Rischio batterico e chimica.

Claudio Della Volpe

Ne abbiamo già parlato per esempio qui (vi consiglio di rileggere il post) e qui; ma facciamo ancora il punto.

Cominciamo con una osservazione laterale da usare come riferimento. Secondo i dati ufficiali del Ministero della Salute e dell’OMS riportati nella pagina del Ministero le statistiche essenziali del Covid-19 sono

-nel mondo dall’inizio della pandemia 633.601.048 casi confermati  e 6.596.542 morti (1.04% degli infetti, è il tasso di letalità, ossia la percentuale di morti sul totale degli infetti; ricordate invece che il tasso di mortalità è la percentuale dei morti rispetto ai potenziali soggetti esposti)

-in Europa 264.175.987 casi confermati   2.132.478 morti (0.8%)

– in Italia 24.260.660  casi confermati   181.009 morti  (0.7%).

Come si vede dunque dopo 3 anni di pandemia i morti sono attorno all’1% degli ammalati (e comunque contrariamente alle ridicole dichiarazioni del nostro nuovo governo meno in Italia che in Europa), ossia circa un ordine di grandezza più della comune influenza che nel nostro paese ha fatto cose come 5-6 milioni di casi con 8mila morti (0.13-0.16%) in media ogni anno. Il Covid non è stata dunque una influenza e l’Italia non è stata peggio dell’Europa. Ma non vorrei parlarvi di questo, ma di un pericolo maggiore del Covid e che però non viene percepito con la sufficiente attenzione.

Parliamo dei batteri e in particolare di batteri resistenti agli antibiotici, ma non solo.

Un recente articolo su The Lancet ha analizzato il problema per l’anno 2019.

Published online November 21, 2022 https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)02185-7

L’articolo è uno studio con un amplissimo numero di autori che ha raccolto tutte le evidenze sperimentali relative ai casi di morti per malattie infettive nel mondo ed è stato finanziato dalla Fondazione Bill e Melinda Gates. Tale numero è assommato nel 2019 a quasi 14 milioni di persone. Teniamo presente che ogni anno muoiono circa 140 milioni di persone e che dunque stiamo parlando del 10% circa della mortalità totale.

Nel grafico seguente vediamo a quali batteri sono attribuibili i casi infettivi ed i decessi; come potete vedere a 5 batteri sono attribuibili la gran maggioranza di tutti i decessi per infezione batterica:

Dice il testo:

Nel 2019, ci sono stati circa 13,7 milioni (95% UI 10,9-17·1) di decessi correlati all’infezione a livello globale, con 7,7 milioni (5,7-10,2) di decessi associati ai 33 patogeni batterici che abbiamo studiato. Questi batteri sono stati complessivamente associati al 13,6% (10,2-18,1) di tutti i decessi globali nel 2019 e al 56,2% (52,1-60,1) di tutti i decessi correlati all’infezione per quell’anno. Il tasso di mortalità per tutte le età è stato di 99,6 decessi (74,2-132) per 100000 abitanti collettivamente per questi patogeni. Solo un organismo, Staphylococcus aureus, è stato associato a più di 1 milione di decessi nel 2019 (1 105 000 decessi [816 000-1 470 000]; tabella). Quattro agenti patogeni aggiuntivi sono stati associati a oltre 500 000 decessi ciascuno nel 2019; questi erano Escherichia coli, S pneumoniae, Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa (tabella, figura 1A). Questi cinque principali patogeni erano associati al 30,9% (28,6-33,1) di tutti i decessi correlati all’infezione ed erano responsabili del 54,9% (52,9-56,9) di tutti i decessi tra i batteri studiati.

Si tratta di batteri (solo in parte antibiotico-resistenti) e dunque la questione di cui parliamo oggi non è solo la resistenza agli antibiotici ma in genere tutto ciò che riguarda la prevenzione, la individuazione e la terapia delle infezioni batteriche.

