Un  “imbuto molecolare” per concentrare l’ammoniaca marina.

Alessandro Maria Morelli

Il tema dell’organicazione dell’azoto ha ricevuto un interessantissimo  apporto  dall’articolo ”Membraneless channels sieve cations in ammonia-oxidizing marine archaea“ pubblicato da Nature il 29 maggio 2024 (https://doi.org/10.1038/s41586-024-07462-5 ). Un insieme di centri di ricerca  operanti in Cambridge, Oxford, Columbia (USA), Tubingen, Warwick, Coventry, hanno risolto  con la modernissima criotomografia elettronica la struttura del batterio archea marino Nitrosopumilus maritimus e sorprendentemente hanno accertato che lo strato esterno (S-layer) è occupato interamente  da  strutture sopramolecolari  composte da esameri di una  proteina formata da più di 1700 amminoacidi. Sei filamenti di tale proteina si avvolgono su se stessi a formare una specie di “imbuto molecolare” e tali filamenti funzionano da guida per il catione ammonio che viene convogliato al centro effettuando così una concentrazione di tale catione. Quindi lo ione ammonio passa l’S-layer e viene ossidato a nitrito e nitrato dal batterio, portando a termine il processo di organicazione marina dell’azoto. 

In alto è rappresentata la superficie del batterio, totalmente occupata dall’esamero.  Al centro è riportata la struttura ripiegata  del  filamento della proteina NmSLP e in basso la struttura formata da sei filamenti  NmSLP  avvolti  a formare la struttura esamerica. La proteina forma otto domini D ricchi in amminoacidi acidi Glutammico e  Aspartico che formano una guida per lo ione ammonio convogliandolo al centro.

La cattura dello ione ammonio in mare è questione assai problematica vista la sua estrema diluizione. Infatti il mare contiene lo ione ammonio ad una concentrazione ~50 nanoMolare e se si pensa che un altro componente  presente nel mare, l’anidride carbonica, è presente ad una concentrazione ~10 milliMolare (cioè 200.000 volte più concentrato) si può comprendere la difficoltà per gli organismi marini di catturare lo ione ammonio. Ma questo batterio archea può godere di tutta la nostra ammirazione per un progetto che la Natura ha realizzato in tempi antichissimi per   lo sviluppo della vita, ovvero il trasferimento dell’azoto dall’atmosfera agli organismi viventi che dall’azoto dipendono assolutamente in quanto sia le proteine che gli acidi nucleici lo contengono.

Ma questa stupefacente scoperta risolve il problema della conoscenza delle modalità di organicazione marina dell’azoto? No, perché appare in tutta chiarezza che manca un anello cruciale, cioè il passaggio da azoto gassoso ad ammoniaca. E qui compaiono come agenti  determinanti i cianobatteri che sono già stati descritti dal recente post sul nitroplasto. Infatti i cianobatteri sono versatili perché possono formare eterocisti deputate alla conversione dell’azoto in ammoniaca, avvalendosi dell’enzima nitrogenasi che l’eterocisti sintetizza e che catalizza una dispendiosa reazione sotto il profilo energetico perché per trasformare una molecola biatomica di azoto in 2 molecole di ammoniaca, la nitrogenasi necessita di ben 16 molecole di ATP. Questo apporto non risulta ancora chiarito, perché l’ATP è formato in quantità rilevante solo dal metabolismo aerobico, e questo nell’eterocista non può esistere perché l’eterocista si circonda di uno strato impermeabile all’ossigeno che inattiverebbe la nitrogenasi stessa. Ma dal recente post sul nitroplasto veniamo a sapere che i cianobatteri endosimbionti nell’alga unicellulare Braarudosphaera bigelowii conferiscono a quest’ultima la capacità di fissare l’azoto atmosferico. Quindi due strutture derivanti da batteri primitivi contribuiscono alla fissazione dell’azoto in mare.

