La plastica nel cuore.

Claudio Della Volpe

Qualcuno potrebbe pensare che questo titolo voglia indicare che la plastica, una eccezionale invenzione umana degli ultimi 100 anni, sia nel cuore dei chimici per il ruolo positivo che svolge nella nostra vita.

In altre occasioni potrebbe essere.

Ma stavolta il titolo del post è letterale e dipende dai risultati di un recentissimo lavoro pubblicato su Environmental Science and Technology.

Il lavoro parte dall’idea di individuare l’eventuale presenza di frammenti di plastica in organi “interni” del corpo,  dato che la sua presenza in organi “esterni” a contatto con l’ambiente o direttamente o tramite cavità è già stato dimostrato; i chirurghi hanno usato un piccolo numero di pazienti ma una tecnica sofisticata di microscopia spettroscopica e di immagini laser per individuare direttamente i materiali polimerici; l’ambiente era strettamente monitorato per evitare falsi positivi; il risultato è che 15 pazienti su 15 ammessi allo studio (esclusi solo chi ha rifiutato di partecipare o era in emergenza) sono stati trovati “positivi” alla presenza di microplastiche nel distretto cardiaco e nel sangue venoso; i frammenti sotto i 20 micron non potevano essere individuati. Non tutte le plastiche si trovano in tutti i i pazienti, ma plastiche si trovano in tutti i pazienti.

In un esperimento pilota, i ricercatori hanno raccolto campioni di tessuto cardiaco da 15 persone durante interventi chirurgici cardiaci, nonché campioni di sangue pre e post-operatorio da metà dei partecipanti. Quindi il team ha analizzato i campioni con imaging laser a infrarossi diretti e ha identificato da 20 a 500 particelle di larghezza micrometrica costituite da otto tipi di plastica, tra cui polietilene tereftalato, cloruro di polivinile e polimetilmetacrilato. Questa tecnica ha rilevato da decine a migliaia di singoli pezzi di microplastica nella maggior parte dei campioni di tessuto, anche se le quantità e i materiali variavano tra i partecipanti.

In sostanza i cuori dei cinesi (il lavoro è stato condotto a Pechino, in Cina) che arrivano al tavolo operatorio per problemi cardiaci sono inquinati da frammenti di plastica di piccole dimensioni. Questo il risultato concreto; quale percentuale di persone è inquinata? Le persone inquinate si ammalano tutte? Non lo sappiamo ancora ma la domanda deve essere posta.

Ho pochi dubbi che anche in altri continenti la situazione sia non molto diversa. Certo la situazione ambientale cinese è particolarmente compromessa, ma non necessariamente peggiore della nostra.

Una zuppa di plastica pervade il mondo intero non solo l’ambiente marino. Quali sono le conseguenze di questo inquinamento? E’ pensabile che solo le persone particolarmente inquinate si ammalino gravemente ed arrivino sul tavolo operatorio? Quante persone sono inquinate nei vari contesti ambientali? Dipende dal cibo, dall’ambiente, dall’acqua? Non lo sappiamo ancora.

A mio parere è difficile immaginare che le conseguenze siano positive o comunque non -negative; questo inquinamento è pericolosissimo e deve essere affrontato.

Vi dico la verità da questo momento la mia visione delle cose ne esce profondamente modificata; non posso più concepire una chimica incolpevole; ne esce rafforzata la mia convinzione che si era già formata negli anni che la Chimica deve prendere atto che non può sintetizzare e mettere in giro tutte le molecole e i legami utili a qualche scopo, ma SOLO quelli che l’ambiente naturale potrà distruggere.

Sarebbe bello poter controllare tutte le immissioni in ambiente ma non siamo in grado di farlo e dunque rilasciamo coscientemente miliardi di tonnellate di materiali che non sappiamo se potranno essere metabolizzati dal sistema naturale; in mancanza di tale metabolizzazione tali materiali si accumuleranno; lo ha fatto il DDT, lo hanno fatto le diossine e i PCB, lo han fatto i perfluorati; molecole spesso non esistenti in natura o legami raramente presenti sono da noi stati immessi in enorme quantità e in tutti i luoghi del pianeta; questa situazione non può continuare.

