Grandi scoperte sotto silenzio: il caso del nitroplasto.

Claudio Della Volpe

Ci sono due effetti collaterali della enorme produzione scientifica attuale; la prima, la più visibile e anche discussa è che la quantità di scienza “normale”, che conferma il passato, che chiarisce ciò che già sappiamo diventa dominante; qualcuno su questa base si spinge addirittura a considerare che la scienza è finita, che abbiamo già capito tutto, che non ci resta che riempire i buchi, perché le grandi scoperte sono finite; saremmo perfino arrivati ai limiti del cervello umano.

Personalmente sono in totale disaccordo con questa visione. Ma non entrerò in questa polemica, e vi parlerò del secondo fenomeno che pure avviene.

La enorme quantità di scoperte e pubblicazioni tende a nascondere, a mascherare a diluire nel continuo affastellarsi degli annunci le grandi scoperte che pure si verificano e che mettono in crisi qualunque teoria sulla “fine della scienza”; meno di due mesi fa si è verificata una di queste grandi scoperte in un campo importante e che potrebbe avere anche ricadute sia scientifiche che tecnologiche inaspettate.

Sto parlando della scoperta dell’esistenza di un quarto endosimbionte che è divenuto organello cellulare.

Gli endosimbionti, cioè specie che vivono in rapporto vantaggioso con altre specie nelle loro cellule, sono relativamente comuni; un esempio importante sono quei batteri azotofissatori che vivono nelle radici delle leguminose aiutandole a fissare l’azoto atmosferico; od anche quei batteri che vivono in alcune delle cellule degli scarafaggi aiutandoli a digerire quasi qualunque cosa.

Ma solo in tre casi conosciuti finora tali fenomeni endosimbiotici erano arrivati fino alla fusione integrale con l’ospite: a) i mitocondri delle cellule eucariote (le nostre) che pur continuando ad avere un proprio DNA sono considerati comunemente la centrale energetica della cellula stessa(sia pure con qualche discussione sul meccanismo dettagliato, come ha fatto a volte su queste pagine il collega Alessandro Morelli);2) i cloroplasti delle piante originariamente cianobatteri che sono diventati gli strumenti delle piante per fornire energia a tutta la biosfera, tramite la fotosintesi clorofilliana; 3) circa 60 milioni di anni fa il caso del cromatoforo, un organello fotosintetico presente però solo nell’ameboide Paulinella.

Come si vede in ogni caso si tratta di fenomeni importanti che almeno in due casi han cambiato tutta la vita della Terra; e con la loro essenza, basata sulla collaborazione, mettono in crisi la vulgata della descrizione di una evoluzione basata SOLO sulla concorrenza fra organismi; in realtà questa visione concorrenziale che deforma la originaria visione di Darwin è più che altro un adattamento al mercato e all’ideologia capitalistica delle scoperte della biologia evoluzionista.

Oggi possiamo dire con certezza che grandi rivoluzioni evoluzioniste sono basate sulla collaborazione oltre che sulla concorrenza.

Ma vi ho tenuto sul filo senza rivelarvi ancora il caso specifico. Si tratta del ciano batterio Ucyn-A (Atelocyanobacterium thalassa) che è diventato organello dell’alga unicellulare Braarudosphaera bigelowii, con il ruolo specifico di (udite, udite) assimilare l’azoto atmosferico!

 Braarudosphaera bigelowii

Abbiamo dunque una specie in cui per la prima volta si scopre un organello che funziona nei confronti dell’azoto atmosferico, come il cloroplasto funziona nei confronti della luce: abbiamo dunque un nitroplasto. Un organello che rende la specie che lo possiede capace di assimilare direttamente l’azoto. Attenti alla differenza: nelle leguminose l’endosimbiosi si è fermata a livello di batteri esterni alla pianta stessa, che vivono in simbiosi con le radici ma che non sono parte INTEGRANTE della pianta stessa, che non si riproducono con essa; qua invece abbiamo a che fare proprio con un caso di endosimbionte trasformato in organello.

La scoperta è stata pubblicata su Cell e su Science e ripresa dai principali giornali scientifici del mondo. Nello studio pubblicato su Cell per primo si è dimostrato il collegamento tra il metabolismo dell’ospite e quello dell’endosimbionte, mentre nell’ articolo di Science si è anche dimostrato che la struttura simile ad un organello si basa sulle proteine dell’ospite.

Gli scopritori sono i membri del gruppo diretto da Jonathan Zehr e T.H. Coale dell’UC Santa Cruz (UCSC) fra cui numerose donne, Caroline Larabell e  Valentina Laoconte, che hanno contribuito al secondo lavoro con la tecnica SXT(tomografia a raggi X morbidi) oltre a Esther Mak e Kendra Turk-Kubo.