Ancora una curiosità: la reazione catalizzata dalla nitrogenasi sviluppa anche 1 molecola di idrogeno biatomica. Il destino di questo idrogeno non ci è conosciuto, ma la nostra attenzione è attratta dal fatto che stechiometricamente l’idrogeno  è solo la metà dell’ammoniaca prodotta dell’eterocisti cianobatterica. Ai giorni nostri in cui l’umanità è alla ricerca affannosa di combustibili alternativi a quelli fossili forse sarà il caso che ci si interessi a questo idrogeno che apparentemente viene disperso.

Ma i misteri sull’organicazione dell’azoto continuano: infatti nei minerali l’azoto non è presente, e i soli minerali noti hanno composti azotati che provengono dal guano, come il salnitro del Cile, cioè sono di origine biologica. Pertanto lo sviluppo della vita sulla terra dipendeva in forma cruciale dall’utilizzo dei due gas Ossigeno e Azoto. L’ossigeno, che era assente nell’atmosfera primordiale, è potuto accumularsi nell’atmosfera grazie alla fotosintesi che lo produceva come materiale di scarto. Quindi l’ossigeno è passato da composti presenti sul suolo nell’atmosfera per processi biologici. Per l’azoto è accaduto l’inverso: dall’atmosfera è passato negli organismi viventi ed è un processo assolutamente critico visto che l’azoto è un gas inerte.

Possiamo quindi considerare che minerali contenenti azoto sono indice di sviluppo di vita. Stupefacente che alcune meteoriti , come la Allan Hills 84001 proveniente da Marte ( https://www.media.inaf.it/2020/05/04/meteorite-allan-hills-marte/ ) contengono nitrati e questo ci fornisce una affascinante quanto misteriosa  indicazione sulla possibile esistenza di forme di vita su altri pianeti.

Insomma i misteri legati all’organicazione dell’azoto continuano a stupirci e a interrogarci!

3 pensieri su “ Un  “imbuto molecolare” per concentrare l’ammoniaca marina.

  1. Stupefacente la convergenza delle più recenti scoperte scientifiche verso l’indicazione dell’esistenza di un meccanismo regolatore sofisticato e preciso che punta allo sviluppo della vita sulla Terra (principio antropico). Che la nascita e lo sviluppo della vita sul nostro Pianeta sia stata determinata dal “caso”, sembra ormai una ipotesi del tutto irragionevole.

  2. La realtà è che tutti i sistemi lontani dall’equilibrio e “stabili” o oscillanti possiedono reti di interazioni che li mantengono nell’intervallo considerato, sono cioè omeostatici; una volta capito il meccanismo si vede che si tratta di interazioni materialissime, perfettamente comprensibili e riproducibili; la cosa è talmente bella da far pensare che sia stata progetta da qualcuno, ma quello che sembra un progetto intelligente è solo il risultato di una rete di retroazioni automatiche come ce ne sono tante; l’idea del principio antropico è un po’ come la pareidolia, il nostro cervello tende a costruire reti fra le cose che vede, riconducendole ad immagini conosciute: lo facciamo con le nuvole o le costellazioni. Dato che noi imitando la Natura abbiamo inventato sistemi stabili (od omeostatici come la valvola di Watt, che in realtà fu inventata per i mulini a vento) tendiamo a pensare (rovesciando la realtà) che i sistemi stabili siano stati resi tali da un progetto; ma invece tali sistemi sono “spontaneamente” omeostatici. Le nuvole o le costellazioni non hanno la forma di qualcosa, ma è il nostro cervello che le assimila al già conosciuto, che cerca di ritrovare in essi forme note; e così avviene per i comportamenti basilari della Natura. tendiamo a ritrovare in essi ciò che ci è familiare, ma in realtà quella familiarità è il risultato del fatto che la Natura è già fatta così. Non c’è nessun progetto intelligente, al contrario la Natura di per se si comporta in modi che abbiamo imparato o stiamo imparando a riconoscere e modellare. Un sistema di equazioni differenziali con le opportune proprietà ha soluzioni stabili od oscillanti, è omeostatico e tale comportamento è tipico dei sistemi complessi a partire dal nostro corpo a finire alla biosfera.

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