Termodinamica ferroviaria.

Mauro Icardi

Spesso mi trovo a pensare a quanto la curiosità sia stata e sia ancora una delle spinte ad approfondire il mio bagaglio di conoscenze. Ricordo anche che venivo spesso indicato come il bambino che chiedeva spesso perché. Mia madre mi raccontava che per trovare un attimo di riposo da questo continuo fare domande, spesso mi affidava ad amici e conoscenti, che la sollevavano da questa incombenza. Considerato che (e oggi potrebbe sembrare impossibile), fino a quando io non ho compiuto i sei anni, a casa nostra si viveva tranquillamente senza auto privata. Il modo usuale di viaggiare era ovviamente l’utilizzo dei mezzi pubblici ed in particolare del treno. Utilizzato per andare da Torino fino al piccolo paese del Monferrato, Mombaruzzo, dove vivevano nonni e zii. Proprio questi ultimi, saliti magari in qualche stazione precedente, e al corrente della mia passione per i mezzi che viaggiano su rotaia mi facevano passeggiare su e giù per tutto il convoglio. Se è vero, sostenuto da alcuni studi di psicologia, che la personalità si forma nei primi cinque-sei anni di vita, ecco spiegata sia la mia passione per i treni, sia per i temi che riguardano l’energia ed il suo corretto uso. Il periodo dell’austerity del 1973/74 avrebbe ulteriormente rinforzato in me passione e curiosità per entrambi.

Acqua ed energia sono due parole certamente legate in maniera particolare al motore a vapore, e particolarmente alle locomotive.

Nella sua forma più semplice, la locomotiva comprende una caldaia, cioè un lungo cilindro colmo d’acqua e attraversato longitudinalmente dai tubi bollitori; attraverso questi tubi passano i fumi prodotti dalla combustione del carbone, che avviene nel forno, situato in cabina di guida. Il calore riscalda l’acqua e la fa evaporare, portandola ad una certa pressione: il vapore si concentra in una apposita camera (duomo), posta nella parte superiore della caldaia, e da qui viene prelevato per essere inviato al motore. Il motore è costituito da almeno due cilindri, in cui, grazie a un meccanismo di distribuzione, è possibile immettere il vapore stesso ora a un estremo, ora all’altro. Il vapore è così in grado di premere contro lo stantuffo, contenuto nel cilindro, facendolo muovere avanti e indietro: il moto alternativo viene trasformato in rotativo attraverso due bielle motrici (una per cilindro), imperniate sulle ruote della locomotiva che costituiscono un asse.

Col passare degli anni e l’evoluzione della ferrovia nel mondo, la necessità pratica di aumentare il rendimento delle locomotive diede l’avvio allo studio teorico delle leggi della termodinamica. Fino a definire che il rendimento massimo teorico di un motore a vapore è legato solo alla differenza tra le due temperature estreme del ciclo di lavoro, che nel nostro caso sono quella del vapore e quella dell’ambiente esterno in cui esso verrà scaricato. Rendimenti teorici che spesso erano molto superiori a quelli reali.

In Italia che da sempre ha sofferto la carenza di materie prime, vennero sviluppate diverse soluzioni che miravano a migliorare il rendimento delle macchine a vapore, e nello stesso tempo diminuire il consumo di carbone. Considerato come periodo d’oro in Italia per la trazione a vapore quello dei primi anni del novecento, dopo la fine della prima guerra mondiale la trazione a vapore inizia un lento declino, anche se molte locomotive arriveranno ad essere pienamente operative sino alla fine degli anni settanta. E nel contempo il periodo precedente la seconda guerra mondiale, le sanzioni economiche giustamente inflitte all’Italia per l’invasione dell’Etiopia, avranno almeno il merito di essere uno stimolo per lo sviluppo di queste tecniche, e più in generale di razionalizzare per quanto possibile l’utilizzo di energia e materiali.

