Una medicina senza mercato

Claudio Della Volpe

È vero che questo titolo sembra una rivendicazione di un gruppo radicale?

E invece no.

È il sottotitolo di un recente libro scritto da uno dei più famosi farmacologi italiani; Silvio Garattini, fondatore e Presidente dell’Istituto Mario Negri; col titolo, “Brevettare la salute?”  esso riporta la conversazione di Silvio Garattini con Caterina Visco, giornalista, pubblicista e divulgatrice scientifica.

Garattini è un perito chimico, dunque uno di noi, ma laureato in medicina con all’attivo centinaia di pubblicazioni, un vero e proprio prestigio nazionale alla pari dei migliori di noi, farmacologo riconosciuto in tutto il mondo.

È venuto a Trento a parlare del tema del libro su invito dei colleghi di Giurisprudenza della mia (ex) università ed è stato intervistato dai giornali locali; vi segnalo questa intervista

Pochi forse immaginano che i brevetti non sono sempre esistiti; i brevetti in realtà sono nati in Italia, prima nell’antica Magna Grecia (ma duravano un solo anno) ma poi decisamente si sono sviluppati  con l’avvento del capitalismo nel XV secolo; le “litterae patentes” lettere aperte (patent è una parola inglese, ma poi di fatto viene dal latino, solo che ce lo siamo scordato) sono nate tra il 15° e il 19° secolo; secondo Vincenzo Visco, nostro ex-ministro delle finanze (in un articolo del 2021 su Il Sole-24 ore) avevano lo scopo di promuovere la ricerca, gli investimenti, e l’impegno personale, cioè al fine di creare valore per l’intera economia, ma negli ultimi decenni tale logica è stata stravolta.

La prima legislazione europea sul brevetto è contenuta in una parte del Senato veneziano del 19 marzo 1474 (Archivio di Stato di Venezia, Senato terra, registro 7, carta 32):3

«L’andarà parte che per auctorità de questo Conseio, chadaun che farà in questa Cità algun nuovo et ingegnoso artificio, non facto per avanti nel dominio nostro, reducto chel sarà a perfection, siche el se possi usar, et exercitar, sia tegnudo darlo in nota al officio di nostri provveditori de Comun. Siando prohibito a chadaun altro in alguna terra e luogo nostro, far algun altro artificio, ad immagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni 9.»

Con la seconda metà del XIX secolo e poi con il XX il brevetto è diventato una base dell’accumulazione di ricchezza, mercificando una gran parte della genialità umana, con la scusa che così se ne sarebbe generata di più; le regole del GATT del 1994 hanno poi santificato un approccio ormai reazionario e che è schierato a difesa della proprietà privata delle idee e delle invenzioni, come meccanismo di generazione del profitto; ma le cose non stanno proprio così.

Nella sua intervista il giovane rivoluzionario Garattini (in fondo ha solo 94 anni) dice con chiarezza che ci sono cose non brevettabili:

“Partiamo da un presupposto: in Italia il brevetto in campo farmaceutico fu introdotto dalla Corte costituzionale nel 1978 per favorire la ricerca e quindi il miglioramento della salute pubblica in accordo con l’articolo 32 della Costituzione. Nel momento in cui, come avvenuto durante la pandemia, esso diventa un ostacolo al benessere generale perde la sua giustificazione giuridica”

Questo è parlare!

C’è chi dice che senza brevetti non c’è stimolo alla ricerca
«Personalmente non ci credo. Va detto che già oggi l’industria farmaceutica non fa più il lavoro di una volta. Io sono abbastanza vecchio da ricordarmeli i centri di ricerca privata di tanti anni fa. Ora non è più così. Il lavoro principale delle aziende adesso è quello di andare a caccia di start-up in tutto il mondo. Molti dei più importanti farmaci sviluppati negli ultimi anni sono nati così. Acquistando il frutto del lavoro di piccoli gruppi di ricerca. Il costo di queste aste viene poi riversato anche sulla sanità pubblica».

