Pitagora e la farmacogenomica.

Claudio Della Volpe

Il “non mangiare le fave” era un comandamento astruso del catechismo pitagorico. Perché Pitagora era contrario alle fave, tanto che si racconta che si lasciò uccidere pur di non attraversarne un campo?

Potrebbe essere che soffrisse di favismo, una malattia genetica che comporta una anemia, ma che, superata la crisi emolitica, comporta nelle forme croniche, recidivanti una nutrita serie di sintomi spiacevolissimi (facile stancabilità, dispnea da sforzo, palpitazioni tachicardia, ronzii auricolari, vertigini, insonnia). Insomma una malattia seria di cui si può tranquillamente morire e che interessa solo nel nostro paese 400mila persone.

Solo nel 1950 il favismo fu attribuito alla deficienza di un importante enzima, la glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PH), illustrato qui di seguito. L’enzima ha una serie di ruoli importantissimi nel nostro metabolismo cosicché la sua deficienza o la sua relativa efficienza può generare disturbi molto importanti.

Per approfondire il legame fra il favismo e la deficienza di G6PH potete leggere questo articolo di due ricercatori italiani.

I difetti genetici che hanno come conseguenza la mancanza o la scarsa efficienza di enzimi hanno un peso in tutte le reazioni biologiche, comprese quelle che metabolizzano i farmaci.

La farmacogenomica è lo studio del ruolo del genoma nella risposta ai farmaci. Il suo nome (farmaco + genomica) riflette la sua combinazione di farmacologia e genomica. La farmacogenomica analizza come il corredo genetico di un individuo influisce sulla sua risposta ai farmaci. Si occupa dell’influenza della variazione genetica acquisita ed ereditaria sulla risposta al farmaco nei pazienti correlando l’espressione genica o i polimorfismi a singolo nucleotide (ossia le modifiche dell’enzima conseguenti a singoli errori del DNA) con la farmacocinetica (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del farmaco) e la farmacodinamica (effetti mediati attraverso i bersagli biologici di un farmaco).

Il termine farmacogenomica è spesso usato in modo intercambiabile con la farmacogenetica. Sebbene entrambi i termini si riferiscano alla risposta ai farmaci basata su influenze genetiche, la farmacogenetica si concentra sulle interazioni singolo farmaco-gene, mentre la farmacogenomica comprende un approccio di associazione più ampio a livello di genoma, incorporando genomica ed epigenetica (caratteri non legati direttamente al DNA ma alla sua espressione e mediati per esempio da modifiche ambientali sul DNA (metilazione) che impediscono la sua espressione tramite i meccanismi che coinvolgono gli istoni, le molecole che impacchettano e spacchettano il DNA) mentre si occupa degli effetti di più geni sulla risposta ai farmaci.

Il tipico approccio della medicina anche moderna è espressa dall’inglese “one-dose-fits-all” ossia le medicine e le loro posologie vanno bene a tutti uomini e donne e qualunque sia la loro capacità metabolica o la loro espressione genica, al massimo si considera il peso e dunque la loro “diluizione” corporea. Ma le cose sono più complicate.

E lo sono perché i geni incidono sull’efficacia dei farmaci che prendiamo, anche i più comuni.

Per esempio nell’8% della popolazione britannica è inefficace l’analgesico oppioide codeina per l’assenza dell’enzima che la metabolizza e la converte in morfina.

Finora gli scienziati hanno individuato circa centoventi coppie di farmaci e geni collegati al loro metabolismo. Secondo Henk-Jan Guchelaar, farmacologo dell’università di Leida, nei Paesi Bassi, in circa metà dei casi è possibile intervenire modificando la dose o sostituendo il farmaco per ottenere risultati migliori. Munir Pirmohamed, farmacologo e genetista dell’università di Liverpool, dice che i britannici con più di settant’anni hanno il 70 per cento di probabilità di assumere almeno un farmaco la cui sicurezza o efficacia è compromessa dai geni.

Tuttavia al momento non vi sono molti metodi diffusi per gestire l’incompatibilità tra farmaci e geni a parte un rischioso meccanismo di tentativo-errore, ossia provare e vedere cosa succede, una cosa che funziona bene in molti casi pratici ma è potenzialmente suscettibile di effetti devastanti.

Nel caso di malattie croniche e dunque di farmaci prescritti per il controllo della pressione o del colesterolo o del glucosio, mentre il medico sperimenta cercando il farmaco giusto possono verificarsi effetti della malattia come ictus, infarti o altri gravi danni agli organi.

Questo è importante non solo per il singolo paziente ma anche per la società nel suo complesso dati i costi enormi dell’assistenza per questi effetti indesiderati.

Rappresentazione della taurochenodeossicolato 6alfa-idrossilasi, o CYP3A4, uno degli enzimi maggiormente coinvolti nella degradazione dei farmaci

Tra le proteine in grado di interferire con il metabolismo dei farmaci vi sono sicuramente gli enzimi appartenenti alla famiglia del citocromo P450 (CYP), una famiglia che comprende 18 famiglie, 44 sottofamiglie e 57 geni, i quali rientrano nella stessa categoria a causa della similarità che accomuna le varie sequenze amminoacidiche. Questo enzima è presente in tutti i domini dei viventi (infatti sono note più di 7.700 distinte macromolecole di tipo CYP), appartiene alla sottoclasse enzimatica delle ossidasi a funzione mista (o monoossigenasi).

