Caso Nitrolchimica

Claudio Della Volpe

L’8 settembre scorso è scoppiato un incendio nella fabbrica Nitrolchimica  di S. Giuliano Milanese, un’azienda che dal 1975 si occupa di recupero solventi.

L’incendio è comparso sulle prime pagine dei giornali e se cercate in rete potete trovare facilmente notizie nonostante il tempo trascorso.

Giusto per riassumere da un articolo di Repubblica:

Il fascicolo aperto dalla Procura di Lodi, guidata da Domenico Chiaro, è per incendio colposo e lesioni plurime colpose in violazione di norme sulla sicurezza del lavoro, a carico di ignoti. L’inchiesta affidata al Nucleo investigativo antincendi dei Vigili del fuoco di Milano e ai carabinieri della compagnia di San Donato Milanese dovrà stabilire, da un lato, la causa della prima esplosione, e dall’altro il rispetto delle normative di sicurezza. La Nitrolchimica, fino a ieri mattina, non era inserita tra le duecento ditte lombarde R.I.R. (rischio di incidente rilevante), in gergo “aziende Seveso”: il fantasma della nube che avvelenò l’hinterland milanese nel 1976 aleggia ancora, 30 chilometri più a nord.

Il bilancio temporaneo è di tre operai feriti di cui uno molto gravemente per ustioni, stabilimento completamente distrutto, secondo l’ARPA Lombardia inquinamento sotto controllo.

Ho aspettato un po’ di tempo a scrivere due note anche perché non è facile procurarsi informazioni valide ed utili, informazioni tecniche; nel mentre ovviamente la magistratura fa il suo lavoro però colpisce che a differenza di quanto accaduto con grandi incidenti esteri sia così difficile procurarsi informazioni tecniche sui grandi giornali o altrove; mi ha fatto dunque molto piacere trovare in rete un articolo scritto dal Presidente di Medicina Democratica, una di quelle associazioni famose e importanti quando ero giovane ma che negli ultimi anni hanno perso (ahimè) visibilità nazionale, un articolo denso proprio di quelle informazioni che avrei visto bene sulla grande stampa di inchiesta. Ho chiesto di poterlo riproporre e ne riporto ampi stralci insieme ad altre notizie ricavate dalla stampa. Aggiungerò alcune piccole osservazioni finali.

dal sito di Medicina Democratica a firma del Presidente Mauro Caldiroli

La Nitrolchimica nasce nel 1975 in provincia di Udine con un impianto di distillazione (recupero solventi), nel 1978 si amplia (capacità 5.000 litri/giorno) e si insedia in via Varese a San Giuliano Milanese, negli anni successivi aumenta la capacità di trattamento e nel 1983 ottiene la prima autorizzazione per la gestione dei rifiuti cui seguono, nel tempo autorizzazioni alle emissioni e allo scarico in fognatura. Nel 1984 si insedia nella attuale sede in via Monferrato sempre a San Giuliano Milanese.

La prima Autorizzazione Integrata Ambientale viene rilasciata il 29.10.2007 in “zona cesarini” dei tempi concessi dalla UE per le attività preesistenti alla direttiva IPPC (del 1996) quale impianto per la “eliminazione di rifiuti pericolosi” tramite il riciclo (rigenerazione di solventi, principalmente).

Da questa apprendiamo che la capacità di trattamento autorizzata è passata 20.000 t/a con depositi per poco meno di 1.200 mc (di rifiuti pericolosi e non, solidi e liquidi). Una quota importante delle centinaia di tipologie differenti di rifiuti autorizzati viene solo depositata temporaneamente per il successivo invio a smaltimento.

Tra i rifiuti autorizzati figurano anche soluzioni contenenti più del 2 % di cloro, amianto, PCB e altri rifiuti con sostanze estremamente pericolose e cancerogene.

Il numero impressionante di tipologie di rifiuti autorizzati rispetto alla limitatezza dei sistemi di deposito determina la miscelazione dei rifiuti tra loro anche solo nella fase di deposito temporaneo.

Non si può escludere che l’evento incidentale che ha innescato il tutto sia stata una (involontaria ?) miscelazione tra loro di rifiuti con composizione incompatibile tra loro che ha determinato la formazione di una atmosfera esplosiva, nella fase di essiccamento e/o di distillazione, attivata da un innesco (in quelle condizioni basta una scintilla per sfregamento, per l’impianto elettrico ecc).

L’AIA viene poi modificata nel 2009 e riesaminata (rinnovata) il 19.11.2015 (con una estensione delle aree dedicata a rifiuti infiammabili). La miscelazione ai fini del recupero è esplicitamente citata nella ultima autorizzazione ma nulla si dice esattamente in cosa consista, per quali rifiuti e con quali modalità rimandando a procedure e “ricette” del gestore.

