Chimica nella Bibbia

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Giorgio Nebbia, nebbia@quipo.it

Nel 1943 l’esercito americano, dopo aver sconfitto l’armata di Rommel in Africa, stava invadendo la Sicilia; cadeva il fascismo di Mussolini e l’Italia si arrendeva agli Alleati; una pattuglia di scienziati in una località segreta del Nevada stava costruendo la bomba atomica, ma la nostra collega Mary Weeks (1892-1975); era già nota per una storia della scoperta degli elementi: https://archive.org/details/discoveryoftheel002045mbp), non doveva avere molto da fare a Lawrence, nell’Università del Kansas, se era dedicata a realizzare una mostra delle sostanze chimiche citate nella Bibbia.

Che siate credenti o non credenti, l’Antico e il Nuovo Testamento consentono di gettare uno sguardo su eventi, abitudini di vita e alimentari, materie prime e prodotti chimici noti a, e usati da, una comunità abbastanza ristretta, la ”nazione” degli Israeliti, probabilmente alcune centinaia di migliaia di persone; una comunità abbastanza agitata perché esposta a liti e divisioni anche interne, a migrazioni forzate nei paesi vicini, talvolta in Egitto, talvolta in Mesopotamia, con ritorno in Palestina, una comunità con vasti rapporti commerciali internazionali e che aveva la passione di scrivere e, direi, verbalizzare eventi e informazioni di vita quotidiana. I testi biblici pervenutici si riferiscono ad un periodo di circa 2000 anni, dalla nascita della “nazione” fino all’inizio dell’era che chiamiamo cristiana. I vati “libri” della Bibbia contengono istruzioni relative a comportamenti individuali e collettivi, regole di rituali religiosi, nonché storie personali, resoconti di guerre e avventure, alcune con riscontri storici nei testi di altre società contemporanee, alcune leggendarie o riflessi drammatizzati di eventi reali come la grande alluvione da cui si sarebbe salvato Noè.

Sulla base dei testi della Bibbia sono poi state elaborati gli innumerevoli scritti, nel corso dei successivi 2000 anni, che stabiliscono regole e riti seguiti da alcune comunità ebraiche ancora oggi e che hanno influenzato anche gli scritti dell’Islam.

In tutti i testi biblici si parla di persone che abitavano in edifici, si lavavano, si sposavano che usavano delle “cose” materiali, alimenti, aratri metallici, recipienti di terracotta o di pelle, che coprivano il corpo con tessuti — tutti oggetti nei quali la chimica aveva un ruolo centrale, tanto più che si trattava di una società abbastanza tecnicamente evoluta sia nel campo agricolo sia in quello commerciale. Per i prodotti che non poteva ricavare nel proprio il popolo ebraico cercava di conquistare i paesi vicini con guerre merceologiche come quelle contro le città-stato, fra cui Sodoma e Gomorra, che monopolizzavano il commercio del prezioso sale dei grandi giacimenti sulle rive del Mar Morto.

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L’articolo della Weeks fu pubblicato nel Journal of Chemical Education, 22, 63-70 (February 1943); quasi contemporaneamente un altro chimico, Hugo Zahnd, del Brooklyn College, ha pubblicato due articoli sulle conoscenze chimiche nell’antico e nel nuovo testamento, nello stesso Journal of Chemical Education, rispettivamente, 20, (7), 327-335 (July 1943) e 23, (2), 90-97 (February 1946).

Gli Israeliti conoscevano la lavorazione dei metalli: oro, argento, stagno, rame e loro, leghe, di cui sfruttavano alcune miniere nel Sinai. Quelle che si visitano come “miniere del re Salomone” a Timna nel Sinai erano probabilmente miniere e fonderie sfruttate dai Faraoni qualche centinaio di anni prima dell’”età di Salomone”. Fra le operazioni tecniche viene citata la fusione e la coppellazione dei metalli la cui purezza era verificata con saggi chimici e fisici.

Probabilmente i metalli e minerali citati nella Bibbia provenivano da scambi commerciali con i popoli vicini con i quali Israele era collegato mediante vie carovaniere e che procuravano aromi, spezie e pietre preziose, merci apprezzate dai re e che avevano significato anche rituale. Il vestito del gran sacerdote e il tempio di Gerusalemme erano ornati con “dodici” (il numero dodici aveva speciale significato; dodici erano le tribù di Israele, dodici gli apostoli di Gesù) pietre preziose che vengono ricordate in vari brani: cornalina, topazio, smeraldo, turchese, zaffìro, berillo, giacinto, àgata, ametista, crisòlito, ònice e diaspro. Naturalmente la traduzione dei nomi di queste pietre citate in diversi testi e in diverse lingue ha dato luogo a vivaci discussioni fra gli specialisti, ma anche da questi nomi si ha una idea dell’estensione internazionale dei commerci degli Ebrei. Ai fini rituali erano importanti molte “resine”, come incenso e mirra, quest’ultima usata per la conservazione dei cadaveri.

Nelle zone abitate dagli Israeliti c’erano giacimenti di idrocarburi, probabilmente scisti bituminosi. Il nome Neftali, arrivato fino a noi, probabilmente deriva dalla presenza in qualche luogo di qualcosa da cui è derivato il nostro nome “nafta”. Nel racconto biblico della grande alluvione è raccontato che Noe avrebbe incatramato il fondo della sua nave per renderlo impermeabile con del bitume; del bitume era anche usato come additivo dei materiali da costruzione.

Fra le sostanze inorganiche si è già citato il sale a cui veniva attribuita uno speciale ruolo rituale; insipido è chiamato qualcosa di infedele; ancora nel rito cristiano al battezzando viene posto del sale in bocca. Gli Israeliti conoscevano lo zolfo, usato anche come materiale incendiario, il carbonato sodico, chiamato niter, probabilmente proveniente dai giacimenti egiziani, la calce e il gesso e qualche forma di cemento.

