La sostenibilità ambientale del cuoio

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Biagio Naviglio**

(l’autore è ricercatore presso la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle Materie Concianti Srl – Via Poggioreale 39 – Napoli e Presidente dell’ordine dei Chimici della Campania)

cuoio1Introduzione

Le componenti fondamentali della sostenibilità devono essere intese come :

– la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione (sostenibilità economica);

– la capacità di generare condizioni di benessere umano, inteso come sicurezza sul territorio,salute e diritti civili equamente distribuiti (sostenibilità sociale) ;

– la capacità di mantenere lo stesso livello di qualità e riproducibilità delle risorse naturali (sostenibilità ambientale).

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Le tre componenti della sostenibilità secondo una delle definizioni più comunemente accettate

Anche nel settore conciario la questione della sostenibilità ha guadagnato , negli ultimi tempi, una notevole attenzione tra i clienti del settore, i consumatori e la comunità in generale. Ciò anche perché ricerche di mercato hanno evidenziato che la maggior parte dei consumatori sostiene di essere orientata , a pari prezzo, all’acquisto di prodotti con migliori performance in termini di sostenibilità e di essere disposti a spendere di più , qualora le informazioni a riguardo siano attendibili e verificabili. Conseguentemente l’industria conciaria sta mettendo in atto tutte le strategie in grado di garantire il pieno rispetto delle diverse componenti della sostenibilità come ad esempio :

– la conformità alla normativa ambientale (scarichi idrici , rifiuti solidi , emissioni in atmosfera,ecc.);

– la valutazione del Carbon Footprint in accordo alla metodologia LCA (Life Cycle Assessment);

– l’uso delle migliori tecnologie disponibili (BAT- Best Available Technology)) per la riduzione dell’impatto ambientale;

– la conformità alla legislazione che regola la salute e sicurezza sul lavoro; il rispetto dei diritti dei lavoratori e nessun tipo di lavoro minorile;

– l’impegno nel garantire il benessere degli animali e la tracciabilità delle pelli grezze;

– la trasparenza e il “Made in” con l’impegno di comunicare l’origine della produzione del cuoio;

– la sicurezza degli articoli in cuoio e la tutela del consumatore con l’impegno del pieno rispetto della legislazione concernente le sostanze chimiche soggette a restrizioni in ambito REACH.

Struttura dell’industria conciaria italiana

L’industria conciaria italiana è tradizionalmente ed indiscutibilmente considerata leader sia a livello europeo (66% della quota sulla produzione europea) che mondiale (17 % della quota sulla produzione mondiale) ; le concerie italiane si trovano in una posizione di assoluta avanguardia anche per quanto riguarda la ricerca , le tecnologie e le strategie di mercato .

Il settore conciario italiano è tradizionalmente organizzato in quattro distretti industriali, ognuno con la propria specializzazione produttiva : Arzignano, Zermeghedo e Montebello in Veneto; S. Croce sull’Arno e Ponte a Egola in Toscana , Solofra in Campania e Turbigo e Castano Primo in Lombardia.

La principale specializzazione produttiva del polo conciario veneto riguarda la lavorazione delle pelli bovine grandi che vengono destinate ai clienti dell’imbottito (arredamento ed interni auto) , alla calzatura ed alla pelletteria.

Il distretto toscano si caratterizza per l’elevato grado di artigianalità e flessibilità delle produzioni, primariamente destinate all’alta moda; le lavorazioni riguardano soprattutto le pelli di vitello e le bovine medio-grandi, alcune delle quali utilizzate per la produzione di cuoio da suola.

In Campania , invece, esiste un polo conciario specializzato nella concia di pelli ovine e caprine per abbigliamento, calzatura e pelletteria.

Infine una significativa presenza conciaria permane in Lombardia , nell’area magentina, la cui specializzazione industriale riguarda la produzione di pelli ovicaprine destinate per l’alta moda.

Il processo produttivo conciario

Il lavoro di trasformazione delle pelli grezze in cuoio finito vanta tradizioni millenarie. La pelle è infatti da sempre uno dei materiali più diffusamente utilizzati dall’uomo per la fabbricazione di calzature, capi di abbigliamento e oggetti d’uso quotidiano di vario genere; nessun altro materiale è comparabile al cuoio per un così ampio range di applicazioni. Le inimitabili proprietà fondamentali del cuoio derivano dal fatto che esso è un biomateriale microporoso ed igroscopico con una elevata superficie interna della fibra collagenica. Queste caratteristiche permettono un adeguato controllo del flusso di calore, di umidità e di aria attraverso il cuoio e ne determinano le sue proprietà di comfort.

