Elementi della Tavola periodica. Selenio, Se. seconda parte

Rinaldo Cervellati

la prima parte di questo post è publicata qui

Ruolo ed evoluzione in biologia

Sebbene sia tossico a dosi elevate, il selenio è un micronutriente essenziale per gli animali, uomo compreso. Nelle piante, si presenta come un minerale estraneo, a volte in proporzioni tossiche nel foraggio in quanto alcune piante possono accumularlo proprio come difesa contro il consumo da parte di animali; altre piante, come le fabacee, richiedono selenio per la loro crescita il che indica la presenza di selenio nel suolo (Fig. 5).

  Figura 5. Accumulo di selenio in una pianta

Il selenio è un componente degli aminoacidi selenocisteina e selenometionina. Nell’uomo, il selenio è un oligoelemento nutriente che funziona come cofattore per la riduzione degli enzimi antiossidanti, come la glutatione perossidasi, e alcune forme di tioredossina reduttasi, presenti anche negli animali e in alcune piante.

La famiglia delle glutatione perossidasi (GSH-Px) catalizza alcune reazioni che rimuovono le specie reattive dell’ossigeno come il perossido di idrogeno e gli idroperossidi organici.

La ghiandola tiroidea e ogni cellula che utilizza l’ormone tiroideo usano il selenio, che è un cofattore per i tre dei quattro tipi noti di deiodinasi, che attivano e disattivano vari ormoni tiroidei e i loro metaboliti.

Il selenio può inibire la malattia di Hashimoto, in cui le cellule tiroidee del corpo vengono attaccate come se fossero estranee.

L’aumento del selenio nella dieta riduce gli effetti della tossicità del mercurio, sebbene sia efficace solo a dosi basse o modeste di mercurio. Prove scientifiche suggeriscono che i meccanismi molecolari della tossicità del mercurio includono l’inibizione irreversibile dei selenoenzimi necessari per prevenire e invertire il danno ossidativo nel cervello e nei tessuti endocrini.

Evoluzione biologica

Il selenio è contenuto in diverse famiglie di selenoproteine ​​procariotiche nei batteri, e negli eucarioti come selenocisteina, dove proteggono le cellule batteriche ed eucariotiche dai danni ossidativi. Le famiglie di selenoproteine ​​di GSH-Px e le deiodinasi delle cellule eucariotiche sembrano avere un’origine filogenetica batterica. La forma contenente selenocisteina si presenta in specie diverse come alghe verdi, diatomee, ricci di mare, pesce e polli. Un altro enzima, tioredossina reduttasi, contenente selenio, presente in alcune piante e negli animali, genera tioredossina ridotta, un ditiolo che funge da fonte di elettroni per le perossidasi e anche l’importante riduzione dell’enzima ribonucleotide reduttasi, precursori del RNA e del DNA.

Gli elementi in traccia coinvolti nelle attività degli enzimi GSH-Px e superossido dismutasi, ovvero selenio, vanadio, magnesio, rame e zinco, potrebbero essere carenti in alcune aree terrestri. Gli organismi marini mantenevano e talvolta espandevano i loro selenoproteomi, mentre quelli di alcuni organismi terrestri erano mancanti o sensibilmente ridotti. Questi risultati suggeriscono che, ad eccezione dei vertebrati, la vita acquatica favorisce l’uso del selenio, mentre gli habitat terrestri portano a un uso ridotto di questo oligoelemento. I pesci marini e le ghiandole tiroidee dei vertebrati hanno la più alta concentrazione di selenio e iodio. Da circa 500 milioni di anni fa, le piante d’acqua dolce e terrestre hanno lentamente ottimizzato la produzione di “nuovi” antiossidanti endogeni come l’acido ascorbico (vitamina C), i polifenoli (inclusi i flavonoidi), i tocoferoli, ecc.

Gli isoenzimi della deiodinasi costituiscono un’altra famiglia di selenoproteine ​​eucariotiche con funzione enzimatica identificata. Le deiodinasi sono in grado di estrarre elettroni dagli ioduri e gli ioduri dalle iodotironine. Sono pertanto coinvolti nella regolazione dell’ormone tiroideo, partecipando alla protezione dei tirociti dai danni causati dall’H2O2 prodotto dalla biosintesi dell’ormone tiroideo.

Alcune specie di piante sono considerate indicatori di alto contenuto di selenio nel terreno perché per prosperare ne richiedono alti livelli. Le principali piante indicatrici di selenio sono le specie di Astragalus (incluse le fabacee).

Fonti nutrizionali di selenio

Il selenio nella dieta proviene principalmente da carne, pesci, noci, cereali, funghi, frutta e vegetali (Fig. 6).

