Gas serra. Il metano.

Rinaldo Cervellati

* tratto e adattato da “Methane cuts could slow extreme climate change” (Katherine Bourzac, pubblicato il 24/10/2021 su C&N online) Il metano: la falsa soluzione per la transizione energetica, Ancler®

Molti scienziati concordano sul fatto che la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) sia urgente e necessaria per rallentare i cambiamenti climatici (innalzamento del livello dei mari di oltre 3mm, siccità, caldo, incendi o tempeste senza precedenti, ecc.). Ma la CO2 che abbiamo già emesso rimarrà nell’atmosfera per centinaia di anni, quindi ci vorrà del tempo affinché la sua mitigazione mostri dei benefici sui cambiamenti climatici.

Le notizie non sono tutte disastrose, sostengono alcuni scienziati. Essi ritengono che si potrebbe rallentare il riscaldamento globale rivolgendo l’attenzione alla riduzione delle emissioni del secondo gas serra più importante, il metano.

Il metano è stato in qualche modo trascurato nelle discussioni sui cambiamenti climatici, ma ultimamente sta ricevendo maggiore attenzione, anche nel più recente rapporto scientifico dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU. Rob Jackson, scienziato del sistema terrestre nella Stanford University e presidente del Global Carbon Project[1], afferma che: “Per quanto sia difficile ridurre la CO2, non raggiungeremo i nostri target di temperatura affrontando solamente questo problema”.

Le emissioni di metano crescono ogni anno. Secondo il Global Carbon Project, alla fine del 2019, la concentrazione di metano nell’atmosfera era di 1.875 ppb, oltre 2,5 volte quella dell’epoca preindustriale. La figura 1 mostra un grafico dell’andamento delle medie mensili delle concentrazioni globali di metano nell’atmosfera dal 1980 al 2020.

Figura 1. Fonte: National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), agenzia federale statunitense che si interessa di oceanografia, meteorologia e climatologia.

Parte del metano proviene da fonti naturali, in particolare dalle zone umide, dove i batteri si nutrono di carbonio organico ed emettono gas serra. Ma circa il 60% delle emissioni di metano proviene da fonti umane. L’industria dei combustibili fossili e l’agricoltura sono le due maggiori fonti antropogeniche di emissioni; la gestione dei rifiuti e altre attività fanno il resto (figura 2).

Figura 2. Le emissioni si basano sui numeri del 2017 compilati dal Global Carbon Project e convertiti in percentuali. Fonti: Global Carbon Project; ambiente. Res. Lett. 2020, [1]

La temperatura media globale è aumentata di circa 1,07 °C dal periodo 1850-1900 al periodo 2010-2019, secondo l’IPCC. Prima che venga sottratto l’effetto di raffreddamento di altre emissioni umane, come gli aerosol, le emissioni di metano da sole sono responsabili di circa mezzo grado di tale riscaldamento.

Un grado o mezzo grado potrebbe non sembrare molto, ma piccoli aumenti della temperatura globale media hanno grandi effetti sul clima, producendo eventi estremi come inondazioni e siccità più frequenti e più intensi. Ad esempio, secondo l’IPCC, un aumento della temperatura di 1 °C ha modificato la frequenza di fenomeni estremi come l’innalzamento delle temperature massime, portandoli da 1 a 2,8 volte ogni decennio. Se si aggiunge un altro mezzo grado di riscaldamento, questi eventi si verificheranno probabilmente 4,1 volte ogni decennio.

Implementando misure per ridurre le emissioni di metano, “possiamo rallentare il tasso di riscaldamento globale del 30%” nei prossimi decenni, afferma Ilissa Ocko, climatologo senior presso l’Environmental Defense Fund, un gruppo di ricerca e difesa ambientale senza scopo di lucro. “Questa è un’opportunità straordinaria. Stiamo cercando di sensibilizzare le persone sull’esistenza di questa possibilità”. La ricerca di Ocko suggerisce che adottare tutte le misure possibili per ridurre le emissioni di metano avrebbe un grande impatto: se fossero messe in atto oggi, il tasso medio di riscaldamento per decennio potrebbe essere rallentato del 30% nei prossimi decenni. E il pianeta eviterebbe un riscaldamento di 0,25 °C entro la fine di questo secolo [2].