I citocromi P450 sono i maggiori attori coinvolti nella detossificazione dell’organismo, essendo in grado di agire su un gran numero di differenti substrati, sia esogeni (farmaci e tossine di origine esterna) sia endogeni (prodotti di scarto dell’organismo). Spesso prendono parte a complessi con funzione di catena di trasporto di elettroni, noti come sistemi contenenti P450.

Le reazioni catalizzate dalle isoforme del citocromo P450 sono svariate. La più comune è una classica reazione da monossigenasi: il trasferimento di un atomo di ossigeno dall’ossigeno molecolare a un substrato organico, con riduzione del secondo atomo di ossigeno ad acqua:

RH + O2 + 2H+ + 2e → ROH + H2O

Le proteine enzimatiche appartenenti a questa categoria sono i principali responsabili della metabolizzazione farmacologica. Farmaci utilizzati per il trattamento di un’ampia varietà di condizioni patologiche, compresi depressione e altri sintomi psichiatrici, nausea, vomito, cinetosi e malattie cardiache, vengono degradati da queste proteine, e così anche componenti della famiglia degli oppiacei come la morfina e la codeina.

Debrisochina, un farmaco antipertensivo, usabile anche per stabilire la presenza di difetti genetici nel gene CYP2D6.

In particolare, il gene CYP2D6 è correlato al 25-30% dei farmaci assunti. Il gene CYP2D6 codifica per un polipeptide noto come debrisochina idrossilasi, in grado di inattivare tramite idrossilazione il ruolo anti-ipertensivo della debrisochina in soggetti sensibili. CYP2D6 mostra la più grande variabilità fenotipica tra i CYP. Infatti, esistono più di 70 alleli noti di CYP2D6 e a seconda del genotipo possono originarsi (un allele è ciascuna delle sequenze alternative di un gene o di altra sequenza di DNA):

  • metabolizzatori scarsi; deficit di debrisochina idrossilasi.
  • metabolizzatori intermedi; un allele nullo e un allele che codifica una versione difettosa della debrisochina idrossilasi.
  • metabolizzatori completi; un allele pienamente funzionante
  • metabolizzatori ultrarapidi; un numero di copie del gene superiore al normale, come risultato di eventi di duplicazione genica.

Il fenotipo CYP2D6 di un paziente è spesso determinato clinicamente tramite la somministrazione di debrisochina e la successiva analisi della concentrazione plasmatica del metabolita (4-idrossidebrisochina) (il fenotipo corrisponde alla espressione concreta del genotipo, ossia del gene, del DNA, in questo caso alla proteina coinvolta). Il profilo metabolico di un paziente è di importanza cruciale nel determinare il dosaggio appropriato. Infatti, un metabolizzatore scarso presenterà un rischio maggiore di effetti collaterali dannosi o di sovradosaggio, perché l’organismo eliminerà il farmaco in maniera inefficiente, mentre un metabolizzatore ultrarapido avrà probabilmente bisogno di una dose maggiore per ottenere un effetto benefico, a causa della sua aumentata capacità di modificarlo e rimuoverlo.

Un altro esempio di farmacogenomica applicata è evidente nella terapia farmacologica contro HIV, il virus dell’immunodeficienza umana. Un gruppo di ricercatori italiani (https://cattolicanews.it/news-dalle-sedi-giuliodori-dio-ci-chiede-di-non-rimanere-immobili/news-dalle-sedi-hiv-un-test-anti-reazioni-da-abacavir) ha messo a punto un test del DNA che rileva la predisposizione ad una reazione tossica all’uso dell’Abacavir, un importante farmaco antiretrovirale somministrato, insieme ad altri farmaci, durante il trattamento terapeutico contro HIV.

Solitamente l’Abacavir è ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti; tuttavia esiste una piccola percentuale di soggetti (5-8%) che, nelle prime sei settimane di trattamento, risulta ipersensibile al farmaco. Essendo questa reazione di ipersensibilità molto pericolosa per la salute, coloro che tendono a svilupparla non potranno assolutamente essere trattati con questo tipo di farmaco. Ad oggi, infatti, la prescrizione dell’Abacavir è consentita solo a quei pazienti che, dopo il test, non risultino soggetti a rischio; da qui l’enorme vantaggio di avere a disposizione un esame che fornisca risposte in tempi brevi (il test in questione sfrutta la real time PCR) e che sia facilmente accessibile da tutti i pazienti. Lo stesso principio è applicato nel trattamento terapeutico contro il cancro; qui i test di farmacogenomica vengono impiegati per identificare quali pazienti risulteranno ipersensibili oppure non risponderanno affatto a farmaci antitumorali comunemente usati nella pratica clinica.

Purtroppo queste ricerche sono solo all’inizio e la farmacogenomica legata a comuni farmaci come l’aspirina poniamo non è ancora ben conosciuta; c’è spazio per molte ricerche di base su questo tema per una medicina di precisione a partire dal ruolo delle modifiche genetiche presenti in maggiore o minore percentuale nelle varie etnie del mondo e fra uomini e donne.

Una lista aggiornata dei farmacogeni, ossia dei geni associati al metabolismo di un certo farmaco è qui. La lista è gestita dalla FDA.

NdA. Alcune parti del testo sono estratte dalle voci corrispondenti di Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Ho comunque introdotto alcune definizioni dei termini meno comuni.