Elementi della tavola periodica. Antimonio, Sb. Prima parte.

Rinaldo Cervellati

L’antimonio (Sb) è l’elemento n. 51 della tavola periodica, collocato nel gruppo 15, 5° periodo, sotto l’arsenico, a fianco di stagno (a sinistra) e tellurio (a destra). La sua abbondanza nella crosta terrestre è stimata in 0,2-0,5 ppm, alquanto minore di quella dell’arsenico (stima: 1,6-1,8 ppm). L’antimonio si trova talvolta libero in natura, ma più frequentemente in minerali, il principale dei quali è la stibnite o stibina o antimonite (solfuro di antimonio, Sb2S3). È un semimetallo grigio lucente, i suoi composti sono noti fin dall’antichità, usati come cosmetici e rimedi medici, spesso noti con il nome arabo kohl.

Figura 1. Antimonio nativo (a sinistra), Stibnite (a destra)

Il minerale stibnite finemente polverizzato era utilizzato nell’Egitto predinastico come cosmetico per gli occhi già nel 3100 a.C., quando fu inventato il trucco del volto. Un manufatto, ritenuto facente parte di un vaso, risalente al 3000 a.C. circa, fatto con antimonio, fu trovato a Telloh, in Caldea (parte dell’attuale Iraq), e un oggetto di rame placcato con antimonio risalente al 2500-2200 a.C. fu rinvenuto in Egitto.

L’archeologo britannico Roger Moorey (1937-2004) non era convinto che il manufatto di Telloh fosse davvero un vaso, menzionando che I. R. Selimkhanov[1], dopo la sua analisi del reperto, “tentò di mettere in relazione il metallo con l’antimonio naturale transcaucasico” (cioè il metallo nativo) e che ” gli oggetti di antimonio della Transcaucasia sono tutti piccoli ornamenti personali, ciò che indebolisce l’evidenza di un’arte perduta per rendere malleabile l’antimonio “.

Lo studioso romano Plinio il Vecchio (23/24-79 d.C.), nel suo famoso trattato di storia naturale, descrisse diversi modi per preparare il solfuro di antimonio a scopi medici. Fece anche una distinzione tra forme di antimonio “maschili” e “femminili”: la forma maschile è probabilmente il solfuro, mentre la forma femminile, che è superiore, più pesante e meno friabile, è probabilmente antimonio metallico nativo.

Il naturalista greco Pedanius Dioscorides[2] ha scritto che il solfuro di antimonio potrebbe essere arrostito riscaldando in corrente d’aria. Si pensa che con questo sistema abbia prodotto antimonio metallico.

Figura 2. Dioscorides e copertina del De Materia Medica

L’isolamento intenzionale dell’antimonio è descritto da Jabir ibn Hayyan[3] prima dell’815 d.C. La descrizione di una procedura per isolare l’antimonio viene successivamente fornita nel libro De la pirotechnia del 1540 del metallurgista italiano Vannoccio Biringuccio[4], che precede il più famoso libro del 1556 di Agricola[5], il De re metallica. In questo contesto, ad Agricola è stata spesso erroneamente attribuita la scoperta dell’antimonio metallico. L’antimonio metallico era noto al chimico tedesco Andreas Libavius ​​ (1555-1616) nel 1615, che lo ottenne aggiungendo ferro a una miscela fusa di solfuro di antimonio, sale e tartrato di potassio. Questa procedura ha prodotto antimonio con una superficie cristallina stellata.

Con il tramonto della teoria del flogisto, fu riconosciuto che l’antimonio è un elemento che forma solfuri, ossidi e altri composti, così come altri metalli e semimetalli.

La prima scoperta dell’antimonio naturale presente nella crosta terrestre fu descritta nel 1783 da Anton von Swab, scienziato svedese e ingegnere del distretto minerario locale. Il campione studiato fu raccolto nella miniera d’argento di Sala nel distretto minerario Bergslagen, Västmanland, in Svezia.

