrocarburi per lo più satura. In natura, i microbi utilizzano i glicolipidi per il rilevamento di adesione, lubrificazione e competizione con altri microrganismi.

I due biotensioattivi commercialmente più avanzati sono i ramnolipidi e i soforolipidi, che presentano rispettivamente ramnosio e soforosio nelle loro teste zuccherine (fig.1 e 2). All’interno di ciascuna di queste famiglie, le variazioni strutturali possono alterare le proprietà del tensioattivo.

Figura 1. Struttura di un soforolipide. Classe: Biotensioattivo; Concentrazione tipica in uno shampoo: 0,5–10%; Quantità di schiuma: bassa; Mitezza: molto lieve; Applicazione comune: struccanti in acqua micellare.

La coda idrocarburica dei soforolipidi, ad esempio, può fluttuare liberamente e terminare in un acido carbossilico (fig. 1) o avvolgersi e attaccarsi alla testa dello zucchero, creando un anello di lattone. I biotensioattivi non sono nuovi; i riferimenti nella letteratura chimica risalgono agli anni ’50, tuttavia di recente sono disponibili per il mercato commerciale.

L’indicatore più forte dell’interesse per i biotensioattivi è il ritmo con il quale vengono presi gli accordi. Pochi giorni prima di In-cosmetics Global, la fiera degli ingredienti per la cura della persona tenutasi a Parigi, Holiferm ha firmato un accordo con l’azienda chimica Sasol, che acquisterà la maggior parte dei soforolipidi prodotti nel Regno Unito.

La BASF, concorrente di Sasol, ha pure un accordo con Holiferm e una partecipazione nel produttore giapponese di soforolipide Allied Carbon Solutions.

All’inizio di quest’anno, l’industria specialista della fermentazione dei tensioattivi Locus Performance Ingredients, ha firmato un accordo simile per la fornitura alla ditta Dow di soforolipidi per i mercati della cura della casa e della persona.

E a gennaio, Evonik Industries ha annunciato l’intenzione di costruire un impianto di ramnolipidi in Slovacchia.

Figura 2. Struttura di un ramnolipide. Classe: Biotensioattivo; Concentrazione tipica in uno shampoo: 2–10%; Quantità di schiuma: alta; Mitezza: molto lieve. Applicazione: Detergenti

Holiferm utilizza un ceppo di lievito isolato dal miele, che consuma zucchero e olio di girasole per produrre il tensioattivo bersaglio. Clarke afferma che il processo semicontinuo dell’azienda, che estrae i soforolipidi durante cicli di fermentazione lunghi settimane, la distingue da quelle che utilizzano metodi di produzione in batch.

Oltre ad essere a base biologica, i biotensioattivi hanno un impatto ecologico inferiore rispetto ai tensioattivi convenzionali come il sodio lauriletere solfato (SLES) (fig. 3).

Figura 3. Struttura di sodio lauriletere solfato. Classe: Tensioattivo semisintetico; Concentrazione tipica in uno shampoo: 40%; Quantità di schiuma: alta; Mitezza: Moderata; Applicazione: detergenti

Secondo Dan Derr, un esperto di bioprocessi che ha contribuito a sviluppare la tecnologia dei ramnolipidi, il vantaggio ecologico deriva principalmente dalle condizioni di fermentazione, che viene effettuata a temperatura e pressione ambiente.

Infatti, lo SLES è solitamente prodotto facendo reagire gli alcoli grassi derivati ​​dall’olio di palma con l’ossido di etilene e il triossido di zolfo. Questi passaggi consumano molta energia perché si svolgono a temperature e pressioni elevate. E sebbene la componente grassa sia a base biologica, l’olio di palma è molto preoccupante per la sostenibilità, inclusa la deforestazione necessaria per costruire fattorie di palme e le emissioni di gas serra dalla rimanente materia vegetale legnosa.

I biotensioattivi sono anche più potenti rispetto allo SLES e alla maggior parte delle altre opzioni, rendendo possibile un minor utilizzo in una formulazione finale.

Intrinsecamente biobased

Altri tensioattivi a base biologica, prodotti modificando chimicamente e combinando molecole estratte dalle piante, sono disponibili da anni ma ora stanno riscuotendo un crescente interesse.

La classe più popolare in questa categoria sono gli alchil poliglucosidi o APG (fig. 4).

Figura 4. Struttura di un alchil poliglucoside. Classe: sintetico; Concentrazione in uno shampoo: 15–25%; Quantità di schiuma: moderata; Mitezza: irritante; Applicazioni: creme e gel.

Chimicamente simili ai glicolipidi microbici, gli APG sono prodotti combinando glucosio o altri zuccheri con alcoli grassi derivati ​​da oli vegetali. La reazione è guidata da catalizzatori inorganici o enzimi. Come i biotensioattivi, gli APG sono più delicati e generalmente hanno un impatto di CO2 inferiore rispetto ai tensioattivi convenzionali, però costano fino a tre volte gli SLES e non sono molto schiumogeni. La formazione di schiuma non migliora molto l’efficacia dei detergenti, ma le persone vedono le bolle schiumose come un segno di efficacia.

Sebbene non siano così popolari come lo SLES e i relativi ingredienti etossilati, gli APG sono già diffusi.

Marcelo Lu, vicepresidente senior di BASF per i prodotti chimici per la cura in Nord America, afferma che per fornire tensioattivi biobased a basso contenuto di CO2 nella quantità necessaria per le ambizioni ecologiche delle aziende globali, gli APG sono i più adatti.

Convenzionali, ma biobased

Anche con l’aiuto dei fornitori, la riformulazione degli ingredienti non è banale; per un’azienda è costoso e rischioso cambiare una linea di prodotti che già funziona. Evitare la riformulazione è la proposta che alcune grandi aziende chimiche stanno portando avanti con le versioni biobased dei tensioattivi convenzionali.

Soprattutto nella cura della persona, molti tensioattivi, come lo SLES, sono già parzialmente biobased. Circa la metà degli atomi di carbonio in un tensioattivo a base di olio vegetale etossilato ha origini da biomassa.

Due produttori chimici, Croda International e Clariant, hanno apportato una modifica che ha consentito loro di arrivare al 100% di biobased. Essi stanno ricavando ossido di etilene dalle piante invece che dalle risorse fossili. La chimica utilizzata da entrambi è stata sviluppata principalmente dalla società di ingegneria Scientific Design (New Jersey, USA). Il processo inizia disidratando l’etanolo di origine vegetale in etilene. Le fasi successive dell’ossidazione dell’etilene in ossido di etilene, cioè la sintesi di tensioattivi etossilati, sono le stesse del percorso sintetico, sebbene Scientific Design offra sistemi che integrano tutte e tre le fasi.