Figura 6. Alimenti contenenti selenio

L’apporto dietetico raccomandato negli Stati Uniti per adolescenti e adulti è di 55 µg/giorno. Il selenio come integratore alimentare è disponibile in molte forme, inclusi integratori multivitaminici minerali, che in genere contengono 55 o 70 µg/porzione. Gli integratori specifici al selenio contengono in genere 100 o 200 µg/porzione (Fig. 7).

Figura 7. Capsule e compresse di integratori al selenio

Si ritiene che il contenuto di selenio nel corpo umano sia compreso tra 13 e 20 milligrammi.

Tossicologia

Sebbene il selenio sia un oligoelemento essenziale, diviene ovviamente tossico se assunto in eccesso. Il superamento del livello di assunzione di 400 microgrammi al giorno può portare alla selenosi. Questo livello si basa principalmente su uno studio del 1986 su cinque pazienti cinesi che hanno mostrato segni evidenti di selenosi e un successivo controllo medico sulle stesse cinque persone nel 1992.

Segni e sintomi di selenosi includono odore di aglio nell’alito, disturbi gastrointestinali, perdita di capelli, distensione delle unghie, affaticamento, irritabilità e danni neurologici. In casi estremi di selenosi si possono riscontrare cirrosi epatica, edema polmonare o morte.

Il selenio elementare e la maggior parte dei seleniuri metallici hanno tossicità relativamente basse a causa della bassa biodisponibilità. Al contrario, selenati e seleniti hanno un modo d’azione ossidante simile a quello del triossido di arsenico e sono molto tossici. La dose tossica cronica di selenito per l’uomo è di circa 2400-3000 microgrammi di selenio al giorno. Il seleniuro di idrogeno è un gas estremamente tossico e corrosivo. Anche i composti organici, come dimetilselenuro, selenometionina, selenocisteina e metilselenocisteina, tutti con elevata biodisponibilità, sono tossici a dosi elevate.

L’avvelenamento da selenio dei sistemi idrici può verificarsi ogni volta che nuovi deflussi agricoli attraversano terreni normalmente asciutti e non coltivati. L’inquinamento da selenio delle vie navigabili si verifica anche quando il selenio viene lisciviato dalle ceneri del carbone, dalle miniere e dalla fusione dei metalli, dalla lavorazione del petrolio greggio e dalle discariche. Si è scoperto che i conseguenti alti livelli di selenio nei corsi d’acqua causano disturbi congeniti nelle specie ovipare, inclusi uccelli acquatici e pesci.

Nei pesci e altri animali selvatici, il selenio è necessario per la vita, ma tossico a dosi elevate. Per il salmone, la concentrazione ottimale di selenio è di circa 1 microgrammo di selenio per grammo di peso corporeo intero. Molto al di sotto di quel livello, i giovani salmoni muoiono per carenza; molto più in alto, muoiono per eccesso.

L’amministrazione per la sicurezza e la salute sul lavoro USA ha fissato il limite di esposizione consentito per il selenio sul posto di lavoro a 0,2 mg/m3 in un giorno lavorativo di 8 ore. A livelli di 1 mg/m3, il selenio è immediatamente pericoloso per salute e la vita.

La carenza di selenio può verificarsi in pazienti con funzionalità intestinale gravemente compromessa, in quelli sottoposti a nutrizione parenterale totale e in quelli di età avanzata (oltre 90 anni). La carenza di selenio, definita da bassi (<60% del normale) livelli di attività del selenoenzima nei tessuti cerebrali e endocrini, si verifica solo quando un basso livello di selenio è collegato a uno stress aggiuntivo, come elevata esposizione al mercurio o aumento dello stress ossidativo da carenza di vitamina E.

Riciclaggio

Il selenio utilizzato in metallurgia e nell’industria del vetro viene usualmente recuperato da ditte specializzate come Umicore e Vital Materials.

Nel 2014 un gruppo di ricercatori svedesi ha messo a punto un metodo per recuperare il selenio dal diseleniuro di rame, indio e gallio (CIGS) dalle celle fotovoltaiche esauste dei pannelli solari [1].

Il processo consiste anzitutto nell’ossidazione del materiale a elevata temperatura. Durante questa fase si forma diossido di selenio gassoso che viene separato dagli altri elementi, che rimangono allo stato solido. Per raffreddamento, il diossido di selenio sublima e viene raccolto sotto forma di cristalli. È stato osservato che dopo un’ora a 800 ° C tutto il selenio si separa dal materiale CIGS. Sono quindi stati testati due diversi metodi per la riduzione del diossido di selenio a selenio metallico. Nel primo metodo è stato utilizzato un composto organico come agente riducente in una reazione di Riley[1]. Nel secondo metodo è stata utilizzata anidride solforosa (biossido di zolfo). Entrambi i metodi hanno prodotto selenio di elevata purezza. Gli autori affermano che il procedimento di separazione del selenio messo a punto può diventare un sistema di riciclaggio per la completa separazione e recupero degli elementi da CIGS a elevata purezza.

