I metalli del gruppo del platino. Prima parte: elementi del gruppo Iridio.

Rinaldo Cervellati

I metalli del gruppo del platino (abbreviati PGM) o platinoidi, platinidi o elementi del gruppo del platino (PGE) sono sei metalli nobili e preziosi, raggruppati vicini nella tavola periodica. Questi elementi sono tutti metalli di transizione del blocco d (gruppi 8, 9 e 10, periodi 5, 6 e 7).

I PGM sono rutenio, rodio, palladio, osmio e iridio, oltre al platino di cui abbiamo già parlato. Hanno proprietà fisiche e chimiche simili e tendono a presentarsi insieme negli stessi depositi minerali. Possono essere ulteriormente suddivisi in elementi del gruppo iridio (IPGE: Os, Ir, Ru) e elementi del gruppo palladio (PPGE: Rh, Pt, Pd) in base al loro comportamento nei sistemi geologici.

Cominceremo con il gruppo iridio.

L’Osmio (simbolo Os) è l’elemento n. 76 della tavola periodica, è molto raro, la quantità stimata nella crosta terrestre è 0.0015 ppm. La scoperta dell’osmio si intreccia con quella del platino e degli altri metalli del gruppo del platino. La scoperta che il platino non fosse una lega ma un nuovo distinto elemento fu pubblicata nel 1748. I chimici che studiarono il platino lo sciolsero in acqua regia per creare sali solubili. Osservarono sempre una piccola quantità di un residuo scuro e insolubile. Inizialmente pensarono che si trattasse di grafite. Nel 1803, Antoine François Fourcroy (1755-1809) e Louis Nicolas Vauquelin (1763-1829) sospettarono la presenza di nuovi elementi nel residuo insolubile, ma non ottennero abbastanza materiale per ulteriori esperimenti. Successivamente, Smithson Tennant[1], che aveva il vantaggio di una quantità maggiore di residuo, continuò la ricerca identificando due elementi precedentemente sconosciuti nel residuo nero, l’iridio e l’osmio.

Tennant fece reagire il residuo con idrossido di sodio a calor rosso. Dopo acidificazione fu in grado di distillare l’ossido formatosi. Lo chiamò osmio dal greco οσμέ che significa “odore”, a causa dell’odore cinereo e fumoso dell’ossido di osmio. La scoperta dei nuovi elementi fu documentata in una lettera alla Royal Society il 21 giugno 1804.

Fig. 1- Smithson Tennant

L’osmio ha colore blu-grigio brillante ed è l’elemento stabile più denso

L’osmio è un metallo duro ma fragile che rimane brillante anche alle alte temperature.

Fig. 2- Osmio cristallino (a sinistra), pallina di osmio rifusa (a destra)

Ha una compressibilità molto bassa. La durezza dell’osmio è moderatamente alta. A causa della sua durezza, fragilità, bassa pressione di vapore (la più bassa fra i metalli del gruppo del platino) e altissimo punto di fusione (il quarto più alto di tutti gli elementi, dopo carbonio, tungsteno e renio), l’osmio solido è difficile da lavorare.

Principali composti

L’osmio forma composti con stati di ossidazione che vanno da −2 a +8. Gli stati di ossidazione più comuni sono +2, +3, +4 e +8. Lo stato di ossidazione +8 è il più alto raggiunto da qualsiasi elemento chimico[2], a parte il +9 dell’iridio.

Gli stati di ossidazione −1 e −2 rappresentati dai due composti Na2[Os4(CO)13] e Na2[Os(CO)4],sono utilizzati nella sintesi dei cluster di osmio.

Il composto più comune con stato di ossidazione +8 è il tetrossido di osmio. Questo composto tossico si forma quando l’osmio in polvere viene esposto all’aria. È un solido cristallino molto volatile, solubile in acqua, giallo pallido, con un forte odore di fumo di legno. Il tetrossido di osmio forma osmati rossi OsO4(OH)2-2 in seguito a reazione con una base. Con l’ammoniaca, forma il nitruro-osmato OsO3N.