Prima di immettere una nuova molecola in giro occorrerà verificare che sia metabolizzabile (e a che velocità) oltre che innocua o non tossica; la sua utilità per alcuni non è una condizione sufficiente; mentre è NECESSARIO che sia metabolizzabile dal sistema oltre che innocua o a basso rischio, ma se si può accumulare anche se apparentemente “eterna” inalterabile dovremo rifiutarci di sintetizzarla o perfino di concepirla; siamo di fronte all’ingresso di un nuovo tabù.

Nuclei instabili, molecole tossiche e/o NON-biodegradabili non possono essere immessi in giro nell’ecosistema; i chimici organici e farmaceutici sono avvertiti. Noi tutti siamo avvertiti;

Se no ci ritroveremo plastica nel cuore (e nel cervello?).

E’ un passo epocale della chimica anche se avviene altrove. Il futuro della chimica e della sua etica deve essere questo: mai più sintetizzeremo molecole che la natura non sia in grado di metabolizzare in sicurezza e che si accumulino in giro. Siete avvisati; la condanna è compresa nell’atto; se lo farete vi ritroverete inquinati nel cuore (e forse nel cervello).

14 pensieri su “La plastica nel cuore.

  1. Vedo con piacere che ci si occupa di un vero inquinamento dell’ambiente. Ritengo che l’anidride carbonica può aumentare tranquillamente senza danni, anzi con qualche vantaggio, mentre il problema delle microplastiche andrebbe affrontato anche solo con parte di quei mezzi oggi impiegati contro un nemico inesistente.

    • cerco di rispondere nel merito alla nota del prof Nicoletti supponendo che la sua frase sull’aumento indolore di CO2 abbia a che fare con la produzione di cibo; sugli effetti direttamente climatici le cose sono state chiarite dall’IPCC e da centinaia di lavori; 1) l’aumento di CO2 fa aumentare la temperatura media del pianeta e l’energia immagazzinata in atmosfera con l’aggravarsi e l’aumentare di numero degli eventi estremi; questo è scritto a chiare lettere in tutti i rapporti ultimi dell’IPCC e nei lavori pubblicati e lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questi anni; la conseguenza dunque non è solo l’aumento di UNO dei nutrienti delle piante ma anche la variazione generale dell’ambiente, delle precipitazioni, della loro intensità e della loro localizzazione; lo abbiamo visto questa estate e negli ultimi anni; dunque è semplicistico dire che aumenta la CO2 ed è bene per le piante; in realtà l’aumento di CO2 ci conduce su strade sconosciute e per quello che vediamo finora e prevede la letteratura poco comode per noi come civiltà basata sul consumo di cibo agricolo 2) la gran maggioranza delle piante utili sfrutta gli insetti come propagatatore di semi, quale è la conseguenza dell’aumento di CO2 sugli insetti? è enorme e ancora in gran parte poco conosciuto; al di sopra di certi valori gli insetti non riescono più a comportarsi in modo normale essendo molto sensibili alla concentrazione di CO2; le conseguenze sono ancora una volta poco conosciute per cui la sicurezza che la CO2 faccia bene alle piante è una interpretazione molto superficiale della situazione; per queste due cose esistono molti lavori già pubblicati ed ancor più in tempi recenti; la loro lettura anche superficiale evidenzia che l’eguaglianza più CO2 più cibo per gli uomini è una semplificazione sballata. Ci sono esperimenti sul campo di aumento locale della CO2 in cui sono stati evidenziati questi fattori in modo del tutto sperimentale.3) anche se la resa media di alcune colture aumentasse questo avverrebbe solo in alcune zone mentre in altre l’effetto sarebbe opposto, anche questo è stato documentato con dati sul campo ed anche in questo caso più semplice la situazione è lungi dall’essere valutata positivamente; l’equivalenza più CO2 più cibo è in sostanza il pio desiderio di alcuni, spesso poco documentati , difeso pubblicamente dagli interessi delle grandi corporations che vendono fossili; la scienza ha un approccio molto più attento e circospetto.