La prima innovazione però risale ai primi anni del XX secolo e si tratta della doppia espansione. Il ragionamento era semplice: dato che il vapore scaricato dai cilindri contiene ancora molta energia, è possibile immetterlo in una seconda coppia di cilindri, per farlo ulteriormente espandere, e sfruttare quindi un’ulteriore percentuale di quell’energia. Per questo motivo sulle locomotive che montavano una coppia di stantuffi e cilindri per lato, vengono aggiunti altri due cilindri più grandi, i cilindri denominati a bassa pressione.

Il miglioramento termodinamico portava anche diversi inconvenienti legati all’ingombro dei cilindri più grandi, all’aumento della pressione in caldaia per poter garantire una pressione utile anche nel secondo cilindro, nonché a complicazioni nella costruzione e manutenzione.

Nello stesso periodo però venne sviluppata un’altra innovazione per aumentare il rendimento. L’utilizzo del vapore surriscaldato.

La temperatura e la pressione di un fluido sono legate fra loro: di conseguenza, data la pressione, non è possibile alzare ulteriormente la temperatura del vapore saturo, cioè del fluido “bifase” costituito da acqua e vapore, che è appunto presente in caldaia.

Quindi anziché prelevare direttamente il vapore dalla caldaia e inviarlo direttamente ai cilindri, lo si faceva passare attraverso una serpentina di condotti, infilati nei tubi bollitori della caldaia. In questo modo il vapore aumentava la propria temperatura, cioè si “surriscaldava”, dal momento che non era più in contatto con l’acqua della caldaia. Il surriscaldatore, costituito da quei condotti, aumentava la temperatura del vapore dai 200°C del punto di saturazione a oltre 300°C (per caldaie a 12 bar), rendendo disponibile una maggiore quantità di energia per il motore. Anche il rendimento termodinamico migliorava, data la maggiore differenza tra le temperature estreme del ciclo di lavoro. Non si dovevano affrontare spese più alte e problemi costruttivi dovuti all’installazione di una caldaia che lavorasse a pressione più alta.

L’ultima innovazione tecnica sulle locomotive a vapore in Italia sarà il sistema di preriscaldamento studiato e perfezionato dagli ingegneri Attilio Franco e Piero Crosti. Il sistema era stato studiato già negli anni venti dal solo ingegner Attilio Franco, ma a partire dal 1940 nella versione migliorata da Piero Crosti venne applicato diffusamente su vari modelli di locomotive circolanti sulla rete italiana in quel periodo. Le tecniche di preriscaldamento consistono nel non iniettare direttamente in caldaia l’acqua fredda prelevata dal tender, bensì nel farle dapprima percorrere uno scambiatore di calore che utilizza il vapore esausto proveniente dal motore. Il sistema Franco-Crosti era innovativo perché , oltre al vapore esausto, usava anche i gas di scarico per il preriscaldamento dell’acqua.

Il risparmio del consumo di carbone fu soddisfacente, mantenendosi su valori mediamente del 15% ma arrivando anche al 18%. I preriscaldatori applicati lateralmente alla caldaia come nel caso della locomotiva 743 sono come delle caldaie supplementari. All’interno vi sono i fasci tubieri e il vapore esausto dei cilindri, ed i gas di scarico non si scaricano all’esterno dal normale fumaiolo della locomotiva posto nella parte anteriore, ma percorrono in senso inverso il preriscaldatore e sono poi espulsi da un fumaiolo sistemato lateralmente e più vicino alla cabina di guida.

Nella foto in alto si vede una locomotiva modello 743 che montava due preriscaldatori laterali ed aveva due fumaioli laterali ai lati della cabina.

Le locomotive modello 741 avevano invece in solo preriscaldatore sistemato sotto la caldaia ed un solo fumaiolo di scarico.

