Referendum 17 aprile. (1.parte): Perché dobbiamo dire NO alle trivelle .

E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements

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(questo è il primo di una serie di articoli sul referendum del 17 aprile, ne seguiranno altri)

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Vincenzo Balzani

vincenzobalzaniUniversità di Bologna, coordinatore del gruppo energiaperlitalia.it

Con l’avvicinarsi del referendum sulle trivellazioni, la lobby del petrolio si è fatta sentire con un apocalittico articolo del professor Alberto Clò su formiche.net, intitolato “Ecco gli effetti nefasti del NO alle trivelle”.

albertoclò

Clò parte da lontano. Sostiene che la vittoria del NO al rientro dell’Italia nel nucleare ha causato “la distruzione di un’intera industria – quella elettromeccanica – che contava decine e decine di migliaia di occupati, un gran numero di ingegneri, eccellenti capacità manifatturiere, un sapere scientifico e accademico tra i primi al mondo”. E aggiunge: “Con la vittoria dei NO-TRIV avremmo il medesimo risultato: la distruzione di un’altra industria italiana”.

E’ vero, la storia si ripete, ma le conseguenze sono state, sono e saranno ben diverse da quelle indicate da Clò.

Nel giugno 2011, dopo il referendum sul nucleare, importanti esponenti politici e le lobby interessate sostennero, come ripete oggi Clò, che l’Italia aveva “perso il treno”. I fatti, invece, hanno dimostrato, anche se qualcuno non se n’è ancora accorto, che rinunciare al nucleare è stata una scelta saggia e lungimirante. Grazie a quella scelta non produciamo scorie radioattive, che non sapremmo dove mettere, non rischiamo disastri e non siamo impantanati nella costruzione di centrali che avrebbero richiesto tempi e investimenti economici fuori controllo, come dimostrano gli esempi di Olkiluoto e Flamanville. Per contro, il NO al nucleare ha reso possibile il decollo delle energie rinnovabili: il fotovoltaico produce oggi una quantità di energia paragonabile a quella che avrebbero generata due reattori nucleari che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero stati pronti nel 2025.

La storia, appunto, si ripete. Alcuni esponenti del Governo e la lobby del petrolio sostengono che rinunciando allo sfruttamento delle riserve di combustibili fossili, per altro molto marginali, perderemmo un altro treno. Anche in questo caso, però, si tratta di un treno vecchio, che causa danni dove passa e che è destinato ad arrestarsi in un futuro non troppo lontano. Meglio quindi dedicare tutte le nostre forze per salire sul treno giusto, il treno del futuro, quello delle fonti rinnovabili. Ormai tutti dovrebbero aver capito, dopo i numerosi moniti degli scienziati, la conferenza Cop21 di Parigi e l’encliclica Laudato sì di papa Francesco, che la cosa più urgente da fare è custodire il pianeta. Solo una rapida transizione dall’uso dei combustibili fossili a quello delle fonti rinnovabili può risolvere la crisi energetico-climatica. E’ una transizione già in atto, un processo inarrestabile dal quale il nostro Paese può trarre molti benefici perché siamo all’avanguardia nel manifatturiero, un settore chiave per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Si tratta di un vantaggio che, assieme alle abbondanti fonti rinnovabili di cui disponiamo e alle ottime prospettive di mercato in campo internazionale, ci permette di guardare al futuro con serenità.

Ecco, allora, che il referendum sulle trivellazioni del 17 aprile ha un significato che va ben al di là del contenuto dei suoi singoli quesiti. Si tratta, nientemeno, di dare un senso al futuro per quanto riguarda clima, ambiente ed energia.

13 pensieri su “Referendum 17 aprile. (1.parte): Perché dobbiamo dire NO alle trivelle .

  1. Sottoscrivo pienamente l’articolo di Vincenzo Balzani. Segnalo che un paio di giorni fa la televisione italiana ha trasmesso un’appassionata presentazione della diga idroelettrica di Entracque, prov. Cuneo, Piemonte, la maggiore d’Italia e in assoluto una delle più potenti in Europa.
    Non capisco perchè l’idroelettrico sia un settore apparentemente dimenticato nella discussione sulle fonti di energia rinnovabili. Desidero ricordare che, in tema di energie rinnovabili, la prima giunta regionale piemontese negli anni ’70 promosse, a cura dell’assessore Gianni Alasia, uno studio sulle possibilià di ampliare il settore idroeletrico in regione. Non so che fine abbia fatto quel progetto.