Sebbene i consumatori apprezzino le etichette di tali prodotti a base biologica, per i sostenitori dell’ambiente, essere derivati ​​​​dalle piante non è un obiettivo centrale come lo era prima. Gran parte del discorso sulla sostenibilità nell’industria chimica oggi riguarda le emissioni di carbonio e i danni della CO2 e dell’ossido di etilene a base biologica non vengono eliminati.

David Schwalje, responsabile dello sviluppo dei mercati per l’azienda di ingegneria chimica e dei combustibili Axens, afferma che la provenienza della materia prima per l’etanolo fa la differenza quando si tratta di misurare l’intensità di CO2 dei prodotti risultanti. L’ossido di etilene ottenuto da alcol di mais o canna da zucchero coltivato in modo convenzionale, spesso chiamato etanolo di prima generazione, non è affidabile dal punto di vista delle emissioni rispetto all’ossido di etilene prodotto dal petrolio.

Uno sguardo ad alcuni numeri pubblicamente disponibili mostra quanto può variare l’emissione di CO2 per il composto. Le emissioni di carbonio della coltivazione del mais necessarie per produrre un chilogrammo di ossido di etilene a base biologica, anche dalla produzione di fertilizzanti, carburante per trattori e altre fonti di emissioni, erano comprese tra 0,8 e 2,8 kg di CO2, secondo i calcoli basati sulle stime di Argonne National Laboratory e University of Minnesota [1,2], tenendo conto dei numeri sulla produzione di ossido di etilene, il percorso biobased offre una riduzione dell’86% a un aumento del 46% delle emissioni di CO2 rispetto al percorso petrolchimico.

Tuttavia, afferma Schwalje, l’etanolo di seconda generazione ottenuto da rifiuti o cellulosa coltivata in modo sostenibile in cui le apparecchiature di fermentazione e distillazione utilizzano la cattura del carbonio può essere fortemente carbonio-negativo e portare quel vantaggio di CO2 a valle dei prodotti che ne derivano.

Sia Croda che Clariant stanno usando etanolo di prima generazione, almeno per ora. Croda produce i suoi prodotti Eco da etanolo a base di mais in un impianto alimentato da metano catturato da una discarica vicina, riducendo l’impatto di carbonio degli ingredienti prodotti.

L’impianto di Clariant a base di canna da zucchero e mais si trova a Uttarakhand (India), parte di una joint venture con India Glycols. Fabio Caravieri, responsabile del marketing di Clariant, afferma che il solo uso di ossido di etilene a base biologica non renderà uno shampoo o un bagnoschiuma negativo al carbonio, ma offre un miglioramento. Clariant afferma che grazie alla materia prima e alle attrezzature specifiche dello stabilimento in India, un produttore può rivendicare una riduzione dell’impatto del carbonio fino a 2 kg di CO2 per ogni kg di tensioattivo. E l’azienda Clariant è in grado di fare di più. Essa gestisce uno degli unici impianti di etanolo di seconda generazione al mondo, una struttura da 50.000 tonnellate all’anno, in Romania, che ha iniziato a produrre etanolo dalla paglia nel 2021. L’etanolo cellulosico potrebbe diventare una materia prima per i prodotti cura della persona in futuro, se una tale combinazione sarà redditizia una volta che l’azienda avrà acquisito più esperienza.

La via del bilancio di massa

Altre importanti aziende chimiche stanno soddisfacendo la domanda di contenuto di carbonio rinnovabile attraverso un approccio noto come bilancio di massa. Come per gli etossilati a base di etanolo, i tensioattivi ottenuti con questo metodo sono chimicamente identici a quelli già presenti sul mercato. Ma l’approccio del bilancio di massa introduce la biomassa più a monte. Viene miscelata con materie prime di carbonio fossile come la nafta o il gas naturale poiché queste sostanze vengono immesse nei cracker che producono l’etilene e altre sostanze chimiche costitutive.

I metodi di contabilizzazione del bilancio di massa variano, ma l’idea di base è che un operatore ottenga crediti per ogni atomo di carbonio a base biologica immesso nel suo cracker. Può assegnare quei crediti a una parte della produzione dell’impianto contenente lo stesso numero di atomi di carbonio. I clienti che vogliono acquistare dalla parte biobased pagano la tariffa di mercato per la chimica convenzionale più un supplemento per la biomassa, o carbonio rinnovabile.

Nonostante i vantaggi logistici del bilancio di massa, l’approccio non convince tutti gli utenti finali. Le abbreviazioni di certificazione di bilancio di massa come ISCC e REDcert non significano molto per il consumatore. E anche se la contabilità del bilancio di massa è legittima, le emissioni di carbonio nel prodotto finale sono un mix di origine vegetale e fossile, e questo non è ciò che molti acquirenti vogliono.

Ivo Grgic, Global Purchase Category Manager di Henkel per i tensioattivi, riconosce queste preoccupazioni, ma afferma che il bilancio di massa è il passo successivo più veloce che l’azienda può compiere per rendere i suoi prodotti più sostenibili.

Sostiene Grgic: “Siamo un’azienda che produce enormi volumi. Dal nostro punto di vista, dobbiamo avere un impatto e abbiamo deciso che l’equilibrio della biomassa è l’approccio con cui possiamo sostituire il carbonio fossile su larga scala nel modo più veloce. Altre tecnologie, come la cattura della CO2 e i biotensioattivi, seguiranno nei prossimi anni”.

I marchi di prodotti di consumo che cercano di diventare biobased hanno diverse opzioni: nuovi ingredienti come i glicolipidi, uso esteso di ingredienti speciali come gli APG e nuove versioni biobased degli ingredienti a cui sono abituati. Ma le scelte implicano un complesso equilibrio tra sostenibilità, efficacia, disponibilità e, naturalmente, costo. Caravieri afferma che i consumatori ecoconsapevoli sono disposti a tollerare un sovrapprezzo del 25-40%.

La chimica dietro i tensioattivi a base biologica è nota da anni. Il cambiamento verso di loro sta avvenendo ora, perché i consumatori sono più consapevoli di ciò che stanno usando. In numero sempre crescente, vogliono prodotti sostenibili a base biologica.