Dai numeri stimati dal lavoro potete notare come il numero di medio morti annuali per Covid-19 è stato nettamente superiore a quello anche del più temibile batterio, nel nostro caso S. Aureus, l’unico a fare più di un milione di morti all’anno contro una media di almeno due milioni per il Covid; ma attenzione S. Aureus fa (SOLO) 40 milioni di casi e più di un milione di morti ossia il 2.5% (ancora tasso di letalità) circa, dunque ben peggio del Covid-19; fortunatamente non si diffonde con la medesima rapidità, se no sarebbe 2.5 volte peggiore. Ma perfino l’innocuo E. Coli, il prototipo dei batteri amichevoli, fa 30 milioni di casi e 900mila morti, ossia una letalità ancora maggiore il 3%.

La questione dei batteri resistenti agli antibiotici era stata affrontata dal medesimo gruppone di ricerca in un precedente lavoro indicato qui sotto con risultati sempre molto significativi.

Scrivono gli autori: La resistenza antimicrobica (AMR) rappresenta una grave minaccia per la salute umana in tutto il mondo. Pubblicazioni precedenti hanno stimato l’effetto della resistenza antimicrobica sull’incidenza, sui decessi, sulla durata della degenza ospedaliera e sui costi sanitari per specifiche combinazioni patogeno-farmaco in luoghi selezionati. A nostra conoscenza, questo studio presenta le stime più complete dell’onere della resistenza antimicrobica fino ad oggi…..

Sulla base dei nostri modelli statistici predittivi, ci sono stati circa 4,95 milioni (3,62-6,57) di decessi associati a AMR batterica nel 2019, inclusi 1,27 milioni (95% UI 0,911-1·71)di  decessi attribuibili a AMR batterica. A livello regionale, abbiamo stimato che il tasso di mortalità per tutte le età attribuibile alla resistenza sia più alto nell’Africa subsahariana occidentale, a 27,3 morti per 100 000 (20,9-35,3), e più basso in Australasia, a 6,5 decessi (4,3-9,4) per 100 000.

Le infezioni delle basse vie respiratorie hanno rappresentato oltre 1,5 milioni di decessi associati alla resistenza nel 2019, rendendola la sindrome infettiva più gravosa. I sei principali patogeni per decessi associati alla resistenza (Escherichia coli, seguito da Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Streptococcus pneumoniae, Acinetobacter baumannii e Pseudomonas aeruginosa) sono stati responsabili di 929 000 (660 000-1 270 000) decessi attribuibili alla resistenza antimicrobica e di 3,57 milioni (2,62-4,78) decessi associati alla resistenza antimicrobica nel 2019. Una combinazione patogeno-farmaco, S aureus resistente alla meticillina, ha causato più di 100000 decessi attribuibili alla resistenza antimicrobica nel 2019, mentre altri sei hanno causato ciascuno 50000-100000 decessi: batteri multiresistenti (esclusa la tubercolosi ampiamente resistente ai farmaci), E coli resistente alle cefalosporine di terza generazione, A. baumannii resistente ai carbapenemi, E coli resistente ai fluorochinoloni, K pneumoniae resistente ai carbapenemi e K pneumoniae resistente alle cefalosporine di terza generazione.

Come si vede il ruolo dei batteri resistenti è alto ma non è l’unico problema; per esempio solo 1/6 circa dei morti per E. Coli è dovuto ai batteri resistenti nelle varie modalità. (notate la differenza fra associati alla resistenza ed attribuibili alla resistenza)

Gli altri problemi sono essenzialmente legati alla difficoltà e al tempo di individuare il batterio responsabile dell’infezione, alla eventuale scarsezza di mezzi clinici, etc. Non si tratta perciò di vincere solo la battaglia dell’uso sconsiderato e troppo ampio degli antibiotici, legato a sua volta all’uso veterinario e dunque al modello produttivo dell’agricoltura intensiva e del consumo assurdo di carne, ma anche alle tecniche per individuare i batteri responsabili di un caso specifico.