    Giuseppe Della Gatta

    • Sig. Della Gatta l’idroelettrico non viene considerato perché in Italia oltre ad essere già sfruttato ampiamente è il più difficile da ampliare perché nuove autorizzazioni sono estremamente difficili da ottnere. Pensi che anche il microidroelettrico è osteggiato da NIMBY e ambientalisti ultraradicali.

  2. L’Articolo contrappone il nucleare anni ’80 con le rinnovabili contemporanee…cosa c’entrano? Il vero esito del referendum fu un enorme incremento della dipendenza energetica dal nucleare oltralpe (spesso a distanza trascurabile dai confini), l’incremento delle fonti termoelettriche con spargimento di centinaia di migliaia di tonnellate di CO2 mantenendo i costi passivi per la gestione del nucleare già esistente e nn più produttivo. Le rinnovabili in Italia si sono sviluppate in Italia in ritardo rispetto ad altri paesi che usano anche il nucleare a forza di incentivi spalmati sulle bollette. La portata reale di questo referendum è ridicola data l’esiguità delle nuove autorizzazioni (come l’articolo stesso dice), per cui la valenza è solamente politica circa l’ennesima questione ambientale affrontata in modo esclusivamente ideologico. Sulla valutazione dei rischi mi chiedo se l’autore abbia mai viaggiato in aereo.

    • ing. Buffa penso che lei confonda i due referendum antinuke; Vincenzo si riferisce a quello del 2011 non a quello del 1987; l’effetto del 1987 a cui lei allude è altamente esagerato, perchè importiamo anche idroelettrico dalla Svizzera come ho raccontato nei 5 post sulla storia dell’energia elettrica italiana in questo blog; e comunque la Francia ci esporta l’eccesso notturno di un sistema nucleare non solo altamente militarizzato ma anche rigidissimo, i reattori non si possono mettere in attesa.

  3. Ritengo che articoli come questo, che prende posizione su una questione sottoposta a rederendum, siano utili ma vadano posti in una rubrica apposita, non nel blog. Secondo me il blog dovrebbe porre posizioni che, almeno tendenzialmente, riflettano il punto di vista dei chimici su questioni di ogni tipo, e siano quindi condivise dalla grande maggioranza dei chimici. La questione posta dal referendum è invece suscetibile di risposte diverse, nessuna delle quali può invocare la Chimica in quanto scienza a sua giustificazione. Personalmente sono di opinione opposta a quella di Balzani, ma proprio per le ragioni dette prima, non ne starò a discutere in questa sede.

  4. Buongiono a tutti,
    il tema delle trivellazioni credo non sia liquidabile sotto un punto di vista strettamente scientifico. Per quanto il tema delle rinnovabili sia fondamentale per lo sviluppo futuro, credo che prima di barrare si o no nella cabina elettorale bisogna anche considerare altri due fattori, di cui spesso all’università ci si scorda.
    1- L’attività estrattiva genera posti di lavoro sia direttamente che nell’indotto. Sapete bene che la maggior parte del personale che perderebbe il lavoro faricherebbe a trovarne un altro. Non è vero che queste persone verrebbero impiegate nelle rinnovabili perchè molti di loro sono operai o periti specializzati nel settore, spesso troppo avanti nell’età per poter ricominciare da zero.
    2- Chiudere le estrazioni significherebbe maggiore dipendeza dall’estero. Con tutte le implicazioni politiche del caso.
    Con questo commento non intendo schierarmi per il si o per il no, perchè io stesso mi trovo in difficoltà nella scelta. Ma chiedo che il tema sia affrontato in modo più approfondito, ascoltando diversi punti di vista obiettivi e minimizzando le prese di posizione, in modo che ognuno possa farsi un’idea in base alla propria coscienza e non dettata dalle prese di posizione. In fondo è questa la democrazia, no? Informarsi per poi scegliere.

    Potrebbe essere interessante pubblicare sulla rivista ufficiale della SCI uno o più articoli che affrontino il tema con obiettività in modo che ci si possa fare un’idea più ampia della situazione.

