Rinaldo Cervellati
Il titolo del post è il titolo con cui Jamie Durrani ha scritto un bell’articolo su Chemistry World il 21 marzo scorso [1]. Qui ne riportiamo una versione tradotta e adattata da chi scrive.
Alla conferenza sul clima Cop26 dello scorso anno a Glasgow più di 100 paesi hanno firmato il “Global Methane Pledge”, l‘intenzione di ridurre le emissioni mondiali di metano del 30% entro il 2030. Si stima che il metano (figura 1), che ha un potenziale di riscaldamento globale più di 80 volte quello dell’anidride carbonica in un periodo di 20 anni, sia responsabile di un quarto degli aumenti di temperatura che si osservano oggi.


Figura 1. Formula di struttura del metano (a sinistra), immagine stick and balls (a destra).
Ma c’è un problema con cui le autorità devono confrontarsi quando stabiliscono obiettivi per ridurre queste emissioni: la maggior parte dei paesi in realtà non sa quanto metano rilascia nell’atmosfera. I firmatari dell’accordo di Parigi del 2015 devono riportare regolarmente un inventario nazionale delle emissioni di gas serra, incluso il metano, alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Ma queste stime variano e nella maggior parte dei casi non richiedono che siano verificate da misurazioni quantitative.
Negli ultimi anni numerosi studi indipendenti di monitoraggio del metano hanno evidenziato grandi discrepanze tra le quantità misurate di gas naturale immesso nell’atmosfera e quanto registrato negli inventari nazionali. In particolare, le perdite dalle infrastrutture del petrolio e del gas sembrano spiegare quantità allarmanti di emissioni di metano non dichiarate.
Thomas Lauvaux, uno scienziato atmosferico dell’Università di Parigi- Saclay (Francia), afferma: “Capire perché le emissioni riportate non sembrano corrispondere ai dati atmosferici raccolti è fondamentale per le politiche climatiche a lungo termine”.
Si tratta essenzialmente dell’approccio “dal basso verso l’alto” mediante il quale vengono compilati gli inventari. Nella maggior parte dei casi un’azienda è tenuta a valutare le potenziali fonti di emissioni di cui è responsabile: quante miglia di gasdotto e il numero di serbatoi di stoccaggio, vecchi pozzi, valvole, pompe e così via. Quindi moltiplica questi numeri per i fattori di emissione: stime di quanto metano perderà da ciascuna fonte.
“Beh, sappiamo che questi numeri sono sbagliati“, dice Lauvaux (fig. 2) “Sono di parte. Non tengono conto di tutta la complessità dei sistemi operativi reali.”

Figura 2. Thomas Lauvaux.
Esistono tre diversi livelli di segnalazione utilizzati negli inventari nazionali di metano, che l’UNFCCC chiama livelli uno, due e tre. Il livello tre rappresenta i protocolli più rigorosi, con stime più dettagliate che sono suffragate da un grado di monitoraggio a livello di sorgente. I rapporti di primo livello utilizzano fattori di emissione molto generici e generalmente forniscono i dati meno accurati.
Jasmin Cooper (fig. 3) dell’Imperial College di Londra (Regno Unito), la cui ricerca verte sull’analisi quantitativa delle emissioni delle strutture petrolifere e del gas, osserva: “Purtroppo, sono i più comunemente usati perché molti paesi semplicemente non hanno i dati. È perché il metano non è stato davvero una priorità fino a dopo l’accordo di Parigi, quella è stata la prima volta in cui si è effettivamente enfatizzato che il metano e altri inquinanti climatici sono importanti per affrontare il cambiamento climatico”.

