Grandi alberi e foreste secolari.

In ogni parte del mondo, foreste secolari, essenziali per la vita sulla Terra, vengono distrutte per produrre carne bovina, olio di palma, cacao, legname e carta per mercati mai sazi .Una buona notizia viene proprio da uno di questi mercati. I legislatori negli Stati Uniti stanno vagliando nuove leggi di grande impatto per bandire dal Paese i prodotti legati alla deforestazione. Questo potrebbe davvero cambiare le regole del gioco.

Secondo un.lavoro pubblicato dai giapponesi su Environmental Research Letters negli ultimi 70 anni l’azione dell’uomo ha comportato la distruzione  di 437 milioni di ettari di foreste abbattendo il valore pro capite da 1,4 ettari nel 1960 a 0,50 nel 2019.A sostegno della richiesta inversione di politica ambientale rispetto alle deforestazione l’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui cambiamenti climatici) in un recente rapporto ha dimostrato come sia impossibile limitare ad 1,5 gradi il riscaldamento globale senza invertire i ritmi della deforestazione entro il 2030. Fino al 2050, secondo il Rapporto, dovremmo aumentare le aree boschive di 34 milioni di ettari a cominciare dall’ampliamente delle  megaforeste, la Taiga in Russia, la Nuova Guinea, l’Amazzonia, la foresta equatoriale e quella boreale dal Canada fino all’Alaska.

Un concetto a me nuovo che ho visto descritto nel saggio Salvare le Grandi Foreste dall’economista John W.Reid e dal biologo climatico Tommaso E. Lovejoy è quello di  paesaggio forestale intatto.

Questi sistemi occupano un quarto delle terre boschive del nostro pianeta e costituiscono i nuclei meno intaccati delle megaforeste: si tratta di aree prive di strade, reti elettriche, industrie, città per almeno 500 km quadrati.

Negli ultimi 20 anni le attività antropiche hanno ridotto del 10% l’estensione  dei paesaggi forestali intatti. Nel saggio che prima citavo c’è anche una valutazione economica: trattenere il carbonio nelle foreste tropicali costa un quinto rispetto alle spese per la riduzione delle emissioni del settore industriale statunitense o europeo ed è almeno 7 volte più conveniente di fare ricrescere le foreste dopo averle abbattute.

Un ruolo fondamentale nella protezione del verde viene dai due autori del saggio assegnato agli indigeni che agli alberi devono la propria vita e cultura fino a considerarsi con essi un integrale di valori che protegge la stessa esistenza di quelle popolazioni rispetto alla dilagante urbanizzazione.

Oggi parlando di alberi il primo pensiero va ovviamente al loro ruolo per contrastare 

i cambiamenti climatici. Uno studio recente che ha esaminato lo stoccaggio del carbonio nelle foreste dei Paesi del Nord Pacifico ha dimostrato che, sebbene gli alberi con il tronco di diametro superiore ai 50 cm siano solo il 3% del totale, tuttavia sono responsabili del 40% del carbonio stoccato. Lo studio afferma con decisione quanto sia perciò importante la manutenzione delle foreste, soprattutto degli alberi a tronco largo, per consentire loro di continuare a svolgere con efficacia il ruolo attivo nello stoccaggio del carbonio, consentendo di fornire all’ecosistema un sistema di controllo climatico efficace ed economico.

I tronchi larghi sono capaci di stoccare carbonio in modo non proporzionale rispetto a quelli più piccoli. Proprio per questo al fine di proteggere gli alberi con i tronchi più grandi negli Stati Uniti lato Pacifico dal 1994 è addirittura stata promulgata una legge per rallentare la perdita dei vecchi alberi di largo tronco, oggi integrata con alcune proposte finalizzate non solo alla protezione, ma soprattutto alla piantagione di questo tipo di alberi. Esistono anche studi finalizzati a trovare un algoritmo di correlazione fra carbonio stoccato e diametro del tronco e un altro per correlare la diminuzione di carbonio stoccato all’abbattimento/morte di questi alberi, partendo dal dato che metà della biomassa in un albero è costituita da carbonio. Una ulteriore valorizzazione degli alberi quasi a collegarli col mondo della tecnologia avanzata spesso tanto lontano dalla natura, è stata la loro capacità  di ispirare la costruzione di un robot capace di entrare nel terreno grazie a sensori che crescono e si muovono nel terreno come radici. Per studiare il suolo quale migliore strumento della pianta che vi cresce sopra? Le radici infatti per ridurre l’attrito si muovono dalla pianta e arrivano ovunque, riuscendo a rompere anche i terreni più duri, formando reti e ramificazioni alla ricerca dell’acqua.

È così possibile studiare il suolo per migliorare l’agricoltura, riducendo lo spreco di acqua e l’impiego di fertilizzanti, come l’azoto  e il fosforo ,che per quanto utili vanno limitati.

L’ingegnere che ha progettato il robot, Barbara Mazzolai, ha anche ipotizzato che il robot, battezzato Plantoide, possa in un domani divenire uno strumento per indagare il corpo umano, una sorta di endoscopio di nuova generazione, visto che le sue punte non danneggiano i tessuti. Quelle braccia possono anche raggiungere i sopravvissuti ad un disastro o recuperare reperti archeologici in anfratti inaccessibili.

Nota del Postmaster:
ne avevamo parlato anni fa: https://ilblogdellasci.wordpress.com/brevissime/grandi-alberi/

2 pensieri su “Grandi alberi e foreste secolari.

  1. Fin da bambino quando attraversavo il bosco dietro casa rimanevo senza parole guardando le zocche relitte Dei castagni secolari che probabilmente avevano arricchito i miei avi negli ultimi secoli. mio padre sosteneva che erano stati abbattuti per ordine del podestà durante la seconda guerra mondiale allo scopo di dare legna per scaldare la popolazione. piante con diametri prossimi ai 2 m. probabilmente cave, perché così fa il castagno, ma sicuramente plurisecolari.nel esiste ancora una, A cui ormai nessuno fa più manutenzione per cui il grande tronco e ormai circondato da imponenti polloni. un monumento vegetale che mi piacerebbe tantissimo valorizzare

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