    Grazie

    Andrea M, Chemistry PhD student, Unibo

    • La prima cosa che mi viene in testa leggendo l’intervento di Andrea è che accusa di fatto me e Vincenzo di non essere obiettivi, come se l’obiettività consistesse nel NON prendere posizione; se fosse così i giudici quando condannano qualcuno riconoscendo in base ai fatti che ha commesso un reato non sono obiettivi?
      L’obiettività di Andrea mi appare limitata:
      1) l’industria estrattiva è una industria ad altissima intensità di capitale e quindi il numero di persone interessate alla chiusura nel corso dei prossimi 10-15 anni di una ventina di zone estrattive (perché di questo si tratta) è limitata e diluita nel tempo; come è avvenuto per altre industrie si potranno certamente riciclare nell’industria metalmeccanica; il ricatto del lavoro non può impedire di cambiare politica energetica, d’altronde non mi pare che l’industria si sia mai fermata rispetto alle chiusure in questi ultimi 20 anni e per motivi molto meno nobili di salvare il pianeta; ribadisco che si tratta di un ben limitato ricatto dato il numero ripeto molto limitato delle trivelle interessate; non stiamo parlando di chiudere TUTTE le iniziative estrattive ma solo una piccola parte come ho cercato di spiegar nell’articolo ; pregherei Andrea di leggere con attenzione
      2) la dipendenza dall’estero riguarda la quasi totalità dell’impiego di fossili; stiamo parlando di 1-2% del totale dell’energia impiegata e in soldoni di 50 milioni di Royalty; valori molto piccoli; una riduzione di questa entità è comunque da fare per seguire le indicazioni di COP21; non si tratta di sostituirli con fossile dall’estero si tratta di ELIMINARE questi consumi, sostituirli con le rinnovabili, quindi il problema del mercato estero non si pone se si fanno le cose bene; il clima e il riscaldamento climatico se ne fregano della nostra “obiettività” vera o presunta e anche dei posti di lavoro
      Noto di passaggio che quando il governo ha bloccato la nascente industria FV italiana cambiando all’improvviso le decisioni prese qualche anno prima nessuno ha protestato a parte gli interessati. Adesso invece vedo molti difensori dei lavoratori (o forse della logica di profitto di chi estrae?)come mai?

      • Grazie per la risposta.
        Chiedo scusa, non volevo accusare nessuno di non essere obiettivo, forse mi sono espresso male e dovevo porre i due punti come domande più che come affermazioni, perchè di questo si tratta. Per il resto ho solo espresso il bisogno di essere informato, il tema dell’obiettività, l’ho tirato in ballo perchè si sentono troppe voci venire da ambienti più disparati, non metto in dubbio la scientificità dei commenti fatti in questa sede.
        Ad esempio il commento del prof Balzani mi sembra obiettivo, ma vorrei sentire anche le controparti per farmi un’idea completa, tutto qua. Quello che ho scritto riguarda la mia esperienza nel mondo del lavoro, confrontata con quello che ho visto e sentito nell’università e può effettivamente essere una visione limitata. Commenti come il suo possono essere utili per fare si che persone come me riescano ad avere un quadro più completo e ragionare sulla questione. Quello che mi piacerebbe è che vengano organizzati, come ho scritto, in una rivista ufficiale, in modo da essere sottoposti a revisione per poi essere diffusi a persone che del settore non sono esperte. Come dice lei, la scientificità è questione di prove e queste io vorrei vedere. Non solo quelle scientifiche, ma anche quelle di imaptto sociale.

      • Andrea nessun problema; personalmente sono aperto a chi vuole contribuire sul tema; come avrai visto ho invitato Gustavo Avitabile a fare un post e invito anche Ballardini e chiunque voglia a scrivere cose documentate a mandare un post; tieni presente che il tentativo del governo Renzi e quello delle aziende interessate è di usare la non partecipazione come risposta negativa; spero non ci riescano. Quanto alle riviste un articolo con peer review ha ormai tempi così lunghi rispetto al tempo rimasto che sarebbe difficile veramente pubblicarlo, ma un dibattto franco e aperto è possibile; chi vuole scrivere si faccia avanti; al massimo si beccherà qualche critica.

  5. Tutti noi conosciamo persone che non prendono l’aereo per paura di precipitare con esso: un rischio che oggettivamente esiste. Si precludono la possibilità di visitare paesi e fare esperienze che solo quel mezzo di trasporto consente. Come in tutte le cose umane c’è da contrapporre i rischi ai benefici. Se mi si prospetta di vedere il mare di san Domino e san Nicola appestato di greggio certo inorridisco, come inorridirei ad immaginare il mio corpo in pezzi in un incidente aereo. La risposta al quesito referendario dovrebbe essere razionale, di bilancio tra rischi e benefici; il dibattito mi sembra inevitabilmente trasferito nella sfera emotiva e questo come chimico non mi piace. Le fonti rinnovabili sono spesso ” l’oro degli allocchi” per restare in terminologia chimica, bisogna essere onesti in questo; d’altra parte i contraccolpi ambientali dell’eolico ma anche del fotovoltaico sono stati a lungo sottovalutati.

