(In base al testo di C. Bettenhausen, Switching to sustainable surfactants., C&EN, May 1, 2022)
Rinaldo Cervellati
Mentre la maggior parte delle industrie punta a zero emissioni entro il 2050, i marchi di prodotti di consumo che producono sapone, shampoo, lozioni e cosmetici fissano i loro obiettivi di sostenibilità al 2030. Questi obiettivi vanno anche oltre alle sole emissioni di anidride carbonica.
Infatti, quando le persone acquistano prodotti per la cura della persona, cercano anche biodegradabilità, basso impatto ambientale e un approvvigionamento sostenibile ed etico.
I tensioattivi sono un ingrediente primario per rendere i prodotti più efficienti. Queste molecole svolgono un ruolo centrale in tutti i tipi di prodotti per la cura della persona, avendo il potere di rimuovere lo sporco e il grasso contenuti nei cosmetici per viso e corpo. Molti tensioattivi aiutano anche a idratare e levigare la pelle e i capelli.
Neil Burns, amministratore delegato di un’azienda produttrice di cosmetici, dice: “È un buon momento per vendere nuovi ingredienti, i marchi per la cura della persona sono più ricettivi di quanto lo fossero un tempo. Grandi nomi aziendali si impegnano per obiettivi piuttosto ambiziosi in materia di sostenibilità. Data la portata degli impegni e data la lista odierna di materie prime prontamente disponibili, hanno bisogno di ingredienti nuovi”.
Ma quali sono le loro opzioni per questi ingredienti e quali sono le migliori per il pianeta? Mentre le aziende produttrici cercano di sostituire i tensioattivi sintetici con alternative più ecologiche e a basse emissioni di carbonio, sono tre le categorie principali tra cui scegliere: biotensioattivi microbici, tensioattivi intrinsecamente biobased[1] e versioni biobased dei tensioattivi convenzionali. Le decisioni che verranno prese potrebbero avere un impatto duraturo sul nostro ambiente.
Biotensioattivi Microbici
Chimicamente parlando, i tensioattivi sono molecole che hanno sezioni sia idrofile che idrofobiche. Il tradizionale sapone ha una testa di acido carbossilico attratta dall’acqua e una lunga coda di idrocarburi attratta dai grassi. Molte altre molecole naturali, sintetiche e semisintetiche possono avere lo stesso effetto con diverse combinazioni di motivi molecolari polari e apolari.
Il termine biotensioattivo si riferisce ai glicolipidi prodotti da alcuni microrganismi. La testa idrosolubile è un gruppo zuccherino e la coda idrosolubile è una lunga catena di idrocarburi per lo più satura. In natura, i microbi utilizzano i glicolipidi per il rilevamento di adesione, lubrificazione e competizione con altri microrganismi.
I due biotensioattivi commercialmente più avanzati sono i ramnolipidi e i soforolipidi, che presentano rispettivamente ramnosio e soforosio nelle loro teste zuccherine (fig.1 e 2). All’interno di ciascuna di queste famiglie, le variazioni strutturali possono alterare le proprietà del tensioattivo.

Figura 1. Struttura di un soforolipide. Classe: Biotensioattivo; Concentrazione tipica in uno shampoo: 0,5–10%; Quantità di schiuma: bassa; Mitezza: molto lieve; Applicazione comune: struccanti in acqua micellare.
La coda idrocarburica dei soforolipidi, ad esempio, può fluttuare liberamente e terminare in un acido carbossilico (fig. 1) o avvolgersi e attaccarsi alla testa dello zucchero, creando un anello di lattone. I biotensioattivi non sono nuovi; i riferimenti nella letteratura chimica risalgono agli anni ’50, tuttavia di recente sono disponibili per il mercato commerciale.
L’indicatore più forte dell’interesse per i biotensioattivi è il ritmo con il quale vengono presi gli accordi. Pochi giorni prima di In-cosmetics Global, la fiera degli ingredienti per la cura della persona tenutasi a Parigi, Holiferm ha firmato un accordo con l’azienda chimica Sasol, che acquisterà la maggior parte dei soforolipidi prodotti nel Regno Unito.
