Emergenza in Veneto.

Mauro Icardi.

Una delle cose che più mi fanno pensare è la gran massa di informazioni dalle quali siamo costantemente bombardati. Molte a mio personale parere francamente inutili (penso a quelle di gossip e moda).

Altre sono rilanciate dai quotidiani e dagli organi di informazione, ma decisamente quasi sottotraccia, mentre meriterebbero maggior attenzione.

La notizia invece sparita troppo presto dai media è relativa ad un problema di cui si è scritto su questo blog. Il problema della contaminazione da PFAS nelle acque destinate al consumo umano in alcune zone del Veneto. Nel mese di Marzo il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per i Pfas in Veneto, con la contestuale nomina di un commissario.

La situazione, nota da tempo, almeno dal 2013, non si è riuscita a risolvere se non con una delibera di emergenza. E su questo vorrei ovviamente riflettere. Le province interessate sono tre, Vicenza, Verona, e Padova, area dove la popolazione residente ammonta ad oltre 350.000 persone. L’inquinamento riguarda l’acquifero della valle dell’Agno e il sistema delle risorgive di media pianura. La delibera di emergenza stanzia fondi per 56 milioni di euro, che vanno a sommarsi a quanto già stanziato dalla Regione Veneto.

L’origine della contaminazione era stata a suo tempo individuata negli scarichi di un’azienda della zona, la MIteni di Trissino. Tale conclusione è stata ribadita in due differenti relazioni della commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, pubblicate a distanza di un anno (8 Febbraio 2017-14 Febbraio 2018),riportanti le conclusioni di studi dell’IRSA-CNR e di verifiche dell’Arpa. L’azienda è stata identificata come sito potenzialmente contaminato e quindi ha iniziato nel Novembre 2013 la messa in opera di un piano per la realizzazione di piezometri per il controllo delle acque di falda, verifiche della qualità ambientale dei terreni e la messa in sicurezza del sito. L’Arpa Veneto ha effettuato verifiche sulla presenza di PFAS sia sulle acque superficiali , sia su quelle reflue. Si sono riscontrate concentrazioni elevate di PFAS anche a monte dei collettori di acque reflue che recapitano nei corsi d’acqua superficiali, a causa della particolare complessità e conformazione del sistema idrico della zona. A seguito della pubblicazione di questi dati da parte di Arpa l’azienda ha rilasciato una dichiarazione nella quale, come già in passato si ritiene se non estranea, quantomeno non l’unica responsabile dello stato di inquinamento della zona.

Permangono in ogni caso alcune questioni fondamentali: la necessità di un controllo capillare del territorio e del suolo. Controllo che deve essere effettuato anche preventivamente. Inquinare il suolo significa un rischio di compromissione delle acque di falda. Situazione non nuova. Quindi occorre porre attenzione sulla prevenzione di questo tipo di inquinamento. Le fonti inquinanti possono continuare ad emettere per lunghi periodi di tempo. I siti contaminati su larga scala sono il risultato e l’eredità di impatti antropici del passato che persistono ancora oggi, come i siti industriali e le aree portuali, dove può essere difficile se non impossibile ripristinare lo stato naturale delle aree interessate con le tecnologie attuali o con un dispendio di risorse ed energie sostenibile. Su questo una riflessione è necessaria.

Altro problema riguarda l’industria chimica che dovrà rivedere i propri processi produttivi. Questo comporterà ovviamente uno sforzo notevole. La questione PFAS in Veneto è la famigerata punta di un iceberg che riguarda tutti i composti chimici biorefrattari. In passato abbiamo sintetizzato molecole durature, indistruttibili. Ci sono servite per innumerevoli usi. Possiamo imparare dal passato. Così come per i tensioattivi, anche per i PFAS le industrie statunitensi e giapponesi hanno fatto uscire dal mercato le molecole di PFAS a lunga catena, ritenute più tossiche e più stabili, e quindi meno degradabili. Una singolare analogia con quanto già avvenuto negli anni 70 per i tensioattivi. Per fare questo è stata importante la sinergia con l’EPA l’agenzia di protezione ambientale degli Usa. Purtroppo la presidenza Trump ha ridotto i fondi all’agenzia statunitense. Tagliati i fondi di 2,6 miliardi di dollari, dimezzato il settore di ricerca, cancellato il Chemical Safety Board per le indagini sugli incidenti nelle raffinerie e in altri impianti industriali. Un programma di rara miopia. Il problema della contaminazione da PFAS investe non solo il Veneto, ma buona parte degli Stati Uniti dove questo tipo di contaminazione riguarda circa 6 milioni di persone. E’ auspicabile che quanto prima questi composti siano normati su indicazioni provenienti dall’OMS e vengano ricercati usualmente. Sarebbe un importante primo passo. La stessa commissione parlamentare italiana, in chiusura della relazione invita a definire in modo completo la fissazione di limiti allo scarico per tutte le matrici ambientali, e per ogni tipo di molecola appartenente alla categoria dei PFAS.

