La transizione energetica: come la vedono gli scienziati

Vincenzo Balzani, professore emerito UniBo

Il cambiamento

In due recenti articoli pubblicati su La Chimica e l’Industria on line [1,2] ho provato a spiegare perché per salvare il nostro pianeta, l’unico luogo dove possiamo vivere, dovremo portare a termine tre transizioni: dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, dall’economia lineare all’economia circolare e dal consumismo alla sobrietà.

Transizione vuol dire cambiamento e l’esperienza dimostra che le persone non amano cambiare. Se ne era già accorto molto tempo fa Niccolò Macchiavelli che, secondo alcune fonti, pare abbia scritto: Non c’è niente di più difficile da prendere in mano, più pericoloso da condurre, o più incerto nel suo successo che prendere la guida di un cambiamento. Perché il riformatore ha nemici in tutti coloro che traggono profitto dal vecchio ordine e ha solo tiepidi difensori in tutti coloro che trarrebbero profitto dal nuovo ordine; questa tiepidezza deriva in parte dalla paura dei loro avversari e in parte dall’incredulità dell’uomo, che non crede veramente in qualcosa di nuovo fino a quando non ne ha avuto l’esperienza effettiva”.

Quindi, portare avanti tre transizioni, in parte interconnesse, per salvare il pianeta non sarà affatto facile. Sappiamo però che questa è l’unica via che possiamo percorrere per giungere alla sostenibilità ecologica, che a sua volta è la base per raggiungere la sostenibilità sociale. Ciascuno di noi, nella situazione in cui si trova e con l’attività che svolge deve assumersi la sua parte di responsabilità. Questa vale particolarmente per gli scienziati, dai quali la pubblica opinione si aspetta prese di posizione chiare e ben documentate, per gli educatori che operano nelle scuole di ogni ordine e grado e per i mezzi di comunicazione che hanno il compito di diffondere le conoscenze e mettere a confronto in modo costruttivo proposte e opinioni affinché quelle più giuste possano affermarsi.

Difficoltà intrinseche

Affinché una transizione avvenga nel modo corretto, deve essere guidata. Bisogna partire da un quadro chiaro e completo della situazione in cui ci si trova e fare previsioni, formulare scenari e preparate roadmap per raggiungere l’obiettivo in un tempo ragionevole. Guidare la transizione energetica è un’impresa molto difficile perché la realtà è in continua evoluzione: aumenta il numero di abitanti del pianeta; aumentano le esigenze energetiche di miliardi di persone; in molte nazioni la situazione politica è confusa e i suoi esiti sono difficilmente prevedibili; le decisioni politiche sono influenzate da fattori economici e pressioni sociali, spesso in contraddizione; il prezzo del petrolio, con cui le energie rinnovabili devono competere, ha variazioni spesso irrazionali; infine, è sempre più evidente che le risorse del pianeta sono limitate, per cui i progressi nella transizione energetica sono forzatamente collegati a quelli della transizione dall’economia lineare all’economia circolare.

Gli scenari, inevitabilmente basati su estrapolazioni, devono quindi essere frequentemente aggiornati e, in ogni caso, vanno sempre considerati con cautela. Ciò nonostante, è importante cercare di prevedere cosa ci può riservare il futuro e ancor più capire l’impatto che avranno nei prossimi decenni le scelte che siamo chiamati a fare oggi. La domanda urgente a cui è necessario rispondere, se vogliamo custodire il pianeta, è: possiamo limitare le emissioni di CO2 in modo da mantenere l’aumento di temperatura al 2050 sotto i 2°C o, meglio, sotto 1,5 °C? [3, 4]. Su tempi lunghi, poi, la domanda che aspetta risposta diventa: è fattibile e sostenibile un mondo che funzioni solo con le energie rinnovabili?

Quasi tutte le agenzie internazionali hanno centri di studio sulla transizione energetica [5]. A volte le previsioni di queste agenzie sono condizionate dalla potente lobby del petrolio, come nel caso della IEA. Gli scenari che alcune di queste agenzie presentano per il futuro hanno come compito principale quello di suggerire al mondo economico e finanziario come comportarsi per mantenere profitti nell’ottica di una lenta transizione dai fossili alle rinnovabili, senza preoccuparsi dei tempi indicati dagli scienziati. I centri di ricerca scientifici, invece, cercano di analizzare la situazione e di suggerire cosa bisogna fare in concreto, incominciando da oggi, per portare a termine la transizione entro il 2050.