Aziende come Henkel stanno adottando un approccio completo per soddisfare tale domanda, anche se guardano alla via  per approcci migliori. “I clienti sono alla ricerca della sostenibilità e vogliono provare ad accedervi da tutte le aree possibili”.

Bibliografia

[1] T.M. Smith et al., Subnational mobility and consumption-based environmental accounting of US corn in animal protein and ethanol supply chains., Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. Sept 5, 2017, DOI: 10.1073/pnas.1703793114.

[2] U. Lee et al., Retrospective analysis of the U.S. corn ethanol industry for 2005–2019: implications for greenhouse gas emission reductions. Biofuels, Bioprducts & Biorefining, 2021, 15, 1318-1331. DOI: 10.1002/bbb.2225.


[1]  Il termine “biobased” è utilizzato per materiali o prodotti che siano interamente o parzialmente derivati da biomassa

Ramnolipidi: una nuova tipologia di detergente “verde”

 

Riunaldo Cervellati

Prima di illustrare i progressi nella produzione di questi detergenti naturali vale la pena di fare una breve premessa su saponi e detersivi.

Per sapone si intende genericamente un sale di sodio o di potassio di un acido carbossilico alifatico a lunga catena. Si prepara per mezzo di un processo denominato saponificazione, idrolisi alcalina di grassi di origine animale o vegetale (trigliceridi). Il processo porta alla formazione del sale carbossilico (il sapone) e glicerina. Utilizzato come detergente, il sapone funziona da tensioattivo[1]: la sua molecola ha una testa idrofila e una coda idrofobica. Il potere pulente della miscela acqua e sapone è attribuibile all’azione delle micelle, piccole sferette molecolari rivestite all’esterno dei gruppi polari idrofili e contenenti all’interno le code idrofobiche che disciolgono lo “sporco”.

I saponi, come brevemente descritti, sono detergenti di origine naturale[2].

Figura 1. Sapone da bucato (sopra); saponette da toeletta (sotto)

detergenti sintetici, venduti in commercio anche con il nome di “detersivi”, hanno soppiantato i saponi che attualmente vengono prodotti quasi esclusivamente come saponette da toeletta. Con il termine “detersivo” si intende quindi qualsiasi sostanza chimica sintetica che funzioni da tensioattivo. Moltissime famiglie di detergenti, come pure prodotti per l’igiene (ad es. shampoo, creme da barba, dentifrici, ecc.) contengono laurilsolfato di sodio (o sodio laurilsolfato, SLS, SDS),  un tensioattivo che presenta anche un notevole effetto schiumogeno.

La molecola è costituita da una coda idrofoba di 12 atomi di carbonio attaccata ad un gruppo idrofilo solfato, da cui le proprietà necessarie per un detergente. Probabilmente è il tensioattivo anionico più studiato e impiegato. Il SLS viene sintetizzato trattando l’alcool laurilico (dodecanolo C12H26O) con triossido di zolfo, oleum (H2SO4+SO3) o acido clorosolfurico per produrre idrogeno lauril solfato. Il prodotto risultante viene quindi neutralizzato mediante l’aggiunta di idrossido di sodio o carbonato di sodio. L’alcool laurilico si ottiene dall’olio di palma o di cocco mediante idrolisi (che libera i loro acidi grassi), seguita da idrogenazione. A temperatura ambiente si presenta come una polvere cristallina bianca, abbastanza solubile in acqua ed etanolo.

Sul sodio lauril solfato sono stati effettuati studi sulla sicurezza, accertamenti legati soprattutto a suoi effetti irritanti. Tra gli effetti dimostrati: secchezza della cute, possibili dermatiti, afte in soggetti predisposti. Spesso al suo posto viene usato il sodio laureth solfato (sodio lauriletere solfato, SLES), sostanzialmente meno aggressivo dello SLS, ma meno economico.

Sembra che questi prodotti non siano cancerogeni e, anche se nella loro funzione detergente possono essere irritanti per la pelle, inizierebbero a essere pericolosi solo ad alte concentrazioni, maggiori di quelle usate correntemente nei prodotti cosmetici.

Per questi motivi sono importanti gli studi sulla possibilità di commercializzare tensioattivi naturali come i ramnolipidi.

I ramnolipidi sono una classe naturale di composti che hanno proprietà tensioattive. In natura, molte specie di organismi monocellulari producono ramnolipidi per la loro sopravvivenza. Sono costituiti da grassi e zuccheri, per cui hanno buone caratteristiche ambientali e di sicurezza per la salute. Sono costituiti da una o due unità dello zucchero semplice ramnosio collegate a una o due catene di acidi grassi (figura 2).

Figura 2. Le code degli acidi grassi di un ramnolipide (mostrate in blu) possono essere lunghe 10-12 atomi di carbonio e possono contenere una o due unità di ramnosio (rosse).

Le unità zuccherine attraggono l’acqua; le code di acidi grassi catturano oli e altre sostanze non polari. I ramnolipidi sono delicati sulla pelle, hanno bassa emissione di CO2, funzionano bene in acque dure o morbide e sono detergenti efficaci con una schiuma soddisfacente.

Sebbene i ramnolipidi siano stati caratterizzati per la prima volta negli anni ’50 e ’60, fino a non molto tempo fa nessuno è stato in grado di ottenerli con sufficiente efficienza e su scala tale da poter competere su mercati come quello dei tensioattivi sintetici per l’igiene e la cura personale[3].

Alcuni brevetti su ramnolipidi risalgono agli anni ’80, ma i tentativi di commercializzazione sono iniziati solo intorno al 2007 con brevetti e applicazioni delle compagnie Evonik e Stepan, della società di fermentazione Jeneil Biotech e la specialista di ramnolipidi AGAE Technologies[4], dovuti anche all’interesse del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.

La maggior parte di questi produttori usa il microorganismo Pseudomonas aeruginosa, un batterio Gram-negativo, patogeno, per produrre i loro ramnolipidi. P. aeruginosa è un organismo vorace, che si nutre di qualsiasi cosa, ad esempio se posto in un ambiente ricco di petrolio, dove non ha altre fonti di carbonio come nutrimento, produce ramnolipidi per emulsionare gli oli, quindi ingerirli e consumarli.