Attualmente un limite di concentrazione univoco non esiste. Per i soli PFOA e PFOAS l’EPA (Environmental Protection Agency) ha stabilito, per le acque destinate al consumo umano una valore limite di 70 ng/lt. In Veneto il limite è fissato 90, e in Svezia sempre 90 ma riferito alla alla somma di undici PFAS (PFBS, PFHxS, PFOS, 6:2 FTS, PFBA, PFpeA, PFHxA, PFHpA, PFOA, PFNA, PFDA). Per quanto riguarda gli studi sulla tossicità di questi composti rimane il problema che gli effetti sulla salute variano con la specie e sono difficili da isolare negli studi sugli esseri umani. Per ora viene indicato il possibile nesso di causalità tra l’esposizione a PFAS e l’insorgenza di patologie quali alcuni tipi di tumore, disordini del sistema endocrino, problemi della fertilità, problemi cardiovascolari. Il che deve indurre un ovvio principio di precauzione . E sarebbe auspicabile (ma forse aleatorio) che le aziende si occupassero con maggior attenzione degli impatti ambientali che provocano. L’azienda moderna dovrebbe avere una attenzione sostanziale agli aspetti etici del proprio modo di operare. A mio parere questo dovrebbe essere uno dei punti distintivi delle aziende moderne.

Rimane poi sempre attuale la necessità di informare la pubblica opinione, rendendola consapevole che anche le scelte personali di ognuno di noi posso influire nel determinare quello che veramente vogliamo per il futuro del nostro ambiente. E per capirlo bisogna anche fare uno sforzo costante di informazione e di conoscenza di base, su concetti tecnici e scientifici. Capiti o ripassati alcuni concetti di base dovrebbe essere più agevole rendersi conto della necessità di modificare i nostri stili di vita.

L’ultimo appello che ultimamente spesso rivolgo, riguarda la collaborazione che le il pensiero tecnico-scientifico deve riallacciare con quello umanistico.

Non riesco a vedere nessuna logica razionale nel chiudere gli occhi, o nel rimuovere i problemi che si stanno ponendo alla nostra attenzione, e che vengono ostinatamente negati o rimossi.

Non vedo niente di razionale né di positivo quando si creano miti consolatori. Quando l’acqua scarseggia, oppure diventa di fatto imbevibile si resiste due giorni. Al terzo giorno bisogna andare da un’altra parte.

Eppure di acqua, di guerre per l’acqua, di scarsità e inquinamento sentiamo parlare da decenni.

Mi piacerebbe che su queste questioni fondamentali si avesse almeno l’accortezza di non banalizzare, né sottovalutare. Gli investimenti sulle reti idriche, sui depuratori, sui laboratori, sull’adeguamento degli impianti esistenti non sono ulteriormente rimandabili. Fermo restando che l’acqua sia un bene indispensabile per la vita umana, e non si debba ridurre ad essere un bene di consumo, su cui creare profitti senza considerare l’aspetto ecologico e sociale della questione, non è pensabile che per esempio il problema della dispersione sulle reti idriche in Italia si trascini da decenni senza trovare una soluzione pratica.