Il piano WWS proposto da M.Z. Jacobson e collaboratori

Negli ultimi anni sono stati riportati studi dettagliati da parte di molti gruppi di ricerca secondo i quali si possono sostituire completamente, entro il 2050, i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Alcuni di questi piani sono stati criticati (si veda, ad esempio, [6]), ma la fattibilità della transizione energetica che prevede solo l’uso di energia elettrica generata dalle rinnovabili nel 2050, senza energia nucleare, è stata recentemente ribadita da una rassegna esaustiva della ricca letteratura scientifica sull’argomento [7].

Lo studio più dettagliato [8] è quello di M.Z. Jacobson della Stanford University che, con 26 co-autori, presenta roadmap di transizione per 139 paesi del mondo molto più spinte di quelle previste dagli accordi di Parigi. Gli autori sottolineano che le roadmap da loro illustrate non sono previsioni di quello che potrebbe accadere da oggi al 2050, ma proposte che, se attuate, risolveranno concretamente i problemi del cambiamento climatico, dell’inquinamento e della sicurezza energetica.

Il piano di Jacobson e collaboratori è denominato WWS (wind, water, sunlight) in quanto è basato unicamente sull’utilizzo di vento, acqua e sole come sorgenti primarie nel 2050. Sono esclusi il gas e il nucleare (proposti da altri autori come «energie-ponte»), e anche i biocombustibili, le biomasse e le tecnologie per la catturare ed immagazzinare la CO2. Il piano WWS prevede che i consumi energetici di tutti i settori dell’attività umana siano soddisfatti esclusivamente con elettricità fornita dalle energie rinnovabili e distribuita tramite reti, con l’impiego di accumulatori e idrogeno elettrolitico (celle a combustibile) per i trasporti, anche aerei e marittimi.

Secondo il piano WWS, la potenza che sarebbe necessaria nel 2050 se usassimo l’attuale sistema energetico, basato prevalentemente sui combustibili fossili (20.604 TW), sarà ridotta del 42%, per tre motivi: 1) la conversione dell’energia elettrica in lavoro è più efficiente del 23% rispetto all’uso di combustibili fossili; 2) WWS non ha le perdite di efficienza (valutate al 12,6%) legate all’estrazione, al trasporto e alla raffinazione delle fonti fossili; 3) in un sistema tutto elettrico si può contare su un aumento dell’efficienza energetica (6,9%). Il piano, illustrato nella Figura 1, prevede l’80% della conversione entro il 2030 e il 100% nel 2050.

Figura 1. Schema della transizione energetica secondo Jacobson e altri [8]. Per una descrizione dettagliata, si veda il testo e il lavoro originale.

Gli 11.840 TW di potenza elettrica richiesta nel 2050 per le 139 nazioni prese in considerazione saranno forniti principalmente da impianti fotovoltaici di varie dimensioni (48%), eolico onshore e offshore (37%) e per il 9,7% da impianti solari a concentrazione (Concentrating Solar Power, CSP) [8]. Sarà necessario installare fra l’altro 1.840.000.000 impianti fotovoltaici da 5 kW che saranno collocati sui tetti delle abitazioni, sulle tettoie dei parcheggi e sulle autostrade e 1.580.000 impianti eolici onshore da 5 MW, distesi sullo 0,9% del territorio che rimarrà usabile per l’agricoltura. Le tecnologie necessarie per sostituire nell’uso finale i combustibili fossili con energia elettrica sono già in gran parte disponibili in commercio, mentre altre (ad esempio, navi e aerei elettrici) sono in via di sviluppo e si prevede che saranno di uso comune fra una ventina d’anni.

La realizzazione del piano WWS diminuirà le emissioni di CO2, evitando che si superino 1,5 °C di riscaldamento globale nel 2050. Darà a ogni nazione la possibilità di produrre l’energia che consuma e faciliterà l’accesso all’energia per tutti; eviterà anche la morte prematura di circa 3,5 milioni persone causata dall’inquinamento e permetterà un risparmio medio di 5.800 dollari per persona all’anno sulle spese dovute da inquinamento e cambiamento climatico. Creerà circa 25 milioni di posti di lavoro permanenti nelle costruzioni e 27 milioni di posti permanenti per la manutenzione del sistema, per un totale di circa 52 milioni, a fronte di circa 28 milioni di posti persi nelle attività dei combustibili fossili e dell’energia nucleare.

