Il mondo ha bisogno di uno stop completo ai combustibili fossili

Rinaldo Cervellati

Intervista di Cheryl Hogue, di Chemistry & Engineering news, a Holly Jean Buck, analista ambientale, autrice del libro Ending Fossil Fuels: Why Net Zero is Not Enough, Verso Ed. 2021.

La breve intervista è stata rilasciata il 18 marzo scorso a C&EN, qui ne riportiamo una versione tradotta e adattata da chi scrive[1].

Holly Jean Buck, nata a Columbia (Maryland, USA), PhD in sociologia dello sviluppo, Cornell University (Ithaca, N.Y.), è attualmente professoressa di ambiente e sostenibilità alla Buffalo University (N.Y.), fig. 1.

Figura 1. Holly Jean Buck

Buck, nel suo libro, sostiene che l’obiettivo zero di emissioni entro il 2050 si concentra esclusivamente sui gas serra e di conseguenza distolgono l’attenzione dai combustibili fossili. Le aziende di diversi settori, compreso il settore chimico, si stanno impegnando per ridurre le proprie emissioni di gas serra a zero. Per raggiungere tale obiettivo, compenseranno il carbonio attraverso varie azioni, tipo piantare molti alberi o catturare l’anidride carbonica per immagazzinarla e utilizzarla come materia prima. Ma, sostiene Buck, il raggiungimento di emissioni zero netto non garantirà che il pianeta sia protetto dagli impatti sulla salute e sull’ambiente dovuti all’estrazione e all’uso di combustibili fossili. Secondo Buck, il cambiamento climatico non è l’unico motivo per eliminare gradualmente i combustibili fossili, che sono collegati a molti impatti negativi, incluso l’inquinamento atmosferico e il sostegno finanziario a governi corrotti e oppressivi.

Buck è una delle centinaia di autori che stanno contribuendo al prossimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), gruppo di lavoro delle Nazioni Unite che valuta i modi per rimuovere i gas serra dall’atmosfera. Il gruppo di lavoro pubblicherà una sintesi della relazione l’1 aprile.

Buck ha anche fatto parte di un comitato delle accademie nazionali di scienza, ingegneria e medicina degli Stati Uniti che ha scritto il rapporto “A Research Strategy for Ocean Carbon Dioxide Removal and Sequestration”, pubblicato nel dicembre 2021.

In precedenza Buck è stata ricercatrice scientifica presso l’Università della California, Los Angeles, Institute of the Environment and Sustainability e ricercatrice climatica presso la UCLA School of Law, dove la sua ricerca si è concentrata sulla governance dell’ingegneria climatica.

Ecco l’intervista:

CH. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle politiche e degli obiettivi dello zero netto?

HJB. Il vantaggio dello zero netto come obiettivo è che offre una certa flessibilità, sia nel tempo sia nello spazio. Forse il tuo paese produce molto bestiame. Nuova Zelanda e Uruguay sono in questa situazione. Molte delle loro emissioni provengono dal bestiame ed è difficile decarbonizzare.

Inoltre, alcune cose sarebbero possibili da decarbonizzare completamente in pochi decenni, ma manca ancora la tecnologia. Esistono percorsi plausibili per il carburante sostenibile per l’aviazione o l’idrogeno verde per alimentare le fabbriche, ma non sono abbastanza maturi.

Ma ci sono anche altri problemi. Il più grande è il pericolo che l’obiettivo zero netto sia usato come una sorta di scappatoia o un modo per rimandare transizioni più costose. Potrebbe ritardare i tagli alle emissioni. Questo è ciò che preoccupa molti sostenitori del clima.

CH. Il tuo libro sostiene che un allontanamento dai combustibili fossili è essenziale per affrontare il cambiamento climatico causato dall’uomo. Ne discuteresti, soprattutto a proposito dello zero netto?

JHB. Sappiamo che dobbiamo ridurre la produzione di combustibili fossili, non solo aumentare le rinnovabili. Dobbiamo fare entrambe le cose. Se vogliamo limitare il riscaldamento a 1,5 ºC, cosa che molti paesi hanno accettato di provare a fare, dovremmo ridurre la produzione di combustibili fossili del 6% all’anno in questo decennio. Eppure stanno pianificando di aumentare la produzione del 2% circa. Non siamo davvero sulla strada giusta.

