La Chimica delle armi e le armi della Chimica.

La questione della distruzione delle armi chimiche siriane, almeno quelle del regime di Assad*, sta suscitando fortissime emozioni e paure molte delle quali sono ingiustificate e possono essere contrastate con una opportuna conoscenza della chimica di questi materiali: in questo senso le armi della Chimica vanno contro la Chimica delle armi.

Vediamo cosa possiamo velocemente dire per sfatare alcune delle peggiori sciocchezze ed ambiguità circolate sui giornali e sui siti web.

1)   Rischi di incidente.

Ovviamente ci sono, ma ricordiamo che le sostanze da distruggere sono al momento in parte “binarie” ossia, in parte almeno, non esistono ancora come armi vere e proprie, ma sono presenti come reagenti separati da mescolare nel modo opportuno se si volessero avere gli aggressivi chimici veri e proprii; è il caso del VX o del Sarin che sicuramente sono in gran parte presenti come binari, come precursori perchè questo è il modo usuale di gestirli; per cui in questo caso si tratta di sostanze chimiche come altre, tossiche ma non mortali. Per esempio il VX sarà conservato come fosfonite e zolfo separati. La fosfonite è un pesticida non un gas nervino.

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Alcuni dettagli potete trovarli su wikipedia e su questo blog. Altre sostanze come per esempio l’iprite ( o altri vescicanti) sono quasi certamente  presenti come tali; l’iprite però è liquido solo al di sopra dei 14.4°C e comunque sarà certamente chiuso in contenitori ermetici che devono essere solo trasportati da una nave all’altra all’interno di un porto. L’iprite non è solubile in acqua. La probabilità che ci siano problemi tali da distruggere l’integrità dei recipienti in ambiente esterno sono alquanto basse; è chiaro che ci deve essere un piano di emergenza, ma crediamo ci siano piani del genere in tutte le strutture come il porto di Gioia Tauro in cui ogni anno passano milioni di tonnellate di merci chimiche, spesso altrettanto o più pericolose.

2)   Distruzione delle armi chimiche per idrolisi nell’oceano o in mare aperto.

Questo non vuol dire affatto che gli aggressivi saranno sversati in mare come ha potuto pensare qualcuno, ma solo che una nave appositamente attrezzata con apparecchiature adatte processerà in un impianto opportuno i materiali che sono già in forma attiva per distruggerli (trasformandoli in  sottoprodotti smaltibili seguendo le leggi internazionali in vigore e le norme ambientali) in un posto sicuro; e quale posto è più sicuro dell’oceano aperto, lontano dalle coste? L’idrolisi (in soluzione alcalina, basica, non in acqua di mare) è un metodo di smaltimento a bassa temperatura e meno costoso del tradizionale metodo ad alta temperatura. Quindi nessuno sversamento ma reazioni fatte in un impianto apposito (i reattori sono in titanio di solito) a gran distanza dalle coste per ridurre tutti i rischi e poi riportare i sottoprodotti da smaltire sulla terraferma dove saranno smaltiti, sotto la sorveglianza dell’OPCW, che ha recentemente vinto il Nobel della Pace e che è una organizzazione senza alcuno scopo di profitto.

Maggiori informazioni sui metodi specifici di distruzione si possono trovare :

Sul sito OPCW: http://www.opcw.org/our-work/demilitarisation/destruction-technologies/

O altrove: dtirp.dtra.mil/PDFS/cbw_news_FDHS_130923.pdf

In un recente articolo comparso sul numero di Dicembre 2013 de La Chimica e l’industria a firma di Ferruccio Trifirò, direttore di C&I e membro di OPCW (pag. 90 La distruzione di armi chimiche con sistemi portatili) c’è un breve ed efficace riassunto dei sistemi “portatili” di distruzione delle armi chimiche. Si consiglia chi è interessato  e non abbia accesso alla rivista di chiederlo allo scrivente (claudio.dellavolpe@unitn.it)

* dico di Assad perchè sembra che l’episodio recente di uso delle armi chimche sia dovuto ad una parte dei combattenti anti Assad, come raccontato qui

17 pensieri su “La Chimica delle armi e le armi della Chimica.

  1. bene, un po’ di chiarezza è stata fatta e qualche rassicurazione sullo smaltimento data.
    Ci si augura che davvero, dal “mare aperto” in poi, vengano seguite procedure di …. Buona Pratica di laboratorio!