Strategie di fermentazione ottimizzate e metodi di estrazione e concentrazione migliorati offrono ora ramnolipidi su scala più ampia. I brevetti di Stepan si basano sull’utilizzo di piccole quantità di zucchero insieme all’olio per incentivare i batteri a sintetizzare il ramnolipide e su metodi per l’estrazione semicontinua del prodotto.

I brevetti di Evonik descrivono l’inserimento di geni da P. aeruginosa nei batteri correlati della specie P. putida. Evonik ha deciso questa strategia perché, a differenza del suo cugino aeruginosa, P. putida non è un agente patogeno, il che significa che è meno rischioso e costoso da gestire. P. putida è anche un organismo comune utilizzato nelle biotecnologie, quindi è ben caratterizzato e meno difficile da manipolare.

Ma gli utenti degli articoli per l’igiene della casa e della persona  potrebbero non gradire prodotti ottenuti da un organismo geneticamente modificato. Stepan sta adottando un approccio cauto alla modificazione genetica poiché sebbene ottimizzi la produzione, potrebbe incontrare la disapprovazione dei “No OMG”.

Evonik controbatte che il suo processo non lascia organismi né DNA rilevabile e non utilizza colture di materie prime geneticamente modificate. Un altro vantaggio, afferma, è che consente all’azienda di utilizzare gli zuccheri come unica fonte di carbonio. Allontanarsi dagli oli come materia prima è stato un grande passo. I processi a base di olio su larga scala finiscono spesso con utilizzare oli tropicali raccolti in modo poco sostenibile, mentre gli zuccheri provengono da una più ampia varietà di colture. In effetti Evonik ha una lunga storia nella produzione di specialità chimiche per fermentazione, come aminoacidi e acidi grassi omega-3. Un tensioattivo con una forte azione schiumogena è stato una nuova sfida. Nelle prime fasi hanno avuto più di un problema, per esempio la troppa schiuma, ma in seguito è stata implementata la purificazione e la rimozione di colore e odore.

Evonik ora produce regolarmente quantità commerciali di ramnolipidi in un sito in Slovacchia e sta progettando un impianto dedicato che ne produrrà a basso prezzo dal 2023.

Stepan sta fornendo ai clienti campioni di NatSurFact[5] (figura 3) e pianificando una produzione estesa;  la società si aspetta che i suoi ramnolipidi entrino nei prodotti di consumo entro i prossimi anni.

Figura 3. Tre tipi di ramnolipidi NatSurFact (da sinistra): una soluzione a colore ridotto al 45%, una soluzione al 50% e una polvere pura al 90%. Tutti e tre i campioni sono sali di sodio.

Al di là di queste due grandi aziende chimiche, un certo numero di ditte minori ha affinato  processi per produrre ramnolipidi. In alcuni casi, hanno meno brevetti per proteggere i loro metodi, basandosi invece su segreti commerciali.

Jeneil Biotech è entrato nel settore dei ramnolipidi quasi per caso, afferma il suo presidente Neil Gandhi. Jeneil è specializzata nelle fermentazioni e produce principalmente molecole di aromi particolari e probiotici. Un modo per ottenere l’aroma di fragola è attraverso il ramnosio, uno zucchero di alto valore di per sé, e un modo per ottenerlo  è attraverso i ramnolipidi.

Figura 4. Struttura dello zucchero semplice ramnosio

Una collaborazione con l’Università dell’Arizona ha portato l’attenzione di Gandhi sulle proprietà antifungine dei ramnolipidi. Il principale prodotto ramnolipide dell’azienda è Zonix, un biofungicida certificato biologico. Jeneil commercializza altri tipi di ramnolipidi per la cura della casa e della persona, lo sgrassaggio delle attrezzature per i frutti di mare e il biorisanamento.

AGAE Technologies produce già ramnolipidi di elevata purezza su scala commerciale, come afferma il suo direttore marketing e vendite Dustin Nelson. L’azienda sta lavorando per aumentare la produzione a gradi di purezza inferiore per ridurre i costi complessivi.

In effetti, a seconda della purezza e dei volumi, i ramnolipidi costano 10-30 volte tanto quanto i tensioattivi sintetici, sostengono gli specialisti del settore.

Tuttavia, sostiene Nelson: “anche se il costo resta alto, si è avuto un notevole calo rispetto a pochi anni fa, quando erano 1.000 volte più costosi delle loro controparti convenzionali”. Un buon tensioattivo può essere efficace anche se costituisce solo una piccola percentuale del prodotto finale, rendendo le differenze di prezzo meno impattanti di quanto potrebbero essere per altri prodotti.

Se i prezzi continueranno a scendere, i ramnolipidi potrebbero proliferare. Ogni azienda ha una sua linea di prodotti per le diverse applicazioni. Ad esempio NatSurFact è utilizzato dai produttori di cosmetici e articoli per la cura personale.  Il mercato principale di Stepan è il settore agricolo. AGAE è particolarmente interessata al biorisanamento, Jeneil ha la sua linea di biofungicidi ed Evonik sta realizzando prodotti per la pulizia in grande quantità.

Anche l’associazione di diversi biosurfattanti offre altre opzioni. Ad esempio, è stato sperimentato un detergente multiuso a base acquosa composto per l’1% da ramnolipidi e per il 2% da sophorolipidi, biosurfactanti a bassa formazione di schiuma, scoprendolo eccellente per la pulizia di superfici oleose.

Negli Stati Uniti attualmente uno dei prodotti più richiesti sono le capsule a base di ramnolipidi commercializzate dalla Booni Doon per una pulizia delicata del viso.

Figura 5. Capsule detergenti Booni Doon

L’anno scorso è stato lanciato con grande successo il detersivo per la casa Quix, commercializzato dalla Unilever.

Figura 6. Confezione del biodetersivo Quix

In sintesi i progetti sui biodetergenti si stanno rivelando economicamente praticabili su larga scala. La speranza è che riescano a sostituire i detergenti sintetici in un periodo non troppo lungo.

*Adattato e ampliato da: C. Bettenhausen, Rhamnolipids rise as a green surfactant., Chem. Eng. News, 2020, Vol. 98, n. 23.


[1] Un tensioattivo, abbreviazione di agente tensioattivo, è qualsiasi molecola contenente parti polari e non polari, diminuendo la tensione superficiale tra loro ne consente il mescolamento.

