Museo diffuso: il caso Valselice.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Sono da oltre 50 anni un sostenitore del modello diffuso di Museo per motivi diversi

-valorizzazione dell’esistente

-delocalizzazione dei siti culturali nel territorio con rispetto delle periferie

-possibile ottimizzazione delle risorse disponibili rendendone più articolata la fruizione

Questo modello richiede strumenti che ne possano rendere fruibile al massimo i contenuti: penso ad itinerari storici, disciplinari, didattici, tematici.

A tutto ciò che ho più volte scritto aggiungo oggi un ulteriore vantaggio del Museo Diffuso: aggregare realtà piccole e meno note all’interno di percorsi culturali di eccellenza. Di recente in questo senso ho fatto una bella scoperta: salendo sulle colline sopra Torino ci si imbatte nell’Istituto Valselice, una scuola frequentata da un migliaio di giovani dalla media ai licei, ma dotato su 2 piani di un Museo Naturalistico dedicato a Don Bosco, suo fondatore. La nascita risale a quando il suo fondatore divenne proprietario di una raccolta di un centinaio di animali imbalsamati e classificati avuti in dono nel 1871 dal suo originale detentore il canonico Gianbattista Giordano.

Don Bosco ha finalizzato la collezione all’insegnamento per il quale ha sempre voluto valorizzare la componente sperimentale rispetto alla teorica. Per noi chimici titolari di una disciplina a prevalente carattere induttivo della conoscenza questo atteggiamento di Don Bosco suona in perfetta sintonia. Nel Museo sono conservati documenti e testimonianze di molti salesiani (Gaudi,Verri) assegnando al Museo un altro grande valore, quello di conservatore delle tradizioni di una comunità tramandandole con i loro significati, anche i meno palesi, ai posteri.

Un momento di svolta nella storia del Museo è rappresentato dal passaggio alla Direzione da parte di don Giuseppe Brocardo infatti con lui il Museo da strumento didattico interno è divenuto struttura aperta al pubblico inaugurata dal Sindaco di Torino nel 1969. È così anche iniziata la sua implementazione con 5000 campioni di rocce e minerali provenienti da tutto il mondo e ordinata secondo i più recenti criteri scientifici e con una raccolta di strumenti scientifici anche obsoleti, ma preziosi didatticamente per la loro trasparenza. Oggi gli strumenti sempre più sono assimilabili a scatole nere sconosciute per il loro funzionamento e quindi reperti dei tempi passati mantengono una specificità didattica che non finisce di stupire anche i non addetti. Per il Museo di Valselice questo avviene per strumenti del XIX secolo di natura fisica (ottica, acustica, meccanica, elettromagnetismo) e Chimica. Una sezione del Museo è dedicata a vertebrati ed invertebrati con alcune specie che vivono solo in Nuova Zelanda. Ottenere esemplari non sempre è stato facile e di recente è considerato un grande successo la donazione al Museo di 2 specie dal Madagascar a riconoscimento del ruolo didattico ed educativo del Museo anche rispetto ai giovani africani. Collezioni importanti su scala mondiale sono quelle di farfalle, coleotteri e conchiglie con un campione del peso di 120 kg. Nel settore di antropologia è  possibile vedere crani ed ossa preistoriche del 10000a.C.provenienti dalla Patagonia. Nel 1900 partì anche la raccolta fossili e più di recente l’erbario, con 15000 specie vegetali rappresentate, recuperate da salesiani in giro per il mondo (Gresini, Crespi,Allioni)

Per chi crede un messaggio di Don Bosco a caratterizzare il suo museo: la bellezza salverà il mondo ed il creato con le sue meraviglie è il depositario primo di questa bellezza di cui il mio ( di Don Bosco) Museo è rappresentazione e sintesi.

3 pensieri su “Museo diffuso: il caso Valselice.

  1. Al museo diffuso si deve collegare anche il concetto di ”museo a cielo aperto“. A San Martino di Bentivoglio, in provincia di Bologna, c’è il Museo della civiltà contadina, ospitato all’interno degli edifici di un’antica Azienda Agricola ma soprattutto al centro di quell’impianto agronomico tipico del territorio. Il Museo del patrimonio industriale di Bologna è ospitato presso la fornace Gallotti, un forno Hofmann del 1888 in perfetto stato di conservazione. Ma il valore di quest’ultimo museo viene aumentato dal fatto di essere costruito nei pressi di una chiusa del canale Navile, l’antico sistema di navigazione che consentiva di mettere in collegamento Bologna con il suo contado e i porti dell’Adriatico. Infine, a Pontecchio Marconi, verso la collina bolognese, c’è la villa che fu del premio Nobel Guglielmo Marconi, il suo mausoleo è un piccolo museo che racconta le sue ricerche, ma soprattutto c’è luogo ove avvenne la prima trasmissione radio che scavalcò una collina.. questi tre luoghi sono collegati da un cammino ideale che consente di ragionare su come le conoscenze ancestrali di un territorio hanno prodotto Uno dopo l’altro i balzi tecnologici che ci consentono quello stile di vita agiato che non dovremmo dare troppo per scontato.
    In oltre 35 anni di escursionismo con lo zaino in spalla posso testimoniare quanto il ritmo lento del camminare consenta di meditare su quello che si sta vedendo, sul passato e il futuro del territorio che si attraversa Per cui ben vengano itinerari che consentono di trasformare le vacanze in occasioni per una crescita culturale consapevole e un sano esercizio fisico in armonia con l’ambiente.
    Concludo invitando tutti a visitare il museo a cielo aperto del Monte piano nei pressi di Dobbiaco E in generale tutti quei siti dove rimangono le dolorose impronte della prima guerra mondiale per meditare su quanto sta succedendo oggi in Ucraina.

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