  2. Potrebbe essere il caso di divulgare queste informazioni, che ovviamente la gente comune non può conoscere…è di poche ore fa un articolo sul Corriere delle Sera che denuncia lo stato di allerta e paura in cui vertono mamme e bambini che vivono a Gioia Tauro. Perché la SCI non dialoga in modo incisivo con i mezzi di informazione? In questa situazione mi sembra che l’Associazione dovrebbe pronunciarsi con autorevolezza!

    • ottimo! nessuna sostanza deve suscitare allarme se trattata in modo adeguato da persone COMPETENTI, coscienti e che conoscono bene quello che stanno maneggiando.
      Come mi mancano gli articoli di Fochi et al. della C&I sulle stupidaggini scritte sugli organi di stampa!!
      Spero tanto che la SCI diventi sempre più un riferimento d’elezione per i responsabili della politica, dell’amministrazione pubblica e dei mezzi di informazione.

      • Il rapporto diretto con la stampa e con i giornalisti è spesso molto difficile, quando si toccano argomenti come questi. La logica dello scoop giornalistico, che rende il titolo roboante, il più delle volte prevale sull’analisi attenta dei fatti.

        Due esempi concreti e recenti:
        – il 27 novembre scorso a Milano e’ stato organizzato dalla Sez. Lombardia della SCI (e con il patrocinio del Gruppo di Lavoro di Chimica ed Etica, sempre della SCI), una giornata di studio su Rischio, Scienza e Responsabilità, dove sono stati trattati anche gli argomenti correlati alle armi chimiche, con la testimonianza diretta del Prof. F. Trifirò, membro del Comitato Scientifico dell’OPCW, nonche’ direttore della nostra rivista societaria, La Chimica e l’Industria. Gli organizzatori hanno invitato, non solo in modo generico, ma anche in maniera diretta e personale una serie di gionalisti scientifici e di cronaca, che si sono sempre occupati di armi di distruzione di massa sulle principali testate nazionali. Nessuno si e’ presentato, su un totale di piu’ di 250 partecipanti.
        – lo scorso venerdì 17 gennaio, è giunto a Bologna, presso l’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, il Direttore Generale dell’OPCW, Amb. Ahmet Üzümcü, per ritirare un prestigioso premio conferito dall’Accademia e per presentare una breve relazione sulla recente attività dell’Organizzazione nell’ambito del disarmo chimico mondiale. Anche in questo caso, gli organizzatori (tra cui molti membri SCI) hanno invitato la stampa locale e nazionale, prevedendo che questo incontro pubblico potesse aiutare a far luce sulle “mezze verità” e sulle false ipotesi relative allo smaltimento dell’arsenale siriano. Ebbene, anche in questo caso, nessun giornalista ha raccolto l’invito.

        La SCI si può anche porre o proporre come punto di riferimento competente per aprire dibattiti equilibrati e interdisciplinari su tematiche di questo tipo (armi chimiche, fitofarmaci, inquinamento e bonifiche, rischio industriale, ecc.), ma temo che non vi sia peggior sordo di chi non vuol sentire ….

  3. Molto opportune e interessanti le informazioni fornite dal dr. Della Volpe. Mi permetto di aggiungere che probabilmente si tratta, almeno in buona parte, di iprite. Infatti sul sito dell’OPCW (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons), che gestisce l’operazione, compare la seguente notizia: “The Government of the Federal Republic of Germany has confirmed to the OPCW that it will dispose of 370 metric tonnes of effluent to be generated by the hydrolysis of Syria’s stock of mustard gas aboard the U.S. vessel MV Cape Ray”.