In queste due cose almeno la Chimica può e deve dare una mano:

  1.  far ripartire, mentre si riorganizza la catena produttiva del cibo in modo più sostenibile, la ricerca per nuove classi di antibiotici attive sui batteri resistenti a quelli attuali ma usandoli con estremo giudizio e rigore; gridare alla società che usarli male è come non averli!!!
  2. e poi anche mettere a punto metodi veloci di determinazione dei batteri presenti in un caso specifico di infezione, per esempi usando le tecniche Raman (la microspettroscopia Raman in particolare) per classificare i batteri: qui serve lo sviluppo di un esteso database; od altri metodi come quelli proposti nel post indicato all’inizio.

Anche superare il punto di vista dell’antibioticoterapia e anche qui la Chimica è molto importante, ovviamente in un lavoro di tipo collaborativo.

Gli antibiotici come strategia antibatterica non sono unici, si può pensare come minimo ad altre due strategie:

-i batteriofagi, ossia i virus specifici dei batteri, un’idea sviluppata dai Russi a cavallo fra le guerre mondiali (si veda la pagina dell’istituto Eliava di Tbilisi o anche https://it.wikipedia.org/wiki/Terapia_fagica)

-oppure gli inibitori del Quorum -sensing, ossia molecole che interferiscono con le comunicazioni fra batteri specie nelle fasi avanzate di infezione in cui gli antibiotici sono in difficoltà.(si veda la pagina seguente: https://www.microbiologiaitalia.it/didattica/quorum-sensing/)

Sarebbe bello che chi si occupa di queste cose ci aiutasse a capire meglio il ruolo della chimica in questo gioco così complesso che certo non si può esprimere con la semplice distruzione dei batteri con gli antibiotici durante le malattie infettive: ricordiamo che dentro ognuno di noi c’è circa un chilo di batteri (l’1% del nostro peso corporeo, essenzialmente nell’intestino, ma anche sulla pelle); il 99% di questi batteri appartiene a sole 30-40 specie, a causa delle loro minuscole dimensioni cellulari il numero di tali batteri è SUPERIORE a quello delle cellule del nostro corpo, dunque siamo fatti di più cellule batteriche procariote che di cellule umane eucariote; ed infine ultima curiosità E. coli che abbiamo visto così pericoloso in potenza alberga nel nostro corpo con una massa dell’ordine di varie decine di grammi. Pensateci.

Gli antibiotici e la strategia antibiotica, la pallottola magica, una delle glorie della nostra tradizione culturale come chimici si avvia ad un punto morto o comunque critico, non può essere la soluzione finale delle malattie infettive.

Pensare in termini di pallottola magica e basta rischia di portarci fuori strada.

Un pensiero su “Rischio batterico e chimica.

  1. Il problema è senz’altro serio.
    Mi è abbastanza certo (ne ho parlato con un noto capogruppo dell’ ETH) che le ricerche su nuovi antibiotici sono poche, le aziende farmaceutiche massimizzano i guadagni oramai con la cosmesi: al di là delle spese per sintesi o ricerche di nuove sostanze antibiotiche (in genere di origine naturale), le spese per le sperimentazioni vista l’attuale ossessione normativa per la sicurezza, ed i crescenti limiti alla sperimentazioni animali fanno sì che preferiscano non imbarcarsi in avventure di non certa redditività (anche qui oramai le decisioni le prendono economisti e finanziari). Per incidens, molti dei farmaci oramai storici MAI avrebbero superato i test ora imposti dalle leggi (per dire, nè l’ aspirina per le contrindicazioni, nè il cis-platin o altri antitumorali, visto che si tratta di interferenti del DNA con pesanti effetti collaterali).
    Qui ci sarebbe un grande ruolo della politica, in ogni paese, nel finanziare la ricerca di base su antibiotici & C. Ma anche questo non è di moda, a parte forse a Cuba…
    Sull’uso nella zootecnia bisognerebbe anche qui intervenire con pesanti limitazioni legislative sull’uso e l’igiene deglio allevamenti, specie quelli del pollame…più pulizia, meno antibiotici !

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