La riduzione delle emissioni di metano apporterebbe un vantaggio immediato grazie alla chimica di questo gas. Il metano ha una forte influenza sul clima: ha 84 volte l’effetto riscaldante della CO2 nei primi 20 anni dopo l’emissione. E non dura a lungo: la sua vita media è di 12 anni. Nel tempo, si ossida per formare CO2 e acqua, oppure può partecipare a reazioni che generano ozono a livello del suolo. Poiché il metano è sia potente sia di breve durata, se le emissioni diminuiscono, l’attuale metano atmosferico può decomporsi e ridurre la pressione sul clima.

L’analisi di Ocko si è concentrata su strategie di mitigazione convenienti e attualmente disponibili senza fare affidamento su politiche come la tassa sul carbonio o cambiamenti comportamentali di massa, come le persone che passano a diete vegane.

Lena Höglund-Isaksson, economista ambientale presso l’International Institute for Applied Systems Analysis[2], concorda sul fatto che il settore dei combustibili fossili sia il luogo più conveniente per affrontare il problema del metano. Ha analizzato quanto diverse misure di mitigazione potrebbero ridurre le emissioni di metano entro il 2050. I programmi per rilevare e riparare le perdite dei gasdotti e maggiori sforzi per catturare le perdite di gas ridurrebbero le emissioni di metano associate alla produzione di petrolio del 92% [3].

Quindi, perché le aziende non eseguono queste semplici riparazioni che farebbero risparmiare denaro catturando il metano? Afferma Höglund-Isaksson: “I margini di profitto per petrolio e gas sono molto alti ed è più redditizio estendere la produzione e perforare nuovi pozzi piuttosto che contenere le perdite. Quello che manca sono gli incentivi politici”.

I responsabili politici hanno prestato maggiore attenzione al metano negli ultimi mesi. Il 17 settembre, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono impegnati a ridurre le emissioni di metano di un terzo rispetto ai livelli del 2020 nel prossimo decennio. Altri sette paesi si sono uniti all’impegno, ma i maggiori emettitori di metano del mondo, Cina, India, Russia e Brasile, non l’hanno firmato.

Le attività antropiche causano circa il 60% delle emissioni di metano, le fonti naturali, in particolare le zone umide, forniscono il resto. Nel 2017, le emissioni totali di metano sono state di circa 596 milioni di tonnellate, di cui 364 milioni di tonnellate da emissioni umane (figura 2).

Individuare le perdite, anche quelle enormi chiamate “superemettitori”, non è così semplice come sembra. Da settembre a novembre 2019, il gruppo di Riley Duren e Daniel Cusworth, scienziati statunitensi, ha pilotato un aereo dotato di uno spettrometro a immagini sul bacino del Permiano, una zona comprendente il Texas e alcuni stati limitrofi, che è la regione produttrice di gas e petrolio più grande e in più rapida crescita negli USA. Lo studio dei ricercatori ha mostrato che, come in altre regioni petrolifere, molte sorgenti puntiformi a forte emissione del gas sono intermittenti, quindi se si guarda nel momento sbagliato queste non vengono rilevate [2].

I satelliti sono adatti a raccogliere questi dati, rilevando ogni giorno letture sensibili su vaste aree di terra. Una società privata chiamata GHGSat vende misurazioni satellitari delle emissioni di metano ai clienti, in particolare nel settore petrolifero, ma i suoi dati sono riservati. I satelliti del governo attualmente in orbita possono anche rilevare pennacchi di metano, ma solo se particolarmente grandi, e hanno una scarsa risoluzione spaziale.

Due nuovi progetti satellitari per il monitoraggio del metano mirano a fornire dati a risoluzione più elevata e a renderli disponibili al pubblico. Gli ingegneri che si occupano di questi progetti sperano che i loro sforzi incoraggino le compagnie petrolifere e del gas a riparare queste perdite.

I dati, resi disponibili al pubblico, potrebbero anche portare le compagnie petrolifere e del gas ad affrontare la pressione del mercato sulla base delle loro emissioni di metano. I clienti e gli azionisti delle utility del gas sono sempre più preoccupati per il cambiamento climatico. I servizi pubblici potrebbero esaminare un’azienda in base alle sue emissioni di metano prima di decidere di acquistare gas naturale da essa;  i governi potrebbero anche vietare le importazioni di gas naturale da fornitori con registrazioni di perdite.

Chiudere le perdite di metano nelle infrastrutture dei combustibili servirà per mitigare il riscaldamento globale a breve termine. Ma altre fonti di emissioni di metano devono ancora essere affrontate e non hanno soluzioni semplici come sigillare un tubo che perde. L’agricoltura, che rappresenta il 40% delle emissioni di metano di origine antropica, presenta una complessa sfida alla mitigazione. Il bestiame è un grande colpevole delle emissioni di metano. I bovini, come quelli mostrati in figura 3, sono una delle maggiori fonti di emissioni di metano e una delle più difficili da mitigare.