Dalla forma latina medievale antimonium, l’antimonio prende il nome nel greco tardo bizantino e nelle lingue moderne. L’origine di questo nome è incerta; tutte le ipotesi hanno qualche difficoltà di forma o interpretazione. L’etimologia popolare, da αντίμοναχός (anti-monachos) o antimoine (francese), ha ancora sostenitori; significherebbe “uccisore di monaci”, dal fatto che molti dei primi alchimisti erano monaci e che l’antimonio è molto velenoso.

Figura 3. Simbolo alchemico per l’antimonio

Un’altra interpretazione etimologica popolare è l’ipotetica parola greca ἀντίμόνος antimonos, “contro la solitudine”, spiegata come “non trovato come metallo” o “non trovato non legato”. Fu ipotizzata anche un’ipotetica parola greca ανθήμόνιον (anthemonion), che significherebbe “fiorellino”, nonché alcuni esempi di parole greche correlate che descrivono efflorescenza chimica o biologica.

I primi usi dell’antimonium includono le traduzioni di trattati medici arabi effettuate dal medico africano Costantino nel 1050-1100. Diverse autorità ritengono quindi che antimonium sia una corruzione scribale di qualche forma araba; ad esempio derivata da ithmid; altre possibilità includono athimar, il nome arabo del metalloide, e un ipotetico as-stimmi, derivato o parallelo al greco.

Il simbolo chimico standard per l’antimonio (Sb) è attribuito a Jöns Jakob Berzelius, che ha derivato l’abbreviazione dallo stibio (in latino Stibium).

Gli egiziani chiamavano l’antimonio mśdmt; nei geroglifici le vocali sono incerte, ma la forma copta della parola è CTHM (stēm). La parola greca , stimmi, è probabilmente una parola in prestito dall’arabo o dall’egiziano stm, usato dai poeti tragici attici del V secolo a.C. Successivamente i Greci usarono anche στἰβι (stibi), così come Celso e Plinio, scrivendo in latino, nel Io secolo d.C. Plinio dà anche i nomi stimi, larbaris, alabastro, e il “molto comune” platyophthalmos, “grandangolo” (dall’effetto del cosmetico). Successivamente autori latini adattarono la parola al latino come stibio.

Proprietà

L’antimonio è un semimetallo grigio argenteo brillante con durezza 3 (scala Mohs), poco malleabile quindi non adatto da solo per formare oggetti duri; ha un’elettronegatività 2,05 (scala di Pauling), quindi, in accordo con le tendenze periodiche, è più elettronegativo di stagno o bismuto e meno elettronegativo di tellurio o arsenico. L’antimonio è stabile all’aria a temperatura ambiente, ma reagisce con l’ossigeno se riscaldato per produrre triossido di antimonio, Sb2O3, è resistente all’attacco degli acidi.

Sono noti quattro allotropi: la forma metallica stabile e tre forme metastabili (esplosivo, nero e giallo). Se fuso e lentamente raffreddato, cristallizza in una forma a celle trigonali, isomorfa con l’allotropo grigio dell’arsenico (figura 4).

Figura 4. Struttura dell’antimonio cristallino

Una rara forma esplosiva di antimonio può formarsi dall’elettrolisi del tricloruro di antimonio. Quando graffiato con un attrezzo affilato, si verifica una reazione esotermica e vengono emessi fumi bianchi di antimonio metallico; quando viene strofinato con un pestello in un mortaio, si verifica una forte detonazione. L’antimonio nero si forma con il rapido raffreddamento del vapore di antimonio. Ha la stessa struttura cristallina del fosforo rosso e dell’arsenico nero, si ossida nell’aria e può infiammarsi spontaneamente. A 100 °C, si trasforma gradualmente nella forma stabile. L’allotropo giallo è il più instabile, si forma soltanto se generato dall’ossidazione della stibina (idruro di antimonio, SbH3) a -90 °C. Sopra questa temperatura e alla luce ambientale, questo allotropo metastabile si trasforma nell’allotropo nero più stabile.