La BASF, concorrente di Sasol, ha pure un accordo con Holiferm e una partecipazione nel produttore giapponese di soforolipide Allied Carbon Solutions.
All’inizio di quest’anno, l’industria specialista della fermentazione dei tensioattivi Locus Performance Ingredients, ha firmato un accordo simile per la fornitura alla ditta Dow di soforolipidi per i mercati della cura della casa e della persona.
E a gennaio, Evonik Industries ha annunciato l’intenzione di costruire un impianto di ramnolipidi in Slovacchia.

Figura 2. Struttura di un ramnolipide. Classe: Biotensioattivo; Concentrazione tipica in uno shampoo: 2–10%; Quantità di schiuma: alta; Mitezza: molto lieve. Applicazione: Detergenti
Holiferm utilizza un ceppo di lievito isolato dal miele, che consuma zucchero e olio di girasole per produrre il tensioattivo bersaglio. Clarke afferma che il processo semicontinuo dell’azienda, che estrae i soforolipidi durante cicli di fermentazione lunghi settimane, la distingue da quelle che utilizzano metodi di produzione in batch.
Oltre ad essere a base biologica, i biotensioattivi hanno un impatto ecologico inferiore rispetto ai tensioattivi convenzionali come il sodio lauriletere solfato (SLES) (fig. 3).

Figura 3. Struttura di sodio lauriletere solfato. Classe: Tensioattivo semisintetico; Concentrazione tipica in uno shampoo: 40%; Quantità di schiuma: alta; Mitezza: Moderata; Applicazione: detergenti
Secondo Dan Derr, un esperto di bioprocessi che ha contribuito a sviluppare la tecnologia dei ramnolipidi, il vantaggio ecologico deriva principalmente dalle condizioni di fermentazione, che viene effettuata a temperatura e pressione ambiente.
Infatti, lo SLES è solitamente prodotto facendo reagire gli alcoli grassi derivati dall’olio di palma con l’ossido di etilene e il triossido di zolfo. Questi passaggi consumano molta energia perché si svolgono a temperature e pressioni elevate. E sebbene la componente grassa sia a base biologica, l’olio di palma è molto preoccupante per la sostenibilità, inclusa la deforestazione necessaria per costruire fattorie di palme e le emissioni di gas serra dalla rimanente materia vegetale legnosa.
I biotensioattivi sono anche più potenti rispetto allo SLES e alla maggior parte delle altre opzioni, rendendo possibile un minor utilizzo in una formulazione finale.
Intrinsecamente biobased
Altri tensioattivi a base biologica, prodotti modificando chimicamente e combinando molecole estratte dalle piante, sono disponibili da anni ma ora stanno riscuotendo un crescente interesse.
La classe più popolare in questa categoria sono gli alchil poliglucosidi o APG (fig. 4).

Figura 4. Struttura di un alchil poliglucoside. Classe: sintetico; Concentrazione in uno shampoo: 15–25%; Quantità di schiuma: moderata; Mitezza: irritante; Applicazioni: creme e gel.
Chimicamente simili ai glicolipidi microbici, gli APG sono prodotti combinando glucosio o altri zuccheri con alcoli grassi derivati da oli vegetali. La reazione è guidata da catalizzatori inorganici o enzimi. Come i biotensioattivi, gli APG sono più delicati e generalmente hanno un impatto di CO2 inferiore rispetto ai tensioattivi convenzionali, però costano fino a tre volte gli SLES e non sono molto schiumogeni. La formazione di schiuma non migliora molto l’efficacia dei detergenti, ma le persone vedono le bolle schiumose come un segno di efficacia.
Sebbene non siano così popolari come lo SLES e i relativi ingredienti etossilati, gli APG sono già diffusi.
Marcelo Lu, vicepresidente senior di BASF per i prodotti chimici per la cura in Nord America, afferma che per fornire tensioattivi biobased a basso contenuto di CO2 nella quantità necessaria per le ambizioni ecologiche delle aziende globali, gli APG sono i più adatti.
