Profumi

 Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Gianfranco Scorrano, ex Presidente della SCI

Il ruolo degli odori nello sviluppo di attività e sentimenti, nonchè la (spesso) inconsapevole sapienza chimica necessaria per svilupparle, è stato già accennato in precedenti post (vedi ‘Na tazzulella ‘e cafè!. e L’odore dei libri).

Vorrei riprendere il discorso a partire da una riflessione di Marcel Proust nell’opera Alla ricerca del tempo perduto (1913):

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Quando di un antico passato non sussiste niente, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più intensi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore restano ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto, a reggere, senza piegarsi, sulla loro gocciolina quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo.

L’odore è il senso essenziale per l’uomo fin dai primordi, per la propria difesa da aggressori così come per ritrovare le sorgenti di cibo. E secondo Proust permane tale anche dopo la morte.

Così non è sorprendente il culto per il profumo sviluppatosi già fin dalla fine del IV millennio a.C. come testimoniato dai ritrovamenti nelle tombe egizie predinastiche di cosmetici, profumi, e ingredienti per la loro preparazione. Invenzione egizia è anche quella della boccetta porta profumo, l‘Alabastron, piccolo vaso di alabastro che conservava al fresco e al buio preziosi oli profumati. Molti di questi contenitori sono stati ritrovati nelle tombe, in Egitto e nelle zone del mediterraneo, e sono chiara

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Figura 1. Alabastron corinzio, alt. ca. 8 cm

indicazione della diffusione dell’uso dei profumi. Dall’Egitto l’uso dei profumi si estese all’area mediterranea e ebbe particolare sviluppo nella Grecia antica: qui nacque e operò Teofrasto (nato ca 317- morto 287 a.C.) il quale scrisse, con l’aiuto di interviste a molti venditori di profumi, il trattato De Odoribus, un opuscolo di 71 brevi capitoli (di cui gli ultimi due lacunosi).

Nei primi sei capitoli il filosofo si sofferma sull’origine degli odori, sugli odori di animali e piante e sulle differenze di animali e piante. Evidenzia la difficoltà di definire gli odori (e la necessità di prendere in prestito dagli altri sensi aggettivi adatti a definirli: piccanti, forti, deboli, dolci, pesanti). Rivolge quindi la sua attenzione alla lavorazione delle spezie e alla creazione di oli, vini e polveri profumate: da qui si rivela la rilevanza storica di quello che deve essere considerato il primo manuale di profumeria antica, ampiamente utilizzato in seguito sia da Plinio il vecchio (Nato nel 23 dC morto a Stabia nel 79 dC durante l’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei e altre città vicine) e da Ateneo di Nacrauti (vissuto dopo il 192 d.C.) quando parla di profumi nel libro I dotti a banchetto libro XV.

Nei capitoli successivi Teofrasto parla del solvente nel quale andavano sciolte le sostanze odorose: acqua, vini ed oli, con minima profumazione, in particolare olio di balano (quercia), di olive selvatiche, di olive e di mandorle amare. L’estrazione delle essenze dalle spezie avveniva attraverso la bollitura in acqua, o la macerazione in olio freddo o caldo: la scelta dei solventi era limitata, così come le operazioni di estrazione condotte con competenze diverse da quelle dei moderni operatori; si trattava comunque di estrazione con solvente.

Ma quali sostanze venivano adoperate per creare profumi? C’è da sbizzarrirsi. Oltre alle piante floreali, venivano trattate molte sostanze derivanti da animali. Vedremo dopo in qualche dettaglio.

Ma prima riflettiamo sulla divisione fatta nei tempi della parte odorosa dei profumi. Furono presto identificati nei profumi tre componenti, rappresentati anche in tempi moderni come si vede dallo schema seguente

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L’odore che proviene da un profumo può essere diviso in tre stadi: le note più alte del profumo vengono dette “note di testa” e sono quelle che si percepiscono subito e che per prime impressionano chi le prova; sono le essenze più volatili, spesso essenze agrumate o fruttate come limone o bergamotto.

Le note medie, “le note di cuore”, rappresentano la parte più caratterizzante del profumo: per esempio l’olio di rosa o l’essenza di gelsomino. Infine le “note di fondo” , quelle provenienti dalle sostanze meno volatili e che emergono dopo le note di cuore, almeno mezz’ora dopo l’applicazione.

Prendiamo ad esempio l’ambra. L’ambra grigia è un prodotto dell’intestino dei capodogli, Physeter macrocephalus: questi cetacei ingeriscono i calamari giganti, l’affilato becco dei quali può divenire una minaccia per l’apparato digerente della balena. L’ambra è una particolare secrezione biliare che riveste tali scarti alimentari, facilitandone l’espulsione. Il materiale espulso è soffice e galleggia e col passare dei mesi e degli anni in mare si trasforma in una massa cerosa del colore grigio, nerastro e anche l’odore diventa caldo, dolce marino e terroso. Naturalmente, dare la caccia ai pochi capodogli rimasti rende difficile accedere all’ambra.

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I tempi ora sono cambiati. Cosa è successo? Nel diciannovesimo secolo la tecnica chimica ebbe un grande sviluppo e per la prima volta divenne possibile estrarre gli ingredienti attivi dalle loro sorgenti naturali usando solventi organici a temperatura ambiente. A seguire, nella seconda metà del diciannovesimo secolo, i chimici cominciarono ad esplorare la sintesi organica come sorgente per riprodurre gli odori naturali. Nel 1868 il chimico inglese William Henry Perkin William_Henry_Perkinpreparò la cumarina (odore di fieno)* aprendo così la strada alla sintesi di un numero impressionante di odori, sollevandoci dal problema di inseguire i capodogli e gli altri animali portatori di odori.

Ora, se si vuole riprodurre l’odore dell’ambra si può ricorrere, tra l’altro, ai due composti seguenti:

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Ovviamente, per tutti gli odori finora noti, è possibile partire dai prodotti di sintesi per realizzare profumi.

Un’ultimo cenno: molti anni fa ho assistito ad un colloquio tra un produttore di aromi ed una signora, professoressa. L’argomento consisteva, da parte della signora, nel confutare quanto affermato dal produttore: e cioè che lui realizzava sinteticamente in laboratorio il profumo delle mele, completamente uguale a quello ricavabile dalla frutta. La signora non era convinta, neanche quando le si spiegò che, in questi anni, è possibile essere certi dell’uguaglianza di due composti e quindi se il profumo delle mele deriva dall’ etil isobutirrato prodotto in fabbrica o da quello prodotto in natura non fa differenza.

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etil isobutirrato

Ovviamente la signora credeva che quello naturale fosse migliore. Purtroppo il lavoro dei chimici non viene apprezzato come sarebbe doveroso: quante piante di mele sarebbero state usate per preparare le saponette alla mela?

Molte delle informazioni sono ricavate dal libro

I profumi delle società antiche, Pandemus, Paestum 2012, a cura di Alfredo Carannante e di Matteo D’Acunto

Le maggiori compagnie mondiali del settore sono riunite nell’ IFRA (International Fragance Association) che attraverso la RIFM (Research Institute for Fragance Materials) emette raccomandazioni sull’uso di prodotti sintetici per cosmesi. Ovviamente anche REACH ha a che fare con la registrazione dei cosmetici e affini.

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* La cumarina

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e

l’esanale 200px-Hexanal

sono entrambe caratteristiche molecole presenti nell’odore dell’erba appena tagliata.

Si veda anche: http://www.rescogitans.it/main.php?articleid=354

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