L’antimonio elementare adotta una struttura a strati costituiti da anelli concatenati, increspati, a sei membri. I membri più vicini formano un complesso ottaedrico irregolare, con i tre atomi in ciascun doppio strato leggermente più vicini dei tre atomi nel successivo. Questo impacchettamento relativamente vicino porta a una densità di 6,697 g/cm3, ma il debole legame tra gli strati è causa della bassa durezza e fragilità.

L’antimonio ha due isotopi stabili: 121Sb con un’abbondanza naturale del 57,36% e 123Sb con un’abbondanza naturale del 42,64%. Sono noti 35 radioisotopi artificiali, di cui il più longevo è 125Sb con un’emivita di 2,75 anni.

Disponibilità e tendenze future

Anche se questo elemento non è abbondante, si trova in oltre 100 specie minerali, oltre che nel suo minerale predominante che, come già ricordato è la stibnite solfidrica (figura 1).

Nel 2005, il British Geological Survey (BGS) riportò che la Cina era il principale produttore di antimonio con circa l’84% della quota mondiale, seguita a distanza da Sudafrica, Bolivia e Tagikistan.

Nel 2016, secondo lo US Geological Survey (USGS), la Cina rappresentava il 76,9% della produzione totale di antimonio, seguita al secondo posto dalla Russia con il 6,9% e dal Tagikistan con il 6,2% .

La produzione cinese di antimonio dovrebbe diminuire in futuro poiché le miniere e le fonderie saranno chiuse dal governo come politica di controllo dell’inquinamento. Soprattutto a causa dell’entrata in vigore di una nuova legge sulla protezione ambientale nel gennaio 2015 e della revisione degli “Standard di emissione degli inquinanti per Stagno, Antimonio e Mercurio”, gli ostacoli alla produzione sono più elevati. Secondo il National Bureau of Statistics, a settembre 2015 in Cina il 50% della capacità di produzione di antimonio nella provincia di Hunan (la provincia con maggiori riserve di antimonio in Cina) non era stata utilizzata. È quindi improbabile che aumenti nei prossimi anni, anche perché nessun deposito significativo di antimonio in Cina è più stato sfruttato e le rimanenti riserve si stanno rapidamente esaurendo.

Secondo le statistiche dell’USGS, le attuali riserve globali economicamente sfruttabili di antimonio si esauriranno tra 13 anni. Tuttavia, la stessa USGS non esclude che ne saranno trovate altre.

Processi produttivi

L’estrazione dai minerali dipende dalla qualità e dalla composizione del minerale. La maggior parte dell’antimonio viene estratto come solfuro; i minerali a concentrazione inferiore sono concentrati mediante flottazione, mentre quelli a concentrazione maggiore vengono riscaldati a 500–600 °C, la temperatura alla quale la stibnite fonde e viene separata dalla ganga. L’antimonio è quindi isolato dal solfuro di antimonio grezzo mediante riduzione con rottami di ferro:

Sb2S3 + 3Fe → 2Sb + 3FeS

Alternativamente, il solfuro è convertito in ossido; il prodotto viene quindi arrostito, a volte allo scopo di vaporizzare l’ossido di antimonio (III) volatile, che viene recuperato. Questo materiale è spesso utilizzato direttamente per le principali applicazioni, le impurità sono arsenico e solfuro.

L’antimonio metallico viene isolato dall’ossido mediante una riduzione carbotermica:

2Sb2O3 + 3C → 4Sb + 3CO2

I minerali a concentrazione inferiore sono ridotti negli altiforni mentre i minerali a concentrazione superiore sono ridotti nei forni a riverbero.

(continua)

Opere consultate

CRC, Handbook of Chemistry and Physics, 85th, p. 4-4

https://en.wikipedia.org/wiki/Antimony

https://it.wikipedia.org/wiki/Antimonio

[1] I. R. Selimkhanov, chimico sovietico, studioso dell’antica metallurgia.

[2] Pedanius Dioscorides (circa 40-90 d.C.) è stato un medico, farmacologo, botanico e scrittore greco, autore del De materia medica (Περὶ ὕλης ἰατρικῆς) trattato di fitoterapia e sostanze medicinali correlate, (una vera farmacopea), che è stato ampiamente usato per oltre 1.500 anni.