Il tetrossido di osmio bolle a 130 °C ed è un potente agente ossidante. Al contrario, il biossido di osmio (OsO2) è nero, non volatile, molto meno reattivo e tossico.

Solo due composti di osmio hanno applicazioni importanti: il tetrossido di osmio per la colorazione dei tessuti nella microscopia elettronica e per l’ossidazione degli alcheni nella sintesi organica, e gli osmati non volatili per le reazioni di ossidazione organica.

Il pentafluoruro di osmio (OsF5) è noto, ma il trifluoruro di osmio (OsF3) non è stato ancora sintetizzato, tuttavia gli alogeni con ampio raggio atomico rendono più stabili i composti, quindi sono noti il tricloruro, il tribromuro, il triioduro. Lo stato di ossidazione +1 è noto solo per lo ioduro di osmio (OsI), mentre diversi complessi carbonilici di osmio, come il dodecacarbonile di triosmio (Os3(CO)12), rappresentano lo stato di ossidazione 0.

Nonostante la sua vasta gamma di composti nei numerosi stati di ossidazione, l’osmio metallico a temperature e pressioni ordinarie resiste all’attacco di tutti gli acidi, inclusa l’acqua regia, ma viene attaccato dagli alcali fusi.

L’osmio ha sette isotopi naturali, sei dei quali sono stabili: 184Os, 187Os, 188Os, 189Os, 190Os, e 192Os (il più abbondante). Lo186Os subisce un decadimento alfa con un’emivita così lunga che per scopi pratici può essere considerato stabile.

L’osmio è uno degli elementi pari, che lo colloca nella metà superiore degli elementi che si trovano comunemente nello spazio. È, tuttavia, fra gli elementi stabili, uno degli elementi meno abbondanti nella crosta terrestre.

L’osmio si trova libero in natura o in leghe naturali; in particolare nell’osmiridio (una lega di iridio-osmio, ricca di osmio) e nell’iridosmio (ricca di iridio).

Fig. 3- Osmiridio

I metalli del gruppo del platino, e quindi anche l’osmio, si presentano come solfuri, tellururi, antimoniuri e arseniuri nei depositi di nichel e rame, in tutti questi composti il ​​platino viene scambiato da una piccola quantità di iridio e osmio.

All’interno della crosta terrestre, l’osmio, come l’iridio, si trova a elevata concentrazione in tre tipi di struttura geologica: depositi ignei (intrusioni crostali dal basso), crateri da impatto e depositi formatisi da una delle strutture precedenti. Le maggiori riserve primarie conosciute si trovano nel complesso igneo di Bushveld in Sudafrica. I depositi alluvionali utilizzati dai precolombiani sono ancora fonte di metalli del gruppo del platino. Il secondo grande deposito alluvionale è stato trovato negli Urali, in Russia, da dove viene estratto anche osmio.

Commercialmente l’osmio si ottiene come sottoprodotto dell’estrazione e lavorazione di nichel e rame. Durante l’elettrorefinitura di rame e nichel, metalli nobili come argento, oro e metalli del gruppo del platino, insieme ad elementi non metallici come selenio e tellurio si depositano sul fondo della cella come fango anodico, che costituisce il materiale di partenza per la loro estrazione. La separazione dei metalli richiede che siano prima portati in soluzione. Un primo metodo consiste nella fusione con perossido di sodio seguita dal trattamento con acqua regia o in una miscela di cloro e acido cloridrico. Osmio, rutenio, rodio e iridio possono essere separati da platino, oro e altri in base alla loro insolubilità in acqua regia, lasciando un residuo solido. Il rodio può essere separato dal residuo mediante trattamento con bisolfato di sodio fuso. Il residuo insolubile, contenente Ru, Os e Ir, è trattato con ossido di sodio, in cui Ir è insolubile, producendo sali di Ru e Os solubili in acqua. Dopo evaporazione e ossidazione, il tetrossido di rutenio, RuO4, è separato da quello di osmio (OsO4) mediante precipitazione di (NH4)3RuCl6 con cloruro di ammonio.

