La storia della scoperta della fissione nucleare : i chimici risolvono un problema fisico . Prima parte

Roberto Poeti

 Un “tavolo particolare” al Deutsches Museum di Monaco di Baviera

Una visita al Deutsches Museum riserva tante sorprese nel campo della scienza e della tecnologia . Ma una in particolare lascia a bocca aperta. Nel settore “ Fisica “ del Museo , un vecchio tavolo di legno attira l’attenzione (Fig1). E’ ingombro di materiale elettrico come prese e interruttori in bachelite , vecchi condensatori , amplificatori , batterie , valvole ecc.. e una rete di fili che li collegano . Nel piano inferiore sono alloggiate una serie di batterie . Potrebbe essere il banco di un elettricista prima dell’avvento dei transistor , se non fosse per uno strano cilindro di colore giallognolo e di materiale translucido poggiato ad un lato del tavolo , sembra una torta (Fig 2). Cosa rappresenta il tavolo ? E’ l’originale attrezzatura che usò Otto Hahn, premio Nobel per la Chimica , che insieme a Lise Meitner and Fritz Strassmann scoprirono la fissione dell’uranio nel 1938 (Fig3).

Figura 1

Il piano del tavolo con l’attrezzatura e sotto il piano inferiore dove sono alloggiate le batterie . A destra , del tavolo , di fronte , accanto al quaderno degli appunti , due contatori Geiger e Muller .

Figura 2

Particolare del tavolo

Nell’angolo in alto a destra del tavolo il cilindro , simile ad una torta, è il cuore del sistema. E’ costituito da paraffina e al centro , in una incavatura , è contenuto la sorgente di neutroni costituita da Be/Ra. A lato , sempre immerso nella paraffina , si trova il campione di uranio.

Figura 3

A sinistra Fritz Strassmann (1902–1980), al centro Otto Hahn (1879–1968) che illustra gli strumenti del tavolo ( 1962)

Si ritiene che il tavolo e molti strumenti siano autentici , compreso il cilindro di paraffina . E’ fonte di stupore per i visitatori del museo vedere come la più grande scoperta del ventesimo secolo , la fissione nucleare , che ha segnato la nascita di una nuova era , possa essere contenuta in un tavolo di elettricista . Il tavolo è considerato “ il capolavoro “ della collezione del museo (1) . Va tuttavia precisato che il lavoro completo si svolgeva in tre distinti luoghi : in una stanza avveniva l’irradiazione del campione di uranio con la sorgente di neutroni , in una seconda stanza era allestito il laboratorio di Chimica e in una terza veniva misurata la radioattività dei prodotti . La scoperta della fissione dell’atomo venne attribuita ad Otto Hann , al quale fu conferito il premio Nobel nel 1944 . Una targa commemorativa sulla parete accanto al “ tavolo“ ricorda che la scoperta è condivisa con Lise Meitner e Fritz Straßmann , la prima un fisico e il secondo un chimico .

La percezione del ruolo della chimica

Il paradosso della scoperta della fissione è che , mentre ufficialmente il Nobel fu assegnato ad un chimico , non viene percepita a livello culturale come un obbiettivo raggiunto dalla Chimica . E forse non si conosce neppure in cosa consista il contributo dato dai chimici che vi lavorarono .

La beuta caudata con imbuto Buchner , che si vede accanto al blocco di paraffina nella figura 2 , è il solo richiamo ad una operazione chimica , messa come simbolo . Insomma il “tavolo “ è un oggetto fortemente evocativo , tuttavia non aiuta a comprendere il peso che vi ebbe la scienza chimica.

La Chimica fu fondamentale per Maria Curie

Nel suo libro “ La Fisica e il suo divenire “ Fritz Krafft , storico della scienza, titola un capitolo “ I chimici risolsero un problema fisico . Per una storia della scoperta della fissione nucleare “ (2) . Il titolo centra il nocciolo del problema : senza gli strumenti della Chimica non si sarebbe arrivati al traguardo . Non c’è stato gruppo di ricerca nella storia della radioattività che non abbia visto la partecipazione decisiva diretta o indiretta dei chimici , a partire dalle scoperte degli elementi Radio e Polonio da parte di Maria Curie. La stessa scienziata aveva seguito a Varsavia , prima di venire a Parigi , dei corsi non ufficiali di laboratorio di Chimica presso il Laboratorio del Museum of Industry and Agriculture . Ricordiamo che la Polonia era sotto la dominazione della Russia zarista e l’educazione scientifica era preclusa alle donne . Il direttore del museo, cugino di Maria Curie , era il chimico Josef Boguska, educato a San Pietroburgo sotto Dmitrij Mendeleev di cui era stato poi assistente : “ Sviluppai la mia passione per la ricerca sperimentale durante queste prime prove” , scriverà in seguito la scienziata .