[3] Abū Mūsā Jābir ibn Hayyān, (arabo persiano, c. 721 – c. 815 d.C.), è il presunto autore di un numero enorme e varietà di opere in arabo spesso chiamato corpus jabiriano. Lo scopo del corpus è vasto e diversificato e copre una vasta gamma di argomenti, tra cui alchimia, cosmologia, numerologia, astrologia, medicina, magia, misticismo e filosofia.

[4] Vannoccio Vincenzio Austino Luca Biringuccio (Siena, 1480 –1539?) è stato un maestro artigiano nella fusione e nella metallurgia del XV e XVI secolo. Conosciuto soprattutto per il suo manuale di metallurgia, pubblicato nel 1540, che contiene anche la prima descrizione di una procedura per isolare l’antimonio, di cui è considerato lo scopritore.

[5] Georg (o Gregorio) Agricola (1494 – 1555) è stato uno scienziato e mineralogista tedesco. È conosciuto come il padre della mineralogia. Il suo vero nome era Georg Pawer (o Georg Bauer); Agricola è la versione latina del suo nome, poiché Bauer significa contadino.

Vannoccio Biringuccio

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Gianfranco Scorrano, ex presidente SCI

Nel libro di Aldo Mieli, presente nella biblioteca della Società Chimica Italiana, Gli Scienziati Italiani Dall’ Inizio del Medio Evo Al Nostri Giorni; Repertorio Biobibliografico Dei Filosofi, Matematici, Astronomi, Fisici, Chimici, Naturalisti, Biologi, Medici, Geografi Italiani; (RomaA. Nardecchia1921-) nonostante il titolo e sottotitolo roboante, compare un solo chimico italiano, di cui lo stesso Mieli ha scritto le pagine che riporto qui sotto (con modesti cambiamenti) riprese dal testo nominato.

20836373,100,100VANNOCCIO BIRINGUCCIO (di Aldo Mieli)

Vannoccio Biringuccio di Siena (1480-1539 ?) chimico, tecnico, mineralogista, metallurgista ed artista.

Vita. Vannoccio Biringuccio nacque in Siena il 20 ottobre 1480 da Paolo e da Lucrezia di Bartolomeo. Fin da giovane godette la protezione di Pandolfo Petrucci, signore di Siena; in tal modo ebbe agio di darsi alla pratica mineraria, sia dirigendo alcune miniere dello stesso Pandolfo (le miniere di ferro a Boccheggiano essendo ancor giovinetto) o di varie società (le miniere di tetraedrite argentifere del M. Avanzo in comune di Forni Avoltri in Gamia nel 1507), sia compiendo veri e propri viaggi d’istruzione attraverso l’Italia, nei classici giacimenti d’Alemagna ed altrove. Morto nel 1512 Pandolfo Petrucci egli, seguendo sempre la parte dei suoi successori, fu coinvolto nei torbidi che sconvolsero la sua città natale e che portarono i Petrucci ora al potere, ora all’esilio. Così mentre nel 1513 ottenne varie cariche pubbliche (come quella di operaio della Camera, ossia dell’Armeria del Comune), nel 1515 invece dovè fuggire insieme a Borghese Petrucci ed essere accusato insieme a questo e ad altri di avere falsato la lega delle monete nella zecca della città. Citato a comparire per quest’accusa, e non essendosi egli presentato, fu nel 1516 dichiarato ribelle e bandito. Nel 1523 potè tornare in Siena con la parte di Fabio Petrucci, ottenere la revoca del bando e riassumere uffici pubblici. Così nel 1524 ebbe la concessione di fare il salnitro in tutto il dominio senese.

