Claudio Della Volpe
Come sapete tutto il meccanismo della valutazione basata su H-index e su elementi di tipo numerico è su base privata e di fatto è in mano a pochi grandissimi players; in particolare il principale se non unico detentore dei dati è Thomson-Reuters che è anche il più grande o uno dei maggiori editori del mondo; tenete presente questa situazione prima di dare un giudizio.
Sul nostro sito abbiamo parlato spesso di valutazione, proprietà della scienza, open science; oggi vi racconto un caso che è strettamente legato al mantra della valutazione tramite H-index, tramite i metodi “numerici” diciamo così, che oggi vanno di moda e che grazie alle pieghe di un meccanismo generale, che non è completamente trasparente, offrono il supporto a vari tipi di violazione.
Sotto a tutto c’è una logica di mercato.
Uno dei più pervicaci prodotti di questo modo di intendere le valutazioni è la lista dei più bravi, gli scienziati con la maggiore produttività, quelli con il maggiore H-index e così via; appena dopo viene quella delle “maggiori” università; anche qua gli esempi si sprecano anche se sempre basati dopo tutto sui dati che si diceva prima.
A partire dal 2014, Thomson Reuters ha pubblicato un elenco dei ricercatori più citati in tutto il mondo (highlycited.com). Poiché i dati erano liberamente disponibili per il download e includevano i nomi delle istituzioni dei ricercatori, qualcuno si è ingegnato a produrre una classifica delle istituzioni sulla base del numero di ricercatori altamente citati per istituzione[1], dichiarando ovviamente che Questa classifica vuole essere un’utile modifica di altre graduatorie istituzionali disponibili.
In realtà l’analisi mostra un caso eclatante di manipolazione; guardate con attenzione queste due liste:

Salta agli occhi subito che una istituzione non particolarmente famosa o conosciuta è assente nella lista di sinistra dove le istituzioni sono elencate in base al numero di ricercatori molto citati (poco più di 3000, l’1% del totale) che le riportano come la loro istituzione di appartenenza; a destra invece sono riportate TUTTE le istituzioni che i ricercatori indicano nelle loro pubblicazioni.
Dicono gli autori:
Molti ricercatori altamente citati hanno menzionato non solo uno, ma fino a cinque diverse istituzioni. Per questo motivo, abbiamo prodotto tre graduatorie, che includono queste istituzioni in modi diversi. Il primo elenco di istituti (cfr. tabella 1) si basa sul primo istituto nominato per ciascun ricercatore (il suo istituto primario). Utilizzando istituzioni primarie, il maggior numero di ricercatori altamente citati lavora presso l’Università della California (n = 179) seguita dall’Università di Harvard (n = 107). Il secondo elenco di istituzioni (vedi Tabella 2) si basa su tutte le istituzioni nominate da un ricercatore altamente citato.
Come vedete la università Saudita King Abdullaziz (KSU) si fa largo in questo secondo elenco scalando la classifica fino a portarsi al 2 posto mondiale.
Come succede una cosa del genere? In realtà il meccanismo è conosciuto fino almeno dal 2011; sempre i nostri autori scrivono:
Come Bhattacharjee (2011) ha riportato alcuni anni fa su Science, le università dell’Arabia Saudita offrono ai ricercatori altamente citati contratti in cui i ricercatori si impegnano a elencare l’università dell’Arabia Saudita come istituzione aggiuntiva nelle pubblicazioni (o su highlycited.com). In cambio, i ricercatori ricevono una cattedra aggiuntiva, che è collegata a uno stipendio interessante e una presenza all’università di sole 1 o 2 settimane all’anno (per compiti di insegnamento in loco). Gingras (2014a) chiama queste “affiliazioni fittizie, senza alcun impatto reale sull’insegnamento e sulla ricerca nelle università, [che] consentono alle istituzioni marginali di aumentare la loro posizione nelle classifiche delle università senza dover sviluppare alcuna vera e propria attività scientifica”.
Un’altra analisi dei dati di highlycited.com di Alanazi (2014) mostra che soprattutto l’Università King Saud (KSU), che tra le università dell’Arabia Saudita persegue da oltre un decennio la politica di fare contratti, non tanto offrendo una posizione lavorativa, ma piuttosto del tipo “research fellowship” con ricercatori altamente citati.
In definitiva “è il mercato bellezza”; dato che l’Arabia Saudita è uno dei paesi più ricchi al mondo può permettersi di, letteralmente, comprarsi le teste che mancano nel paese in modo da apparire nelle più prestigiose liste di università mondiali.
La presenza di ricercatori affiliati nella lista degli HCR è particolarmente importante per gli atenei. E’ stato riportato nei dossier di IRIS academic (2023), che la presenza di un solo ricercatore highly cited è in grado di influenzare il posizionamento dell’ateneo nella graduatoria internazionale (ARWU, link: https://www.shanghairanking.com/rankings/arwu/2022) fino a circa 200 posizioni. Inoltre, pare che questo sia tra i parametri utilizzati dalla graduatoria ARWU, l’unico facilmente manipolabile. Comunque, dal 2015, ARWU considera solo l’affiliazione primaria. Di conseguenza, non era più sufficiente per un ateneo fare shopping di seconde affiliazioni, ma doveva riuscire a figurare come prima affiliazione.
Non si tratta di una cosa platealmente illegale, ma nemmeno scontata: pensiamo ad esempio al clamore suscitato dal trasferimento previsto di Lionel Messi verso l’Arabia Saudita (e si tratta di un trasferimento reale, non fittizio!). Eppure il campione citato è appena stato multato dal suo club solo per avere effettuato il viaggio senza autorizzazione (https://edition.cnn.com/2023/05/03/football/lionel-messi-suspended-by-psg-for-saudi-trip-spt-intl/index.html).
Questo cambio di “maglietta” provoca però parecchi mal di pancia; nasconde di fatto una sorta di furto di identità; un ricercatore diventato famoso in un certo paese ed in una certa università, attratto da un guadagno personale o anche solo da un guadagno economico per il suo gruppo di ricerca a cui vengono offerti fondi per pagare casomai posti di dottorato o per collaboratori, dichiara di aver svolto l’attività relativa ad un certo lavoro principalmente presso l’Università Saudita che a questo punto entra nel novero delle più prestigiose università del mondo ma di fatto comprandosi il posto, senza ulteriori sforzi.
Le cose sono sfuggenti: quanto è il periodo minimo per poter ragionevolmente sostenere una pretesa del genere? Una settimana, un mese, un semestre? Il lavoro relativo ad una certa pubblicazione per quale percentuale deve essere svolto altrove per poter accettare che il nome dell’Università Saudita compaia fra i posti dove il ricercatore altamente citato ha lavorato? L’università di provenienza era stata formalmente informata ed aveva autorizzato il cambio di affiliazione? Era una iniziativa individuale o accompagnata da accordi interateneo? Sono molti gli aspetti da considerare e non è il caso di trarre giudizi prima di avere tutti gli elementi, ma il clamore suscitato dalla vicenda lo sta facendo diventare un caso di scuola.
Però è chiaro che l’appetito vien mangiando; man mano nel corso degli anni ci si sposta verso comportamenti che diventano sanzionabili secondo il buon senso e a volte anche secondo le leggi di alcuni paesi e le regole in vigore in alcune università.
Se si guarda la letteratura e i giornali gli ultimi mesi portano alla luce almeno due casi sanzionabili nel nostro settore, ma smascherano in questo modo un comportamento che in molti altri casi potrebbe aver varcato i confini dell’etica anche senza aver varcato i confini della legge.
Due chimici sono incappati finora nelle maglie di questo meccanismo: uno spagnolo Rafael Luque[2], Università di Cordova, sospeso per 13 anni e un italiano Vincenzo Fogliano[3] già professore di Biochimica a Napoli e ora in servizio presso l’Università di Wageningen nel settore della tecnologia del cibo; entrambi dichiarando la loro affiliazione alla KSU come primaria hanno alterato in modo sostanziale la valutazione della loro università di appartenenza a favore della KSU nelle classifiche internazionali. Fogliano è stato sospeso per due anni[4] e il suo rettore ha dichiarato che
“Sono scioccato e molto deluso dai risultati dell’indagine. Nel 2018, Fogliano è stato avvertito di questo tipo di transazioni. Ha deciso di modificare comunque la sua affiliazione. Ha agito in modo scorretto e quindi ha violato l’integrità della scienza presso l’Università di Wageningen. Ciò non può avvenire senza conseguenze. Questo è il motivo per cui Fogliano viene rimosso dalla sua posizione di titolare della cattedra con effetto immediato. È proprio in tale posizione che deve essere un esempio per gli altri e in particolare per i giovani scienziati. Inoltre, ha ricevuto un avvertimento ufficiale: una prossima violazione dell’integrità comporterà il licenziamento”.
Non sono stati solo questi due colleghi ad essere accusati dai loro atenei di violare le regole e tanti altri, pur avendo ricevuto analoghe proposte, NON le hanno violate; ma la domanda potrebbe essere quanti altri di noi per trascuratezza o superficialità potrebbero trovarsi in condizioni analoghe in una scienza dominata dal senso del mercato, dalla concorrenza piuttosto che dalla collaborazione, dalla corsa al primo posto e dalle graduatorie dei “più bravi”?
I confini dell’etica sono a volte sottili, quelli del buon senso sono spesso meno evidenti o trascurati ma forse raccontare queste storie aiuta a far comprendere come l’interazione fra mercato e cultura non è la cosa più desiderabile e quali incredibili meccanismi si possano attivare in un mondo dominato dal mercato della scienza.
Colgo l’occasione per ricordare che la questione di fondo, al di là del singolo caso, è il meccanismo che abbiamo messo in funzione e che è basato sull’idea della meritocrazia, un concetto introdotto negli anni 50 dal sociologo inglese Michael Young come un esempio di distopia, una utopia negativa e che invece è diventato un mantra dei nostri tempi.

Un recente congresso a Trento che festeggiava il decennale di ROARS meriterebbe la vostra attenzione; i materiali del congresso nella forma dei video o testi delle presentazioni critiche della meritocrazia sottomessi da ricercatori internazionali sono recuperabili dalle pagine sottoelencate.
Concludo con una domanda: cosa succederebbe nel nostro paese se si scoprisse un caso analogo in una università o nel CNR?

Da leggere anche:
https://www.universityworldnews.com/post.php?story=20140715142345754
https://www.nature.com/articles/d41586-023-01523-x
[1] JOURNAL OF THE ASSOCIATION FOR INFORMATION SCIENCE AND TECHNOLOGY, 66(10):2146–2148, 2015
[2] https://www.chemistryworld.com/news/prolific-spanish-chemist-suspended-over-multiple-affiliations/4017322.article
[3] https://www.euractiv.com/section/politics/news/report-dutch-scientists-bribed-by-saudi-arabia-for-international-ratings/
[4] https://www.miragenews.com/investigation-of-saudi-affiliations-completed-1008203/