Figura 3. I bovini, come quelli di questo allevamento (98.000 animali) sono una fonte di emissioni di metano.

Euan Nisbet, uno scienziato della Terra presso l’Università di Londra, chiama il bestiame e altri ruminanti “zone umide che camminano” perché i batteri che vivono nelle viscere degli animali producono metano mentre digeriscono il cibo. Gli agricoltori potrebbero allevare bovini che producono carne e latte in modo più efficiente, così che il mondo possa ottenere la stessa quantità di cibo con meno animali che producono metano.

Per gli alimenti a base vegetale, la principale fonte di metano è il riso, afferma Atul K. Jain, scienziato dell’atmosfera presso l’Università dell’Illinois. I batteri che producono metano prosperano nelle risaie perennemente allagate. Afferma che l’adozione dell’irrigazione intermittente, in cui gli agricoltori drenano i loro campi tra le stagioni di crescita per eliminare le condizioni simili alle zone umide e uccidere quei batteri, potrebbe aiutare. Purtroppo le risaie che vengono periodicamente prosciugate devono essere trattate con  erbicidi, per avere un compromesso ambientale.

Ma alcune delle emissioni mondiali di metano semplicemente non sono sotto il diretto controllo umano.

Nisbet ha analizzato i rapporti degli isotopi di carbonio nel metano e ha riscontrato uno spostamento negli ultimi anni dal 13C più pesante, associato a fonti geologiche come i combustibili fossili, al 12C più leggero, associato a quelli biologici. Sospetta che questo mutamento sia dovuto al cambiamento climatico che alimenta la crescita delle zone umide ai tropici. Man mano che questa regione si riscalda e diventa più umida, fioriscono i batteri che producono metano.

E poi c’è la minaccia incombente contenuta nel permafrost artico. Sciogliendosi a causa del cambiamento climatico, e fornendo un ambiente umido e ricco di carbonio, potrebbe diventare sede di un gran numero di batteri che emettono metano. Gli scienziati non sono sicuri di quando ciò potrebbe accadere, ma Jackson del Global Carbon Project vorrebbe avere una polizza assicurativa contro questo rischio, proponendo di ridurre il più possibile le emissioni di metano di origine umana. Jackson propone un progetto controintuitivo: catturare il metano atmosferico e convertirlo in CO2, rilasciando nell’aria il gas serra più longevo ma meno potente. Questa ossidazione di massa del metano ridurrebbe di un sesto il potenziale di riscaldamento climatico dei gas dell’atmosfera [4]. I chimici ambientali riconoscono che la tecnologia per rimuovere il metano dall’atmosfera (tecnologia delle emissioni negative), è un obiettivo importante, ma vi sono ostacoli di base per farla funzionare. Infatti, finora, nessuno ha realizzato e testato un materiale in grado di catturare e ossidare il metano atmosferico, sebbene i calcoli teorici suggeriscano che sia possibile.

Matteo Cargnello, ingegnere chimico della Stanford University e coautore del lavoro di Jackson, afferma: “catturare il metano è una sfida più grande che catturare la CO2 a causa della sua chimica: in questo momento non esiste alcun materiale che sarebbe in grado di farlo.”

Il primo ostacolo è la concentrazione relativamente bassa, circa 2 ppm, di metano nell’atmosfera. È sufficiente per riscaldare in modo significativo il pianeta, ma abbastanza scarso per renderlo facilmente catturabile. Cargnello sostiene che invece di iniziare dall’aria aperta, le tecnologie di cattura del metano potrebbero funzionare in luoghi in cui il gas è più abbondante, come nelle stalle, nelle miniere di carbone e nelle infrastrutture dei combustibili fossili come le prese d’aria.

Ma non è ancora chiaro cosa bisogna usare per “catturare” il metano: è inerte, non polare e simmetrico, limitando i tipi di molecole che potrebbero legarsi o assorbire il gas.