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Ma ben presto dovette nuovamente fuggire insieme alla sua parte, e, il 20 maggio 1526, venire dichiarato ribelle mentre gli venivano confiscati i beni. Nella lotta che segui questi moti noi lo troviamo tra i fuorusciti senesi che tentarono di riprendere Siena d’assalto. Nelle memorabili giornate (21-25 luglio 1526), terminate con la battaglia di Porta Camollia, Vannoccio Biringuccio dirigeva le artiglierie degli assedianti che battevano il torrazzo della Castellacela di Camollia. Questa sua azione portò ad un rinnovamento del bando pronunciato contro di lui (11 agosto). È probabile che negli anni che seguirono immediatamente egli facesse un secondo viaggio di carattere scientifico in Germania. Nel 1529 lo troviamo al servizio della Repubblica Fiorentina. Per essa fuse quella grandissima colubrina che nella culatta portava una testa di elefante, e che era chiamata volgarmente “archibuso del signor Malatesta”. Finalmente nel 1530, rappacificatisi i partiti, potè ritornare a Siena dove ottenne nuovamente importanti uffici pubblici. Nel 1535 succedette a BALDASSARE PERUZZI come architetto e capomastro dell’Opera del Duomo. Del 1536 abbiamo un suo lodo in una lite d’indole artistica fra gli ARDUINI ed il SODOMA. Frattanto, data la sua fama d’artista e di valente artigliere, veniva sollecitato di recarsi a Roma (di quest’epoca è una lettera di monsignor CLAUDIO TOLOMEI, libr. IV, lett. 37 indirizzata a Vannoccio Biringuccio). Finalmente cedette a tali inviti e così nel 1538 lo troviamo al servizio di papa Paolo III, come maestro della fonderia della Camera apostolica e direttore delle artiglierie papali.

Dopo di ciò non sappiamo più nulla di Vannoccio Biringuccio. Solo un documento del 30 aprile 1539 (Archivio dei contratti in Siena, Filze di Ser Alessandro Martini, n. 55; cit. Guareschi) ci fa conoscere che in tale data era già morto, poiché in esso un tale Andrea D’Arcangelo fa confessione di debito con gli eredi di Vannoccio Biringuccio. Si deve perciò ritenere che la sua morte sia avvenuta nei primi mesi del 1539.

Opera. L’opera scientifica di Vannoccio Biringuccio si è svolta tanto nell’esercizio pratico della tecnica, quanto nella raccolta ordinata in forma di trattato delle sue estesissime cognizioni. Tutto quello che sappiamo del primo si rileva dal suo scritto nel quale vi sono spesso cenni autobiografici; dall’insieme del trattato, dal suo contesto, e dall’osservazione dei più minuti particolari, si ricava netta la persuasione che tutto quanto viene esposto, a meno di indicazione contraria (dice Plinio o narrano i filosofi, etc.) è frutto diretto della sua pratica quotidiana. I soggetti trattati sono svariatissimi , e come dice l’etimologia del titolo, si riferiscono alle arti che fanno uso del fuoco. Essi sono : Regole generali per l’esercizio delle miniere. Descrizione delle vene dei metalli [i metalli conosciuti da Biringuccio sono Au, Ag, Cu, Pb, Sn, Fe, ed inoltre, Hg; le descrizioni dei minerali, secondo quanto usavasi allora e pur per molto tempo ancora, si basano più che altro sul colore e su altre poche proprietà che sono del resto poco opportune per il riconoscimento] estrazione dei metalli stessi, e metodo per preparare l’acciaio e l’ottone [1. I]. Descrizione dei cosi detti mezzi minerali [Hg, S, St, piriti (marcassite), vetriolo, allume, As, sale comune, calamina (giallamina) [lo Zn metallico non era ancora conosciuto], la calamita, ocra, quarzo e pietre preziose, etc, della loro preparazione industriale e di quella del vetro [1. II]. Una trattazione speciale è riservata alla preparazione e separazione di Cu, Ag, Au e Pb, [1. IlI] che prima non era stata accennata, ed alla separazione e raffinazione di Ag e Au [1. IV]. In questa occasione si parla dell’acqua acuta (acido nitrico) e si accenna per la prima volta al suo uso nella separazione di Ag e Au. Si accenna poi alla preparazione di alcune leghe [1. V] ed infine si tratta diffusamente del bronzo e degli oggetti che con esso si preparano [1. VI-VIII]. Si esamina così la fusione delle campane e delle artiglierie ed in tale occasione si tratta partitamente della costruzione e dell’ uso delle artiglierie allora adoperate. Da questo lato l’opera di Biringuccio ha importanza speciale per l’arte della guerra. Alla descrizione delle grandi fusioni segue quella di piccoli oggetti artistici o di uso comune. Biringuccio ci descrive poi [1. IX] varie industrie e pratiche chimiche od industriali minori, come quelle dell’arte distillatoria, della zecca, del fabbro orefice, ramario, ferrario e stagnario, della filatura dei metalli, dell’indoratura e argentatura, degli specchi, del vasaio, delle calcine, mattoni, etc. Infine [1. X] egli ci parla del salnitro e delle polveri, delle mine e di altri ordigni guerreschi, ed infine, in due brevi capitoli, anche dei fuochi artificiali.