Altri post sul tema:

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/12/08/questione-pfas-ovvero-larte-di-spostare-il-problema/

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/05/05/inquinamento-da-pfas-in-veneto-riflessioni/

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/07/14/smontare-i-mattoncini/

Link utili per approfondire.

https://www.certifico.com/categorie/274-news/5911-delibera-del-consiglio-dei-ministri-21-marzo-2018?tmpl=component&page=

(Delibera consiglio die ministri 21 Marzo 2018)

http://www.veronasera.it/cronaca/pfas-miteni-commenta-dati-arpav-9-aprile-2018.html

http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato5940771.pdf (Relazione commissione parlamentare)

http://www.arpa.veneto.it/arpav/pagine-generiche/documenti/Relazione%20PFAS_2013_2016.pdf/view?searchterm=pfas (Relazione Arpa Veneto Acque reflue)

http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/acqua/file-e-allegati/documenti/acque-interne/pfas/PFAS_AcqueSup_2015_2016.pdf/view?searchterm=pfas

(Relazione Arpa Veneto su PFAS in acque superficiali)

Charles Schimdt “Acqua non Potabile” Le Scienze ed. Italiana Giugno 2017

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4187289/

(Changing Interpretation of Human Health Risks from Perfluorinated Compounds )

5 pensieri su “Emergenza in Veneto.

  1. Caro amico, siamo come paese un esempio per il mondo intero per la nostra incapacità di pensare ed organizzare il futuro, non leggere il presente, e correre dietro, a volte ma non sempre, al passato.
    La risposta unica praticata e capita dalla gente comune è sempre stata : bere acqua minerale. Peccato che alcune minerali molto diffuse in veneto in realtà pescano da falde più o meno profonde della pianura, tipo Padova e provincia o Venezia/Treviso (che poi son le stesse di molti acquedotti, così si è in passato privatizzata ricchezza pubblica), e che comunque cucinare con l’acqua minerale sia un po’ impegnativo per il consumatore. So che alcuni Acquedotti, specie quelli che captano anche acque superficiali, si sono attrezzati con filtri a carboni attivi, anche per via dei fitofarmaci etc. E si spera che se ne controllino i risultati.
    Comunque non è una bella storia: si son lasciate libere di inquinare industrie, a dispetto del gran parlare di efficienza veneta dei controlli etc. D’altronde, per chi come me è nato cresciuto a Marghera e lì vive ancora, sulla cattiova gestione della Chimica ci potrebbe scrivere più di un libro.

    Stefano Antoniutti

  2. A parte correggere l’errore sul nome dell’azienda (con sede a Trissino – VI), da chimico troverei utile far conoscere le conclusioni del “C8 science panel” che si occupò con abbondanza di mezzi dell’analogo episodio nella Mid-Ohio Valley (http://www.c8sciencepanel.org/index.html).
    Se non si ha tempo per guardare le singole pubblicazioni (che sono molto interessanti), merita almeno leggere tutto il “C8 probable link report” (http://www.c8sciencepanel.org/prob_link.html) sui probabili/non probabili rapporti esposizione/patologie.
    Per essere tecnicamente corretti meriterebbe anche approfondire la classificazione di queste sostanze a livello REACH (scoprendo che, tolti alcuni casi specifici, per la maggior parte non sono “ancora” soggette a particolari restrizioni d’uso).
    Di fatto con i PFAS siamo nel campo degli “inquinanti emergenti” su cui la “prassi giuridica” si è formata in risposta all’emergenza ed è in piena evoluzione, anche se qualche episodio concettualmente simile per gravità è già avvenuto in passato (ma con con riflessi comunicativi completamente diversi).
    Saluti

    • Ringrazio il collega Vendrame per la correzione; è colpa mia come correttore finale delle bozze mi era sfuggito il misprint sul nome Miteni; questo è almeno il quarto post su questo tema e in alcuni dei precedenti l’analisi è stata forse più puntuale con citazioni esplicite dei documenti riguardanti il caso americano; credo d’altronde che lo scopo di questo post di Mauro era prima di tutto di tener viva l’attenzione sul tema; gli altri post sono comunque elencati in fondo all’articolo. Quanto a Reach, non credo che Reach potrà andare indietro rispetto al fatto che alcune delle sostanze qui implicate sono ormai POP’s riconosciuti, elencati nella convenzione di Stoccolma. Il principio di precauzione non potrà che accendere l’attenzione su questi composti indipendentemente dalla lunghezza di catena; il fatto centrale è che non possiamo più permetterci di introdurre sostanze di cui non siamo ben sicuri. I danni già indotti alla biosfera sono gravissimi e molte di queste micidiali cavolate si stanno abbattendo su di noi con decenni di ritardo; il problema vero è che i PFAS non saranno gli ultimi. L’altro giorno è stata la giornata della Terra e l’allarme lanciato sugli insetti, di cui abbiamo già parlato ripetutamente nel blog, e sugli uccelli, a cui accenneremo prossimamente, non può che far tremare ciascuno di noi.

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