  4. Gli interventi tempestivi ed esaurienti di Claudio ci consentono di rileggere in modo più obiettivo e attento le notizie che quotidianamente giungono dalla stampa nazionale o internazionale e di ciò lo ringrazio.
    In particolare, nel suo intervento ha sottolineato un dettaglio importante che, in genere, viene trascurato. Un’arma chimica viene definita tale quando vi è l’insieme combinato e sinergico dell’aggressivo chimico tossico e del suo sistema d’arma (proietto d’artiglieria, apparato diffusore o artificio pirotecnico). Questo specifico abbinamento fa sì che, tra le migliaia di sostanze altamente tossiche, solo poche decine siano adatte a diventare “armi chimiche” di uso bellico.
    Nella dismissione di arsenali, la parte relativa al sistema d’arma vero e proprio viene disattivata e rimossa, lasciando da parte solo la “carica speciale” di aggressivo. In più, come sottolineato da Claudio, nel caso degli aggressivi anticolinesterasici (i “nervini”) la carica di missili o proietti è quasi sempre binaria, cioè contenente due precursori a tossicità ridotta che solo dopo il momento del lancio si mescolano a dare “in situ” (o meglio “in volo”) l’agente tossico bellico. Tutto ciò fa sì che l’ “efficacia letale” complessiva di queste sostanze sia in realtà minore rispetto alle armi chimiche propriamente dette, nella loro interezza. Se poi il trasbordo a terra dovesse riguardare, come appare dalle dichiarazioni dell’OPCW, solo i prodotti e sottoprodotti finali dell’idrolisi e non gli aggressivi tal quali, il rischio legato alla tossicità intrinseca delle sostanze portebbe essere ancor più contenuto.
    Se gestito con le debite precauzioni e con la giusta competenza e consapevolezza, un trasporto di questo tipo può non essere più rischioso delle centinaia di trasporti di materiali esplosivi, tossici, radioattivi o cancerogeni che già ogni giorno si svolgono nel nostro Paese per finalità commerciali.

  5. Tutto giusto e chiaro dal punto di vista tecnico. Ma sorge il dubbio sulla gestibilità di queste sostanze. Mi spiego meglio. In un’area a fortissima densità ‘ndranghetista, dove, per come si legge dai rapporti delle forze dell’ordine, il porto stesso è un’emanazione della criminalità organizzata, il passaggio di armi chimiche suscita il forte sospetto che questi precursori non vengano completamente trattati, ma che possano essere celati per essere rivenduti sul mercato delle armi. Ruolo così congeniale a tali associazioni criminali, in combutta con servizi e governi tutt’altro che onesti. Chiaro che qui si debba dibattere di scienza. E viene fatto con lodevole chiarezza e competenza. Ma il punto serissimo, anche per le popolazioni locali, che potrebbero vedere occultate dette sostanze in chissà quale cava o terreno, è proprio quello della fattibilità di un’operazione tanto delicata in un territorio a sovranità limitata.

  6. se TUTTI i contenitori finiranno sulla nave laboratorio americana, come sosteneva il prof. Trifirò venerdì mattina a RADIO 3, credo non ci sia nessun pericolo per nessuno. Certo occorre vigilare!

  7. peccato che lo specchio d’acqua prescelto non sia un “mare aperto”, ma un “mare chiuso” ovvero il nostro Mediterraneo, tra le coste greche, libiche e maltesi, ovvero l’anello debole della nostra Europa, e che la stessa operazione approdi ad un porto di trashipment e civile (Gioia Tauro) e niente affatto specializzato in operazioni del genere. Se è un’operazione così sicura, perchè la nave americana non va direttamente in Siria a prelevare il materiale sequestrato?

    • Pino forse non è chiara una cosa: mi ripeto: l’idrolisi NON avviene nell’acqua del mare; ma in un reattore CHIUSO; il mare è solo un comodo e ampio spazio di sicurezza, NON una pattumiera; cosa c’entrano le dimensioni del mare visto che non si tratta di scioglierci dentro NULLA? i prodotti delle reazioni di degradazione saranno poi smaltiti in terraferma; ancora una volta cosa c’entrano le dimensioni del mare? ste cose stanno solo nella teste dei giornalisti (ignoralisti) alla ricerca di qualche scoop fasullo

      • Sia i metodi di abbattimento (nel caso di smaltimento di un arsenale esistente) sia di decontaminazione (come nel caso di decontaminazione sul campo di persone, oggetti o terreno) si basano su due principi: idrolisi e ossidazione.