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Il campo trattato da Biringuccio è tanto vasto che rientra in più scienze e si collega alle opere di svariati scrittori. Lo spirito che lo anima è notevolmente diverso da quello delle opere precedenti, in quanto che in esso si palesa nella sua piena efficenza il metodo sperimentale. In questo senso la sua opera, mentre si ricongiunge alla dottrina di ROGER BACON (1214-1294) ed alla pratica di LEONARDO DA VINCI (1452-1519), si mantiene su un terreno più sano di quello del suo contemporaneo THEOPHRASTUS PARACELSUS (1493-1541) che sosteneva, è vero, con grande enfasi il metodo sperimentale e lo applicava pur anco, ma si perdeva spesso nella mistica e nelle astruserie alchimistiche ed astrologiche, e prelude l’opera di GALILEO GALILEI (1564-1642) e della sua scuola. Per la sua sana avversione all’ alchimia prelude e supera spesso in giustezza BERNARD PALISSY (1510?-1589); notevoli sono in proposito i suoi discorsi contro gli alchimisti [vedi ad es. 1. I, I ; 1. II, I ; 1. IX, I ; etc] ; dell’alchimia però riconosce la parte utile e sostanziale che prelude la chimica moderna. Nella sua trattazione sistematica dei minerali e dei processi metallurgici è un precursore di GEORG BAUER, detto AGRICOLA (1494-1555) [vedi in prop. i miei scritti o. c.] ; AGRICOLA è più ampio e diffuso, specialmente per ciò che si riferisce alla descrizione dei singoli minerali o alla parte tettonica e meccanica della coltivazione delle miniere, egli è anche più dotto, nutrito di erudizione classica e ricco di citazioni. Biringuccio però, nel mentre lo precede, è spesso più esatto e preciso, in ogni caso non mai inferiore. Alcuni passi di AGRICOLA sono poi evidentemente trascritti da Biringuccio [vedi nota a pag. 167 del 1° vol. della mia ed. di B.]. Nella storia della tecnica guerresca poi il libro di Biringuccio ha una reale grande importanza [cfr. M. JAHNS, o. e].

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È difficile riconoscere quanto di assolutamente proprio Vannoccio Biringuccio abbia portato allo sviluppo della metallurgia e della tecnica. Rinveniamo nel suo libro molti processi e fatti che non si trovano in opere più antiche, ma, naturalmente, ciò non indica che egli ne sia l’inventore. Quello che senza dubbio dobbiamo invece riconoscergli, oltre la pratica grandissima, è un acuto spirito di osservazione e una notevole ingegnosità inventiva. Perciò possiamo ritenere che in alcuni processi egli può avere portato innovazioni importanti. In ogni modo il suo libro è, sotto tutti i riguardi, della massima importanza per la storia della scienza.