      • Mi fa piacere leggere un (secondo) commento (alle mie osservazioni) al quale vale la pena rispondere. Il precedente era piuttosto (ahimè) sconclusionato ed a quello non era ragionevole dar seguito. Tuttavia, mi ha ispirato un post, che ho messo sul mio sito (htpps://rosarionicoletti.it/)per chi fosse interessato. A questo commento che è garbato e razionale, desidero rispondere per chiarire il mio pensiero. Del resto i blog esistono con lo scopo di confrontare civilmente le idee.
        Comincerò col dire che le centinaia di lavori a mio avviso non “dimostrano”che l’aumento dell’anidride carbonica provochi direttamente l’aumento di temperatura del pianeta: è sufficiente per dubitare l’ osservazione che la curva di incremento della CO2 non è sovrapponibile a quella che descrive le temperature. Poi mi è difficile capire come la CO2 sia l’unico protagonista della fluttuazione delle temperature, quando acqua, ozono, metano o altri idrocarburi assorbono nell’infrarosso. In quanto alle migliaia o milioni di ricercatori concordi nel ritenere l’anidride carbonica responsabile di tutto, sono certo che i numeri non dimostrano la bontà di una tesi che viene portata avanti con il fanatismo di un credo religioso. Passando alla “crisi climatica”, dirò che io ritengo questa dizione del tutto sproporzionata ai fatti che si osservano. Inondazioni, trombe d’aria, temporali ci sono sempre stati, e la violenza di alcuni eventi climatici non credo sia diversa da quella che era in passato. La differenza vera sta nel fatto che il tutto avviene in territori maggiormente urbanizzati; il collegamento tra il riscaldamento ed i capricci del clima è una triste panzana, utile a far aumentare l’eco-ansia. Anche qui, ci aiuta la storia: all’epoca dei Romani c’era sicuramente un riscaldamento globale di diversi gradi (è dimostrato che il Mediterraneo era di due gradi più caldo) e nessuno degli storici parla di uragani devastanti in grado di distruggere le magnifiche opere di ingegneria. Gli insetti: la loro evoluzione e biologia sono collegabili alle piante molto più strettamente di quanto non sia per gli animali. Mi sembra pertanto del tutto inverosimile che insetti soffrano per modesti aumenti di CO2. Ma abbiamo anche la prova della presenza di insetti in epoche nelle quali la presenza di CO2 nell’aria era tre o più volte maggiore di quella di oggi. Ce lo dicono i reperti di ambra la cui datazione risulta essere maggiore di quaranta milioni di anni. L’Ambra Baltica si è potuta raccogliere in centinaia di tonnellate, ed è certo che le piante che sono state in grado produrre tali quantità vivevano in un ambiente ricchissimo di CO2, nel quale proliferavano gli insetti.
        Ad ogni caso, quella che sia la verità sul ruolo dell’anidride carbonica, vorrei che qualcuno tra i più accesi sostenitori della “transizione ecologica” quale unica e vera risorsa per salvare il pianeta mi spiegasse come abolendo ogni emissione di CO2 da parte dell’Europa – che rappresenta meno del 10% del fenomeno – si possa allontanare la catastrofe. Frasi del tipo: “dobbiamo far qualcosa”, “diamo l’esempio”, lasciano il tempo che trovano e sono apprezzabili in un credo religioso, ma non nei comportamenti umani. Stiamo devastando le nostre economie ed il nostro assetto sociale, certi che l’unico risultato sarà un ulteriore arricchimento della grande finanza, remunerata negli investimenti anche attraverso i contributi statali, cioè denaro tolto dalle tasche dei cittadini.

  2. ah si? e perché mai l’anidride carbonica può aumentare a valori mai raggiunti negli ultimi 5 milioni di anni? cosa sarebbe? l’ultima frontiera del negazionismo climatico? vuole negare addirittura l’effetto serra? le consiglio di studiarsi un po’ di fisica prima del prossimo intervento

    • Si può non essere d’accordo, ma la buona educazione e il rispetto andrebbero sempre praticati.