Un secondo metodo consiste, dopo la dissoluzione dei metalli, nella separazione dell’osmio mediante distillazione o estrazione con solventi organici del tetrossido di osmio.

Entrambi i metodi sono impiegati per la produzione su scala industriale. In entrambi i casi, il prodotto finale (OsO4) viene ridotto usando idrogeno, producendo il metallo sotto forma di polvere che viene trattata con tecniche metallurgiche.

A causa della volatilità e dell’estrema tossicità del suo ossido, l’osmio è raramente utilizzato allo stato puro, ma in lega con altri metalli per dispositivi molto usurabili. Le leghe di osmio e iridio sono molto dure e sono utilizzate nelle punte delle penne stilografiche, dei perni e nei contatti elettrici di vari strumenti usati frequentemente.

Fig. 4- Penna per stilografica in lega di osmio e iridio

In passato furono anche usate per le puntine di fonografi e giradischi. Le puntine in lega di osmio erano significativamente più durevoli di quelle in acciaio e acciaio al cromo, ma si consumavano molto più rapidamente rispetto alle concorrenti e costose punte di diamante, quindi furono abbandonate.

Il tetrossido di osmio è stato utilizzato nella rilevazione delle impronte digitali e nella colorazione dei tessuti adiposi per microscopia ottica ed elettronica. Essendo un forte ossidante si lega ai lipidi principalmente reagendo con i legami carbonio-carbonio insaturi e quindi fissa le membrane biologiche nei campioni di tessuto e contemporaneamente le colora. Poiché gli atomi di osmio sono estremamente densi di elettroni, la colorazione dell’osmio migliora notevolmente il contrasto dell’immagine negli studi di microscopia elettronica a trasmissione (TEM) di materiali biologici.

Il tetrossido e il suo derivato osmato di potassio sono importanti ossidanti nella sintesi organica. Karl Barry Sharpless[3], che ha utilizzato questi composti per la conversione di un doppio legame in un diolo vicinale, ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 2001.

Fig. 5- Karl Barry Sharpless

Tuttavia OsO4 è molto costoso, quindi su scala industriale è spesso impiegato il più economico KMnO4, anche se i rendimenti sono inferiori.

Nel 1898 un chimico austriaco, Auer von Welsbach, sviluppò l’Oslamp, lampadina a filamento di osmio, ma fu presto sostituito dal più stabile ed efficace tungsteno.

Le lampadine a incandescenza Osram (praticamente non più in uso) derivarono il loro nome dal filamento in lega osmio-tungsteno (in tedesco wolframio).

L’osmio ha un’alta riflettività nella gamma ultravioletta dello spettro elettromagnetico, ciò che è richiesto per gli spettrometri UV nei veicoli spaziali, che hanno necessariamente ridotte dimensioni dello specchio. Gli specchi rivestiti di osmio furono fatti volare in diverse missioni spaziali a bordo dello Shuttle, ma divenne presto chiaro che i radicali liberi dell’ossigeno nella bassa orbita terrestre sono in quantità sufficiente per deteriorare lo strato di osmio.

L’unico uso clinico noto dell’osmio è nella sinovectomia nei pazienti artritici, che implica la somministrazione locale di tetrossido di osmio, un composto altamente tossico. La mancanza di segnalazioni di effetti collaterali a lungo termine suggerisce che l’osmio potrebbe essere biocompatibile, sebbene ciò dipenda dal composto di osmio somministrato. Nel 2011, i composti dell’osmio (VI) e dell’osmio (II) hanno mostrato attività antitumorale in vivo, indicando un possibile futuro loro uso come farmaci antitumorali.

