Glifosato e altre storie

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Claudio Della Volpe

Oggi parliamo di glifosato, un erbicida molto diffuso che è stato posto dallo IARC, l’agenzia internazionale di ricerca sul cancro, nella classe 2A, probabile carcinogeno per l’uomo.

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Con un mercato di quasi 6 miliardi di dollari all’anno (sei dollari al chilo corrispondono a circa 1 milione di tonnellate all’anno) il glifosato è il più comune e diffuso erbicida del pianeta; col nome commerciale di Roundup è probabilmente conosciuto anche da molti dei nostri lettori. Esso è anche il più importante erbicida associato ai prodotti OGM e quindi si capisce quale scontro di interessi titanico possa scatenare una dichiarazione come quella dello IARC.

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il loglio, Lolium perenne, uno dei principali infestanti mondiali

Il 24 marzo Nature ha pubblicato su questa questione un articoletto, neutro ma interessante che potete scaricare qui.

Cominciamo dal principio. Il glifosato è un erbicida, in particolare è un erbicida ad ampio spettro che agisce sulle piante in crescita attiva; non funziona cioè sulle piante in pre-emergenza, ossia prima che spuntino; la sua molecola 200px-Glyphosate.svg

è quella di un derivato dell’amminoacido glicina, la N-(fosfonometil)glicina, C3H8NO5P, un analogo aminofosforico della glicina.

Il glifosato è un diserbante sistemico di post-emergenza non selettivo (è cioè attivo, fitotossico per tutte le piante). A differenza di altri prodotti, viene assorbito per via fogliare (prodotto sistemico), ma successivamente raggiunge ogni altra posizione della pianta. Questo gli conferisce la caratteristica di fondamentale importanza di essere in grado di devitalizzare anche gli organi delle erbe infestanti che, essendo sottoterra (ipogei) in nessun altro modo potrebbero essere devitalizzati, se non attraverso un duro lavoro manuale o meccanico.

Fu sintetizzato la prima volta nel 1950 dal chimico svizzero Henry Martin, che lavorava per la Cilag. (la storia completa la potete trovare qua (http://media.johnwiley.com.au/product_data/excerpt/10/04704103/0470410310.pdf). Fu poi riscoperto indipendentemente da Monsanto nel 1970. I chimici della Monsanto nel tentativo di sintetizzare delle sostanze per “addolcire” l’acqua, (chelanti, che riducono il calcio) ne scoprirono un paio che avevano anche attività erbicida e a John E. Franz, fu chiesto di trovare degli analoghi più potenti. Il glifosato fu il terzo ad essere sintetizzato. Franz ha ricevuto per questo la National Medal of Technology nel 1987 e la medaglia Perkin per la Chimica Applicata nel 1990.

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Il glifosato è così potente e ad ampio spettro (uccide anche molti batteri) perché inibisce un enzima centrale nella vita delle piante, il 5-enolpiruvilshikimato-3-fosfato sintetasi (EPSPS), che catalizza la reazione fra shikimato-3-fosfato (S3P) e fosfoenolpiruvato per formare il 5-enolpiruvil-shikimato-3-fosfato (ESP).

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Dal 1970 al 2000 è stato un brevetto della Monsanto; dopo quella data è stato prodotto anche da altri tanto che attualmente è prodotto essenzialmente in Cina e pensate che queste sole modifiche nella zona di produzione hanno portato dei problemi di mercato non banali con aumenti di prezzo per questo prodotto fino a 2-3 volte il suo valore attuale.

Figuriamoci cosa può produrre una notizia come quella che abbiamo dato all’inizio.

Attualmente poi la principale parte del glifosato viene usata in combinazione con i semi OGM, ossia con piante geneticamente modificate attraverso gli specifici metodi di laboratorio che ricadono nella definizione di Ogm come data dall’UE (Direttiva 2001/18/CE). Tale modifica genetica è legata proprio all’ampio spettro del glifosato; dato che tutte le piante o quasi sono suscettibili ad esso per potenziarne l’efficacia ma per renderne seletttivo l’uso si usano piante in cui l’enzima naturale è stato sostituito mediante i metodi sintetici sopraricordati dall’enzima di un batterio che è naturalmente resistente al glifosato, l’Agrobacterium del ceppo SP4; questa informazione genetica è stata trasferita mediante quei metodi prima nella soia e poi in altre piante; in questo modo, mentre le normali infestanti sono suscettibili all’azione del glifosato e muoiono, le piante OGM, che non lo sono, rimangono vitali.