Convenzionali, ma biobased
Anche con l’aiuto dei fornitori, la riformulazione degli ingredienti non è banale; per un’azienda è costoso e rischioso cambiare una linea di prodotti che già funziona. Evitare la riformulazione è la proposta che alcune grandi aziende chimiche stanno portando avanti con le versioni biobased dei tensioattivi convenzionali.
Soprattutto nella cura della persona, molti tensioattivi, come lo SLES, sono già parzialmente biobased. Circa la metà degli atomi di carbonio in un tensioattivo a base di olio vegetale etossilato ha origini da biomassa.
Due produttori chimici, Croda International e Clariant, hanno apportato una modifica che ha consentito loro di arrivare al 100% di biobased. Essi stanno ricavando ossido di etilene dalle piante invece che dalle risorse fossili. La chimica utilizzata da entrambi è stata sviluppata principalmente dalla società di ingegneria Scientific Design (New Jersey, USA). Il processo inizia disidratando l’etanolo di origine vegetale in etilene. Le fasi successive dell’ossidazione dell’etilene in ossido di etilene, cioè la sintesi di tensioattivi etossilati, sono le stesse del percorso sintetico, sebbene Scientific Design offra sistemi che integrano tutte e tre le fasi.
Sebbene i consumatori apprezzino le etichette di tali prodotti a base biologica, per i sostenitori dell’ambiente, essere derivati dalle piante non è un obiettivo centrale come lo era prima. Gran parte del discorso sulla sostenibilità nell’industria chimica oggi riguarda le emissioni di carbonio e i danni della CO2 e dell’ossido di etilene a base biologica non vengono eliminati.
David Schwalje, responsabile dello sviluppo dei mercati per l’azienda di ingegneria chimica e dei combustibili Axens, afferma che la provenienza della materia prima per l’etanolo fa la differenza quando si tratta di misurare l’intensità di CO2 dei prodotti risultanti. L’ossido di etilene ottenuto da alcol di mais o canna da zucchero coltivato in modo convenzionale, spesso chiamato etanolo di prima generazione, non è affidabile dal punto di vista delle emissioni rispetto all’ossido di etilene prodotto dal petrolio.
Uno sguardo ad alcuni numeri pubblicamente disponibili mostra quanto può variare l’emissione di CO2 per il composto. Le emissioni di carbonio della coltivazione del mais necessarie per produrre un chilogrammo di ossido di etilene a base biologica, anche dalla produzione di fertilizzanti, carburante per trattori e altre fonti di emissioni, erano comprese tra 0,8 e 2,8 kg di CO2, secondo i calcoli basati sulle stime di Argonne National Laboratory e University of Minnesota [1,2], tenendo conto dei numeri sulla produzione di ossido di etilene, il percorso biobased offre una riduzione dell’86% a un aumento del 46% delle emissioni di CO2 rispetto al percorso petrolchimico.
Tuttavia, afferma Schwalje, l’etanolo di seconda generazione ottenuto da rifiuti o cellulosa coltivata in modo sostenibile in cui le apparecchiature di fermentazione e distillazione utilizzano la cattura del carbonio può essere fortemente carbonio-negativo e portare quel vantaggio di CO2 a valle dei prodotti che ne derivano.
Sia Croda che Clariant stanno usando etanolo di prima generazione, almeno per ora. Croda produce i suoi prodotti Eco da etanolo a base di mais in un impianto alimentato da metano catturato da una discarica vicina, riducendo l’impatto di carbonio degli ingredienti prodotti.
L’impianto di Clariant a base di canna da zucchero e mais si trova a Uttarakhand (India), parte di una joint venture con India Glycols. Fabio Caravieri, responsabile del marketing di Clariant, afferma che il solo uso di ossido di etilene a base biologica non renderà uno shampoo o un bagnoschiuma negativo al carbonio, ma offre un miglioramento. Clariant afferma che grazie alla materia prima e alle attrezzature specifiche dello stabilimento in India, un produttore può rivendicare una riduzione dell’impatto del carbonio fino a 2 kg di CO2 per ogni kg di tensioattivo. E l’azienda Clariant è in grado di fare di più. Essa gestisce uno degli unici impianti di etanolo di seconda generazione al mondo, una struttura da 50.000 tonnellate all’anno, in Romania, che ha iniziato a produrre etanolo dalla paglia nel 2021. L’etanolo cellulosico potrebbe diventare una materia prima per i prodotti cura della persona in futuro, se una tale combinazione sarà redditizia una volta che l’azienda avrà acquisito più esperienza.
