La concretezza in laboratorio.

Mauro Icardi

Ad intervalli di tempo regolari, mi capita di riflettere sul lavoro in laboratorio. Mi ritengo fortunato per due ragioni. La prima è che ho ricevuto  insegnamenti importanti e continui durante il periodo di studi. Le prime esercitazioni di laboratorio chimico mi hanno suscitato le stesse emozioni che Primo Levi descrive nel secondo capitolo de “Il sistema periodico”, quello dedicato all’Idrogeno.

L’esercitarsi a sviluppare la manualità, termine in un primo momento indistinto e quasi misterioso, prevedeva di applicarsi con dedizione e concentrazione, all’uso di propipette . Che molti di noi continuano a chiamare simpaticamente “porcellini”. Sembra un’operazione semplice e banale. Posso assicurare per esperienza personale che non è cosi. Non è stato semplice insegnare l’uso di questo palloncino di gomma rossa, con le sue tre valvoline a sfera, che ha liberato i chimici dalla non piacevole, e ormai dimenticata esperienza del pipettare a bocca.

Mi è successo di doverlo fare per studenti sia delle scuole superiori, che per tesisti provenienti dall’Università. Molti si sono destreggiati bene.  Ma ho sempre avuto l’impressione che non avessero compreso in maniera profonda, l’importanza di quel gesto.

Oggi anche l’utilizzo di questo oggetto è praticamente dimenticato. Le pipette a volume variabile hanno praticamente mandato in pensione le propipette. Io però continuo ad usarle, soprattutto quando preparo soluzioni di uso comune per il laboratorio.  Forse un vezzo che mi qualifica come chimico anziano.

Mi è anche successo di dovermi confrontare con persone che mi sono state affiancate sul lavoro, che, non per loro colpa, non possedevano   né una manualità sufficiente, ma soprattutto  non avevano la forma mentis del chimico di laboratorio.

Che si badi bene, non è una persona che esegue analisi in maniera pedestre e routinaria.

Ma che deve acquisire, con pazienza e perseveranza quello spirito di osservazione, che gli permetta per esempio di effettuare  il pretrattamento necessario del campione di acqua reflua che dovrà analizzare.  Che abbia un’idea preventiva del  livello di concentrazione di alcuni parametri, per esempio la richiesta chimica di ossigeno.  Potendo quindi scegliere il modo migliore per eseguire l’analisi, ed esprimere un risultato che più si avvicini al valore reale.

Deve osservare il campione. Verificarne l’aspetto e anche (sia pur con le dovute cautele) annusarlo. Levi su questo ci indirizzava. Credo valga la pena di citare questo brano.

Pesai un grammo di zucchero nel crogiolo di platino (pupilla dei nostri occhi) per incenerirlo sulla fiamma: si levò nell’aria del laboratorio l’odore domestico ed infantile dello zucchero bruciato, ma subito dopo la fiamma si fece livida e si percepì un odore ben diverso, metallico, agliaceo, inorganico, anzi, controrganico: guai se un chimico non avesse naso. A questo punto è difficile sbagliare: filtrare la soluzione, acidificarla, prendere il Kipp, far passare idrogeno solforato. Ecco il precipitato giallo di solfuro, è l’anidride arseniosa, l’arsenico insomma, il Mascolino, quello di Mitridate e di Madame Bovary.”  Primo Levi «Il sistema periodico»

Gli studenti di oggi mi sembra che non eseguano  più la ricerca sistematica dei gruppi analitici, che nel caso descritto era quella del secondo gruppo.  E questo, mi permetto di fare osservare, pur non essendo un docente, è davvero una grossa mancanza. Priva gli studenti di un’ addestramento pratico formativo e necessario.

Io opero nel settore idrico. L’acqua facilmente si sporca. E il chimico deve avere il giusto approccio, non avere né patemi né ribrezzi nei confronti di essa.

E in questo caso non è stato solo Levi a ricordarci l’importanza di questo approccio.

Ma anche l’indimenticato collega di redazione Giorgio Nebbia.