[2] Il sapone ha origini antichissime, il noto sapone di Marsiglia è tradizionalmente prodotto, da circa 600 anni, con oli vegetali nella zona attorno a Marsiglia. Deriva dal sapone di Aleppo (Siria): un prodotto che rappresenta migliaia di anni di cultura e di storia, a base di olio d’oliva e di alloro, che a seguito delle crociate si diffuse attraverso il bacino del Mediterraneo, passando per l’Italia e la Spagna, per arrivare a Marsiglia.

[3] Negli USA, il principale mercato per i tensioattivi è la cura della casa e della persona, rappresenta tre quarti dei 40 miliardi di dollari nelle vendite annuali. Altri grandi mercati includono cosmetici, agricoltura, trivellazioni petrolifere e bonifiche ambientali.

[4] Stepan Company è un’azienda di prodotti chimici con sede a Northfield, Illinois. L’azienda si autodescrive come il più grande produttore mondiale di tensioattivi anionici; Evonik Industries è un gruppo industriale con sede a Essen, nella Renania Settentrionale-Vestfalia (Germania), è una delle principali società mondiali di prodotti chimici speciali; Jeneil Biotech, Inc., fondata nel 1995, sviluppa e produce bioprodotti naturali di qualità, ecologici e sostenibili per varie applicazioni; AGAE Technologies, avviata nel 2011 con sede a Corvallis (Oregon, USA), offre ai clienti prodotti biosurfactanti ramnolipidi di alta qualità e elevata purezza.

[5] NatSurFact è una linea di prodotti biotensioattivi a base di ramnolipidi.

Le molecole della pubblicità: l’anticalcare.1.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo  

a cura di Claudio Della Volpe

L’acqua che usiamo tutti i giorni è di fatto una soluzione diluita di vari ioni fra i quali predominano sodio e calcio (e magnesio) fra i cationi e il cloruro e il carbonato fra gli anioni; quest’ultimo viene anche da una sorgente praticamente inesauribile, quel medesimo diossido di carbonio atmosferico che è il nostro cruccio climatico basilare (è inesauribile perchè alimentata a sua volta dal discioglimento della piattaforma carbonatica nel ciclo del carbonio su scala geologica).

calcare1

Lee R. Kump,James F. Kasting,Robert G. Crane-The Earth System-Pearson (2009)

Perfino quando distilliamo l’acqua, se non usiamo protezioni, la ridissoluzione del CO2 avviene in tempi brevissimi, spostando il pH verso valori di 5.5-6 e rendendo l’acqua distillata una soluzione acidula. La evaporazione, anche parziale, di una tale soluzione contenente ioni calcio, magnesio e carbonato lascia un velo di materiale insolubile costituito principalmente di carbonato di calcio (e magnesio a volte).

Questo dipende dal fatto che il prodotto di solubilità per questa coppia di ioni è:

calcare25in moli2. Una concentrazione dunque dell’ordine di 10-4 mol/litro di entrambi è sufficiente a far precipitare il calcare.

In realtà dato che la concentrazione di ione carbonato dipende da quella del diossido e dal pH a causa dell’esistenza dello ione bicarbonato, anche la solubilità del calcare dipende dal pH; se indichiamo la costante di equilibrio del bicarbonato/carbonato con Ka2, allora abbiamo

solubilità= [Ca2+] =√ Kps ( [H+]/Ka2 + 1) 

Comunque si tratta di una situazione comune e basta un pò di evaporazione a mettersi nelle condizioni adatte alla precipitazione del calcare.

Il calcare, questo il nome comune del composto, si rideposita dunque su tutte le superfici bagnate da un velo di acqua, come i vetri, i metalli, i tessuti, la pelle, etc.

In alcuni casi questo deposito compatto, rappresentato qui sottocalcare2ingloba e aiuta a trattenere sporco, polvere, detriti batterici, altri materiali (per esempio capelli e grasso cutaneo) e forma un film duro e compatto difficile da eliminare che tende a ricoprire le superfici ed otturare i tubi, bloccare i meccanismi, opacizzare tutto, un disturbo non da poco e contro il quale ci sono pochi strumenti efficaci.

calcare3dalla pagina RCS: Gli effetti del calcare: un elemento riscaldante nuovo e

….uno con depositi di calcare

calcare4dal sito RCS: Immagine SEM di fibre senza depositi di calcarecalcare5

dal sito RCS: Immagine SEM di fibre con depositi di calcarecalcare6Ovviamente si può agire ab-initio per così dire, ossia usare delle resine a scambio ionico, dei materiali polimerici porosi contenenti ioni di sodio per esempio che vengono messe a contatto con l’acqua e scambiano gli ioni sodio con quelli calcio, il sistema funziona, ma abbisogna di investimento iniziale e di ricambi continui oltre ad essere un dispositivo da tenere ben pulito dai batteri; alternative esotiche pure ce ne sono: c’è chi promette di liberarci dalla precipitazione del calcare usando “campi magnetici” o trattamenti elettromagnetici vari; la cosa è considerata in genere altamente dubbia sebbene ci siano in letteratura degli esperimenti che vanno in questa direzione.

Rimangono i rimedi della nonna e gli anticalcare commerciali.

Il rimedio sovrano della nonna è di ripassare le superfici o sciacquare i tubi e i meccanismi con una soluzione calda acida e l’aceto possiede i requisiti giusti, non è un acido forte, non è costoso, non è pericoloso; dunque aceto a volontà; tuttavia l’aceto ha anche i suoi problemi: efficace al momento, non preventivo, relativamente inefficace su depositi vecchi, cattivo odore, etc.

Personalmente nei tubi degli scarichi (non in lavatrice!) trovo utile combinare trattamenti acido-base: aceto caldo e poi soda caustica, per attaccare sia calcare che grassi.

Ci sono invece una serie di prodotti commerciali, “furbi” di cui discuteremo qui due esempi: Viakal e Calgon (2 parte del post), uno usato per le superfici e l’altro per le lavatrici (tubi e parti meccaniche in genere):come funzionano?

calcare7 calcare8

Viakal, un prodotto Procter&Gamble, una azienda multinazionale base in USA fondata nel 1837 che ha 110.000 dipendenti in 70 paesi. Possiede marchi come Gillette, Pantene, Vicks, OralB, Lenor, Febreeze e tanti altri.

Viakal ha una composizione abbastanza semplice: è una soluzione in cui ci sono due acidi: citrico e formico, l’acido degli agrumi e quello delle formiche per capirci, (anche se credo siano entrambi di origine industriale) ed un tensioattivo non-ionico. Tutti fra 1 e 5% di concentrazione. Teniamo presente che l’acido citrico è prodotto con un processo di fermentazione industriale, è un prodotto batterico per quel che può valere agli occhi del pubblico, solido a temperatura ambiente.