Riciclaggio [1]

L’osmio è un elemento raro, pertanto lo smaltimento delle soluzioni usate dovrebbe consistere nel riciclaggio, non nello scarico, anche se in passato i suoi composti non erano considerati pericolosi per l’ambiente [2]. Il tetrossido tossico, incolore e solubile, viene rapidamente trasformato in biossido nero insolubile da quasi tutti i riducenti, solitamente in forma colloidale che si disperderebbe facilmente in acqua se non fosse saldamente attratta dal solvente organico (solitamente alcool) in cui è sciolto il riducente. Il biossido di osmio viene separato, lavato e poi ri-ossidato a tetrossido e riutilizzato per le applicazioni sopra menzionate.

L’Iridio (simbolo Ir) è l’elemento n. 77 della tavola periodica e la sua abbondanza stimata nella crosta terrestre è di 0.001 ppm, ancora più bassa di quella dell’osmio. Fu scoperto, insieme all’osmio, da Smithson Tennant, che lo chiamò iridio, da Iris (Ἶρις), la dea greca alata dell’arcobaleno perché molti dei sali che ottenne erano molto colorati.

L’iridio metallico ha un aspetto simile al platino, ma con una leggera dominante giallastra. A causa della sua durezza, fragilità e altissimo punto di fusione, l’iridio solido è difficile da lavorare, pertanto è comunemente impiegata la metallurgia delle polveri.

Fig. 6- Iridio in polvere; pressato e rifuso in cilindretti e sferette

È l’unico metallo a mantenere buone proprietà meccaniche all’aria a temperature superiori a 1600 °C. Occupa il decimo posto fra gli elementi con elevato punto di ebollizione, diventa superconduttore a temperature inferiori a 0,14 K. L’iridio è il metallo più resistente alla corrosione noto: non viene attaccato da quasi nessun acido, acqua regia, metalli fusi o silicati ad alte temperature. Tuttavia, può essere attaccato da alcuni sali fusi, come cianuro di sodio o di potassio, nonché da ossigeno e alogeni (in particolare fluoro) a temperature molto elevate. L’iridio reagisce anche direttamente con lo zolfo a pressione atmosferica per produrre disolfuro di iridio.

Principali composti

L’iridio forma composti negli stati di ossidazione tra −3 e +9; gli stati di ossidazione più comuni sono +3 e +4. Esempi ben caratterizzati dell’elevato stato di ossidazione +6 sono rari, sono noti il fluoruro IrF6 e due ossidi misti con magnesio, calcio e stronzio, Sr2MgIrO6 e Sr2CaIrO6. Nel 2009 l’ossido di iridio(VIII), IrO4, è stato ottenuto in argon a bassissima temperatura (6 K) mediante irradiazione UV del perossido di iridio. Lo stato di ossidazione più alto (+9), che è anche il più alto registrato per qualsiasi elemento, è noto solo nel catione IrO+4 in fase gassosa che non forma sali.

Il biossido di iridio, IrO2, solido nero-blu, è l’unico ossido di iridio ben caratterizzato. Un sesquiossido, Ir2O3, è stato ossidato a IrO2 dal’acido nitrico HNO3.

L’iridio forma anche iridati con stati di ossidazione +4 e +5, come K2IrO3 e KIrO3, che possono essere preparati facendo reagire ossido o superossido di potassio con iridio ad alte temperature.

I composti del tipo IrX3 sono noti per tutti gli alogeni. Per gli stati di ossidazione +4 e superiori, sono noti solo il tetrafluoruro, il pentafluoruro e l’esafluoruro. L’esafluoruro di iridio, IrF6, è un solido giallo volatile e altamente reattivo, composto da molecole con struttura ottaedrica. Si decompone in acqua riducendosi a IrF4, un solido cristallino (nero di iridio). L’iridio metallico si dissolve in cianuri alcalini fusi formando ioni esacianiridato (Ir(CN)63+).