Il piano WWS è estremamente dettagliato [8]. Esamina, paese per paese, i dati disponibili sui consumi energetici attuali e stima la domanda di potenza che ci sarà nel 2050 in ciascun paese prima e dopo l’elettrificazione di tutti i settori energetici. Poi analizza per ciascun paese la disponibilità di risorse rinnovabili per generare elettricità e propone una roadmap basata sul mix energetico rinnovabile più adatto per ciascun paese, tenendo conto della disponibilità di suolo, tetti, vento, acqua e situazioni particolari. Un simile, dettagliatissimo piano è stato poi formulato anche per 53 città del Nord America [9].

Per l’Italia, l’analisi dettagliata dello studio si può riassumere con i seguenti dati riferiti al 2050 [8]:

– la potenza di 240,8 GW per uso finale prevista sulla base del sistema energetico attuale si ridurrà a 134,9 GW in seguito all’elettrificazione;

– la potenza sarà generata dalle varie fonti rinnovabili in base a queste percentuali:

fotovoltaico nelle sue varie applicazioni 56,7%; eolico onshore e offshore 26,3%; CSP 11,3%; idroelettrico 4,9%; geotermico 0.6%

– il fotovoltaico residenziale genererà il 16,4% della potenza totale, utilizzando il 67% dei 737 km2 di tetti disponibili;

– dal punto di vista economico, si avrà un risparmio di 382 $/persona/anno sul costo dell’elettricità e un risparmio sui costi dei danni causati da inquinamento e cambiamento climatico per una media di 7.700 $/persona/anno;

– si eviterà la morte prematura per inquinamento, in media, di circa 20.000 persone all’anno;

– verranno perduti circa 160.000 posti di lavoro nei settori dei combustibili fossili, ma si creeranno circa 300.000 nuovi posti di lavoro permanenti per attività di costruzione e 350.000 per attività di gestione delle energie rinnovabili con un saldo positivo di circa 500.000 posti.

Lo studio conclude notando che la transizione, pur essendo tecnicamente ed economicamente fattibile, incontrerà molti ostacoli di tipo sociale e politico: c’è quindi un grande bisogno di informare le persone su quello che è possibile fare e sollecitarle a portare avanti la transizione nelle loro case e nella loro vita di ogni giorno. In Italia, purtroppo, la Strategia Energetica Nazionale punta fortemente sul gas e sui biocombustibili e il tentativo di informare sulla necessità della transizione energetica solo eccezionalmente arriva al grande pubblico [10]

  1. 1. La Chimica e l’Industria – ISSN 2532-182X – 2018, 5(7), ottobre
  2. La Chimica e l’Industria – ISSN 2532-182X – 2018, 5(8), novembre
  3. http://unfccc.int/resource/docs/2015/Cop21/eng/l09r01.pdf
  4. http://report.ipcc.ch/sr15/pdf/sr15_spm_final.pdf
  5. http://www.iea.org/weo/

https://about.bnef.com/new-energy-outlook/

http://www.iiasa.ac.at/web/home/research/twi/TWI2050.html

http://exponentialroadmap.futureearth.org

http://www.irena.org/publications/2018/Apr/Global-Energy-Transition-A-Roadmap-to-2050.

  1. B. Heard et al., Renew Sustainable Energy Rev, 2017, 76, 1122 DOI:10.1016/j.rser.2017.03.114
  2. T. W. Brown et al., Renewable and Sustainable Energy Reviews, 2018, 92, 834; 
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1364032118303307
  3. M.Z. Jacobson et al., Joule, 2017, 1 ,108-21, con 186 pagine di informazioni supplementari

http://dx.doi.org/10.1016/j.joule.2017.07.005

  1. M.Z. Jacobson et al., Sustainable Cities and Society, 2018, 42, 22 https://doi.org/10.1016/j.scs.2018.06.031
  2. https://ilblogdellasci.wordpress.com/2018/08/15/ascoltare-la-scienza-lincidente-di-bologna-e-la- transizione-energetica/

6 pensieri su “La transizione energetica: come la vedono gli scienziati

  1. Claudio, in questi studi sulla transizione viene ipotizzato il momento in cui le fonti rinnovabili saranno in grado di autoriprodursi totalmente e continuamente? Il trend ipotizzato del sistema energetico attuale tiene conto dell’incremento dei consumi di energia fossile necessaria a produrre progressivamente tutti i nuovi impianti per la produzione elettrica da fonti rinnovabili, almeno sino a quando essi non sapranno autoriprodursi? Ammesso che prima o poi ci si arrivi.
    Non vorrei aumentasse la velocità di cottura.