Gustave Bemont , a sinistra della foto, con i coniugi Curie

Durante le sue ricerche sul Polonio e il Radio ebbe come collaboratore un chimico , presto passato in secondo piano , Gustave Bémont ( 1857 – 1937 ) professore all’ École de Physique et Chimie di Parigi. Nel primo numero della rivista Radium appare accanto ai coniugi Curie . L’altro chimico che collaborò con Maria Curie dopo la morte del marito è stato André Debierne (1874-1945) scopritore del l’Attinio . Ma vedremo, più avanti , come la presenza dei chimici si confermerà determinate anche nella scoperta della fissione nucleare .

La scoperta del Neutrone

 La scoperta del neutrone, avvenuta nel 1932 per opera di James Chadwick , determina la nascita di linee di ricerca volte a utilizzare le nuove particelle come proiettili per modificare gli atomi. In realtà già Rutherford nel 1919 , usando particelle α , aveva ottenuto la prima trasmutazione artificiale dell’atomo , a cui però sfuggivano gli atomi degli elementi più pesanti per la repulsione esercitata dalla loro grossa carica positiva sulle particelle α . Si deve a Fermi l’uso dei neutroni e la scoperta della loro efficacia se venivano fatti passare attraverso un mezzo che ne rallentasse la velocità . Da tali programmi si arriva  alla fine a scoprire la fissione nucleare ( 1938 ) .

I protagonisti della scoperta della Fissione Nucleare

 Alla scoperta in se parteciparono solamente tre gruppi di ricerca. Tutti gli altri gruppi di ricerca si erano prevalentemente accontentati della riproduzione e conferma dei risultati ottenuti in rapida sequenza dalle piccole équipes attive a Roma , Parigi e Berlino . Per poter arrivare a comprendere la fissione nucleare occorreva , oltre che alla padronanza dei metodi radio-chimici, una eccezionale abilità analitica e conoscenze chimico–analitiche notevoli , capaci di fornire la spinta decisiva . Il fatto che questi requisiti fossero ben presenti nel gruppo berlinese , specie nella persona di Fritz Strassmann, costituisce una delle ragioni del perché la scoperta poté essere fatta a Berlino e non a Roma o Parigi. In effetti al gruppo romano solo nel 1934 e per breve tempo appartenne un chimico , Oscar D’Agostino, che in precedenza si era familiarizzato a Parigi con i metodi radiochimici . Irène Curie , del laboratorio di Parigi , pur essendo anche lei una fisica , possedeva notevoli esperienze nel campo dei metodi radiochimici messi a punto dai suoi genitori e aveva lavorato nel 1937-38 con il fisico chimico Pavel Savič , tuttavia mancava di profonde conoscenze analitiche . La peculiare composizione però dell’équipe di Berlino , che comprendeva una fisica nucleare , Lise Meitner , un radio chimico , Otto Hann e un chimico analitico , Fritz Strassmann , costituì chiaramente un presupposto della scoperta , giacché garantiva la  «presenza » di tutte quelle conoscenze e abilità che si rivelarono più tardi necessarie .

Anni dopo Enrico Fermi dichiarava che ciò che gli era mancato per raggiungere l’obbiettivo della scoperta della fissione nucleare erano state le conoscenze e competenze dei chimici (3). Troppo tardi e per breve tempo aveva cercato di colmare il vuoto aggiungendo al gruppo un valido chimico come D’Agostino . Nel suo gruppo il rapporto chimici /fisici era di 1 a 5 , in quello di Berlino era 2 a 1 .