Cargnello e Jackson hanno esplorato la letteratura scientifica alla ricerca di candidati che ossidano il metano e hanno determinato che le zeoliti con rame catalitico o ferro sono i materiali più promettenti. Le zeoliti sono materiali alluminosilicati porosi che possono contenere siti catalitici attivi. Ma un chimico delle zeoliti dice che non è sicuro che la termodinamica per ossidare il metano con le zeoliti funzionerà. Un tale materiale dovrebbe essere idrofobo, altrimenti l’acqua ostruirebbe tutti i siti per il metano. E tutte le zeoliti idrofobiche esistenti richiedono un grande apporto di energia per assorbire il gas serra. L’altro ostacolo è l’energia della reazione di ossidazione, ci vuole molta energia per avviarla. Mantenere basse le temperature durante la reazione di ossidazione sarebbe fondamentale, afferma un ingegnere chimico del California Institute of Technology.  In caso contrario si potrebbero generare accidentalmente ossidi di azoto, un inquinante atmosferico che può stimolare la formazione di smog e ozono.

Esistono zeoliti che possono eseguire la fase di ossidazione del metano a basse temperature, ma attivare i siti attivi catalitici contenenti rame o ferro prima che il trattamento del metano richieda temperature elevate è difficile. Inoltre, queste zeoliti tendono anche ad avere pochi siti attivi per unità di massa, il che condannerebbe il processo all’inefficienza.

Cargnello riassume il consenso chimico sull’approccio: la tecnologia delle emissioni negative per il metano è “potenzialmente incredibilmente impattante, ma le sfide sono chiare”. Queste sfide, e altre coinvolte nella mitigazione delle emissioni di metano, sono quelle che il mondo deve affrontare, sostiene Jackson. Non c’è modo di ridurre le emissioni di CO2. Ma il mondo deve fare i conti con altri gas serra per combattere il cambiamento climatico, non solo metano ma anche protossido di azoto, tra gli altri. E afferma: “Un approccio su un singolo gas non servirà a fermare i cambiamenti climatici”.

La prima settimana della 26a Conference of Parties (COP26) ha sorpreso molti osservatori di lunga data. Molti grandi nomi hanno fatto grandi annunci nei primi due giorni, a differenza degli anni precedenti, in cui le figure di più alto profilo sono arrivate verso la fine dell’incontro per fare una dichiarazione concordata. Questa volta, le promesse sono arrivate velocemente, come quella riguardante un accordo internazionale per contenere le emissioni di metano, guidato da Stati Uniti e Unione Europea, e rafforzato dalle nuove regole sul metano negli Stati Uniti [5] .

È un buon inizio, afferma il climatologo Tim Lenton: “È una leva in più che potrebbe davvero aiutarci a limitare il riscaldamento globale”.

Questa idea sta iniziando a prendere piede nei circoli politici e scientifici, sostiene Jackson: “Sono entusiasta di vedere più attenzione sul metano”.

Bibliografia

[1] R.B. Jackson et al. Increasing anthropogenic methane emissions arise equally from agricultural and fossil fuel sources., Environ. Res. Lett. 2020, 15, DOI: 10.1088/1748-9326/ab9ed2

[2] I. B. Ocko et al. Acting rapidly to deploy readily available methane mitigation measures by sector can immediately slow global warming. Environ. Res. Lett. 2021,16,

DOI: 10.1021/acs.estlett.1c00173

[3] L. Höglund-Isaksson et al. Technical potentials and costs for reducing global anthropogenic

methane emissions in the 2050 timeframe –results from the GAINS model., Environ. Res. Commun. 2020, 2, DOI: 10.1088/2515-7620/ab7457

[4] R.B. Jackson et al. Methane removal and atmospheric restoration., Nat. Sustain. 2019 2,436–438.

[5] E. Masood, J. Tollefson, COP26 climate pledges: What scientists think so far., Nature news, 5 November, 2021


[1] Il Global Carbon Project è un progetto di ricerca di Future Earth e un partner del World Climate Research Program. È stato formato per lavorare con la comunità scientifica internazionale al fine di stabilire una base di conoscenza comune e concordata per sostenere il dibattito politico e l’azione per rallentare e infine fermare l’aumento dei gas serra nell’atmosfera.

[2] l’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) è un istituto di ricerca internazionale indipendente situato vicino a Vienna (Austria). Attraverso i suoi programmi e iniziative di ricerca, l’istituto conduce studi interdisciplinari orientati alla politica su questioni troppo grandi o complesse per essere risolte da un singolo paese come il cambiamento climatico, la sicurezza energetica e lo sviluppo sostenibile. I risultati delle ricerche IIASA sono messi a disposizione nei paesi di tutto il globo per aiutare a produrre politiche efficaci e basate sulla scienza che consentano di affrontare queste sfide.

Un pensiero su “Gas serra. Il metano.

  1. Pingback: Un reattore sperimentale converte il metano senza emettere CO2 | La Chimica e la Società

I commenti sono chiusi.