Per il recupero del selenio dalle acque reflue è possibile usare prodotti chimici che trasformano il selenio disciolto in selenio solido, ma uno svantaggio è che il metodo non è selettivo: le sostanze presenti nel precipitato delle acque reflue si trasformano in una miscela di molti composti diversi. S.P.W. Hageman e collaboratori, della Wageningen University & Research, hanno proposto un metodo più sottile e selettivo che consiste nell’utilizzare i microrganismi [2]. Le acque reflue contengono selenio disciolto in due principali forme ossidate: selenato e selenito. I microrganismi possono convertire la prima forma direttamente, seppur lentamente, in selenio che precipita sotto forma di particelle di dimensioni nanometriche amorfe. A causa delle loro dimensioni, queste particelle sono piuttosto difficili da recuperare, ma Hageman e coll. hanno scoperto che le condizioni di reazione, come temperatura e pH, influenzavano la dimensione delle particelle di selenio precipitate. Aumentando la temperatura a 50 °C e mantenendo un pH elevato, intorno a 8 o 9, si formano cristalli di selenio relativamente grandi. Queste particelle di selenio più grandi e cristalline possono essere recuperate più facilmente e rendono economicamente fattibile la separazione.

Durante gli esperimenti, i ricercatori hanno trovato un processo ancora migliore per il recupero del selenio. Il selenato è molto stabile e non facile da trasformare. L’altra forma, selenito, è altamente reattiva e può essere più facilmente convertita in selenio. Gli scienziati sono riusciti a scoprire le condizioni specifiche del reattore in cui quasi tutto il selenato viene trasformato in selenito: ciò si è verificato a una temperatura di 30 ° C e pH neutro. I microrganismi presenti nei fanghi convertono successivamente il selenito in solfuro e selenio solido. Il selenio così recuperato ha una struttura cristallina, con particelle visibili e relativamente grandi, dell’ordine dei micrometri.

Secondo Hageman, questa via indiretta attraverso il selenito per recuperare il selenio, è più promettente della conversione microbiologica diretta dal selenato al selenio. La temperatura richiesta è più bassa, risparmiando energia, mentre il solfuro viene continuamente riciclato durante la reazione. Hageman afferma che il passo finale sarà testare il metodo in un contesto industriale[2].

Ciclo biogeochimico

Esiste una stretta relazione fra i livelli essenziali, benefici e quelli tossici di selenio per gli organismi, che variano notevolmente con la speciazione dell’elemento, così come col tipo dei viventi. Pertanto, sono cruciali per monitorare la sua speciazione in fase solida e in soluzione, i livelli di esposizione e i percorsi verso gli organismi viventi.

Diviene quindi indispensabile valutare il ciclo biogeochimico del selenio che alla fine influenza lo stato dell’elemento nell’uomo.

Sulla base della letteratura pertinente disponibile, un gruppo internazionale di ricercatori ha recentemente pubblicato una dettagliata review che traccia un collegamento plausibile tra: (1) livelli di selenio, fonti, speciazione, biodisponibilità ed effetto delle proprietà chimiche del suolo sulla biodisponibilità /speciazione del selenio nel suolo; (ii) ruolo dei diversi trasportatori di proteine ​​nel trasferimento di Se-suolo-radice-parti aeree; e (3) speciazione, metabolismo, fitotossicità e disintossicazione del Se all’interno delle piante [3].

In figura 8 è riportato lo schema di ciclo biogeochimico, tratta dal rif. [3]

Figura 8. Ciclo biogeochimico del selenio [3]

La review delinea anche l’accumulo di selenio in parti di piante commestibili da terreni contenenti livelli diversi dell’elemento e delucida disturbi o rischi associati alla salute dovuti al consumo di alimenti carenti o ricchi in Se.

Opere consultate

CRC, Handbook of Chemistry and Physics, 85th, 4-28

https://en.wikipedia.org/wiki/Selenium

Bibliografia

[1] Anna M.K. Gustafsson et al., Recycling of high purity selenium from CIGS solar cell waste materials.,Waste Management, 2014, 34, 1775-1782.

[2] S.P.W. Hageman et al., Efficient selenium recovery from waste streams, https://www.wur.nl/en/newsarticle/Efficient-selenium-recovery-from-waste-streams-.htm

[3] N. Natasha et al., A critical review of selenium biogeochemical behavior in soil-plant system with an inference to human health., Environmental Pollution, 2018, 234, 915-934.

[1] La reazione di Riley consiste nell’ossidazione di un gruppo metilico o metilenico attivato da un doppio legame adiacente, carbonile, aromatico, ecc. usando biossido di selenio come ossidante, riducendosi infine a metallo.

[2] Continuo a pensare che usare microorganismi potrebbe alla lunga rivelarsi pericoloso (NdR)