        Nella fattispecie di smaltimento di organosolfuri (vescicanti) e organofosforati (nervini), ci si affida all’idrolisi in soluzioni acquose fortemente alcaline (NaOH o KOH, tipicamente) e alla degradazione ossidativa con soluzioni ossidanti (di solito contenenti ipoclorito di sodio o di calcio). L’idrolisi acida non è di solito consigliabile, perché é meno versatile e meno efficace con alcuni agenti; alcuni nervini, come il VX, ad esempio (il più letale della classe degli anticolinesterasici), sono stabili fino a pH 0, mentre si degradano rapidamente sopra pH 12. I due passaggi di idrolisi + ossidazione possono essere anche combinati per accrescere l’efficacia di abbattimento.

        Dal punto di vista dei prodotti “finali”, se il processo di degradazione è completo, si ottengono solfati o fosfati inorganici, rispettivamente per le mostarde vescicanti e per i nervini, accompagnati da un’ampia serie di composti organici semplici, quali acetati, sali di acidi mono- e di-carbossilici, fino a CO2. Alcuni problemi possono aver luogo se il processo di degradazione non è completo; talvolta i sottoprodotti intermedi parzialmente ossidati e/o idrolizzati possono essere altrettanto tossici quanto gli agenti iniziali. Ad es., partendo dall’iprite, il relativo solfossido è pressoché innocuo, mentre il solfone (ancor più ossidato, ma non degradato) ha una tossicità paragonabile a quella dell’iprite di partenza. A questo punto, è importante far di tutto affinché la degradazione vada completamente ai prodotti finali semplici. Per fare ciò si usano larghissimi eccessi di alcali e/o di ossidanti; da qui la necessità di grandi volumi e di grandi spazi … e di grandi navi-cisterna.

        Come si vede, dunque, i processi di degradazione sono concettualmente molto semplici e non differiscono molto da quello che si faceva già alla fine della Prima Guerra mondiale. Le maggiori sfide stanno nel controllo analitico dei prodotti, sottoprodotti e contaminanti residui (anche in tracce) e richiedono conoscenze, capacità e strumentazione analitica all’avanguardia.

        Per qualche informazione in più su questi temi suggerisco:

        La rassegna relativamente recente
        Kim et al., Chem. Rev., 111 (2011) 5345-5403

        o il testo (che era stato anche recensito nel numero 93(9) de La Chimica e l’Industria)
        Analysis of Chemical Warfare Degradation Products, Wiley, 2011, ISBN 978-0-470-74587-8
        (consultabile in parte su Google eBooks)

        Come commento finale, è importante ricordare che, a livello internazionale, l’attività di smaltimento di arsenali chimici non è certo iniziata con la vicenda siriana, visto che negli ultimi due decenni quasi tutte le maggiori nazioni industrialmente evolute hanno dovuto abbattere tonnellate di agenti chimici bellici immagazzinati dai tempi della Guerra Fredda o, come nel caso dell’Italia, dai tempi della Guerra d’Abissinia. Per cui, nihil sub sole novum … nemmeno sul suolo del nostro paese.

        Detto questo, mi associo pero’ ai commenti di molti colleghi: la viglianza non è mai troppa, soprattutto quando queste cosa vengono date in mano, a tutti livelli, a non chimici!

    • Condivido l’osservazione e la domanda: perché la nave americana non va direttamente in Siria?

      Al momento comunque resta ferma nella mia convinzione che i prodotti chimici devono essere ben conosciuti, trattati con competenza e trasformati in qualcosa d’altro di utile. D’altra parte questa è proprio lo specifico e affascinante mestiere del chimico!!!

      • non so rispondervi ESATTAMENTE, Silvia e Pino, ma logica vuole che uno non mandi una nave contenente una attrezzatura delicata direttamente in zona di operazione militare; che io sappia dalle notizie della rete la nave danese Ark Futura trasporterà 60 container con 560 tonnellate di armi chimiche e farà da spola fra il sito siriano e il porto italiano dove una nave americana (ce ne sono solo due credo) attrezzata prenderà direttamente il carico, lo trasformerà lontano dalle coste e poi smaltirà i sottoprodotti; per quanto riguarda tali prodotti della degradazione ci sono vari documenti per esempio questo che linko: http://www.dtic.mil/dtic/tr/fulltext/u2/a327936.pdf, che fa vedere che la degradazione produce materiali che si possono smaltire, con maggiori o minori precauzioni.

  8. Le armi chimiche della Siria sono l’ennesima trovata Americana per giustificare un azione contro uno Stato ostile.
    Fosse la prima volta che accade, non direi così!

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