L’acido esacloroiridico (IV), H2IrCl6, e il suo sale di ammonio sono i composti di iridio più importanti dal punto di vista industriale poiché coinvolti nella sua purificazione e utilizzati come precursori per la maggior parte degli altri composti dell’iridio, nonché nella preparazione di rivestimenti anodici.

I composti organoiridici contengono legami iridio-carbonio in cui il metallo si trova generalmente negli stati di ossidazione più bassi. Ad esempio, lo stato di ossidazione zero si trova nel tetrairidio dodecacarbonile, Ir4(CO)12, che è il carbonile binario più comune e stabile dell’iridio. Alcuni composti organometallici di Ir(I) sono abbastanza notevoli da essere chiamati con il nome dei loro scopritori. Ad esempio il complesso di Vaska, IrCl(CO)[P(C6H5)3]2, che ha la proprietà insolita di legarsi alla molecola di ossigeno, O2.

Fig. 7- Il complesso di Vaska

L’iridio ha due isotopi naturali stabili, 191Ir e 193Ir, con abbondanze naturali rispettivamente di 37,3% e 62,7%. Sono stati sintetizzati decine di isotopi radioattivi sintetici con numero di massa da 164 a 202.

Applicazioni

L’uso principale dell’iridio è come agente indurente in lega con il platino e/o con l’osmio. È impiegato inoltre nella fabbricazione di crogioli e altri attrezzi scientifici destinati a lavorare ad alte temperature e nella realizzazione di contatti elettrici (ad esempio: candele al Pt/Ir).

L’iridio o leghe osmio/iridio vengono usati per i pennini delle penne stilografiche e per i perni delle bussole per prolungarne la durata.

Fig. 8- Pennino di iridio per stilografica

L’iridio si usa come catalizzatore nella carbonilazione del metanolo per produrre acido acetico.

In lega con il platino fornisce un materiale a coefficiente termico nullo usato in meccanica. Dal 1889 fino a pochi anni fa i campioni standard del metro e del chilogrammo erano in lega platino iridio.

Un’altra applicazione, divenuta molto importante negli ultimi anni, è nell’elettronica organica. Poiché l’iridio è capace di emettere radiazione per fosforescenza, si è pensato di utilizzarlo per la fabbricazione di LED organici, che emettono luce bianca. La fosforescenza dell’iridio permette di aumentare notevolmente l’efficienza di emissione dei dispositivi. Si sintetizzano dei complessi dell’iridio da usare come droganti in una matrice (che solitamente emette nel blu). Secondo il tipo di legante, l’iridio può emettere a diverse lunghezze d’onda, tipicamente nel rosso e nel giallo. La combinazione dell’emissione di tutti i componenti del film organico dà luce bianca.

Il radioisotopo iridio-192 è una delle due più importanti fonti di energia per l’uso nella radiografia γ industriale per test non distruttivi su metalli. Inoltre, 192Ir è utilizzato come fonte di radiazioni gamma per il trattamento del cancro mediante brachiterapia, una forma di radioterapia in cui una fonte radioattiva sigillata è posta all’interno o accanto all’area che richiede il trattamento.

Recentemente un gruppo di ricercatori chimici e biochimici ha annunciato che l’iridio si lega all’albumina formando un complesso fotosensibile che può penetrare nelle cellule tumorali e, dopo essere stato irradiato con la luce (un processo chiamato terapia fotodinamica), distrugge le cellule tumorali [3,4][4].

Riciclaggio

Il recupero degli scarti di iridio e rutenio avviene o mediante fusione a temperatura elevata (pirometallurgia) o attraverso un processo idrometallurgico elettrolitico, entrambi analoghi a quelli utilizzati per la loro estrazione. Una volta recuperati attraverso l’elettrolisi, i sali dei metalli vengono trasformati e raffinati nei metalli puri tramite riduzione chimica con idrogeno, e quindi riutilizzati come materiali primi secondari.