Scrive la pagina del Berkeley Lab:

Nel 1998, Jonathan Zehr, un illustre professore di scienze marine della UC Santa Cruz, ha trovato una breve sequenza di DNA che sembrava essere da uno sconosciuto cianobatterio che fissa l’azoto nell’acqua di mare dell’Oceano Pacifico. Zehr e colleghi hanno soprannominato l’organismo misterioso UCYN-A.

Per anni, gli scienziati hanno considerato UCYN-A un endosimbionte, un organismo separato che vive simbioticamente all’interno di un organismo più grande. Ma Zehr e colleghi hanno recentemente dimostrato che il rapporto di dimensioni tra UCYN-A e i loro ospiti algali è simile in diverse specie delle alghe marine Braarudosphaera bigelowii. I ricercatori hanno utilizzato un modello per dimostrare che il metabolismo della cellula ospite e dell’UCYN-A sono collegati, controllati dallo scambio di sostanze nutritive. Questa sincronizzazione dei tassi di crescita ha portato i ricercatori a chiamare UCYN-A “likeorganelle”. Ma per chiamare con sicurezza UCYN-A un organello, i ricercatori avevano bisogno di ulteriori linee di prova.

In questo ultimo lavoro, il gruppo ha dimostrato che UCYN-A si basa sulle proteine dalle sue cellule algali ospiti per funzionare e che la sua replicazione e divisione è strettamente accoppiata con quella della cellula ospite, due criteri chiave che definiscono un organello.

Prove topografiche e proteomiche

All’ALS Beamline 2.1, i ricercatori hanno utilizzato la tomografia a raggi X morbida (SXT) per visualizzare rapidamente i componenti interni delle cellule B. bigelowii nel corso del ciclo di vita del sistema, fornendo informazioni quantitative sulla densità e composizione dell’organello. I dati hanno rivelato uno stretto coordinamento tra la replicazione e la divisione di UCYN-A e altri organelli B. bigelowii, che implica il controllo sulla divisione UCYN-A da parte del suo ospite, assicurando che il nitroplasto venga trasmesso alle cellule figlie.

Inoltre, la proteomica ha rivelato che circa la metà delle proteine necessarie a UCYN-A sono prodotte dalla cellula ospite algale, quindi etichettate con una specifica sequenza di aminoacidi, che indica alla cellula di inviarle al nitroplasto. Il nitroplasto poi importa le proteine e le utilizza. Questa relazione dipendente, presa insieme alle immagini della divisione sincronizzata, mostra che UCYN-A merita lo stato di organello.

Immagine SXT (tomografia a raggi X morbidi ) di B. bigelowii in fase di divisione cellulare. L’entità che fissa l’azoto ora considerata un organello è ciano; il nucleo algale è blu, i mitocondri sono verdi e i cloroplasti sono lilla. (Credito: Valentina Loconte/Berkeley Lab)

Abstract: Le interazioni simbiotiche sono state fondamentali per l’evoluzione degli organelli cloroplasti e mitocondri, che mediano il metabolismo del carbonio e dell’energia negli eucarioti. La fissazione biologica dell’azoto, la riduzione dell’abbondante azoto atmosferico (N2) in ammoniaca biologicamente disponibile, è un processo metabolico chiave eseguito esclusivamente dai procarioti. Candidatus Atelocyanobacterium thalassa, o UCYN-A, è un cianobatterio fissatore di N2 metabolicamente snello, precedentemente segnalato come endosimbionte di un’alga marina unicellulare. Qui dimostriamo che UCYN-A è strettamente integrato nell’architettura cellulare algale e nella divisione organellare e che importa proteine codificate dal genoma algale. Queste sono caratteristiche degli organelli e dimostrano che UCYN-A si è evoluto al di là dell’endosimbiosi e funziona come un organello che fissa l’N2 all’inizio dell’evoluzione, o “nitroplasto”.

Adesso sarà necessario un grande lavoro per capire i dettagli di questa scoperta: da quanto tempo esiste questo organello? Si può trasferire a cellule che vivono sulla terra? Vi immaginate cosa significherebbe una pianta in grado di fare a meno dei concimi azotati? Quanti altri organelli esistono che erano in origine dei cianobatteri o batteri indipendenti? Quanto cambierà nella nostra concezione dell’evoluzione biologica dopo questa ennesima scoperta del ruolo della collaborazione cellulare?

Articoli consultati:

Nitrogen-fixing organelle in a marine alga Tyler H. Coale et al. Science 384, 217 (2024)

DOI: 10.1126/science.adk1075

Cornejo-Castillo et al., 2024, Cell 187, 1762–1768 March 28, 2024 https://doi.org/10.1016/j.cell.2024.02.016

https://news.ucsc.edu/2024/04/nitrogen-fixing-organelle.html

https://doi.org/10.1016/j.cell.2024.02.016

7 pensieri su “Grandi scoperte sotto silenzio: il caso del nitroplasto.