Il processo produttivo conciario è costituito da una serie di trattamenti chimici e meccanici che consentono la trasformazione della pelle grezza in cuoio finito; tali operazioni chimiche e meccaniche sono atte ad eliminare l’epidermide ed il tessuto sottocutaneo dal restante derma che viene convertito in cuoio. Quando la pelle è trasformata in cuoio, la sua struttura naturale è conservata ; tale struttura consiste in fasci di fibre di proteine, le proteine del collagene, che si intrecciano tra loro in maniera naturalmente tridimensionale in tutto lo spessore della pelle (figura 1)

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Figura 1: Struttura fibrosa della pelle

Il processo produttivo a ciclo completo prevede delle fasi ad umido e delle fasi a secco. Le fasi ad umido comprendono i cosiddetti lavori di riviera (rinverdimento, calcinaio, decalcinazione-macerazione), quelli di concia propriamente detti e le operazioni di riconcia, tintura e ingrasso. Le fasi a secco riguardano alcune operazioni meccaniche e il processo di rifinizione.

In figura 2 si riporta il diagramma a blocchi di un processo produttivo conciario a ciclo completo; a partire dalla fase di ricevimento della pelle grezza in conceria fino al cuoio finito. Nel diagramma si riportano non solo le fasi relative alla concia al cromo ma anche quella previste per la produzione del cuoio suola.

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Figura 2 : Schema del processo conciario

I problemi ambientali dell’industria conciaria derivano dal fatto che

  1. a) nel processo produttivo la maggior parte dei prodotti chimici utilizzati resta nei reflui allo stato originario o trasformati in derivati in quanto le quantità fissate sono quasi sempre inferiori a quelle fornite. Nel caso ad esempio della concia al cromo convenzionale, il rendimento di fissazione non supera quasi mai il 60/%. Ciò comporta da un lato elevati consumi e sprechi delle materie prime, dall’altro la presenza di elevate quantità di prodotti chimici negli scarichi con conseguente necessità di trattamenti depurativi.

Le acque reflue di concerie sono quindi caratterizzate oltre che dalla presenza del cromo trivalente , nel caso della concia con solfato basico di cromo, da elevate concentrazioni di sostanze organiche (COD – Chemical Oxigen Demand), di composti azotati , di sali (in particolare cloruri e solfati) , di solfuri , di tensioattivi e così via.

b)La trasformazione della pelle grezza in cuoio dà luogo ad una produzione di rifiuto pari ad oltre il 50% in peso della materia prima lavorata , oltre ai fanghi derivanti dalla depurazione degli scarichi idrici.

Per questi motivi l’industria conciaria è spesso considerata una attività altamente inquinante e pertanto nell’immaginario collettivo richiama cattivi odori , acque inquinate e un suolo contaminato

Come spesso avviene, quando si tratta di problemi ambientali, esiste un divario tra la percezione e la realtà del rischio.

La sostenibilità della materia prima (pelli grezze) e della sua trasformazione

L’industria conciaria si occupa sostanzialmente della trasformazione di un rifiuto dell’industria della carne e/o del latte in un prodotto industriale adatto ad essere valorizzato nella produzione di articoli in pelle e/o cuoio. Pertanto il cuoio può essere considerato come una soluzione ambientalmente sostenibile ad un reale problema di smaltimento di elevate quantità di spoglie animali che si originano dall’industria della carne.

Infatti la disponibilità di pelli grezze sul mercato dipende dalla quantità di macellazioni a scopo alimentare e non è in alcun modo influenzata dal fabbisogno dell’industria manifatturiera della pelle ; in sostanza il numero di animali allevati e macellati a fine vita è funzionale ai fabbisogni di altre industrie (carne , latte, lana, ecc.).

Per quanto concerne l’impatto ambientale (effluenti e rifiuti) del processo produttivo conciario è da tener presente che

Come accennato precedentemente l’industria conciaria italiana è prevalentemente strutturata in poli conciari; questo tipo di accentramento permette di affrontare in maniera razionale e mirata alcune delle problematiche ambientali legate alla lavorazione della pelle.

Ad esempio per far fronte alla domanda di disinquinamento delle acque è stata favorita, a partire dagli anni ’70, la costruzione di impianti di depurazione centralizzati di tipo consortile specializzati nel trattamento di acque a prevalente origine conciaria (questi impianti trattano, in genere, anche percentuali minori di effluenti urbani).