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acido citrico

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acido formico

L’acido formico invece è un prodotto di sintesi, prodotto la prima volta nel 1670 distillando ….formiche, liquido a t ambiente.

Non so se sapete che il bagno di formiche è usato dalla ghiandaia (e dal corvo) per liberarsi dai parassiti; quando ha troppi parassiti l’intelligente uccello si adagia su un formicaio in posa di attacco e le formiche le spruzzano l’acido formico. (http://www.isaporidisicilia.com/iboschidibuccheri/ghiandaia.htm)calcare11 calcare12

con reciproca soddisfazione.

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Struttura dello ione citrato 3-.

Il ruolo dei due acidi è chiaro, reagiscono col calcare e lo sciolgono; sono acidi deboli entrambi (Ka (I ionizzazione) dell’acido citrico 7.4x 10-3e formico 1.8×10-4) notate che la costante acida è maggiore per il citrico e minore per il formico e il citrico è più concentrato nel limone che nel Viakal (5-7%). Sconsigliamo di mescolare il prodotto con la candeggina per il noto motivo riportato qui qualche post fa da Mauro Icardi. Entrambi sono acidi più forti dell’acido acetico (Ka=1.8×10-5). E’ da considerare che l’acido citrico, nella forma di citrato, che è presente in soluzione comunque in bassa concentrazione, dato che il citrico è un acido debole, è anche un “complessante” dello ione calcio, ossia è in grado di mantenere in soluzione lo ione formando un complesso tenuto insieme dalle diverse cariche elettriche (negativo il citrato, positivo il calcio) . Alla fine della reazione l’acido citrico sarà diventato in massima parte citrato e allora diventerà anche un complessante. Questo ovviamente aiuta il processo finale.

I tre atomi di ossigeno o anche solo alcuni (1 o 2) carichi negativamente possono interagire con lo ione tenuto al “centro” della struttura:calcare14Quindi l’acido citrico ha un doppio ruolo, prima reagisce con il calcare e poi mantiene in soluzione lo ione.

Ma a cosa serve allora il tensioattivo non ionico?

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C9 etossilato

Questa è una cosa sfiziosa anche perchè costituisce la base della pubblicità del prodotto: secondo la pubblicità il calcare non si riforma, cosa che non succede se usate solo aceto ovviamente, l’aceto va bene per curare non per prevenire.

Il motivo è che il tensioativo non ionico usato aderisce alle superfici delle mattonelle e forma un film idrofobico che rende più difficile la conservazione di un film d’acqua; di solito questo è più efficace su superfici inclinate come appunto quelle delle mattonelle del bagno o della doccia; l’acqua su una superficie idrofobica non viene trattenuta facilmente, il suo angolo di contatto è più elevato e quindi essa scivola via più facilmente; e l’effetto è più forte su superfici leggermente rugose (si veda nota*).

Alcuni tensioattivi non ionici e cationici funzionano da cosiddetti “rinsing aids” ossia aiutanti nel risciacquamento alla lettera; aiutano a far scivolare l’acqua dalle superfici.

Quando voi andate a pulire l’auto negli impianti automatici, non so se lo avete notato, ma usate DUE distinti tensioattivi nelle due fasi di pulizia: nella prima togliete lo sporco col classico tensioattivo anionico (testa negativa coda idrofobica e controione positivo) mentre nella seconda fase sulla superficie già pulita e che volete liberare dall’acqua e tenere asciutta e lucida, spruzzate un rinsing aid cosituito da un tensioattivo cationico (testa positiva, coda idrofobica e controione negativo) di solito un sale di tetraalchilammonio. Questo secondo si attacca alla superficie della vernice della vostra auto che il tempo e gli UV solari contribuiscono ad ossidare e che quindi ha un notevole potenziale “basico di Lewis” ossia è un po’ elettrondonatore e lasciano sgambettare liberamente le gambe idrofobiche all’aria, cosa che gli anionici non potrebbero fare; la superficie con un po’ di aiuto da uno spruzzo di aria rimane alla fine lucida e libera sia dallo sporco che dall’acqua; lo stesso fa il tensioattivo del Viakal; non so perchè usi un non ionico, ossia un tensioattivo senza carica netta, forse per motivi di costo. Se l’acqua scivola via non lascia calcare quando evapora (lo lascia altrove).

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Rappresentazione dei tensioattivi. Dall’alto verso il basso: non ionici, anionici, cationici, anfoteri.

Il tensioattivo non ionico in questione è un estere di acido carbossilico a catena intermedia 9-11 atomi di carbonio. Le sue code sono certamente idrofobiche e se il materiale si coordina bene, se le molecole si allineano bene come le gambe di un corpo di ballo, la superficie formata espone anche i terminali -CH3 finali non solo i metileni di catena.

Questo rende la superficie meno bagnabile ancora. Non esistono sostanze naturali comuni che imitino il comportamento “cerante” del tensioattivo nonionico o cationico e così comuni da usare in sostituzione. O se ci sono fatemelo sapere.

Abbiamo visto insomma che ogni sostanza ha un ruolo ben preciso, non ci sono componenti inutili.

per approfondire:

Sito misto RCS-Benckiser: http://www.rsc.org/learn-chemistry/resources/chemistry-in-your-cupboard/calgon/10

(continua)

*Nota. La condizione di scivolamento per una goccia non è una cosa banalissima da dimostrare scientificamente; in effetti lo scivolamento di una goccia da una superficie dipende da un aspetto della bagnabilità che è ignoto al grande pubblico e anche a molti colleghi: la cosiddetta isteresi, cioè la differenza fra l’angolo di contatto di avanzamento e di recessione. L’angolo di contatto è quello indicato in figura come θr e θa, recessione e avanzamento. C’è anche un equazione che si chiama equazione di Furnidge, la goccia che scivola è asimmetrica e lo scivolamento è tanto più favorito quanto meno sono diverse le due estremità la testa e la coda della goccia. Se sono diverse la differenza di componenti dovute alla tensione superficiale si oppone al peso e la goccia non scivola, se sono uguali la goccia scivola via; lo scivolamento è tanto più facile quanto più i due valori sono simili (bassa isteresi). In genere quanto più la superficie è idrofobica tanto più la differenza tende ad essere ridotta e gli angoli entrambi alti, ma ci sono casi in cui la differenza è alta nonostante la superficie sia idrofobica(cioè angolo maggiore di 90°) in avanzamento.