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Il trattato di Biringuccio si può qualificare come la prima opera organica relativa a tutto un gruppo di scienze applicate che sia stata pubblicata nel Rinascimento. Un’accurata attenzione deve portare alla conclusione che esso ha avuto origine da appunti presi quotidianamente da Biringuccio nella sua lunga pratica, spesso rivisti, aumentati e modificati, e raccolti poi, probabilmente nel periodo che va dal 1530 alla morte dell’Autore, in una vera forma di trattato [questo forse sotto l’influenza dell’operetta Bermannus di AGRICOLA pubblicata nel 1528 che Biringuccio cita, ma che, pure mostrando nell’autore sassone un vivo interessamento per un mondo che allora allora gli si discopriva, non regge lontanamente il confronto con le opere mineralogiche posteriori, tutte pubblicate dopo il 1540]. Si ignora se Biringuccio iniziasse la stampa della sua opera oppure se essa venisse condotta completamente sugli appunti lasciati dall’Autore. È verosimile quest’ultima ipotesi. Infatti lo stile che, per quanto non retoricamente letterario, doveva essere vivo e pieno di dialettismi toscani, è fin dalla prima edizione evidentemente alterato da un retore ignaro o quasi di cose scientifiche che lo deforma svisando spesso anche il senso. Queste alterazioni sono notevoli nella seconda e nella terza edizione. Dalla prefazione dell’editore alla terza edizione risulta che questo infelice correttore è Mons. MARIO CABOGA, arcidiacono di Raugia (Ragusa). Nella edizione critica citata, ho posto a base la Ia ed., cercando di ricostruire, almeno dal lato scientifico, il testo originario. Certamente a Vannoccio Biringuccio sono poi dovuti gli schizzi delle 82 figure che adornano il testo. Non abbiamo altri documenti della sua vita di artista.

L’opera di Biringuccio continuò per molte diecine di anni ad essere molto usata e stimata, come testimoniano le numerose edizioni e traduzioni. Anche più di un secolo dopo i concorrenti vedevano una tale opera con invidia [cfr. quanto scrive MARCO ANTONIO MONTALBANI nella sua Pratica Minerale dove cerca di screditare Biringuccio].

Più tardi l’ opera di Biringuccio rimase quasi sconosciuta. In tempi recenti ne parlarono a lungo BECK e JAHNS (v. o.), il primo rilevando l’importanza dello scritto per la storia della metallurgia, il secondo per quella dell’arte della guerra. In Italia il merito di avere risuscitato l’interesse per Biringuccio spetta al GUARESCHI (v. o.).

Vannoccio Biringuccio deve venire considerato come uno dei più interessanti e notevoli scienziati dell’epoca del Rinascimento. Egli con le sue conoscenze larghe ed estese, con l’unione della pratica scien-tifica e quella artistica, rappresenta bene un uomo del secolo che dette LEONARDO DA VINCI.

A lui spetta quindi l’onore di essere annoverato fra i grandi italiani.

Bibliografia.

Scritti. De la Pirotechnia, libri X dove ampiamente si tratta non solo di ogni sorte e diversità di Miniere, ma anchora quanto si ricerca intorno alla prattica di quelle cose di quel che si appartiene a l’arte de la fusione over gitto de metalli come d’ogni altra cosa simile a questa.

Venetia per Venturino Roffinello, Ad instantia di Curtio Navo, & Fratelli 1540, 4°, di cc. 168, con frontesp. ili. e 82 fig. [edizione postuma, alterata nello stile] [Siena C, R, F].

[Sommario: I. De tutte le minere in generale – II. De mezzi minerali. – III. Del saggiare et disporre la miniera de metalli a le fusioni. – IV. De separare l’oro dallo argento et come si conduce a l’ultima sua perfetione. – V. De le leghe che si fan fra metalli. – VI. De l’arte del gitto (nota red.=gittata) in universale et in particulare. – VII. De modi et ordini de le fusioni de metalli. – VIII. De l’arte piccola del gitto. – IX. De la pratica di più esercitii di fuoco.– X. Delle materie artificiali disposte a fuochi et delli ordini che si tiene a fare quelli che il vulgo chiama lavorati per adoperare nelle offese et difese delle guerre o per allegrezze nelle feste].

http://it.wikipedia.org/wiki/Vannoccio_Biringuccio