Figura 3. Jasmin Cooper.
Uno dei principali problemi con il modo in cui gli inventari sono attualmente compilati è che non possono tenere conto di “incidenti” che contribuiscono con grandi quantità di metano all’atmosfera. Nel febbraio di quest’anno, il gruppo di Lauvaux ha pubblicato i dati raccolti dal Tropospheric Monitoring Instrument (Tropomi), un sistema di rilevamento del metano a bordo del satellite Sentinel 5-P dell’Agenzia spaziale europea. I dati di Tropomi rivelano l’entità sorprendente delle emissioni di metano associate a eventi “ultra-emittenti” in tutto il mondo (fig. 4).

Figura 4. Immagine di un evento “ultra-emittente”.
“Quando abbiamo aggregato tutti questi numeri, abbiamo scoperto che c’erano centinaia di queste perdite “, afferma Lauvaux. “E sto parlando di perdite giganti, più di 20 tonnellate di metano l’ora, che equivale circa a un gasdotto aperto“.
Nel corso di due anni, dal 2019 al 2020, Tropomi ha rilevato circa 1200 eventi di ultra-emissioni associati alle infrastrutture del petrolio e del gas, con punti critici notevoli in Turkmenistan, Russia, Stati Uniti, Medio Oriente e Algeria. Il gruppo di Lauvaux calcola che queste perdite rappresentano circa 8 milioni di tonnellate di metano perse nell’atmosfera all’anno, circa il 10% delle emissioni totali associate alla produzione di petrolio e gas.
Egli afferma: “E stiamo guardando solo la punta dell’iceberg: sappiamo che ci sono molte più perdite al di sotto della soglia di rilevamento. Quindi per la prima volta abbiamo stabilito che queste perdite giganti si verificano più spesso di quanto pensassimo e rappresentano una quantità significativa di metano. Se queste perdite fossero riparate, le emissioni si ridurrebbero del 10 o 20%.”
Sebbene le misurazioni satellitari abbiano il potenziale per migliorare il monitoraggio, questi strumenti sono costosi e sono attualmente ostacolati dalla bassa risoluzione e dalle condizioni meteorologiche, che le rendono più difficili specialmente nelle regioni più umide. Possono, tuttavia, essere integrate da una tecnologia di misurazione più localizzata montata su torri, furgoni e aeroplani.
Molte delle più grandi compagnie petrolifere e del gas utilizzano già queste tecniche in una certa misura per rilevare le perdite: infatti, per l’industria energetica una perdita di gas significa perdita di profitto. Secondo la Oil and Gas Methane Partnership (OGMP)[1], solo nel 2021 sono stati sprecati 19 miliardi di dollari di metano a livello globale.
Cooper, che non è stata coinvolta nel progetto Tropomi, osserva che con i sistemi di monitoraggio satellitare sta “diventando più difficile nascondere le emissioni. Una scoperta interessante dello studio è che la manutenzione è una grande fonte di emissioni, poiché non è qualcosa che viene segnalato dalle aziende. Ci sono linee guida su come prevenire lo sfiato durante la manutenzione, ma dipende dalle pratiche del singolo operatore.”
Lauvaux ritiene che il set di dati del suo gruppo potrebbe aiutare i funzionari a cercare di capire perché alcune regioni sembrano avere prestazioni migliori di altre nella prevenzione di eventi di ultra-emissione. Dice: “Per me, ora c’è più un aspetto politico. Sulla base di quanto riportato, vorrei che i responsabili politici esaminassero la questione con più attenzione e dicessero: Ok, chi sta facendo un ottimo lavoro? Perché stanno facendo un ottimo lavoro? E cosa si potrebbe implementare in modo che domani diminuiscano le emissioni dagli Stati Uniti, dal Turkmenistan e dalla Russia.”
Dal 2014 la OGMP ha visitato più di 70 aziende, che rappresentano metà della produzione mondiale di petrolio e gas. Alla fine del 2020, ha pubblicato nuove proposte con l’obiettivo di ridurre del 45% le emissioni di metano del settore entro il 2025 e del 60-75% entro il 2030. La chiave della proposta è giungere a “un quadro completo di segnalazione di tutte le fuoriuscite di metano basato su misurazioni” che, secondo OGMP, “sarà in grado di rendere più facile per i funzionari monitorare e confrontare accuratamente le prestazioni di tutte le società in modi che prima non erano possibili”.
Spiega Cooper: “Se aderisci al progetto OGMP in pratica stai riconoscendo che la tua azienda prende molto sul serio il monitoraggio delle emissioni di metano. Quindi avrai una serie molto rigorosa di standard su ciò che stai (o non stai) facendo “.
Il quadro di riferimento di OGMP consente alle aziende di segnalare le emissioni di ciascuna delle loro operazioni a uno dei cinque livelli, con l’obbligo di portare tutti i rapporti al livello cinque (il più rigoroso) entro tre anni.
Ora spetta ai responsabili politici cercare di incoraggiare più aziende a utilizzare la migliore tecnologia disponibile per raggiungere questo obiettivo. A dicembre, la Commissione europea è diventata la prima firmataria dell’impegno a raggiungere gli obiettivi per le emissioni, con una nuova enfasi posta sul monitoraggio delle perdite di metano. La commissione vuole utilizzare il progetto OGMP come modello per migliorare l’accuratezza dei rapporti sull’inventario. Vuole inoltre che l’Osservatorio internazionale delle emissioni di metano fornisca un controllo aggiuntivo degli inventari delle emissioni, incrociandoli con “altre fonti come l’imaging satellitare“.
Maria Olczak, esperta di politica del metano, (Florence School of Regulation, Istituto universitario europeo in Italia), osserva: “Questo è un punto piuttosto interessante, perché è la prima volta che la Commissione europea dà importanza a un organismo internazionale che parteciperà al modo in cui viene attuato il regolamento”. Tuttavia, Olczak avverte che queste disposizioni potrebbero suscitare resistenza da parte degli operatori. Afferma: “Le aziende più piccole non sono favorevoli a fare campagne di rilevamento e riparazione ogni tre mesi. Secondo la mia esperienza, le aziende più grandi lo fanno una volta all’anno e per molte di loro non è nemmeno sull’intera struttura“.