Mi rendo conto che può sembrare non gratificante dedicarsi all’analisi e allo studio dei liquami zootecnici o dei reflui degli impianti di depurazione urbana, anche se si tratta, solo in Italia, di alcuni miliardi di metri cubi all’anno, da cui potrebbero essere ricavate altre soluzioni forse non potabili, ma utilizzabili in agricoltura (e, con un po’ di furbizia, anche come fonti di metano). La chimica modesta è spesso molto utile per il, paese.

Giorgio Nebbia

Mi capita sempre più frequentemente di avere nostalgia degli anni di Laboratorio scolastico dove davvero ci si formava. Sia a livello teorico, che a livello di padronanza delle operazioni basilari. Essicamento, precipitazione, lavaggio dei precipitati, preparazione e standardizzazione di soluzioni.

Oggi tutto questo sembra dimenticato. Sia ben chiaro che non sono un retrogrado. L’analisi strumentale è stata rivoluzionaria e  dirompente per il lavoro in laboratorio.

Ma temo abbia in parte atrofizzato una certa sensibilità, una concretezza che, a mio parere il chimico dovrebbe acquisire e coltivare. E maggiormente il non chimico, che si trova per la prima volta in laboratorio.

10 pensieri su “La concretezza in laboratorio.

  1. Caro collega,
    ti racconto un aneddoto.
    Due o tre anni fa venne in visita, nell’ambito dei seminari organizzati dal Dottorato della mia università, un famoso collega di nazionalità tedesca, che insegna (ma forse ora è in pensione) in un prestigioso politecnico svizzero. Chimico inorganico e metallorganico, spesso era invitato alle riunioni che il PRIN al quale partecipavo.
    Prima del seminario volle visitare il Campus (allora nuovo di zecca, anche se già con qualche problemino), io gli feci vedere il laboratorio di ricerca e quello di didattica del mio (e suo) settore. Osservò con competenza ed interesse: io gli chiesi, per il sui corsi di Chimica Generale e per quelli di Inorganica, quante fossero le ore di lezione e quante quelle di laboratorio. Sembrò non comprendere la domanda, poi mi spiegò : nel ns Politecnicop abbiamo solo pochi corsi di laboratorio, uno che comprende la vostra Generale, la vs Inorganica e parte della vs Chimica Fisica (la termodinamica), poi uno di Chimica organica ed uno di Chimica Analitica, che comprende anche la spettroscopia, e si svolgono in varie annualità.
    Io insistetti a chiedere l’orario/calendario citando che avevo solo 16 ore (accademiche) per il Lab. di Generale, e ca 36 per quello di Inorganica. Un po’ più ricca, ma non di molto, la dotazione di altri laboratori per i ns studenti triennali.
    Lui sorrise e mi spiegò : per tutto il periodo dei semestri, gli studenti frequentavano ogni mattino lezioni teoriche, ed OGNI pomeriggio lo trascorrevano in un laboratorio, sempre, ogni giorno.
    Vogliamo fare una riflessione sulla manualità e la competenza acquisita degli studenti di quella università e confrontarla con quella dei ns studenti ?
    O, più semplicemente, con quella dei ns laureati pre riforma del 3 + 2 ? O con quella dei ns laureati prima del 3+2 prima della Gelmini e degli infiniti tagli di bilancio (le spese della didattica sono in carico ai dipartimenti e non all’ Ateneo) per cui stiamo spendendo nel mio Dipartimento un terzo di quanto spendevamo 20 anni fa, riducendo e tagliando le esperienze di laboratorio per motivi economici (e anche per far meno fatica) ?
    Qui non si tratta solo di nostalgia, si tratta di laureare dottori che ne san meno ed hanno meno conoscenze pratiche di buoni vecchi periti, per le cose di laboratorio…

    stefano antoniutti

    • Caro Stefano
      hai perfettamente ragione. Anche nell’azienda dove opero assumiamo neodottori con incapacità estrema di operare in laboratorio….c’è bisogno di mesi e mesi per acquisire le tecniche pratiche comuni….periti cinquantenni li battono alla grande…..