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Un capitolo a parte riguarda la chimica degli alimenti. Il popolo ebraico conosceva la produzione del vino per fermentazione del succo d’uva, conosceva la lievitazione del pane e il nome lievito è indicato spesso come simbolo di qualcosa che fa aumentare il volume e il valore delle cose; fra gli alimenti vegetali si trovano tutti i prodotti dell’area mediterranea; olio, olive, fichi, uva, grano, mandorle, noci, datteri, miele ed è citata l’alimentazione dei maiali con ghiande. L’olio era usato anche nelle lampade. L’uso delle carni era regolato da rigide norme religiose relative alla macellazione, alle carni “permesse” e vietate, norme probabilmente ispirate a motivi igienici e legate a pericoli di putrefazione e di diffusione di infezioni.

Nella ricostruzione della chimica e della merceologia della Bibbia si incontrano grandi difficoltà a causa delle varie lingue in cui ci sono pervenuti i vari testi, principalmente ebraico e aramaico, lingue a loro volta usate diversamente nei vari periodi storici a causa di contaminazione con le lingue dei paesi vicini o in cui gli Israeliti sono stati esiliati. Ciascuno dei prodotti ricordati meriterebbe uno studio a parte a riprova di quanto la chimica sia stata e sia importante in tutte le manifestazioni della vita, a cominciare da quelle quotidiane familiari e sociali.

4 pensieri su “Chimica nella Bibbia

  1. Molto interessante.
    Varrebbe notare che, tra le indicazioni dell’ebraismo post-biblico (la tradizione che continua fino alla contemporaneità), vi è forse la prima applicazione di un metodo “quantitativo” nella definizione dell’accettabilità rituale degli alimenti (“kosherut”), i cui effetti durano nel presente e rappresentano spesso un’applicazione inconsueta delle più raffinate tecniche della chimica analitica e della genetica.
    Secondo un antico precetto, le cui origini erano incomprensibili già agli Ebrei dell’Antico Mediterraneo, è proibita la mescolanza di sangue e di latte nella preparazione e nella consumazione dei cibi (niente cheeseburger, quindi). Gli alimenti e le materie prime per la loro preparazione sono pertanto necessariamente classificate in “carne”, in “latte” (categorie tra loro del tutto incompatibili) e in alimenti che possono essere CONSAPEVOLMENTE mescolati con l’una o con l’altra categoria (alimenti “parve”). L’osservanza rigida di questo precetto è tradizionalmente affidata a funzionari religiosi quali i rabbini e i macellatori rituali, che non esitano a scartare, ad avviare alla distruzione, ed eccezionalmente alla cessione a Gentili (non tenuti all’osservanza delle regole ebraiche) le partite non conformi.
    L’eventualità della presenza ACCIDENTALE di alimenti mutuamente non compatibili in una preparazione alimentare venne presa in esame e risolta applicando la regola dell’ “una parte in sessanta”, che dispone che la presenza accidentale di una proporzione dell’1,5% circa di una sostanza alimentare (ad es., latte) non consentita in una preparazione (di carne, o destinata ad essere consumata con un cibo a base di carne) non la rende inaccettabile sotto il profilo rituale (“taref”). Questa regola venne adottata, verosimilmente e per quanto noto, sulla base di criteri organolettici o sensoriali di prova e non risulta che venissero suggeriti metodi diretti di saggio per le diverse sostanze alimentari. E’ verosimile che questa rappresenti la più antica fonte di un approccio “quantitativo” alla composizione delle sostanze complesse, che ne fa la prima testimonianza di “chimica analitica”, almeno per quanto riguarda il nostro antenato intellettuale, l’Antico Mediterraneo.
    La situazione è oggi assai più complessa, per la diffusione su scala planetaria di alimenti di provenienza non-tradizionale, che devono essere ricondotti a quanto la tradizione, “ne varietur”, impone, e ha portato ad applicazioni assai raffinate delle tecniche di indagine analitiche sugli alimenti e sulla loro provenienza.
    Grazie ancora dello spunto di riflessione.

  2. Nella Sacra Bibbia non mancano nemmeno riferimenti alle reazioni acido-base:
    “Chi canta canzoni a un cuore afflitto è come chi si toglie il vestito in un giorno di freddo e come aceto sulla soda”.
    Questa poetica analogia fra un’azione umana e la reazione fra un acido e un’alcali, forse una delle prime ad essere notata, è riportata al cap. 20 del libro dei Proverbi, ritenuto uno dei più antichi. Viene definito un libro di cultura laica, con radici nella sapienza egiziana e del vicino Oriente.
    In altri libri dell’Antico Testamento (Genesi, Giudici e Samuele) si parla di latte acido, cioè di yogurth, mentre di soda e potassa e delle loro proprietà detergenti si parla nel libro di Geremia.

  3. Per chi fosse interessato a reperire gli articoli originali, questi sono i links:

    An exhibit of chemical substances mentioned in the Bible
    Mary Elvira Weeks
    J. Chem. Educ., 1943, 20 (2), p 63
    DOI: 10.1021/ed020p63

    Chemical knowledge in the Old Testament
    Saul Isserow and Hugo Zahnd
    J. Chem. Educ., 1943, 20 (7), p 327
    DOI: 10.1021/ed020p327

    Chemical knowledge in the New Testament.
    Hugo Zahnd and Dorothy. Gillis
    J. Chem. Educ., 1946, 23 (2), p 90
    DOI: 10.1021/ed023p90

  4. Pingback: Bitul B’shishim (una parte in sessanta) (parte 1) | il blog della SCI

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