Il Rutenio (simbolo Ru) è l’elemento n. 44 della tavola periodica, 5° periodo, 8° gruppo. È raro come l’iridio, la sua abbondanza nella crosta terrestre è stimata in 0.001 ppm. Nel 1827 Gottfried Osann (1796-1866), ritenne di aver scoperto questo elemento nel residuo lasciato dopo aver sciolto campioni di platino grezzo proveniente dagli Urali in acqua regia, e lo chiamò ruthenium dalla parola latina per ”Russia”. Ma Berzelius non trovò alcun metallo insolito nel residuo. Poiché Osann non fu in grado di riprodurre il suo isolamento rinunciò infine all’attribuzione. Nel 1844, Karl Ernst Claus[5], uno scienziato russo, dimostrò che i composti preparati da Osann contenevano piccole quantità di rutenio, che Claus isolò nello stesso modo in cui il più pesante osmio era stato scoperto quattro decenni prima. Claus dichiarò: “Ho chiamato ruthenium il nuovo corpo, in onore della mia Patria. Avevo tutto il diritto di chiamarlo con questo nome perché il signor Osann vi aveva rinunciato e la parola non esiste ancora in chimica “.

Fig. 9- Karl Ernst Claus

Il rutenio è un metallo di colore bianco argenteo, si presenta in quattro forme cristalline e non si annerisce se non soggetto a elevate temperature. Il rutenio non è attaccato dagli acidi (nemmeno dall’acqua regia) ma viene attaccato dagli alogeni ad alte temperature. Si dissolve in alcali fusi per dare rutenati (RuO42−). L’aggiunta di piccole quantità di rutenio può aumentare la durezza del platino e del palladio. La resistenza alla corrosione del titanio è notevolmente aumentata dall’aggiunta di una piccola quantità di rutenio. Una lega di rutenio-molibdeno è nota per essere superconduttrice a temperature inferiori a 10,6 K. Il rutenio è l’ultimo dei metalli di transizione del blocco 4d che può assumere lo stato di ossidazione +8, ma anche in questo caso è meno stabile rispetto all’osmio. Come il ferro, che lo precede nel gruppo, ma a differenza dell’osmio che lo segue, il rutenio può formare cationi acquosi nei suoi stati di ossidazione più bassi, +2 e +3.

A differenza del ferro, più leggero, il rutenio è paramagnetico a temperatura ambiente.

Il rutenio nativo è molto raro e spesso è sostituito in parte dall’iridio nella sua struttura cristallina.

Fig. 10- Rutenio

Si trova generalmente nei minerali degli altri metalli del gruppo del platino negli Urali, nel Nord e nel Sud America. Piccole quantità commercialmente importanti si trovano anche nella pentlandite estratta nell’Ontario (Canada) e nei depositi di pirossenite in Sudafrica.

Il rutenio naturale possiede sette isotopi stabili, il più abbondante (31.55%) è 102Ru.

Il rutenio, come gli altri metalli del gruppo del platino, è ottenuto commercialmente come sottoprodotto della lavorazione del minerale di nichel, rame e platino. Dopo il trattamento con bisolfato di sodio fuso, il residuo insolubile, contenente Ru, Os e Ir viene trattato con ossido di sodio, in cui Ir è insolubile, producendo sali disciolti di Ru e Os. Dopo evaporazione e calcinazione, l’ossido di rutenio RuO4 viene separato da OsO4 mediante precipitazione con cloruro di ammonio o mediante distillazione o estrazione con solventi organici del tetrossido di osmio volatile. Il prodotto viene infine ridotto usando idrogeno, ottenendo il metallo come polvere o spugna di metallo che può essere trattato con tecniche di metallurgia delle polveri.

Principali composti

Gli stati di ossidazione del rutenio vanno da 0 a +8 e −2. Gli stati +2, +3 e +4 sono i più comuni. Le proprietà dei composti di rutenio e dell’osmio sono spesso simili. Il precursore più diffuso è il tricloruro di rutenio. Anidro esiste in due forme, la α nera e la β marrone scuro, il triidrato è rosso.