  2. Qualche tempo fa (4/5 anni) ho parlato di questo con uno studioso della cosa, e mi ha spiegato che per avere un sistema energetico che si auto-riproduca bisogna che produca almeno 8/10 volte, nella sua vita utile, l’energia necessaria per produrlo, installarlo avviarlo etc.
    Non me ne intendo, ma a sua conoscenza i sistemi “alternativi” tipo fotovoltaico etc non erano ancora ben sopra quella soglia; forse negli ultimissimi anni ci sono stati significativi processi in questa direzione?
    E i sistemi “tradizionali”, in questa ottica, a che livello sono ?

    antoniutti

    • Non avevo visto questa domanda; rispondo in ritardo; il parametro considerato è un classico ed è molto utile, si chiama EROI o EROEI (energia prodotta su energia investita e si stima che fosse 3 prima della macchina a vapore) ; il FV senza accumulo ha un tempo di ritorno energetico di un paio di anni e che tende a ridursi e dato che la sua vita utile è da 20 a 40 anni il rapporto è almeno 10 o superiore; attenzione a usare dati vecchi che danno valori ovviamente sballati. Qualcuno polemizza sul fatto che se si fa il FV in Cina usando il carbone il parametro è sfavorevole; ma d’altronde non è dato di usare energia prima di averla prodotta e credo che anche le macchine a vapore le abbiano fatte usando le mani, il vento e gli animali e il fuoco di legna almeno per un pò. Se inserisci l’accumulo nel FV la situazione ovviamente peggiora; qualche tempo fa l’EROI del FV con batterie fu stimato troppo basso su questa scala (dell’ordine di 3-5); ci fu una lunga polemica sullle riviste del settore fra Raugei e un gruppo di ricercatori tedeschi proprio su come fare questi conti. Anche questo parametro come articola ampiamente Vincenzo è destinato comunque a migliorare nel futuro. Rimane che l’accumulo deve entrare a far parte dei nostri modi di considerare i parametri energetici. Concludo dicendo che conosco una sola alternativa all’accumulo: l’idea di Buckminster Fuller, l’architetto che inventò le tensostrutture e ha dato il nome al buckminsterfullerene; se il mondo fosse unito dato che metà mondo è sempre illuminato dal Sole basterebbe una rete elettrica unica (pure lei con i suoi costi di costruzione e dissipazione in trasmissione) per evitare l’accumulo. Come ho scritto altre volte sul blog le tecnologie fossili tradizionali sono su valori più alti anche se tendono a ridursi; il carbone è a 50 e il petrolio ormai è a 15 ma sta scendendo vertiginosamente; da considerare che è pur vero che i fossili “includono l’accumulo” ma sfortunatamente non includono la dismissione (intendendo qui per dismissione la ripulitura dell’ambiente dai loro prodotti di combustione, escludendo quindi effettucci come il GW, la questione è analoga se volete a dismettere una centrale nucleare e i suoi sottoprodotti); quanto energia serve per includere la dismissione ossia la ripulitura atmosferica nell’EROEI del petrolio? credo che l’EROEI petrolifero scenderebbe a valori vicini a 1; ma a voi ulteriori commenti.

  3. Nella dinamica messa in evidenza dal grafico gli impianti di energia rinnovabile, almeno sono al 2050, devono progressivamente produrre energia in quantità tale da poter sostituire quelli dismessi per obsolescenza, permettere la costruzione di quelli nuovi in quota incrementale e fornire energia per il funzionamento “normale” della società in sostituzione a quella derivante dall’uso dei fossili. Inoltre, dando per scontato che tutti i processi necessari alla costruzione e installazione dei nuovi impianti rinnovabili possano essere svolti usando solo elettricità, sarà giocoforza costruire tutta la tecnologia e l’impiantistica necessaria in sostituzione di quella non più utile che ora funziona a combustibili fossile. Vasto programma direi, sul quale mi auguro che gli studiosi della transizione abbiano rifelttuto a sufficienza prima di pubblicare le loro ipotesi.