Il gestore ha sempre dichiarato di essere al di fuori degli obblighi della direttiva Seveso (e infatti non è negli elenchi regionali) probabilmente “giocando” tra soglie previste e tipologia di rifiuti (in particolare quelli infiammabili) rispetto a quanto indicato nelle norme in materia e riuscendo a rimanere al di sotto della soglia quel tanto che fosse sufficiente per non incorrere negli obblighi (ovviamente qualcuno avrà “validato” quanto dichiarato dal gestore….).

Anche se la ditta non risulta inserita negli obblighi della “direttiva Seveso” l’incidente è sicuramente rilevante (per le conseguenze sulle persone e per le grandi emissioni di sostanze tossiche dalla combustione dei rifiuti).

Anche se gli impianti sono stati esclusi dalla allora Provincia di Milano dall’obbligo di Valutazione di Impatto Ambientale nel 2009, l’impatto ambientale è stato talmente evidente e importante che evidenziano (perlomeno) una inadeguatezza delle norme o della loro applicazione da parte degli “enti competenti”.

In entrambi i casi sono state perse (dagli “enti preposti”) preziose occasioni per approfondire le attività del sito, valutarne gli effetti (considerando anche le altre attività nelle vicinanze) e individuare prescrizioni rigorose ed efficaci di prevenzione (incluse limitazioni, ad esempio sulla tipologia, le quantità e le modalità di trattamento dei rifiuti).

Le indagini appureranno se tutto era “in regola” (pratica e attrezzature antincendio, valutazione dei rischi in particolare per quanto riguarda la prevenzione della formazione di atmosfere esplosive e sulla esposizione ad agenti chimici e cancerogeni, formazione del personale, attrezzature, impianti e macchine in utilizzo, aspetti organizzativi e gestionali) come pure (ci contiamo !) se gli enti pubblici hanno attuato ognuno la sua parte per quanto riguarda autorizzazioni edilizie, rapporto tra autorizzazioni e realtà produttiva e conseguente vigilanza sugli impianti (Arpa, ATS; Comune; Vigili del Fuoco; Città Metropolitana).

E’ opportuno ricordare che le autorizzazioni (AIA) dal 2007 disponevano un protocollo di autocontrollo (monitoraggio) i cui esiti vanno inviati annualmente, tra gli altri, al Comune come pure le imprese sono soggette a periodiche visite ispettive da parte di Arpa per conto della Città Metropolitana. Qualcuno : cittadini, comitati, associazioni, consiglieri comunali sono interessati a raccogliere informazioni e approfondire ??

Da altri articoli pubblicati su vari giornali apprendiamo che il proprietario della Nitrolchimica, Riccardo Bellato è stato presidente di Assolombarda piccola industria e chimici, che si è sempre lamentato delle eccessive norme, in particolare aveva chiesto procedure più snelle per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale (che comunque la Nitrolchimica ovviamente aveva ottenuto), che si vantava di un fatto apparentemente banale: nella sua azienda non c’erano iscritti ai sindacati, il che vuol dire che per come è strutturata la legge 81/08 sulla sicurezza mancava un anello fondamentale della sicurezza, in quanto l’impianto della legge è basato proprio sul coinvolgimento attivo e la formazione dei lavoratori e il sindacato gioca in questo un ruolo di controllo “collaborativo” ma ATTIVO ineliminabile. Tanto è vero che nelle imprese piccole si ricorre spesso a personale sindacale territoriale per le figure di garanzia previste dalla legge (gli RLS i rappresentanti lavoratori per la sicurezza).

A tal proposito il sindacato chimici ha dichiarato:

Dove il sindacato è presente – ammonisce Fabio Amodio – svolge una funzione fondamentale. I cosiddetti Rappresentanti dei lavoratori per salute e sicurezza ambiente hanno proprio la funzione di verificare, segnalare, controllare, chiedere l’intervento della vigilanza, che nel nostro paese sappiamo essere fatta dall’Ats. Se il sindacato non c’è in un’azienda, rimane solo il rappresentante dell’azienda stessa per la sicurezza e, appunto, è un po’ di parte. Nella tutela della Salute le imprese e il sindacato congiuntamente devono invece stabilire un rapporto virtuoso“.

Una cosa che non mi è piaciuta proprio dell’impostazione dei giornali è poi la narrativa dell’incidente: l’incendio era imprevedibile, c’è stato un errore umano, un operaio ha eroicamente tentato di rimediare ad un suo errore testimoniato da un filmato ma non ci è riuscito, ma l’azienda aveva fatto di tutto, il giorno prima c’era stata una prova antincendio.