Infine anche questa è una approssimazione perchè la goccia sul piano inclinato di Furnidge è un corpo “rigido” mentre la goccia vera si deforma e la parte anteriore non trattenuta scivola via allungando e deformando la goccia trattenuta (“pinning” è il termine inglese) dalla sua coda idrofilica. Superfici superidrofobiche, ossia molto idrofobiche e con bassa isteresi che rimangono sempre asciutte si possono ottenere introducendo una modifica geometrica che renda la superficie già idrofobica, ossia con un angolo di contatto superiore a 90°, anche molto rugosa, e quindi trattenendo aria fra le rugosità: in natura esistono esempi noti, come il loto, e meno noti, come il cavolo cappuccio, di superfici superidrofobiche.

(continua).

Siamo alle solite: chimico non è una parolaccia!

a cura di Claudio Della Volpe

Sono socio di Altroconsumo da molti anni (tessera 2143008-84), ma ho spesso notato delle cadute di stile, diciamo così, che danneggiano sia l’immagine della chimica presso il grande pubblico, sia l’immagine di Altroconsumo presso i lettori più accorti.

Altroconsumo è una associazione di consumatori molto conosciuta e stimata e proprio per questo uno si aspetta un livello di accortezza e competenza adeguato.

La cosa che non mi va è ovviamente l’uso del termine “chimico” in contesti del tutto improprii o addirittura sbagliati e inoltre anche la superficialità di parecchie posizioni o la inesattezza di alcune informazioni.

Nonostante ciò rimango di buon grado socio di Altroconsumo perchè in genere la situazione informativa sulle merci è tale che un occhio critico fa sempre comodo, ma anche Altroconsumo ammetterà che tutto è migliorabile e mi consentirà di fare una critica ragionata di certe sue posizioni. Ed è quello che mi accingo a fare.

Il testo incriminato è nell’ultimo numero della rivista Altroconsumo (Marzo 2013) che purtroppo non è di libera acquisizione, ma di cui comunque riporterò gli stralci più importanti.

Titolo: Pulizie da manuale

Sottotitolo: I rimedi della nonna funzionano e permettono di ridurre il ricorso ai detergenti chimici. Tu risparmi, la tua salute è protetta e l’ambiente ringrazia.

Il sottotitolo fa credere che sia possibile ridurre il ricorso ai detergenti “chimici” tout court; eventualmente si dovrebbe dire “di sintesi”, perchè è chiaro che tutte le sostanze sono sostanze “chimiche” non solo quelle preparate dalla grande industria. Ma vedremo che in realtà l’articolo non mantiene nemmeno questa promessa perchè indica come alternative, eccetto che in un caso, sostanze che invece sono proprio “di sintesi” e quindi, anche non usando la terminologia sbagliata del sottotitolo, sono “chimiche” a tutti gli effetti non solo nel senso “comune”, ma sballato in cui si usa il termine e in cui, ahimè, lo usa anche Altroconsumo.

E anche nel caso dell’aceto è bene che il grande pubblico si renda finalmente conto che trattamenti “chimici”, ossia che usano sostanze chimiche di sintesi vere e proprie nella sua produzione, sono perfettamente legali e comunemente applicati e non fanno male affatto, anzi.

Il testo inizia sostenendo una tesi che è condivisibile e cioè che occorra usare con giudizio i prodotti per la pulizia che sono costosi e in alcuni casi possono inquinare l’ambiente e a volte posseggono anche una composizione che può comportare dei rischi per le persone. Tutto vero. Ma che bisogno c’è di aggiungere una cosa sostanzialmente falsa:

Così staremo al sicuro, alla larga da troppe sostanze chimiche

ma perchè non sono chimiche le sostanze che vengono consigliate in alternativa?

Cominciamo dall’aceto, che è un ottimo consiglio perchè costa certamente meno e perchè in genere è efficace e meno inquinante, lo ammetto, ma attenzione: l’aceto non è una sostanza chimica? ovviamente si; è fatto di acido acetico in gran parte, ma soprattutto pur essendo prodotto dall’azione di batteri su soluzioni zuccherine o alcooliche è perfettamente  legale effettuare su di esso tutte le procedure CHIMICHE che si effettuano sul vino, e che prendono il nome di trattamenti:

Antisettico selettivo: anidride solforosa. SO2;

Correzione dell’acidità: si effettua con acidi e basi di sintesi;

Controllo del colore: tramite l’uso di carboni adsorbenti, prodotti con una procedura CHIMICA di combustione in difetto di ossigeno.

Correzione dei tannini: aggiunta di albumina o gelatina sostanze naturali, ma estratte e purificate per via CHIMICA

Chiarificazione: usando la caseina, la gelatina, la colla di pesce o composti minerali come la bentonite, la silice o il ferrocianuro di potassio e l’acido metatartarico; vi basta come chimica dell’aceto?

NO perchè i controlli sull’uso dell’aceto prevedono che il contenuto dell’aceto non superi certi valori per alcune sostanze (CHIMICHE) in esso contenute per via strettamente naturale: zinco, piombo e acido borico per esempio, per cui un controllo della composizione CHIMICA dell’aceto è assolutamente necessario.

-Vabbè Clà ma comunque l’aceto è un prodotto biologico- mi direte, nel senso prodotto di una fermentazione batterica; niente da dire, non è sintetizzato, non è una soluzione di acido acetico, ma perchè non ricordare che è ottenuto anche grazie a dell’ottima e positiva chimica, che ce ne garantisce la qualità?

Il secondo prodotto consigliato in alternativa è il bicarbonato di sodio, NaHCO3. Ma il bicarbonato è forse un prodotto naturale? ci sono le miniere di bicarbonato? il bicarbonato viene forse estratto da qualche sorgente naturale?
NO; il bicarbonato è presente è vero in mari e fiumi e anche in enormi quantità e in certe condizioni piuttosto rare come materiale solido (la nahcolite (NaHCO3) o come componente secondario del natron (Na2CO3·10(H2O)), un carbonato idrato di sodio di genesi evaporitica in ambienti aridi), ma quello che noi usiamo è TUTTO RIGOROSAMENTE DI SINTESI: il bicarbonato di sodio è uno dei principali prodotti dell’industria chimica inorganica.