  4. Cerco di riassumere e dare una risposta alle domande fatte, anche se non sono l’autore, dunque con beneficio di inventario, sperando che poi Vincenzo abbia lui il tempo di commentare; ho guardato i lavori citati da Vincenzo e non comprendono (almeno in prima lettura, ma non ho esaminato i loro riferimenti) un calcolo dettagliato sui materiali e l’energia necessari alla transizione; essi usano invece una considerazione economica, basata dunque su un proxy economico ossia, detto in soldoni, che il costo dei nuovi impianti sarà inferiore a quelli tradizionali. Dunque l’idea di base è che saranno più convenienti, e che se saranno più convenienti sarebbero fattibili; mentre mi sembra non ci sia nei testi di Jacobson una considerazione dettagliata del problema posto da Mirco, che si potrebbe riassumere così: i materiali e l’energia necessari per la transizione saranno disponibili nei momenti opportuni? Mirco si chiede se abbiamo disponibili non tanto o non solo i soldi, i capitali ma i materiali e l’energia per vivere come facciamo (o meglio conoscendo Mirco, in modo sobrio) e in più transire verso le rinnovabili. I due approcci sono diversi un po’ come quando si confrontano MROI ed EROI; ossia costo economico e costo energetico/materiale dell’energia; si suppone ci sia una equivalenza costi e (materia+energia); questa ipotesi è un po’ anche il mantra dell’economia attuale, la fungibilità, è un’approccio non biofisico all’economia; ma non si dimostra che tale equivalenza vale anche nel caso descritto, credo questo sia il nocciolo della considerazione di Mirco. La mia risposta non può che essere che se vale l’equivalenza indicata la transizione è supportabile; spero di aver espresso chiaramente la questione. Probabilmente la risposta è anche un po’ nelle cose, nel senso che, come fa capire chiaramente Vincenzo, si può supporre (o anche augurarsi) che le risorse materiali ci siano e che le resistenze maggiori vengano dalle attese di profitto del sistema come è adesso. Entrando nel merito tecnicamente per l’Italia vedo una crescita del FV prevista di circa 3 volte che non è incredibile, ma per esempio non vedo una stima dell’accumulo; in Italia l’accumulo attuale è stimabile a circa 8TWh sui circa 300 di consumo elettrico attuale ed occorrerebbe aumentare questa cifra di dieci-venti volte volendo trasformare tutto in elettrico (l’elettrico è attualmente 1/8 circa del totale dei consumi energetici ma fra i 2 e i 3/8 dei costi; questa differenza si risparmierebbe come dice anche l’articolo, ma si dovrebbe accumulare in proporzione molto maggiore data la variabilità delle rinnovabili, dunque investimenti per diciamo molto alla raffa da 80 a 160 TWh di accumulo; io questo non so come si potrebbe fare per esempio, dato che idro disponibile non ce n’è più); non ho risposto ma credo di aver fornito degli elementi.

  5. Claudio, capisco le considerazioni che esponi nel tentare di interpretare Balzani. E opportunamente tiri in ballo anche la questione dell’accumulo. L’ipotetica fungibilità tra osto economico e costo energetico/materiale dell’energia l’ho incontrata più volte in occasione di confronti o dibattiti, ma non ho mai potuto valutare elementi di prova che la dimostrasse, forse molto difficili da produrre. C’è ancora però un aspetto che entra in gioco per validare il ragionamento di Balzani. Può essere vero (e me lo auguro!) che gli impianti delle Nuove FER risultino presto meno costosi per unità di energia prodotta degli impianti tradizionali usati per la produzione di energia da fonte fossile, ma metre i primi devono necessariamente essere costruiti tutti (o quasi) ex novo, i secondi vanno in larghissima parte (nel periodo in esame) considerati come già esistenti. Non bisogna costruirli. I costi economici di quest’ultimi sono già stati affrontati e sostanzialmente ammortizzati. Solo una certa quota di essi dovrebbe eventualmente essere rinnovata per obsolescenza e non sarebbe poi così grande, visto che ipotizziamo anche un rallentamento dei consumi. Non ha molto significato il confronto tra i due costi (impianti per fossili vs. impianti rinnovabili) NEL PERIODO CONSIDERATO. In linea di principio il ragionamento sta in piedi; nella pratica non è applicabile se non in un periodo più lungo, sufficiente a mettere in discussione la durata degli impianti tradizionali già esistenti.

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