Gli ostacoli interni alla Chimica

Alle già complesse operazioni di laboratorio volte a separare e identificare i radio nuclidi derivanti dal bombardamento dell’uranio con neutroni lenti si opponevano grossi ostacoli di natura interna alle discipline di Chimica e Fisica . Per comprendere intanto quelle inerenti alla chimica è necessario tenere presente la tavola periodica come si presentava fino agli anni 1940 .

Allora si era convinti che le configurazioni basate su orbitali f fossero limitate ai solo lantanidi . Non era stato identificato alcun elemento più pesante dell’uranio e le proprietà degli elementi noti più pesanti (Ac , Th , Pa, U ) sembravano rassomigliare a quelle dei metalli di transizione di tipi d dei gruppi III b – VI b ( La , Hf ,Ta, W, Re ) della tavola periodica in modo sufficiente da permettere la classificazione in tali gruppi . Per comprendere quanto fosse radicata questa impostazione che, a parte l’introduzione dei gas nobili e lantanidi, aveva ancora l’impianto della tavola di Mendeleev del 1872 , c’è un episodio che ci racconta Glenn T. Seaborg ( Premio Nobel per la Chimica 1951 ) . Dopo aver dato alla tavola periodica un nuovo arrangiamento ( 1944 ) con l’introduzione della serie degli attinidi e quindi la collocazione corretta degli elementi transuranici , Seaborg decide di pubblicare la scoperta in Chemical and Engineering News . Ma prima mostra  l’articolo ai suoi colleghi :

« They said, “Don’t do it, you’ll ruin your scientific reputation.” I had a great advantage. I didn’t have any scientific reputation at that time, so I went ahead and published it. » (4).

Quanta inerzia culturale ci fosse nelI’ accettare la nuova tavola periodica , ancora nel 1961 , dopo sedici anni dalla scoperta degli Attinidi , lo dimostra La Grande Enciclopedia Italiana della U.T.E.T. , appena pubblicata, che conteneva la Tavola Periodica degli anni trenta ( Fig 4). E per finire , il primo libro di testo di Chimica del biennio, adottato dall’I.T.I.S. di Arezzo, alla sua nascita nel 1960 , proponeva sempre la Tavola Periodica degli anni trenta (Fig5).

Tavola periodica presente nel

Grande Dizionario Enciclopedico “ UTET

pubblicato nel 1961

Figura 4

Tavola periodica nel testo di Chimica per il biennio dell’I.T.I.S. di Arezzo del 1960

Figura 5

Gli ostacoli interni alla Fisica

Nel versante della fisica veniva negata la possibilità che bombardando nuclei pesanti , come l’Uranio , con neutroni vi fosse la possibilità di ottenere la frammentazione del nucleo . In tutti i processi nucleari , fino ad allora osservati sugli elementi più leggeri , il numero atomico era cambiato al massimo di due unità . La sola persona che sostenne la possibilità della frammentazione del nucleo di elementi pesanti fu la chimica e fisica Ida Noddack scopritrice del Renio . Il suo articolo del 1934 , nel quale sosteneva questo punto di vista , fu praticamente ignorato dai fisici nucleari . Poiché i prodotti ottenuti da Fermi , bombardando l’ Uranio , emettevano particelle beta ( non era stata osservata nessuna emissione alfa), lui e i suoi colleghi fecero l’ipotesi plausibile che la trasmutazione produceva isotopi di Uranio a vita breve , che poi, per decadimento β, davano origine a elementi con numero atomico superiore rispetto all’uranio, l’elemento 93 e forse anche 94 ( L’emissione di una particella β comporta l’aumento del numero atomico di una unità , mentre con l’emissione alfa il numero atomico decresce di due unità ) . In una serie di articoli pubblicati tra il 1935 il 1938 Fermi riportava la scoperta di elementi transuranici che venivano chiamati eka-renio , eka – osmio , eka – iridio e eka – platino ( numero atomico 93,94,95,96) .

Quando Fermi ricevette il Premio Nobel nel 1938 venne citato soprattutto per la scoperta degli elementi transuranici!. Rimaneva tuttavia non risolta l’identificazione chimica dei supposti elementi transuranici .

