La beffa di Maggie

maggiesimpsonfeature

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare della famiglia Simpson. Anche chi è allergico ai cartoni animati è difficile che non abbia mai incontrato qualcuno dei suoi componenti attraverso gli spot pubblicitari, i videogiochi o i gadget di vario tipo che ne sfruttano la popolarità. Il loro aspetto fisico, disegnato sommariamente, è inconfondibile. La pelle è gialla, gli occhi sono due palline sporgenti, la bocca assomiglia a un becco e le pettinature dei piccoli sono appuntite. I componenti della famiglia sono: Homer (il padre), Marge (la madre), Bart, Lisa e Maggie (i figli). La serie televisiva va in onda negli U.S.A. dal 1989 e da tempo anche in Italia. Ha ottenuto pure riconoscimenti artistici. Il nostro Vittorio Sgarbi ha dichiarato: “Credo che sia un raro caso in cui la qualità estetica ottiene consensi, questo cartone animato è aristocratico nella concezione”. Gli aspetti umoristici della vita di tutti noi e la satira della società americana costituiscono il mix della fortunata e seguitissima serie. Ma parliamo un po’ di Maggie, prima di raccontare un episodio dei giorni scorsi che non appartiene al regno della fantasia ma purtroppo a quello della realtà, anzi della scienza.

     Maggie è la più piccola della famiglia. È un neonata perennemente con il ciuccio in bocca, ancora incerta sulle gambe. Gli altri la trascurano e talvolta la dimenticano davanti al televisore. Pare che sia intelligente, astuta e dotata di senso di responsabilità.

Non ci crederete ma poco tempo fa Maggie ha spedito un manoscritto a due riviste scientifiche:  Computational Intelligence and Electronic Systems e Aperito Journal of NanoScience Technology. Il manoscritto s’intitolava: “Fuzzy, Homogeneous Configurations”.

Ecco l’abstract:

The Ethernet must work. In this paper, we confirm the improvement of e-commerce. WEKAU, our new methodology for forward-error correction, is the solution to all of these challenges

I co-autori erano: Kim Jong Fun and Edna Krabappel (altro nome di fantasia)

2014_12_10_14_18_59

In realtà, il vero autore era rimasto dietro le quinte. Si trattava del programma SCIgen, creato da scienziati del MIT per produrre testi privi di senso relativi alla computer science, completi di grafici e citazioni.

L’aveva impiegato il Dr. Alex Smolyanitsky, esperto di scienza dei materiali, per dimostrare che il processo di peer-review, in base al quale si decide da qualche secolo se un manoscritto è degno di pubblicazione o meno, ha bisogno di qualche aggiustamento che lo adegui alle “furbizie” contemporanee.

Non voglio privarvi della sorpresa così, per sapere com’è andata a finire con il manoscritto di Maggie, non avete che da leggere il seguito:

http://www.huffingtonpost.com/2014/12/10/maggie-simpson-paper-science-journal_n_6297436.html?utm_hp_ref=science

(mt)

per approfondire: http://www.gmanetwork.com/news/story/391952/scitech/science/fake-scientific-paper-co-authored-by-maggie-simpson-makes-it-to-eng-g-journal

6 pensieri su “La beffa di Maggie

  1. Grazie per la gentile segnalazione. So bene che non mancano altri casi e sarò grato a chi li aggiungerà alla lista. Qui, dato che si tratta di una “brevissima”, mi sono limitato a parlare di uno dei più recenti e originali. Auguri a tutti coloro che ci seguono, Marco

  2. La prima reazione alla lettura dell’articolo del prof. Taddia e di quelli segnalati è stata un sorriso (forse più una risata), dovuto all’incredulità di simili notizie: dopo un primo momento, però, ci si rende conto che quanto riportato è a dir poco grave e significativo di falle incredibili nel sistema di peer-review. Probabilmente, gli scienziati responsabili di questa “distrazione” (per usare un eufemismo) andrebbero sanzionati adeguatamente: questo potrebbe essere un primo deterrente al fenomeno. Notizie di questo genere minano la credibilità dei ricercatori, delle riviste scientifiche e dell’intero processo scientifico, rischiando anche di compromettere la già fragile figura degli scienziati alla luce dell’opinione pubblica.
    Riccardo, studente di Chimica.

    • c’è una cosa importante da dire, questi due giornali sono da considerare “predatory publishers”, editori senza scrupoli che dietro pagamento pubblicano qualunque cosa; una lista sia pur parziale dei giornali di questo tipo si puo’ trovare qui: http://scholarlyoa.com/2014/01/02/list-of-predatory-publishers-2014/ e certo giornali che pubblicano subito o i cui editorial board sono sconosciuti o quasi e via così sono da trattare con le pinze; chi gli manda i lavori dovrebbe saperlo; l’elenco che ho postato è uno degli elenchi dei giornali da evitare. Ma la questione vera è che il sistema del publish or perish con la pressione che esercita sulla sopravvivenza dei ricercatori è un sistema i cui effetti collaterali non possono essere più trascurati; la logica del mercato, la logica del massimo, dell’eccellenza E BASTA, come se l’eccellenza potesse esistere SENZA la media, come se solo i geni avessero diritto di lavorare nella ricerca, come se si dovesse sempre scegliere la metà più “brava” o migliore di tutto è una sciocchezza; la logica del più forte e del migliore applicata alla scienza (e a molte altre cose) soffre di questi effetti collaterali. Nell’articolo che postai giorni fa su questo blog (http://wp.me/p2TDDv-1qE) sul caso degli autori che si facevano da reviewers da se stessi di nascosto si mostrava un altro aspetto, sia pur limitato del problema; i metodi automatici di valutazione (pensati per superare i problemi all’italiana delle cordate di baroni) che sono basati su cose alla ANVUR vanno incontro a queste cose; pensiamo per esempio alla totale follia per la quale oggi nelle valutazioni per l’abilitazione in molti settori disciplinari i capitoli di libro o le voci di enciclopedia sono state brutalmente eliminate mentre fino a pochi anni fa erano normalmente valutate e considerate; a nessun ricercatore o associato interessa più scrivere capitoli di libro tanto non vengono valutati; e andare ai congressi? a che serve se i lavori e gli atti valgono zero nelle classifiche? regole di questo genere sono l’altra faccia del sistema dei predatory journals, follie mercantili applicate alla scienza. Certo la situazione italiana presenta molti aspetti particolari ma la questione di fondo è che i metodi del mercato, del più forte, del più bravo, delle classifiche delle università sono metodi con un numero di difetti pari a quello dei loro supposti pregi.

      • Ringrazio Claudio per questo commento che condivido in pieno.
        Le conseguenze negative del sistema “publish or perish” sono sotto gli occhi di tutti. In primo luogo il disinteresse per ciò che non riguarda le proprie ricerche, cui si aggiunge il preoccupante decadimento della didattica universitaria a mero compito istituzionale da sbrigare nel minor tempo possibile.

  3. Be’, a questo punto bisognerebbe aggiungere anche quanto è accaduto nell’Abilitazione Scientifica Nazionale per il settore 10/G1 Glottologia e Linguistica dove commissari che non conoscono la lingua albanese hanno espresso giudizi su articoli pubblicati in quella lingua!

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.