  3. Apprezzo da tempo Claudio Della Volpe per tutto quello che fa per la comunità chimica, ma talvolta non mi trovo d’accordo con lui. In questo articolo, a proposito di una nuova molecola, sostiene che
    “dovremo rifiutarci di sintetizzarla o perfino di concepirla” se non sappiamo come smaltirla.
    Io invece nelle mie ricerche ho sintetizzato tante molecole nuove e credo che sia giusto così: la ricerca non va fermata!
    Altra cosa è la loro immissione nell’ambiente, che non dipende da noi chimici. Quindi i chimici organici e farmaceutici continuino il loro prezioso lavoro di ricerca per lo sviluppo della scienza.

    • Caro Luca ti ringrazio dell’apprezzamento, ti faccio notare quanti e quali casi abbiamo avuto ed abbiamo del problema che pongo (dal DDT ai PFAS); si può pensare di fare SOLO ricerca in ambienti controllati e poi decidere PUBBLICAMENTE e collettivamente dell’uso delle nuove molecole, (questo in un mondo ideale andrebbe bene) ma purtroppo il modello sociale ed economico che viviamo non funziona così; le scelte di uso vengono fatte altrove e da poche persone non controllate adeguatamente dalle nostre istituzioni collettive e dato che i confini dei paesi non sono sufficienti a fermare le molecole, le scelte fatte altrove e da una parte ristretta delle classi dirigenti pesa sulla nostra esistenza (a parte quelli che imbrogliano coscientemente) ; poi c’è la questione tempo; ci abbiamo messo decenni o addirittura secoli ad appurare che certe molecole o atomi o nuclei facevano male a noi e all’ambiente, ma nel frattempo li abbiamo usati spargendoli dappertutto senza precauzione; oggi ne paghiamo le conseguenze; questo approccio che interviene e lentamente a cose fatte non va bene, non può continuare; posso capire che tu veda male la mia proposta di NON progettare nemmeno molecole che non possano essere metabolizzate dall’ambiente attorno a noi, ma è l’unica strada possibile al punto in cui siamo. D’altronde la coscienza di ciò si fa strada e perseverare nell’approccio “noi facciamo solo ricerca non siamo responsabili delle applicazioni” non funziona più, i giovani se ne sono accorti e la chemofobia avanza. Dobbiamo prendere posizione; I care. La scienza è uno strumento troppo potente per lasciarlo in mano a pochi e desiderosi solo di accumulare. Ci vuole un controllo pubblico forte che parta dai cittadini e una etica della scienza, una etica della sintesi chimica che non può che venire da noi chimici. E l’etica inizia con i tabù, sono una forma primitiva di etica. Per esempio il legame CF è da tabù e l’uso degli aloigeni deve essere fortemente controllato. Diciamo che “eroi” chimici come Migdley o Haber non mi appassionano più. I chimici organici e farmaceutici dovrebbero avere qualche tabù, incluso nei loro progetti, oppure dovrebbe esistere un governo mondiale di questi processi; cosa è più facile?

      • Caro Claudio, mi dispiace ma non siamo d’accordo. Succede. Io continuo a credere che la ricerca non debba essere limitata. Un chimico organico di altra generazione assaggiava ogni composto nuovo che sintetizzava ed annotava sul quaderno di laboratorio: sapore amaro. Io ho sintetizzato tanti nuovi composti, anche fluorurati, non li ho mai assaggiati, ho riportato in letteratura tutti i dati e non mi pento. Buon Ferragosto, Lucio

  4. Quando si crea una nuova molecola il cui smaltimento è difficile, si corre un notevole rischio. Infatti, se l’industria chimica ne trova un’applicazione pratica, comincia senz’altro a produrla, infischiandosi della difficoltà di smaltimento. Sapendo questo, il chimico che l’ha sintetizzata non è privo di responsabilità. Sono quindi d’accordo con le prudenti (e direi profetiche) affermazioni di Claudio della Volpe.

