Nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Mauro Icardi

Nulla si distrugge, tutto si trasforma!Antoine-Laurent de Lavoisier

La vicenda relativa alla chiusura in Lombardia di un impianto destinato al trattamento di fanghi di depurazione destinati al riutilizzo agricolo, è il tipico esempio di una vicenda che, nel suo svolgersi mostra come ancora oggi si ricada nei medesimi errori. Errori di valutazione e di comprensione che riguardano un po’ tutti.

Vediamo di approfondire il problema. Partendo da un dato oggettivo, conosciuto da chi lavora nel settore, ma probabilmente meno da altri.

La depurazione di acque reflue è la chiusura del cerchio del ciclo idrico. Questo significa in poche parole che tutto quello che viene scaricato nelle acque che abbiamo usato deve subire un trattamento. Perché non è pensabile che le acque reflue possano essere scaricate nei fiumi o nei laghi, senza subire nessun tipo di trattamento. Questa perlomeno è la situazione dei paesi economicamente avanzati. Purtroppo non in tutti i paesi a livello mondiale le cose stanno in questo modo. Ma torniamo a concentrare l’attenzione, per comodità sulla situazione italiana.

Nel processo di depurazione di tipo biologico, i fanghi sono un normale ed inevitabile prodotto del trattamento di depurazione. E’ mediamente si può stimare che si producano 0,3 kg di sostanza secca per ogni kg di COD rimosso con umidità che può variare dal 75% all’85% In letteratura i dati possono essere variabili, ma è importante questo concetto.

Ricordo che il termine COD (dall’acronimo inglese Chemical Oxygen Demand) che in italiano può essere reso come domanda chimica di ossigeno, è la quantità di ossigeno( mg O2/lt) necessaria per l’ossidazione completa delle sostanze organiche e inorganiche contenute in un campione di acqua. Si associa al valore del BOD5 che è la misura che esprime la quantità di ossigeno necessaria per l’ossidazione biochimica delle sostanze organiche contenute in un’acqua da parte di microrganismi aerobici, già presenti oppure inoculati nel refluo. Il saggio del BOD5 si esegue in condizioni controllate (alla temperatura di 20°C tenendo il campione al buio, e misurando il consumo di ossigeno (mg O2/lt) dopo 5 giorni. Il rapporto COD/BOD è l’indice che misura la biodegradabilità di un refluo. Un rapporto tra i due parametri che abbia un valore di 1,9-2,5 indica una buona biodegradabilità. Rapporti con valori più alti indicano una minor presenza di sostanze biodegradabili, tipicamente quelle contenenti una maggior componente di scarichi di origine industriale.

Il fango ottenuto dal trattamento acque deve subire un trattamento che lo renda certamente stabilizzato ed igienizzato, un trattamento che sia economicamente sostenibile, e anche accettato socialmente.

Per meglio dire, il concetto che io ho sempre sostenuto personalmente, ma credo di non essere il solo, è che tutto quello che può far funzionare bene un impianto di trattamento acque reflue è la corretta progettazione e gestione della linea di trattamento fanghi. Adottando anche le nuove tecniche di riduzione della produzione degli stessi. Su questo blog ne ho scritto. Trattamenti di lisi termica, aumento della funzionalità dei digestori anaerobici sfruttando la possibilità della codigestione di matrici adatte (per esempio la Forsu che migliorando la funzionalità del digestore anaerobico, contestualmente riduce le quantità di fango da destinare al successivo trattamento di disidratazione.) Le possibilità tecniche esistono. Vanno valutate attentamente caso per caso.

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/05/15/trattamento-e-recupero-dei-fanghi-di-depurazione/

I fanghi concentrano i materiali e i composti che possono essere trattati in un trattamento biologico convenzionale. Sappiamo che la diffusione di composti refrattari a questo tipo di trattamento convenzionale può innescare situazioni di criticità. Quindi parallelamente alla gestione e alla progettazione corretta del comparto fanghi, vanno potenziati i sistemi di trattamento terziario. Sistema di solito presente negli impianti di grandi potenzialità e solitamente assenti in quelli di piccoli (potenzialità intorno 5000 abitanti equivalenti). Come si nota i problemi sono sempre collegati in serie. Non aiutano in questo senso molti articoli di stampa generalista che parlano dei fiumi di cocaina o dei metaboliti di farmaci nei fiumi italiani. Occorre fare un ragionamento un po’ più critico sul perché sono finiti lì. Per esempio far notare che su un totale di 75 milioni di abitanti equivalenti effettivi serviti, solo 50 milioni sono quelli che hanno un trattamento terziario (66%). Se ragioniamo sul numero di impianti la percentuale scende addirittura al 19%, cioè 2309 impianti dotati di trattamento terziario su 17897, dato che fa riferimento al territorio nazionale, dati istat 2015. E’ un trattamento terziario potrebbe semplicemente essere, nella realtà una semplice disinfezione finale, anche se dal punto di vista tecnico non sarebbe ovviamente corretto.