Il rutenio può essere ossidato a ossido di rutenio (IV) (RuO2) che a sua volta può essere ulteriormente ossidato con metaperiodato di sodio a tetraossido di rutenio, RuO4, un agente ossidante aggressivo e con struttura e proprietà analoghe al tetrossido di osmio.

A differenza del tetrossido di osmio, il tetrossido di rutenio è meno stabile ed è abbastanza forte come agente ossidante per ossidare l’acido cloridrico diluito e anche solventi organici come l’alcol etilico a temperatura ambiente. Il rutenio non forma ossidi nei suoi stati di ossidazione +2 e +3. Il solfuro di rutenio (RuS2) è presente in natura nel minerale laurite, del gruppo delle piriti. Un alogenuro di rutenio molto noto è l’esafluoruro, un solido marrone scuro che si scioglie a 54 °C, idrolizzandosi violentemente al contatto con l’acqua per formare una miscela di fluoruri di rutenio a più bassi numeri di ossidazione, rilasciando fluoro gassoso.

Il rutenio forma una varietà di composti di coordinazione. I derivati con bipiridina e terpiridina sono numerosi, il più noto è il cloruro tris (bipiridina) rutenio (II), luminescente.

Fig. 11- Tris(bypiridna)rutenio(II) cloruro

Il rutenio forma anche una vasta gamma di composti organometallici. Il più noto è il catalizzatore di Grubbs usato in un’importante reazione degli alcheni (metatesi delle olefine).

Fig. 12- Il catalizzatore di Grubbs

Per questa sintesi Robert H. Grubbs[6] è stato insignito del Premio Nobel per la chimica 2005, insieme a Yves Chauvin e Richard Schroch.

Fig. 13- Robert H. Grubbs

Applicazioni

Per via del suo effetto indurente su platino e palladio, il rutenio è usato in lega con essi per produrre contatti elettrici molto resistenti all’usura.

L’aggiunta dello 0,1% di rutenio al titanio ne aumenta la resistenza alla corrosione fino a 100 volte.

Molti composti del rutenio sono catalizzatori molto versatili.

Complessi organo-metallici del rutenio hanno evidenziato delle proprietà anti-tumorali portando allo sviluppo di medicinali sperimentali.

Altri complessi del rutenio, per via della loro capacità di assorbire la luce di tutto lo spettro visibile, sono oggetto di ricerca nello sviluppo di tecnologie solari.

Infine, alcune leghe di rutenio-iridio sono utilizzate da aziende produttrici di accessori di lusso quali Mont Blanc e Rolex.

Riciclaggio

La Furuya Metal Co., produttore giapponese di oggetti industriali in metalli preziosi, ha aperto, nello stabilimento di Tsuchiura, un nuovo impianto pirometallurgico al plasma per riciclare i metalli del gruppo del platino dai catalizzatori esauriti. La tecnologia al plasma a corrente continua è stata fornita e installata da Swindon Tetronics International, con sede nel Regno Unito, specialista di questa tecnologia per il riciclaggio dei metalli e il trattamento dei rifiuti pericolosi. La tecnologia utilizza temperature altissime per fondere, gassificare o vaporizzare qualsiasi materiale di scarto, al fine di trattare, recuperare e raffinare preziosi prodotti commerciali. Secondo Tetronics, il nuovo processo al plasma consentirà a Furuya di recuperare PGM da catalizzatori di scarto di bassa qualità con tassi di recupero molto elevati. L’aspetto unico di questo particolare impianto è che è in grado di riciclare il rutenio: una novità mondiale.