Il sistema non passava inosservato e l’estetica delle macchine ne risentiva. Queste due locomotive sono rimaste in servizio fino alla prima metà degli anni settanta in val Pusteria e sulle linee minori della pianura padana. Nei miei viaggi ricordo di avere incrociato qualche volta locomotive modello 743 in stazione di Nizza Monferrato, adibite al traino di treni merci. La Cavallermaggiore- Alessandria vedeva un discreto traffico merci per le industrie dello spumante. Era la linea descritta anche da Cesare Pavese, oggi purtroppo chiusa al traffico.

Per completare il quadro occorre anche citare la costruzione di tre automotrici sperimentali costruite dall’Ansaldo, e funzionanti a gas povero conosciuto con il nome di gassogeno, cioè monossido carbonio e idrogeno (ma anche diossido di carbonio, azoto e acqua, dunque veramente un combustibile povero) ottenuto per combustione incompleta di carbone di legna.

Il gas necessario al funzionamento dei motori veniva prodotto da due generatori sistemati nella zona centrale del veicolo, accessibili soltanto dall’esterno per eliminare ogni possibile pericolo di infiltrazione di gas tossici nell’ambiente destinato ai viaggiatori.

Queste macchine utilizzate in Toscana, nei collegamenti ferroviari tra Firenze e Grosseto entrarono in servizio tra il 1940 e il 1941. Nelle corse di prova nonostante il combustibile povero riuscirono a raggiungere la ragguardevole velocità di 120km/h.   Nel 1942 furono trasferite a Mantova. Dopo la fine della guerra rimasero solo due automotrici erano integre e vennero riconvertite a trazione diesel con l’utilizzo di motori di recupero.

Bibliografia

Italo Briano Storia delle ferrovie in Italia Volume 2° Cavallotti Editrice Milano 1977 pp. 73-75,116,171-173

Erminio Mascherpa, Un accessorio discusso: il preriscaldatore sulle locomotive a vapore, in I treni oggi, 1 (1980), n. 3, pp. 12–18

Marcello Cruciani, Ansaldo e le sue automotrici. Seconda parte: le automotrici a gassogeno, in I treni oggi, vol. 7, nº 59, 1986, pp. 14-19.

6 pensieri su “Termodinamica ferroviaria.

  1. (ma anche diossido di carbonio, azoto e acqua, dunque veramente un combustibile povero): credo ci sia un refuso

    • Caro Leone non c’è alcun refuso; il gassogeno o gasogeno per come lavora produce un gas misto(combustione incompleta di legno) e contiene sia aria (e dunque anche azoto) che i prodotti di una combustione incompleta: CO, CO2 e H2 e acqua. E’ una frase che ho scritto io stesso per chiarire meglio il significato del termine gassogeno che si usa ormai raramente. Come dice giustamente wikipedia: Il gas povero è dunque composto da gas d’acqua e gas d’aria ed è una miscela di monossido di carbonio, anidride carbonica, azoto e idrogeno, e costituisce un combustibile economico ma dal basso potere calorifico.

  2. Non noto refusi, da quel tipo di reattori si ottiene in effetti syngas misto ad aria.
    Volendo citare i più importanti contributi italiani alla trazione ferroviaria a vapore, è impossibile non citare la distribuzione Caprotti, montata, tanto per dare l’idea, anche sulla locomotiva che era l’orgoglio dell’Inghilterra, patria di origine dei treni a vapore.

  3. Fuori argomento, ma di attualità: il sito Corriere titola oggi (ma è una questione ricorrente, esce in prossimità di ogni manifestazione sindacale dei docenti univ.):

    «Devono milioni all’Erario»
    Inchiesta sul doppio lavoro
    di 411 docenti universitari
    “Via alle richieste di risarcimento in tutta Italia. Nel mirino Ingegneria, Architettura e Chimica”

    Nell’articolo ovviamente di chimica non si parla ma di Medicina, Economia, Ingegneria etc.
    Di chi si sta parlando, secondo voi ?

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