Nell’intervista rilasciata a Trento Garattini illustra come, durante la pandemia, l’industria farmaceutica abbia mostrato il suo lato peggiore
«Il Covid ha esposto in maniera forte questo tema. Già a dicembre del 2020 avevamo dei vaccini efficaci che però non abbiamo avuto a disposizione perché protetti dai brevetti. Questo non è stato un problema solo per i paesi in via di sviluppo, ma anche per l’Europa e l’Italia dove le dosi sono arrivate in numeri importanti solo a partire da marzo con quattro mesi di ritardo. Sento che abbiamo sulla coscienza tutte le morti di quei 120 giorni che si potevano prevenire. Dobbiamo evitare che questo si ripeta».

PUBLIC CITIZEN How to Make Enough Vaccine report written by Dr. Zoltán Kis and Zain Rizvi. edited by Peter Maybarduk, Rhoda Feng and Josephine Fonger at Public Citizen. Questo articolo illustra come si sarebbero potuti produrre subito miliardi di vaccini in più evitando molti milioni di morti.

Chiede la giornalista: Tra l’altro quei vaccini furono realizzati grazie anche a un importante investimento pubblico?
«Esatto, e così il pubblico si è trovato a pagare due volte mentre il privato registrava profitti record. Senza contare che le industrie hanno anche beneficiato, gratuitamente, della ricerca che era stata fatta sull’RNA messaggero»

Altro che i novax; l’unica critica seria da fare al comportamento del nostro come di altri governi durante il periodo del Covid è che grazie al meccanismo brevettuale difeso da quasi tutti i governi ed ovviamente dai detentori abbiamo dato al Covid la possibilità di sviluppare nuove versioni e di uccidere altri milioni di persone e lo abbiamo ancora sul groppone.

Abbiamo scritto altre volte di brevetti, per esempio citando come sono stati usati quelli sui PFAS per impedire  a chi ne analizzava gli effetti di prodursi delle soluzioni di riferimento analitico (leggete qui un post di Rinaldo Cervellati). E ci sono molti aspetti specifici per i quali vi rimando ai riferimenti del post (ricerca pubblica, prevenzione, malattie rare, tendenza alla privatizzazione)

Mi rendo conto che per la maggior parte dei lettori di questo blog accettare l’idea che i brevetti (almeno nella loro forma attuale) siano ormai un peso per l’umanità possa suonare come una affermazione scandalosa, ma non mi asterrò dal ripeterlo; nella maggior parte dei casi il brevetto, la detenzione della proprietà di un’idea o di un processo per un periodo multidecennale è ormai un limite alla sopravvivenza ed alla crescita civile dell’umanità, e favorisce sempre e solo chi se lo può permettere, la parte più abbiente dell’umanità.

In modo simile l’accesso ai risultati della ricerca; gli articoli scientifici sono coperti da diritto di proprietà per 70 anni ma di fatti il periodo viene prolungato dai meccanismi della messa a disposizione, per esempio gli articoli di Einstein non sono liberi di essere scaricati nonostante Einstein li abbia pubblicati quasi tutti ben oltre 70 anni fa; ma vi pare serio? E’ il motivo per cui credo che Alexandra Elbakyan, la fondatrice di Sci-Hub sia una vera eroina della nostra specie.

Le attuali regole brevettuali devono essere abolite o completamente riviste, studiando soluzioni etiche, socialmente sostenibili come i brevetti a tempo, la limitazione merceologica della brevettabilità, l’open science. E questo non solo nella medicina, ma anche nelle tecnologie di sicurezza alimentare ed ambientale che rappresentano un mezzo di garanzia e di salvezza per l’umanità: una scienza senza mercato!

La presentazione del libro da parte dell’autore : https://www.youtube.com/watch?v=ZBye-bBJU_U

L’intervista su T: https://www.iltquotidiano.it/articoli/la-sanita-di-garattini-basta-brevetti-le-cure-siano-di-tutti/

Un recentissimo articolo di Nature sul medesimo tema:

Un pensiero su “Una medicina senza mercato

  1. Claudio Ercolani ex de la Sapienza: conosco Garattini da sempre e riconosco tutti i suoi meriti ed il suo enorme prestigio.

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