CH. Lei afferma che la decarbonizzazione del settore petrolchimico è particolarmente difficile. Come mai?

JHB. In questo momento, circa l’80% di un barile di petrolio va per i combustibili e il resto ai prodotti petrolchimici. Ci sono emissioni legate a varie parti di quella produzione. Sia l’estrazione di petrolio e gas che il cracking delle molecole hanno un’impronta sul gas serra. La plastica non è ben riciclata, quindi è una specie di problema climatico a sé stante.

CH. Quali sono le sfide e le opportunità che l’industria chimica deve affrontare per porre fine ai combustibili fossili, piuttosto che lottare per lo zero netto?

JHB. È un settore difficile da convincere perché molte strutture sono estremamente costose e impegnano  grossi capitali. Ma penso che ci siano opportunità in termini di nuovi settori. Ad esempio, cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2. Ci sono molte opportunità interessanti nell’utilizzo della CO2 in termini di prodotti chimici come metanolo, polimeri e anche materiali da costruzione. La CO2 può essere utilizzata in tutte queste diverse applicazioni. I prodotti petrolchimici potrebbero essere realizzati con carbonio riciclato. Queste opportunità potrebbero attirare nuove società in competizione con le attività petrolchimiche usuali.

CH. Qual è il tuo messaggio per i chimici o i ricercatori che escogitano nuovi materiali in relazione allo zero netto?

JHB. È un momento così interessante ed emozionante per essere veramente innovativi nel settore. Il movimento per affrontare il cambiamento climatico sta aprendo opportunità economiche per prodotti che ora non sarebbero competitivi con i prodotti petrolchimici. Questa potrebbe essere una sorta di nuova rivoluzione chimica, sia in termini di biomateriali sia di utilizzo della CO2.

Breve recensione del libro Ending Fossil Fuels: Why Net Zero is Not Enough[2].

Il libro è costituito da due parti. La prima parte, “L’ottimismo crudele dello zero netto”, discute vantaggi e svantaggi dello zero netto. Pur riconoscendo che raggiungere lo zero netto entro il 2050 è un obiettivo ambizioso in contrasto con l’attuale ritmo di decarbonizzazione globale, i capitoli di questa parte sostengono che l’assunzione del concetto di equilibrio e stabilità creerebbe ambiguità che l’industria dei combustibili fossili potrebbero sfruttare. La seconda parte, “Cinque modi di guardare all’eliminazione graduale dei combustibili fossili”, valuta cinque approcci per avviare un declino pianificato dei combustibili fossili, un’impresa estremamente difficile che richiederà uno stretto coordinamento in tutti i settori della società. Di conseguenza, gli approcci delineati in questa parte non operano in modo isolato. Solo attraverso gli sforzi collettivi, la società può iniziare a delegittimare le basi materiali e ideologiche della produzione e del consumo di combustibili fossili. In paesi come gli Stati Uniti, i combustibili fossili sono saldamente radicati nell’immaginario sociale della “buona vita della classe media” poiché forniscono la base energetica per la vita suburbana e la proprietà dei veicoli. Il più grande ostacolo alla decarbonizzazione sono quindi le strutture culturali e politiche che legittimano la dipendenza dai combustibili fossili come norma sociale. Si propone dunque di modificare la consapevolezza pubblica con un discorso sui fini per trasformare l’attuale cultura neoliberista in una che pianifica. Secondo la ricerca di Buck, ciò che rende particolarmente problematiche molte delle soluzioni offerte dai giganti della tecnologia, come Apple, Microsoft e Google, a parte le loro tendenze tecnocratiche, è quanto siano inestricabilmente intrecciate queste soluzioni con il fossile. Il loro obiettivo collettivo è costruire un mondo fossile più pulito senza introdurre cambiamenti strutturali nell’accumulazione di capitale.


[1] https://cen.acs.org/environment/climate-change/world-needs-full-stop-fossil-fuels-sustainability-analyst-Holly-Jean-Buck-says/100/i13

[2] https://blogs.lse.ac.uk/impactofsocialsciences/2021/11/06/book-review-ending-fossil-fuels-why-net-zero-is-not-enough-by-holly-jean-buck/