  6. Personalmente non conosco nessuno che rinunci ad usare l’aereo per paura dell’incidente. Ma ne ho sentito parlare. Ma questo è un altro discorso. L’idea che si definisca “l’oro degli allocchi” le rinnovabili per poi chiamare alla razionalità i chimici è risibile. Si deve essere onesti? Allora si dovrebbe parlare quando si sa di cosa si parla. Le rinnovabili sono tecnologie funzionanti e affidabili le cui prestazioni possono solo migliorare e sulle quali dovremmo investire tutte le nostre forze dato che sono l’unica via attraverso la quale si può uscire dal cul de sac fossile. L’EROEI delle fonti fossili possono solo declinare quello delle rinnovabili è costante o in crescita. I costi sono falsati dal fatto che nella stima dei costi delle fossili non sono conteggiati montagne di sussidi incluso ovviamente il sussidio ambientale. Il ricorrente richiamo alla stima costi benefici è uno degli strattagemmi per far passare quello che si vuole. Non si sa mai chi dovrebbe farle queste stime e con quali modelli. A chi le facciamo fare queste stime? Al governo? Alla IEA che è ostaggio dei governi? All’ENI? Ce le facciamo in casa? La frase suona vuota senza specificare le modalità con cui si fanno le stime e i soggetti terzi (se esistono) in grado di farle. Abbiamo esempi preclari di stime costi/benefici sballate in molti campi, ad esempio nelle grandi opere dove regolarmente si sovrastimano i benefici e sottostimano i costi ex-ante per poi scoprire ex-post che l’impresa era in perdita. L’appello alla razionalità del chimico, e dello scienziato in generale, è fuoriluogo in quanto è chiaro che gli scienziati partecipano alla vita pubblica con il loro bagaglio culturale le loro opinioni e quanto sanno di scienza può, almeno in questo contesto, essere usato in una o nell’altra direzione. A meno che non si voglia dire che chi vota SI sia, per definizione, irrazionale e segua le proprie emozioni invece della ragione.

  7. Caro Pardi, non ho le idee chiare come le ha lei, però so di certo che in una discussione non si attribuisce all’interlocutore cose che non ha scritto, ovvero omettere l’avverbio “spesso” riferito da me alle fonti rinnovabili. Chiarisco con due esempi: navigando nella letteratura scientifica, anche più autorevole, si trova chi millanta di combattere i livelli di CO2 consumando questa molecola come base per una chimica sostenibile. Oro degli allocchi, secondo me. Poliesteri a catena idrocarburica lunghissima che dovrebbero rimpiazzare il politene? Oro degli allocchi. Tornando alle trivelle è possibile avere dati statistici su incidenti e sversamenti? Degli aerei sappiamo quanti ne cadono e assumere una scelta ragionevole sul rischio del volo; credo si debba fare così. Di certo voterò al referendum, non so ancora come, me lo dirà la testa non la pancia.

  8. posso condividere alcuni ori degli allocchi, forse non tutti; ciò che non condivido è che qua sul blog l’aspetto inquinamento da trivelle non è stato sviluppato almeno non ancora; qua si è parlato prima di tutto di clima ed energia; i motivi spicci per votare SI sono due 1) il clima sta cambiando per colpa nostra (uso dei fossili) e ci siamo impegnati a Parigi a ridurre le emissioni del 20% in 15 anni; 2) produciamo gas e petrolio di scarsa qualità e alto costo relativo che ci copre una piccola percentuale dei consumi; se chiuderemo nei prossimi 10 anni le circa 20 zone estrattive coperte dal referendum faremo solo 1/10 di quanto abbiamo promesso a Parigi (: ridurremo i consumi dell’1-2%); POI, solo poi c’è da dire che le trivelle inquinano che falso non è ma non è il centro; spenderemo 350 milioni in un giorno per decidere se continuare ad avere 50 milioni di utili all’anno dalle 20 zone; il resto va a chi scava; aggiungo che i posti di lavoro relativi sono dell’ordine di 2000, (100 a zona di trivellazione più o meno) e sono diluiti in 10 anni; se sviluppiamo le rinnovabili avremo 20.000.200.000 posti e quando i governo ha agito per rendere difficile la vita al fotovoltaico danneggiando migliaia di imprese non ho sentito alti lai se non dagli interessati; io voto SI per questo e direi che la scelta è razionale e di testa.

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