La via del bilancio di massa
Altre importanti aziende chimiche stanno soddisfacendo la domanda di contenuto di carbonio rinnovabile attraverso un approccio noto come bilancio di massa. Come per gli etossilati a base di etanolo, i tensioattivi ottenuti con questo metodo sono chimicamente identici a quelli già presenti sul mercato. Ma l’approccio del bilancio di massa introduce la biomassa più a monte. Viene miscelata con materie prime di carbonio fossile come la nafta o il gas naturale poiché queste sostanze vengono immesse nei cracker che producono l’etilene e altre sostanze chimiche costitutive.
I metodi di contabilizzazione del bilancio di massa variano, ma l’idea di base è che un operatore ottenga crediti per ogni atomo di carbonio a base biologica immesso nel suo cracker. Può assegnare quei crediti a una parte della produzione dell’impianto contenente lo stesso numero di atomi di carbonio. I clienti che vogliono acquistare dalla parte biobased pagano la tariffa di mercato per la chimica convenzionale più un supplemento per la biomassa, o carbonio rinnovabile.
Nonostante i vantaggi logistici del bilancio di massa, l’approccio non convince tutti gli utenti finali. Le abbreviazioni di certificazione di bilancio di massa come ISCC e REDcert non significano molto per il consumatore. E anche se la contabilità del bilancio di massa è legittima, le emissioni di carbonio nel prodotto finale sono un mix di origine vegetale e fossile, e questo non è ciò che molti acquirenti vogliono.
Ivo Grgic, Global Purchase Category Manager di Henkel per i tensioattivi, riconosce queste preoccupazioni, ma afferma che il bilancio di massa è il passo successivo più veloce che l’azienda può compiere per rendere i suoi prodotti più sostenibili.
Sostiene Grgic: “Siamo un’azienda che produce enormi volumi. Dal nostro punto di vista, dobbiamo avere un impatto e abbiamo deciso che l’equilibrio della biomassa è l’approccio con cui possiamo sostituire il carbonio fossile su larga scala nel modo più veloce. Altre tecnologie, come la cattura della CO2 e i biotensioattivi, seguiranno nei prossimi anni”.
I marchi di prodotti di consumo che cercano di diventare biobased hanno diverse opzioni: nuovi ingredienti come i glicolipidi, uso esteso di ingredienti speciali come gli APG e nuove versioni biobased degli ingredienti a cui sono abituati. Ma le scelte implicano un complesso equilibrio tra sostenibilità, efficacia, disponibilità e, naturalmente, costo. Caravieri afferma che i consumatori ecoconsapevoli sono disposti a tollerare un sovrapprezzo del 25-40%.
La chimica dietro i tensioattivi a base biologica è nota da anni. Il cambiamento verso di loro sta avvenendo ora, perché i consumatori sono più consapevoli di ciò che stanno usando. In numero sempre crescente, vogliono prodotti sostenibili a base biologica.
Aziende come Henkel stanno adottando un approccio completo per soddisfare tale domanda, anche se guardano alla via per approcci migliori. “I clienti sono alla ricerca della sostenibilità e vogliono provare ad accedervi da tutte le aree possibili”.
Bibliografia
[1] T.M. Smith et al., Subnational mobility and consumption-based environmental accounting of US corn in animal protein and ethanol supply chains., Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. Sept 5, 2017, DOI: 10.1073/pnas.1703793114.
[2] U. Lee et al., Retrospective analysis of the U.S. corn ethanol industry for 2005–2019: implications for greenhouse gas emission reductions. Biofuels, Bioprducts & Biorefining, 2021, 15, 1318-1331. DOI: 10.1002/bbb.2225.
[1] Il termine “biobased” è utilizzato per materiali o prodotti che siano interamente o parzialmente derivati da biomassa