  5. Mi permetto di sottolineare che dal 2007 è operativo in Europa un Regolamento che impone all’industria chimica (escluso il mondo della ricerca) di dimostrare l’innocuità sia per l’Ambiente che per l’Uomo di qualsiasi nuova molecola prima della sua immissione sul mercato Europeo. Ovviamente l’obbligo vale anche per le nuove molecole prodotte fuori UE (Cina, USA, India ecc), che un importatore intende introdurre sul territorio Europeo. Purtroppo le materie plastiche non sono incluse nel Regolamento REACH, questo l’acronimo del formidabile modello di tutela in vigore ormai da quasi 17 anni.
    Il suo scopo viene riassunto molto bene nell’efficace slogan “no data no market”. Se il produttore non dimostra con “dati certi” l’innocuità della nuova molecola, non è possibile introdurla sul mercato. Personalmente non ho mai compreso la ragione dell’esclusione delle plastiche da questo modello di tutela. Forse perché nel campo dei polimeri ci si è sempre preoccupati della pericolosità dei monomeri costituenti, ritendo il prodotto finito del tutto inerte e quindi non in grado di manifestare minacce serie. Le interessanti notizie fornite dal Prof La Volpe ci dicono che questo ottimismo non è più giustificato dai fatti.
    Comunque va detto il Regolamento REACH si è dimostrato un ottimo strumento di tutela dai rischi chimici per tutto il resto dell’universo chimico. Un plauso andrebbe fatto ai numerosi politici europei (per l’Italia un grande contributo è stato fornito da Sacconi) che si sono susseguiti nel periodo 1992 – 2007, cioè durante 15 anni di difficilissime trattative rese necessarie da punti di vista e interessi nazionali molto diversificati. La Germania, ad esempio, per ovvi motivi è stata contraria fino alla fine al varo del Regolamento. Oggi una brutta copia del Regolamento UE è in vigore anche in Cina, in India e credo anche negli Stati Uniti. Alla luce di questi risultati chissà che il prossimo Parlamento UE, che voteremo tra un anno, non decida di approfondire l’ipotesi di estendere il REACH anche alle materie plastiche?

    • Caro Puliti, in questo blog abbiamo parlato spesso di Reach; REACH è una scelta saggia, ma occorre dirlo NON SUFFICIENTE; la domanda è semplice; se REACH esiste ed è attivo da 17 anni come si spiega che non sia riuscito ad evitare i recenti problemi PFAS? Non sono problemi tutti precedenti al 2007, e non sono problemi che vengono tutti tramite la diffusione “naturale” degli inquinanti; ce ne sono di successivi; occorre dunque farsi la domanda: quali sono i punti deboli di REACH? questo è il busillo da risolvere; se non fosse stato così i 5 paesi europei che hanno recentemente proposto il ban dei PFAS avrebbero semplicemente rivendicato una applicazione stringente di REACH, ma evidentemente non basta, non è sufficiente.

      • Grazie mille professore. Certo REACH non può salvarci dai comportanti irresponsabili che nessuna legge o Regolamento potrà mai azzerare. Tuttavia ritengo l’istituzione del REACH un vero prodigio di Politica buona a servizio della gente e dell’Ambiente. Peccato che il Regolamento non sia stato esteso ai polimeri… ma spero che in futuro questo possa succedere.
        Il gravissimo problema dei PFAS, nato in Italia nei primi anni ’60 quando il Regolamento ancora non esisteva, forse avrebbe potuto essere intercettato da REACH. Difficile dire.
        Poi, è vero, il Regolamento non è stato in grado di intercettare le centinaia di diverse tipologie di molecole perfluorinate che l’industria purtroppo ha continuato a mettere in commercio in sostituzione dei primi monomeri messi in circolazione – nel vero senso della parola – dalla ex Miteni di Vicenza e dalla Solvay ad Alessandria e che oggi troviamo nelle acque ad uso potabile destinate a centinaia di migliaia di persone nel nord Italia. Spero che ad Helsinki (ECHA) e in UE trovino i giusti correttivi. Continuo a pensare che la strada sia quella giusta, in futuro anche per le plastiche che le ha messo al centro del suo interessante articolo.
        Grazie ancora!

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