Cicli biogeochimici

Per questi elementi non esiste un ciclo biogeochimico ben definito come quello riportato nel post sul platino [5]. Uno schema generico sulle principali fonti di emissione e cammini di distribuzione degli elementi del gruppo del platino nell’ambiente si trova nel ponderoso volume Platinum Metals in the Environment, riprodotto in figura [6, p. 110]:

Fig. 14- Ciclo dei PGM

Il volume, contenente contributi di diversi scienziati e ricercatori, si occupa prevalentemente di palladio e rodio (oltre che, ovviamente del platino) e dei sistemi di analisi chimiche e monitoraggi biologici negli in specifici ambienti. Per l’osmio viene riportato che la concentrazione nel Nord-ovest della Spagna è aumentata da poco più di 0,1 ng m-2 per anno dell’epoca pre-industriale a circa 50 ng m-2 per anno negli ultimi anni [6, p 13].

Opere consultate

CRC, Handbook of Chemistry and Physics, 85th, pp. 4-16.17; 4-21, 4-26,27

https://en.wikipedia.org/wiki/Osmium

https://en.wikipedia.org/wiki/Iridium

https://en.wikipedia.org/wiki/Ruthenium

Bibliografia

[1] J.A. Kiernan, Recycling Osmium Tetroxide, Microscopy today., 2001, DOI: 10.1017/S1551929500051312

[2] Smith et al., Trace Metal in the Environment, vol 4., Science Publishers Ann Arbor, 1978, cit. in [1]

[3] Zhang, Pingyu et al., Nucleus-Targeted Organoiridium-Albumin Conjugate for Photodynamic Cancer Therapy., Angewandte Chemie, 201858,  2350–2354.

[4] University of Warwick, https://www.eurekalert.org/pub_releases/2019-02/uow-ssl013119.php

[5] A. Mitra, S. Sen, Anthrobiogeochemical Platinum, Palladium and Rhodium Cycles of Earth:

Emerging Environmental Contamination., Geochimica et Cosmochimica Acta, 2017, DOI: 10.1016/j.gca.2017.08.025

[6] F. Zereini, Clare L.S. Wiseman, Eds., Platinum Metals in the Environment, Springer-Verlag Berlin Heidelberg 2015.

[1] Smithson Tennant FRS (1761-1815) è stato un chimico inglese, Fellow of the Royal Society. Noto soprattutto per la scoperta degli elementi iridio e osmio nel 1803. Contribuì anche alla prova dell’identità di diamante e carbone. Il minerale tennantite prende il nome da lui.

[2] Lo stato di ossidazione +8 si incontra solo nel rutenio, iridio e nello xeno.

[3] Karl Barry Sharpless (1941-) è un chimico americano, premio Nobel noto per il suo lavoro sulle reazioni stereoselettive e sulla chimica dei click. La click chemistry, termine inglese che si può tradurre come “chimica a scatto”, è una filosofia della chimica introdotta da Sharpless nel 2001, e si riferisce alla possibilità di sintetizzare sostanze complesse in modo semplice e rapido, unendo molecole più piccole. Questo tipo di reattività si ispira alla natura, che operando per lo più in ambiente acquoso produce un’enorme varietà di molecole complesse a partire da poche molecole di base.

[4] E’ interessante notare che una ricercatrice del gruppo, Cinzia Imberti, laureatasi in chimica con lode nel 2012 a Padova è poi andata in Inghilterra, Master of Research al King’s College di Londra nel 2014, Ph.D. nel 1918 sempre al King’s, da più di un anno anni ricercatrice all’Università di Warwick…

[5] Karl Ernst Claus (anche Karl Klaus o Carl Claus, 1796-1864) è stato un chimico e naturalista russo di origine baltico-tedesca. Principalmente noto come chimico e scopritore dell’elemento rutenio, ma anche come uno dei primi scienziati che hanno applicato metodi quantitativi in botanica. È stato membro dell’Accademia delle scienze russa.

[6] Robert Howard Grubbs (1942-) è un chimico americano, professore di chimica al California Institute of Technology di Pasadena, California. È stato covincitore del Premio Nobel 2005 per la chimica per il lavoro sulla metatesi dell’olefina.