  1. Solo il tempo ci dirà quanto sia importante (come a me sembra) una tale scoperta. Il tempo è un gran signore : per fare un esempio (forse non perfetto, ma…), vi ricordate quando sembrava che il fullerene fosse la cosa più importante e promettente del mondo ? qualsiasi cosa in cui entrassero i fullereni andava diretta sul JACS.

    Adesso, cos’è rimasto ?

    • Beh i fullereni hanno aperto la strada ai nanotubi e alle altre forme allotropiche, incluso il grafene; o almeno così mi pare. Pure io avevo preso una sbandata sul fullerene, ma poi ho fatto qualcosa sul grafene; oggi guardando in prospettiva il fullerene è stato una specie di inizio, di argomento seminale

  2. Della Volpe non vuole entrare nella polemica, ma ci entra facendo affermazioni che richiedono una precisazione.

    Me ne incarico io perché su questo tema sto riflettendo e studiando da tempo. Lo prendo anche come un esperimento, e un sondaggio. Chissà quanti scienziati si stanno facendo queste domande? E da quanto tempo?

    Nessuno dice che la scienza sia finita e tantomeno che si sia capito tutto. Tutti quelli che hanno scritto sul tema suggeriscono, suscitando scandalo e talvolta reazioni scomposte, che sia possibile che, dopo la straordinaria corsa degli ultimi secoli, la scienza, proprio a causa del successo del suo metodo implacabile, si stia avvicinando ai limiti fisici e cognitivi della nostra specie.

    Altri esprimono lo stesso concetto dicendo che la scienza è entrata nell’era dei ritorni decrescenti.

    Quello che gli scienziati fanno da qualche decennio sarebbe ormai aggiustare dettagli, arricchire la collezione di conferme delle grandi teorie, risolvere rompicapo, migliorare i modelli, trovarne di alternativi, ma sempre all’interno dei grandi paradigmi.

    Nulla che abbia anche lontanamente a che vedere con quello che succedeva nei secoli ruggenti delle grandi scoperte e delle grandi sintesi. L’analogia più efficace è quella della conclusione dell’era delle grandi scoperte geografiche. Ci sono ancora scoperte da fare sulla superficie del pianeta Terra? Non direi molto, ma sicuramente nessuno scoprirà un nuovo continente.

    Una visione pessimistica e, lo capisco, leggermente frustrante, sicuramente poco popolare nel mondo della ricerca. Ma non deve essere resa in caricatura perché nasce da una domanda seria. E non coinvolge solo le scienze naturali, ma anche quelle sociali e umane, e, secondo me, perfino l’espressione artistica.

    • Posso accettare la provocazione di Luca; Luca giusto per informazione è Luca Pardi un ricercatore CNR da pochissimo in pensione; anzitutto l’esempio delle grandi scoperte geografiche mi appare veramente incongruo; le cosiddette grandi scoperte sono tali SOLO nella cultura occidentale; i vari continenti erano già occupati da MILLENNI dall’umanità, gli europei non lo sapevano, ma che scoperta è scoprire l’America? un continente dove vivevano 100 milioni di uomini che saranno poi uccisi dall’invasione europea? E’ una misera scoperta, segna l’inizio del periodo capitalistico, del ritorno della schiavitù, altera il clima come raccontato in vari post di questo blog. Fra l’altro al momento all’uomo rimane da esplorare il fondo dell’oceano che non è ben conosciuto e rappresenta il grosso della superficie terrestre. E ancora la superficie terrestre è finita ma il resto dell’Universo non lo sappiamo. Dunque esempio del tutto incongruo.
      Per quanto riguarda quel che sta succedendo alla scienza contemporanea con una enorme crescita di pubblicazioni che non aggiungono granchè (quella che Kuhn chiamava scienza normale) direi che questo è un processo legato alla crescita del ruolo del capitalismo nella scienza, alla scienza che diventa sempre più una merce, ossia viene comprata e venduta come qualunque oggetto ed usata come strumento di potere. L’editoria scientifica che è una impresa di mercato sta snaturando il lavoro scientifico imponendo metriche di valutazione che non hanno senso alcuno se non sul mercato capitalistico, sono controllate in modo del tutto improprio e con grande conflitto di interesse dai grandi editori mondiali che “vendono” il sistema di misura ; i metodi di valutazione sono legati all’entrare delle riviste nei sistemi di valutazione A PAGAMENTO venduti dalla grande editoria. Questo fenomeno deve essere combattuto e ci sono vari tentativi in questa direzione come la Open Science che però viene anch’essa abusata come fatto mercantile. Insomma nulla a che vedere con i limiti cognitivi dell’umanità o del cervello umano, ma piuttosto con i limiti economico sociali dell’attuale organizzazione sociale.
      Grandi scoperte ci sono e sono continue; spesso abbiamo segnalato scoperte epocali che hanno segnato la Chimica, la Fisica e la Biologia; quella di questo post ne è un esempio eclatante. Il dibattito attivissimo sul rapporto fra MQ e relatività è un altro esempio vivissimo; altro che fine della scienza legato ai limiti cognitivi umani; direi piuttosto difficoltà da parte di alcuni di vedere, riconoscere e combattere l’influsso nefasto del mercato capitalistico su ogni aspetto della nostra vita.