Perché questo modo di impostare il problema è sbagliato da parte dei giornali e fa sospettare un gancio lanciato in difesa dell’impresa e, diciamolo, delle istituzioni carenti?

Perché gli incidenti sul lavoro sono tutti di una sola categoria: sono INEVITABILI, è impossibile evitarli, si possono ridurre di impatto e di frequenza ma non è possibile eliminarli; l’errore umano, cari giornalisti, ci sarà sempre ma se ne possono ridurre gli impatti; è un po’ come il terremoto o l’eruzione vulcanica, non possiamo evitarli ma possiamo cercare di ridurre il loro impatto. E per farlo non servono atti eroici, ma occorre coinvolgere i lavoratori, formarli opportunamente e ovviamente partire da una base ben congegnata di strutture antirischio che siano per così dire inscritte nella struttura fisica del luogo di lavoro, che deve superare una serie di controlli periodici e stringenti.

Ora proprio queste cose sembrano essere mancate nel caso in questione; la descrizione dell’impostazione delle attività raccolta nell’articolo di MD non lascia dubbi: c’è qualcosa che non torna nella struttura della fabbrica, come ha potuto tale struttura passare attraverso le maglie della legge Seveso? Forse la sua applicazione non è proprio esemplare? Per esempio i pompieri si sono dovuti fare strada per spegnere l’incendio abbattendo una parete del confine dell’azienda, se ne deduce che non tutti i luoghi erano strutturati in previsione di un potenziale incendio. C’era stata una prova antincendio il giorno prima? Certo ma allora non è paradossale che il giorno dopo ci sia stato un incendio che ha distrutto tutto? Forse mancava qualcosa di basilare, di così grande che nessuno lo ha visto.

Attendiamo le decisioni della magistratura ma nel frattempo facciamo nostre le domande che concludono l’articolo del Presidente di MD:

Ovviamente non solo con riferimento alla Nitrolchimica ma anche per tutte le altre realtà produttive con evidenti situazioni/produzioni pericolose, insomma una “mappa di rischio” territoriale pubblica.

Domanda : come è possibile che Arpa affermi che non vi sono problemi di qualità dell’aria ? La sola presenza di quote significate di rifiuti con elevate concentrazioni di cloro dovrebbe far perlomeno sospettare emissioni (e ricadute) di diossine come già riscontrato in passato nei tanti incendi di depositi di rifiuti anche non pericolosi !

Domanda : come è possibile autorizzare una azienda di limitate dimensioni e capacità di stoccaggio per centinaia di rifiuti con composizioni estremamente diversificate ? Significa incrementare la possibilità di contatto tra sostanze incompatibili tra loro (non sempre conosciute data l’estrema variabilità e provenienza dei rifiuti) che possono innescare sia eventi tossici sia eventi esplosivi come quello che si è verificato. Un evento per questo prevedibile e quindi prevenibile.

Domanda : quale è il contenuto del Piano di Protezione Civile del Comune di San Giuliano Milanese  comunque necessario (per legge) anche in presenza di industrie non incluse nella direttiva Seveso ??

Domanda : qualcuno (la Città Metropolitana di Milano) oltre ad azzerare l’autorizzazione (ci contiamo !) ha provveduto a bloccare la garanzia finanziaria pari a Euro 350.779,14 prevista dall’ultima autorizzazione e ridotta del 40 % per la presenza di certificazione ISO 14001 ?

E ne aggiungiamo una nostra: fino a quando i chimici organizzati in associazione scientifico culturale sopporteranno senza protestare l’uso e l’applicazione distorta della chimica da parte di una certa classe imprenditoriale?

E’ tempo che la SCI si faccia parte ATTIVA sui temi della sicurezza ambientale e del lavoro e che non si aspetti il prossimo incidente per fare qualcosa a riguardo.

Dato che conosco i miei polli aggiungo una osservazione: è vero che Federchimica ha fatto (ma solo da Seveso in poi) un percorso virtuoso di riduzione del rischio NEI GRANDI STABILIMENTI e che gli incidenti sul lavoro della chimica sono meno che negli altri settori, ma come feci notare già anni fa queste iniziative non sono così capillari come dovrebbero e il caso Nitrolchimica lo dimostra.

I dati recenti si possono trovarein un documento congiunto INPS-Federchimica qui; e dimostrano che comunque, sia pur lentamente, la media degli incidenti negli ultimi anni è aumentata.

Se uno legge il rapporto INPS-Federchimica ci trova scritto:

Si pone quindi forte il tema per le imprese chimiche di continuare a diffondere la cultura della sicurezza tra i propri lavoratori, aumentandone la sensibilità e la percezione del rischio.