Figura 5. Maria Olczak.
Il piano della commissione include anche nuovi meccanismi di trasparenza sulle importazioni di combustibili fossili. “La Commissione europea ha suggerito di creare due banche dati. Il primo sarà il database delle emissioni di metano relativo ai combustibili fossili importati nell’Unione Europea. Quindi, gli importatori dovranno divulgare informazioni esatte sulla provenienza dei diversi combustibili fossili, se tali paesi sono parti dell’accordo di Parigi, come segnalano le emissioni, e altro”, spiega Olczak. “Il secondo è lo strumento di monitoraggio globale del metano che utilizza le osservazioni satellitari: qui, penso, la commissione si concentrerà principalmente sul rilevamento dei super-emettitori“. Tuttavia, Olczak osserva che la commissione ha riconosciuto che l’attuale mancanza di dati di alta qualità sul metano renderebbe difficile l’attuazione di nuove tariffe sulle emissioni importate. Aggiunge quindi: “La Commissione europea ha anche menzionato in una delle disposizioni che rivedrà il suo approccio alle emissioni importate e proporrà alcune misure aggiuntive entro il 2025”.
Prima che possano essere trasformate in legge, le proposte della Commissione saranno esaminate dal Consiglio e dal Parlamento europeo in un processo che richiederà almeno un anno. Olczak sottolinea che, mentre è sempre probabile che le politiche vengano attenuate, è possibile che la crisi energetica in Europa faccia diminuire le misure che aumentano il prezzo del gas.
Bibliografia
[1] Measuring methane emissions is crucial to cutting them, Jamie Durrani, Chemistry World, 21 marzo, 2022.
Sul metano il blog ha pubblicato una serie di articoli, ad es:
[1] OGMP è un’iniziativa multi-stakeholder lanciata dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e dalla Coalizione per il clima e l’aria pulita e sostenuta dalla Commissione europea.