      • Se sei il Massimo Lovato col quale ero assieme all’università hai l’età giusta per capirmi …
        D’altra parte, nelle università anche nei corsi di chimica il peso prevalente (per esperienza) oramai non lo hanno più i chimici, perchè fondi di ricerca e/o posti vengono, coi criteri premiali in voga, dati sempre più ad aree applicative, segnatamente materiali e bio-nano-etc e quindi a fisici, chimico fisici teorici, matematici applicati ed ingegneri, che della pratica di laboratorio non hanno esperienza alcuna e anche, francamente parlando, vero e proprio disprezzo.
        Da anni nel mio ex Dipartimento e nella mia ex-università i Coordinatori della Didattica sono dei fisici (magari anche bravi, ma fisici). E, per il Principio Zero dell’universo, tendono in primo luogo a riprodurre sè stessi, per cui si abbassano (formalmente o sostanzialmente) le ore di laboratorio e di tesi sperimentale, e si incrementano ore e crediti di Fisica teorica e matematica teorica. Tutti teorici, e poi… ?

  2. Caro Mauro,
    anche io penso che il vecchio insegnamento di chimica analitica qualitativa avesse un alto valore formativo per il chimico. Secondo me non c’era luogo migliore perché gli studenti facessero esperienza degli effetti della competizione fra gli equilibri in soluzione legati alle variazioni di pH, ai prodotti di solubilità e ai fenomeni di complessazione.
    Credo che faccia bene ricordarlo.
    Adele

  3. Giusto ricordare la Qualitativa Inorganica !
    Ma chi ha tentato di reintrodurla in qualche modo si è scontrato con i criteri di rischio chimico che applicano i SPPR, che danno di matto quando vedono la lista di sostanze e/o “lavorazioni” da fare…(anche su questo argomento sarebbe da aprire un dibattito, spesso non ci sono chimici neigli SPPR)
    Aggiungiamo la riduzione dei corsi che il tre + due ha imposto, e la sensazione che la moderna didattica chimica non abbia più bisogno di queste cose “vecchie”…e quel corso è stato sacrificato a cuor leggero…

    stefano antoniutti

  4. Ringrazio Stefano e Adele per i i loro commenti al post. Una delle cose che più mi rattrista è il taglio dei fondi di bilancio per scuola e cultura. Lo trovo inaccettabile. Per il resto, il fascino del laboratorio, la soddisfazione di saper fare correttamente le cose ritenute “vecchie” e sacrificabili, sono delle soddisfazioni che a volte sono difficili da spiegare. Ma qui invece creano davvero belle sensazioni, e sviluppano interessanti scambi di opinioni. Per fortuna ho trovato anche studenti molto partecipi, nelle mie attività di tutoraggio. Con cui ho stretto amicizie durature e sincere. C’è sempre bisogno di imparare e conoscere.E di essere curiosi nel modo giusto.

  5. Il problema della diminuzione dei fondi per la didattica universitaria non è solo legato alla generale diminuzione dei fondi alla scuola.
    Esso dipende in maniera drammatica dalle scelte di organizzazione interna alle università, in particolare a quelle (come la mia) nella quale le competenze son state trasferite ai singoli Dipartimenti di afferenza dei Corsi di Laurea ( o addirittura dei docenti dei singoli corsi), legando le spese ai budget dei Dipartimenti fissati però sulla base di modelli econometrici che non tengono in nessun conto le specificità delle singole aree disciplinari.
    Per noi chimici, la didattica laboratoriale ha costi ben diversi da quelli di corsi di umanistica, o di laboratori linguistici e/o informatici (ai quali siamo paragonati), e soprattutto le tesi di laurea sperimentali ne sono parte essenziale. Il risultato è che, complice il combinato disposto dei tagli “premiali” sulla base dei modelli, e dell’emergenza COVID che complica ulteriormente la didattica laboratoriale, si è tornati a d autorizzare anche tesi compilative, almeno per la triennale, o addirittura ad pressarne l’abolizione.
    Tanto, si dice, neppure ai medici viene più chiesto il tirocinio pre- esame di stato…