Una ricerca complessa

Mentre il gruppo di Fermi si disperdeva nel 1935 , continuava a Parigi e Berlino la ricerca degli elementi transuranici . Le notevoli difficoltà analitiche che si incontravano nella separazione e identificazione dei radionuclidi provenienti dal bombardamento dell’Uranio con neutroni erano amplificate dalla ipotesi che si ottenessero solo prodotti transuranici . Il bombardamento dell’Uranio produceva una quantità rilevante di differenti radionuclidi e loro isotopi , spesso con rapido decadimento . Le minime quantità che si ottenevano erano rilevabili solo con metodi radiochimici , misurandone la loro attività specifica . L’elemento naturale Uranio , che veniva utilizzato, doveva essere da prima separato dai prodotti della sua stessa radioattività , in particolare un isotopo del Torio . Un operazione complessa senza la quale si sarebbero avute interferenze quando veniva misurata la radioattività dei prodotti ottenuti con il bombardamento neutronico . La separazione e identificazione di questi radionuclidi , ottenuti poi in soluzione , era il vero scoglio da affrontare. Ma quale era il criterio principale di separazione e identificazione su cui si faceva affidamento?.

L’ uso degli elementi Carrier nella separazione dei radionuclidi

Poiché i radioisotopi erano presenti spesso in tracce , per poterli separare , si procedeva con metodi che non potevano essere equiparati con le ordinarie separazioni di quantità pesabili degli elementi stabili. Le tracce di radioisotopi di differenti elementi , spesso con decadimento rapido , potevano essere separati gli uni dagli altri e precipitati con l’aiuto di un elemento carrier . Se in chimica analitica la coprecipitazione è quasi sempre indesiderabile, nell’analisi di tracce di elementi , come in radiochimica , era spesso il solo mezzo di separazione di un elemento. Si doveva scegliere come carrier un metallo che si riteneva potesse essere vicino , nel gruppo o nel periodo , al radionuclide da isolare, avente perciò la stessa carica e solo una piccola differenza nel raggio ionico di quest’ultimo . In questo modo gli ioni del radionuclide avrebbe occupato , sotto forma di inclusione , i siti nella struttura cristallina del composto del carrier , quando questi precipitava dalla soluzione . Ma ci voleva un radiochimico di grande esperienza per distinguere tra un precipitato , sul quale i pochi ioni radioattivi erano assorbiti sulla superfice del cristallo in modo aspecifico , e quello nel quale essi erano parte della struttura cristallina . Solo con la coprecipitazione per inclusione si avevano importanti informazioni sul numero atomico del radionuclide , conoscendo quello dell’elemento usato come carrier . Il passo successivo era quello di separare il radionuclide dal metallo carrier, sfruttando piccole differenze nella solubilità dei loro sali , mediante cristallizzazione frazionata , un processo che richiedeva molto tempo (4) . La scelta dei carrier , nella nostra storia , venne fatta supponendo di ottenere elementi transuranici nel bombardamento dell’uranio e che questi fossero inquadrati nella tavola periodica come elementi di transizione sotto Renio , Osmio , Iridio , Platino . I metalli usati come carrier erano perciò scelti tra questi , e precipitati prevalentemente come solfuri. La coprecipitazione che si otteneva era però aspecifica , spesso per adsorbimento , perché si partiva dalla errata convinzione che si formassero elementi transuranici . Si ottenevano così informazioni fuorvianti sulla identità dei radionuclidi . Questo comportò un lavoro infruttuoso per molto tempo che servì , malgrado tutto , a migliorare le tecniche radiochimiche e analitiche.

( continua nella seconda parte )

Nota del blogmanager: sul medesimo argomento il blog ha pubblicato altri articoli fra cui:

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/11/20/scienziate-che-avrebbero-dovuto-vincere-il-premio-nobel-lise-meitner-1878-1968/

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/11/06/scienziate-che-avrebbero-dovuto-vincere-il-premio-nobel-ida-noddack-1896-1978/

Bibliografia

  1. The Nuclear Fission Table in the Deutsches Museum: A Special Piece of Science History on the Eve of World   War

               War II , di Susanne Rehn-Taube

  1. La fisica e il suo divenire. Sull’esperienza storica della conoscenza fisica , di Fritz Krafft
  2. The detours leading to the discovery of nuclear fission, di Kurt Starke J.C.E. 1979 , Dic
  3. The Transuranium Elements   , Glenn T. J.C.E. Seaborg J.C.E , 1985

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