Corretta informazione e formazione efficace sono, già di per sé, due elementi fondamentali, di questo percorso. Tuttavia essi potranno garantire il massimo dei risultati se inseriti in un contesto aziendale dove la cultura della sicurezza è radicata e considerata un valore imprescindibile.

Le imprese dovrebbero non solo investire in formazione e informazione, ma anche costruire in azienda, giorno per giorno, un clima favorevole allo sviluppo delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Ma in Nitrolchimica avevano letto questo rapporto?

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Articoli consultati:

https://newsprima.it/cronaca/incendio-azienda-chimica-alla-nitrolchimica-nessun-iscritto-ai-sindacati-si-fa-strada-lerrore-umano/

https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lombardia/incendio-alla-nitrolchimica-ipotesi-errore-umano-vietato-mangiare-prodotti-dell-orto-nelle-aree-limitrofe_54589766-202202k.shtml

https://www.ilpost.it/2022/09/08/incendio-nitrolchimica-san-giuliano-milano-cosa-si-sa/

https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2022/09/07/maxi-incendio-alla-nitrolchimica-nel-milanese.-sei-feriti-uno-e-grave_7ebfe783-b99a-46e2-a6f9-594e86b1d624.html

https://www.mbnews.it/2022/09/incendio-nitrolchimica-san-giuliano-milanese/

https://fai.informazione.it/cronaca/messina

2 pensieri su “Caso Nitrolchimica

  1. Caro Claudio, innanzitutto grazie del tuo post sull’incidente della Nitrolchimica di cui non ero a conoscenza. Purtroppo, in base a numerosi esempi del passato (e come conferma l’assenza di interventi sul tuo post) temo che in buona parte i membri della SCI,, in tutt’altre faccende affaccendati, non siano interessati a protestare sull’uso distorto della chimica da parte di molte industrie, A maggior ragione, è poco probabile che la SCI nel suo complesso (a partire dal presidente) si attivi a riguardo della sicurezza ambientale: lo dico con rammarico.

  2. Caro Claudio, cari colleghi,
    sono incerto fra il mettermi a piangere o l’arrabbiarmi di brutto.
    Premetto che condivido tutto quello che dici, nonchè tutte le domande di Medicina Democratica.
    Mettermi a piangere perchè vedo che continuano a d esistere situazioni folli che poi si ripercuotono su tutta la comunità (conoscendo qualcosa di Arpa non mi stupisce per nulla che nel caso di incidenti dichiarino sempre che non ci sono problemi), e poi confermano un concetto oramai chiaro nella mente dell’uomo della strda : non si può fare chimica in modo sicuro e pulito, l’unica cosa da fare è chiudere la qualsiasi cosa e mandare (o prendere) tutto dall’estero (e NON è vero, si tratta solo di onestà o disonestà). Credo, da abitante dalla nascita a Marghera e dintorni, di saperne qualcosa : il giorno dopo l’assoluzione dei vertici Enichem da parte dell’attuale Ministro della Giustizia (parte d’accusa Felice Casson) al mercato settimanale di Marghera c’erano le code di chi firmava per chiudere la chimica TUTTA a P. Marghera.
    Mettermi aridere perchè si dimostra per l’ennesima volta che gli UNICI perseguitati dalle agenzie pubbliche che dovrebbero vegliare sulla sicurezza del lavoro (a cominciare dai propri servizi interni di SPPR) siamo noi dell’università e/o laboratori pubblici, evidentemente i privati hanno diverse “virtù” per i vigilatori, con obbligazioni imposte fra l’assurdo ed il ridicolo.
    Una delle ultime : fui obbligato (a pochi mesi dalla pensione), con il riferimento ad un Regio Decreto del ’27, a farmi il “patentino” perchè detenevo (ed usavo, da ca 30 anni) isonitrili (in quantità di alcuni grammi, accuratamente conservati sotto azoto ed a -30°), fra l’altro in contraddizione con il penultimo articolo del decreto stesso, che escludeva le Università dalla sua applicazione (ma “facciamo ‘ammuina, così facciamo bella figura”).
    All’esame (superato) un grande imbarazzo dei commissari, ho dovuto io insegnare loro cosa fossero (pensavano fossero dei cianuri), la loro (vera) tossicità e come distruggerli in caso di spandimenti/incidente (le indicazioni normative sono sbagliate, perchè li trattano come i cianuri, calce e sali ferrosi, ingannati dal nome).
    Alla fine un esaminatore (vice prefetto) mi chiese di citare a memoria gli articoli di legge… e rischiai ovviamente la bocciatura !

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