Impianto British Salt per la produzione di bicarbonato di sodio

Impianto British Salt per la produzione di bicarbonato di sodio

Il processo attraverso cui viene prodotto è noto fin dal 1863, il metodo Solvay:

ammoniaca e anidride carbonica in una soluzione di cloruro di sodio, la reazione che avviene produce cloruro di ammonio e bicarbonato di sodio. La reazione è la seguente:

H2O + NaCl + NH3 + CO2 NH4Cl + NaHCO3

Questo metodo di produzione venne messo a punto da Ernest Solvay.

Ernst Solvay

Ernst Solvay

Insomma tutto si puo’ dire meno che il bicarbonato NON sia un prodotto chimico, qualunque sia il senso che vogliamo dare all’aggettivo “chimico”.

E la sua produzione è una produzione complessa e per molti aspetti inquinante almeno potenzialmente; al contrario la sua emissione in ambiente non presenta rischi sostanziali come anche il suo uso ragionevole; un eccesso puo’ comportare rischi alla salute per modifica del pH ematico o peggioramento della sintomatologia dovuta ad eccesso di acidità nello stomaco; insomma come tutti i chemicals e seppure con minori rischi  il bicarbonato di sodio ha le sue regole di uso.

Ma se il bicarbonato è un chemical a tutti gli effetti a maggior ragione lo sono le altre due categorie di materiali che l’articolo consiglia di usare seppure solo in certi casi: gli sgrassatori e i detergenti multiuso; si tratta in genere di formulazioni complesse che hanno come base o l’idrossido di sodio, NaOH, altro prodotto base della grande industria chimica, ottenuto dalla elettrolisi di acqua di mare (più precisamente di una soluzione concentrata di NaCl) o i comuni detersivi di sintesi petrolchimica o anche non petrolchimica; comunque si tratta di sostanze prodotte da processi industriali per sintesi o per estrazione; e quindi che senso ha contrapporli ad altri pure di origine industriale?

Ovviamente la cosa ha senso SOLO se si paragonano gli effetti complessivi sull’ambiente: quanta energia serve, quanto inquinamento viene prodotto quando li si sintetizza o li si usa o li si dismette in ambiente? Una analisi LCA, Life Cycle Analysis, una procedura ormai tipica della industria chimica o almeno che dovrebbe esserlo; si tratta di sceglierne i criteri in modo chiaro: non per il profitto di pochi, ma per la qualità della vita di molti.

Ma certo il problema non è più che NON si tratta di sostanze “chimiche”: sono sostanze chimiche entrambe, ma le paragoniamo con la coscienza che scegliamo quella meno impattante, NON contrapponendo una sostanza “chimica” ad una “non-chimica”; e non solo perchè BANALMENTE tutto è fatto di molecole e atomi, tutto è chimica, ma soprattutto perchè stiamo parlando in ENTRAMBI i casi (eccetto l’aceto) di materiali di SINTESI, questo è il termine esatto, della grande industria chimica.

Ci sono poi nell’articolo delle imprecisioni che sembrano più “tipiche” di un approccio “terrorizzante” che di uno sereno sulla Chimica. Un esempio; si scrive:
State lontani in particolare da una famiglia di tensioattivi che porta il nome di alchilbenzensolfato, bandito in Svezia.

Beh questa è una “imprecisione” notevole; prima di tutto non si tratta di alchilbenzensolfati, ma di alchilbenzensolfonati; i solfati devono avere nella loro molecola un gruppo R-SO4, mentre la molecola in questione, chiamata in gergo LAS, contiene un gruppo R-SO3; non stiamo parlando di alchilsolfati, ma di alchilarilsolfonati, tutta una bestia diversa.

las

la molecola di tensioattivo prodotta effettivamente nelle condizioni di sintesi acida; cit. di S. Mammi

la molecola di dodecilbenzensolfonato prodotta effettivamente nelle condizioni di sintesi carbocationica in ambiente acido; cit. di S. Mammi

Poi è vero che la Svezia ha ridotto l’uso di questo specifico tensioattivo di sintesi, ma non è vero, come invece si dice nell’articolo, che lo abbia bandito; basta andarsi a leggere http://apps.kemi.se/flodessok/floden/kemamne_eng/las_eng.htm, un documento ufficiale della SDA, l’agenzia chimica svedese che dà l’informazione corretta: uso ridotto a poche centinaia di tonnellate ma non è stato bandito, anche perchè non vi è la prova della tossicità  ma solo di un limitato danno ambientale [1]. European Council Regulations (EC) 1488/94 ha concluso che non ci sono preoccupazioni per l’ambiente e per la salute umana,  declassificandolo e rimuovendolo dall’Annesso 1 nella  28th ATP (Directive 2001/59).

Insomma Altroconsumo ha tutta la nostra stima, e sarebbe un buon obiettivo una maggiore accortezza ed una decisione soprattutto culturale, quella di smetterla con l’usare l’aggettivo e la parola CHIMICA in modo improprio; anche perchè nello stesso numero della rivista, poche pagine prima o poche pagine dopo, i prodotti chimici o le loro applicazioni la fanno da padroni e in positivo, ma la chimica non viene mai nominata; ma allora perchè usare chimico solo come parolaccia, solo in contesti negativi?

Noi chimici dobbiamo mostrare la nostra terzietà ed indipendenza culturale dal mondo industriale; una specie di giuramento di Galeno riadattato, un giuramento di Boyle per dir così.

Ma le associazioni di consumatori e di difesa dell’ambiente hanno anche loro un compito culturale: abbandonare questo vezzo di usare “chimico” come una parolaccia.

Si tratta di un vezzo da lasciare nel museo della cultura “demagogica”, indegno di una grande associazione di consumatori cui mi onoro di appartenere.

[1]http://www.chem.unep.ch/irptc/sids/oecdsids/las.pdf una risoluzione UNEP dell’aprile 2005

le conclusioni sono le seguenti:

Human Health:The chemicals in the LAS category are currently of low priority for further work because of their low hazard potential except for skin and eye irritation and acute inhalation. Based on data presented by the Sponsor Country, exposure to respirable particles is anticipated to be low. Other countries may desire to investigate any exposure scenarios that were not presented by the Sponsor Country.

 Environment:The chemicals in the LAS category possess properties indicating a hazard for the environment (fish, invertebrates and algae). However, they are of low priority for further work due to ready and/or rapid biodegradation and limited potential for bioaccumulation.