In quegli anni, mentre la politica ambientale tendeva ad esasperare i trattamenti depurativi a piè di fabbrica, la realizzazione di strutture centralizzate di depurazione, quali impianti di servizio di aree industriali per scarichi di difficile trattabilità, era stata fortemente voluta , sin dall’inizio, dagli operatori del settore per i molti vantaggi che tale soluzione comportava:

  • maggiore continuità ed affidabilità di esercizio ;
  • possibilità di impiegare tecnologie di tipo avanzato, insostenibili in proprio dai singoli insediamenti;
  • sensibile riduzione dei costi unitari di trattamento;
  • migliore trattabilità dello scarico complessivo ;
  • maggiori garanzie di controllo e minore impatto ambientale globale.

In sostanza, per il settore conciario, è stato anticipato il modello depurativo indicato successivamente nella normativa europea.

Attualmente in Italia gli impianti consortili trattano circa l’85% delle acque reflue conciarie mentre il restante viene trattato in impianti di singole concerie.

Se il trattamento depurativo è effettuato correttamente e l’impianto consortile è adeguatamente condotto, tutti i parametri delle acque (Cromo , COD , ecc.) in uscita rispettano i valori limiti previsti dalla legislazione vigente, con l’eccezione talvolta dei parametri cloruri e solfati. In genere, tuttavia, i valori di questi parametri non sono tali da produrre danni ai corpi idrici recettori e lo sversamento delle acque depurate è consentito da apposite autorizzazioni e/o deroghe regionali.

Per quanto concerne i rifiuti come ad esempio il carniccio , la rasatura e i ritagli di pelle (residui solidi specifici della lavorazione conciaria) essi vengono adeguatamente gestiti e valorizzati per la produzione di fertilizzanti , ammendanti , ecc., in particolare nei distretti industriali della Toscana e del Veneto.

Inoltre nel distretto conciario toscano viene effettuato , mediante un impianto centralizzato, il recupero del cromo trivalente; infatti opportuni trattamenti dei liquidi di concia al cromo esausti consentono il riciclo di tale conciante nel processo produttivo.

La problematica ambientale della concia al cromo

La ragione principale per la crescita della richiesta di conce alternative è la scarsa immagine del cromo e conseguentemente delle pelli conciate con tale metallo. Secondo quanto frequentemente contestato, una delle maggiori cause dell’inquinamento conciario è l’impiego per la concia di prodotti a base di cromo. In pratica la presenza di cromo nelle acque reflue e quindi nei fanghi di depurazione oltre che in alcuni residui solidi è uno dei punti più frequentemente citati da chi addita l’industria conciaria quale fonte di grave inquinamento. Ciò è dovuto anche al fatto che, talvolta, quando si dice che l’industria conciaria usa il cromo si tende a pensare che si tratti di cromo esavalente, che è notoriamente tossico e cancerogeno.

Tuttavia anche il cromo trivalente,utilizzato nel processo conciario sottoforma di solfato basico di cromo, è un metallo pesante e come tale soggetto a limitazioni nelle acque reflue e nei residui, anche se, per quanto è noto, non presenta particolari problemi né sul piano sanitario né su quello ambientale (è facilmente abbattibile come idrossido già a pH 4,5 circa e l’idrossido è quasi inerte in condizioni normali).

Ad ogni modo nonostante ciò è evidente che il termine “chrome free” implica necessariamente che vi è un problema che sta alla base circa l’impiego del cromo trivalente nella produzione del cuoio. Questo concetto ha la sua origine nell’asserito impatto ambientale del cromo(III) nelle “emissioni conciarie” (scarichi idrici, residui solidi, ecc.) e nella sua potenziale mobilità e trasformazione nei residui solidi conciati e nei fanghi. Anche la potenziale ossidazione nelle pelli finite del cromo trivalente a cromo esavalente sta negli ultimi tempi generando delle preoccupazioni nei riguardi del cuoio al cromo. Inoltre un altro inconveniente che deriva dalla concia al cromo è rappresentato dallo smaltimento degli scarti di lavorazione, quali la rasatura, la smerigliatura e la rifilatura. Infatti il loro eventuale incenerimento può provocare l’ossidazione del cromo III a cromo VI mentre lo smaltimento di tali residui in discarica oppure il loro riutilizzo è legato anche al concetto di riciclabilità e biodegradabilità. Al riguardo è noto che nel sentimento comune un cuoio con concia organica ed esente da metalli pesanti è più facilmente degradabile rispetto a quello contenente cromo ed anche più anallergico. Questa ultima caratteristica rende l’uso di tale tipo di cuoio più favorevole nei confronti dei soggetti predisposti alle allergie e alle irritazioni cutanee.

Valutazione del ciclo di vita

Una valutazione oggettiva dei vantaggi produttivi ed ambientali derivanti dall’impiego di conce alternative a quella al cromo, non è facile né semplice. Sul piano produttivo si potrebbe dire che gli svantaggi sono superiori ai vantaggi. Le limitazioni nella destinazione di questi cuoi rispetto a quelli al cromo, i processi produttivi relativamente più complessi e lunghi, la necessità di impiegare un maggior numero di prodotti chimici per compensare alcuni inconvenienti, rendono complessivamente questi sistemi meno flessibili e più costosi.