  3. C’è un autore che sicuramente conoscete, Lucio Russo, che attribuisce alcuni grandi avanzamenti della matematica e della fisica all’antichità, retrodatando alcune grandi scoperte della Rivoluzione Scientifica all’epoca ellenistica, la Rivoluzione Dimenticata. È un po’ come la “Scoperta delle Americhe” da parte della popolazione asiatica che attraversava lo stretto di Bering 15.000 anni fa. La Scoperta Dimenticata.

    L’idea che la fine della società capitalistica, se e quando avverrà, darà luogo ad un diverso modo di fare scienza che aprirà nuovi orizzonti, non può essere smentita, quindi non è un argomento di discussione. Può darsi. A me sembra la solita attesa di Godot che ha caratterizzato tutti i progressisti rivoluzionari da qualche secolo. Ma, ripeto, è questione di sensibilità e culture politiche diverse, qualcosa che discutere ha sempre lasciato e sempre lascierà il tempo che trova. Finché la società capitalistica non ci sarà più.

    Concordo sul fatto che del capitalismo il mondo scientifico ha assorbito molto, ad esempio la pubblicità. Scherzando, ma non troppo, un mio collega usava dire ai suoi studenti: “la pubblicità è l’anima della Scienza”. Sicuramente ha preso anche la mercificazione di tutto. Ma questi aspetti non mi sembrano cause, ma piuttosto sintomi. Un po’ come la martellante pubblicità di automobili sempre più accessoriate in un’era di domanda decrescente di auto. L’hyphe nella comunicazione scientifica è, secondo me, uno dei sintomi del rallentamento.

    Aggiungere attributi come “epocale”, “straordinario”, “sconvolgente” alla parola scoperta non ne modifica la sostanza. Per me epocale è un’altra cosa dal riempimento di tasselli mancanti ai grandi paradigmi che resistono, ormai, oltre un secolo. Attività nobilissima quella di trovare nuovi tasselli al grande puzzle, o piccoli isolotti deserti intorno ai grandi continenti. Nelle scienze biologiche, ad esempio, vedo resistere il paradigma Darwin- Mendel. Dopo la genetica e la biologia molecolare restano aperte molte questioni, ma non è detto che si sia in grado di rispondere alle domande che ci facciamo. Attualmente, spesso, le scienze naturali risolvono ancora dei rompicapo interni ai grandi paradigmi. Molto spesso diventano speculative, un nuovo modo di filosofare.

    Bellissima cosa peraltro, questo nuovo filosofare.

    Per una discussione sul tema suggerisco qualche lettura che cito in ordine cronologico.

    1. Gunther Stent. «The coming of the Golden Age. A view of the end of progress.». 1969
    2. John Horgan. «The end of science». 1996 trad.it «La fine della scienza» 2016.
    3. Russel Stannard. «The end of discovery». 2010.

    C’è un precursore di tutti questi che si colloca nel mondo dell’arte e della poesia che da anche un contenuto psicologico all’atteggiamento degli scienziati. Si tratta di Harold Bloom che con il suo «L’angoscia dell’influenza. Una teoria della poesia» suggerisce un’altra analogia quella dell’attività artistica. Dopo Dante e Shakespeare nessun poeta poteva più sperare di avere la stessa influenza di questi giganti.

    L’idea è che sia la scienza che (quasi?) tutte le attività creative, poesia, pittura e musica siano processi “logistici”, cioè soggetti ad un inesorabile processo di rallentamento asintotico (con salti) definito dai loro limiti fisici (soprattutto per la scienza, ma anche per la musica, direi) e cognitivi.

    Ovviamente si può sempre acconsentire all’esistenza di limiti fisici e cognitivi e continuare a dire che tali effetti non si stanno ancora manifestando e rimandare sine die il declino da me (ma prima di me da altri ben più preparati) ipotizzato. È sufficiente ridefinire la scoperta di un tassello di un grande puzzle nei suoi larghi contorni già costruito, come una scoperta epocale, e il gioco è fatto.

    Tuttavia, per chi abbia il piacere di studiare e riflettere, leggere e osservare la realtà, senza barriere ideologiche ed emotive, penso che l’idea che propongo possa essere perfino stimolante.

  4. Pingback:  Un  “imbuto molecolare” per concentrare l’ammoniaca marina. | La Chimica e la Società

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