Tornando ai fanghi, questi una volta usciti dal depuratore e disidratati diventano rifiuti, a meno che non abbiano caratteristiche tali da renderne idoneo l’utilizzo in agricoltura.

La normativa italiana fa ancora riferimento al decreto legislativo 99 del 1992. Decreto ormai invecchiato e che necessiterebbe di una nuova versione. Il decreto per valutare l’idoneità dei fanghi all’utilizzo agronomico concentra l’attenzione solo sui metalli pesanti dando limiti per la concentrazione dei metalli pesanti. Vista l’attenzione ovviamente doverosa sui nuovi inquinanti la Regione Lombardia ha per esempio introdotto una normativa maggiormente strutturata che prevede i controlli analitici della qualità dei fanghi in funzione della potenzialità in abitanti equivalenti degli impianti che li hanno prodotti, inserendo tra i parametri da determinare anche gli idrocarburi policiclici aromatici, oltre ai più consueti azoto e fosforo totale, che ne caratterizzano la possibilità di utilizzo agronomico. Sulla base di queste caratterizzazioni ha stabilito tre diverse classi di caratterizzazione (fanghi di alta qualità, fanghi idonei, e non idonei). Questo è un primo passo.

Ma non basta. Tornando alla vicenda dell’azienda incriminata per traffico illecito di rifiuti, è doveroso ricordare come in Italia troppo spesso il caos normativo porti alla tentazione di utilizzare e smaltire rifiuti illegalmente. Triste pensare che spesso il business del fango sia più redditizio di quello degli stupefacenti. E che dove le istituzioni sono distratte o assenti prospera la criminalità, che riempie un vuoto.

Tornando a temi meno tristi e più tecnici, occorrerebbe che gli investimenti da destinare al ciclo idrico nel complesso non fossero ulteriormente procrastinati o rimandati. Investimenti che dovrebbero comprendere anche una quota destinata alla ricerca. Sugli inquinanti persistenti, sui loro effetti su salute ed ecosistema. Ricerca che dovrebbe necessariamente interfacciarsi in maniera imprescindibile con i gestori degli impianti. Non ultima la necessità di inserire l’educazione idrica anche nelle scuole elementari. Educazione che non dovrebbe limitare i suoi temi soltanto nel doveroso intento di insegnare come si possa e si debba risparmiare l’acqua. Ma che dovrebbe anche insegnare i concetti di base della depurazione delle acque.

Un piccolo aiuto potrebbe venire anche dall’informazione. Che dovrebbe cercare meno il sensazionalismo e più la correttezza informativa tecnico scientifica. Viviamo nel periodo di dissipazione della realtà oggettiva, delle fake news, problema ritenuto critico anche dal World Economic Forum.

E’ doveroso segnalare i problemi, ma anche indicare le soluzioni possibili e le scelte che si prospettano. I fanghi non possono sparire per magia, come vuol suggerire il titolo. Possono essere ridotti, gestiti con attenzione e rigorosità. Ma se non destinati all’uso agricolo, che può effettivamente far storcere il naso a molti, le alternative sono discarica, riutilizzo per laterizi o incenerimento. E francamente non so quante persone di un pubblico generalista gradirebbero una qualunque di queste soluzioni.

E a volte mi piacerebbe che la parola fosse maggiormente lasciata a ricercatori o tecnici. Che possano ricordare ccome tutto si trasformi e non si distrugga, magari ricordandolo ai distratti, o a chi lo aveva studiato ed ora lo ha dimenticato.

Si veda anche:

http://www.de-gustare.it/fanghi-agricoltura-solito-caos-allitaliana/

https://www.ilgiorno.it/lodi/cronaca/fanghi-agricoltura-1.3505437

https://www.ilcittadino.it/cronaca/2017/03/17/inchiesta-fanghi-chiesto-il-processo-per-12-persone/UF2ldivngd1z4rjeRP9ix3/index.html

Un pensiero su “Nulla si distrugge, tutto si trasforma.

  1. Pingback: Ciclo dell’acqua: il problema dello smaltimento del fango residuo. | La Chimica e la Società

I commenti sono chiusi.