Sul piano ambientale, la quantità globale dell’inquinamento prodotto con questi sistemi di concia chrome-free e/o metal-free è probabilmente maggiore per la necessità di utilizzare prodotti più difficilmente eliminabili dalle acque. Al riguardo, alcuni anni fa, uno studio di autori tedeschi (B. Trommer, H.J. Kellert, Comparison of tanning methods from an ecological viewpoint – Leather, dic. 1999 parte I e gen. 2000 parte II), in cui vengono raffrontati quattro tipi di concia (concia convenzionale al cromo, concia wet-white con glutaraldeide e tannini sintetici, concia combinata glutaraldeide e cromo e concia vegetale con mimosa) mediante applicazione della metodologia LCA (Life Cycle Assesment) al solo processo conciario, mette in evidenza che la concia al cromo è da preferire sotto tutti gli apetti considerati.

Infatti lo studio mostra che le fasi che maggiormente contribuiscono all’inquinamento/tossicità delle acque sono quelle successive alla concia (riconcia, ingrasso, tintura, ecc.) ed è risultato notevolmente maggiore per le conce alternative esaminate. In pratica, il solo svantaggio rilevato per la concia convenzionale al cromo è stato, come era ovvio, la presenza di cromo nei fanghi di depurazione con le conseguenti difficoltà per lo smaltimento.

La concia peggiore, da questa valutazione generale, è risultata la concia con tannino vegetale (mimosa) che ha il solo vantaggio dell’assenza di metalli concianti e/o pesanti nel prodotto e nei fanghi. Ad ogni modo i risultati di questo studio sono comunque parziali in quanto non sono stati presi in considerazione gli altri criteri ambientali previsti dalla metodologia LCA. Infatti questo metodo si basa su un approccio sistematico definito “from cradle to grave”, cioè “dalla culla alla tomba”: il prodotto, processo o servizio, è analizzato in ogni fase della sua vita, dall’estrazione e trasformazione delle materie prime, attraverso la produzione, il trasporto e l’utilizzo, fino al riciclo o allo smaltimento. Attraverso uno studio LCA è quindi possibile individuare le fasi in cui si concentrano maggiormente le criticità ambientali e le informazioni necessarie per realizzare gli interventi di miglioramento.

Al riguardo una recente ricerca riguardante la valutazione del Carbon Footprint (CF) di pelli ovine per abbigliamento ha evidenziato che la maggior parte dell’impatto climatico (Carbon Footprint) deriva dalla fase di agricoltura-allevamento, e cioè a monte del processo di lavorazione conciario.

Per quanto concerne , invece, la fase “core” cioè il cuore del processo di lavorazione effettuato in azienda i dati riscontrati mostrano che il contributo maggiore dell’impatto ambientale , in termini di CF, è dovuto ai prodotti chimici impiegati nelle diverse fasi di lavorazione.

Conclusioni

La sostenibilità del cuoio , in particolar modo quello derivante dalla produzione italiana, è sostanzialmente basata su processi produttivi che risultano essere conformi alle norme ambientali di riferimento; la conceria italiana , la cui produzione si concentra , per la quasi totalità, all’interno di poli industriali territoriali da molti anni considera la tutela dell’ambiente come parte integrante della propria crescita produttiva. L’adozione di tecnologie pulite , il maggior uso di prodotti chimici più ecocompatibili, l’impiego di macchinari con un più elevato rendimento energetico , hanno consentito di raggiungere adeguati livelli di efficienza ambientale dei cicli produttivi.

Per quanto concerne la sicurezza del prodotto , in termini di presenza di sostanze particolarmente pericolose- SVHC , la pelle finita (cuoio) italiana è generalmente conforme ai requisiti previsti dalle normative internazionali ed in particolare a quelli regolamentati dal REACH.

Bibliografia

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  3. Naviglio B. , Calvanese G. , Aveta R. , Caracciolo D., Girardi V. , Scotti M. , Tortora G., Romagnuolo M. , I sistemi di concia alternativi al cromo : dal chrome-free al metal-free , CPMC ,86, 5, 275-289 , 2010
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**Biagio Naviglio è laureato in Chimica Industriale, Ricercatore Senior della Stazione Sperimentale Pelli dal 1981 con attività nella chimica e tecnologia della concia per la riduzione dell’impatto ambientale. Socio della SCI divisione di Chimica Industriale
Presidente dell’ordine dei chimici della Campania da febbraio 2016 ad oggi

 

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