  6. Condivido totalmente il post di Icardi che ho letto per puro caso: ho aperto la mail durante le ferie.
    Attualmente insegno in un istituto tecnico ad indirizzo chimico e, per ragioni legate allo scellerato taglio delle ore d’insegnamento nelle terze classi si é costretti a non potere fare la sistematica dei cationi come prima delle varie schiforme, dalla D’Onofrio del 1994, passando per Moratti, Gelmini fino alla buona sQuola del 2015. Se vedete gli attuali libri di testo di chimica analitica delle terze classi direte: ma dove siamo arrivati?
    Quello della sistematica dei cationi è, comunque, solo un esempio.
    L’abolizione dell’insegnamento della chimica fisica negli ITI ad indirizzo chimico è stata grave come lo sarebbe stata l’abolizione del greco al Liceo classico ma, trattandosi della chimica, per giunta in un ordini di scuola che non sono licei, di questa vergogna non è fregato meno di niente a nessuno!
    Passiamo all’alternanza scuola lavoro, innovazione solo a parole. l’obbligo dell’altenanza scuola lavoro è stato spesso un’ossessione burocratica ma il contatore delle ore deve scorrere altrimenti i ragazzi non possono sostenere gli Esami di Stato.
    Aspetti economici: partendo dal presupposto di docenti e personale motivati, la chimica può essere insegnata bene, almeno negli istituti tecnici o professionali, solo se si dispone di fondi adeguati per l’acquisto di materiali di consumo ed apparecchiature, la manutenzione di queste, i dispositivi di protezione. Le cose si complicano se nella scuola capita, e non è raro, qualche segretario che sa solo dire: “non ci sono soldi”.
    Il crowdfundig previsto da uno dei commi della buona sQuola equivale a situazioni del tipo: si è guastato l’autocampionatore dell’assorbimento atomico e lo strumento non è in garanzia? Facciamo una colletta per pagarne la riparazione (non l’ho fatto ma sono sicuro che qualche politico pro buona sQuola spera che accada!). In un’ospedale gli infermieri o i medici fanno la colletta per acquistare il filo di sutura?
    Passiamo alla didattica a distanza, indispensabile nel periodo dell’emergenza COVID-19 ma che non potrà mai sostituire la didattica in presenza specie nel caso della chimica, eppure certi sapientoni hanno pontificato sull’argomento parlando di simulazioni! Un laboratorio chimico virtuale sarebbe un’efficace mezzo solo se fosse realista come un simulatore di volo sul quale si addestrano i piloti militari o di linea, ne conoscete?
    Perdonate lo sfogo, ma quello che ho scritto è solo la punta d’iceberg.
    Buona continuazione d’estate e buon anno scolastico o accademico.

  7. Buongiorno,
    sono un insegnante di chimica delle scuole superiori e posso confermare che le norme di sicurezza (spesso interpretate in modo curioso) ed il taglio dei finanziamenti costringono alla riduzione delle
    attività di laboratorio. Nel monte ore rimasto dopo la riforma Gelmini cerchiamo di portare avanti l’analisi qualitativa per il suo valore formativo riducendo i cationi e cercando soluzioni alternative come quelle suggerite in questa pubblicazione jce: “Greener Alternative to Qualitative Analysis for Cations without H2S and Other Sulfur-Containing Compounds”.

    Speriamo che il COVID-19 non venga sfruttato per ridurre ulteriormente le ore di laboratorio, sarebbe proprio un brutto sintomo.

    Bernardo Della Ricca

    • Purtroppo caro collega è già successo : avremo quest’anno laboratori che normalmente avevano capienza di 35 persone max (già questo costringeva ogni corso a due- tre turni) che con le disposizioni COVID son stati ridimensionati a 11 max (compresi docente e tecnico). O si fanno 9 turni per corso o si riducono le ore di laboratorio…ed i colleghi non sono tutti autolesionisti, diciamo così.
      Avremo ancor più laureati di chimica con straordinarie conoscenze teoriche fisico-matematiche e scarsa eperienza e capacità pratica in laboratorio…molto sotto quella di un vecchio perito anni ’80/90.
      Ma si crescono gli studenti convincendoli che non è importante, perchè dovranno dirigere, non fare…salvo poi amare sorprese all’entrata nel momdo del lavoro…

      antoniutti

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