L’uso del glifosato va incontro a un problema di resistenza significativo; il numero di infestanti che resistono o che superresistono oggi al glifosato è cresciuto velocemente (al momento l’elenco internazionale delle piante resistenti agli erbicidi elenca 239 specie resistenti al glifosato; mentre erano solo 1 nel 1996 e 211 nel 2014). Sono aumentate di 200 volte in 20 anni, ossia in media sono raddoppiate ogni due anni, anche se a ritmo decrescente. Come nel caso degli antibiotici usati troppo estensivamente e che stanno perdendo il loro potere antibatterico nell’uso comune, così anche nel caso degli erbicidi questa strategia di brutale attacco mostra quindi dei punti deboli.

Ma cosa ha detto lo IARC? Anzitutto cosa è lo IARC? Lo IARC è il braccio armato della OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, nella lotta al cancro; non è un ente operativo, esso è solo un ente scientifico, tocca ad altri stabilire una quantificazione di accresciuto rischio cancerogeno di un prodotto o raccomandare livelli di esposizione più sicuri, ma è chiaro che i suoi studi possono avere una influenza.

In questo caso una commissione internazionale ha prodotto come risultato una valutazione, una “meta-analisi”, una sorta di review di tutti i lavori scientifici, privi di conflitto di interesse (in cui per esempio non figura la Monsanto come ente finanziatore), riguardanti non solo il glifosato ma anche altri prodotti usati in agricoltura, ed i risultati sono stati pubblicati sull’influente The Lancet (oncology) (http://dx.doi.org/10.1016/S1470-2045(15)70134-8) assegnando al glifosato la categoria 2A. In effetti la commissione ha analizzato 5 sostanze, due pesticidi— tetraclorvinfos e parathion — sono stati classificati come “possibly carcinogenic to humans”, categoria 2B. Gli altri 3 — malathion, diazinon e glifosato — sono stati valutati “probably carcinogenic to humans”, ossia categoria 2A.

Cosa vuol dire? LO IARC classifica i composti su una scala che comprende 5 livelli:

Gruppo 1 – “Cancerogeni umani”, riservata alle sostanze con sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo.

Gruppo 2 diviso in due sottogruppi, denominati A e B.

Sottogruppo 2A – “Probabili cancerogeni umani”

riservata alle sostanze con limitata evidenza di cancerogenicità per l’uomo e sufficiente evidenza per gli animali.

Sottogruppo 2B – “Sospetti cancerogeni umani” sostanze con limitata evidenza per l’uomo in assenza di sufficiente evidenza per gli animali o per quelle con sufficiente evidenza per gli animali ed inadeguata evidenza o mancanza di dati per l’uomo.

Gruppo 3 – “Sostanze non classificabili per la cancerogenicità per l’uomo”

le sostanze che non rientrano in nessun’altra categoria prevista.

Gruppo 4 – “Non cancerogeni per l’uomo” le sostanze con evidenza di non cancerogenicità sia per l’uomo che per gli animali.

Per il glifosato esistono dati che provano la cancerogenicità per gli animali e le evidenze per l’uomo sono limitate al linfoma non-Hodgkin (Int. J. Environ. Res. Public Health 2014, 11, 4449-4527; doi:10.3390/ijerph110404449); secondo gli autori dello IARC tali evidenze, assieme a quelle di tipo “meccanicistico” ossia ottenute in laboratorio sul danno prodotto alle molecole di DNA dal glifosato sono sufficienti a classificare il prodotto come 2A.

A questo punto spetta alle organizzazioni che hanno ruoli decisionali di emettere un verdetto; (in effetti alcuni paesi avevano già espresso perplessità: l’Olanda ha vietato la vendita del glifosato ai privati dal 1 gennaio 2016, la Francia nel 2013 ha riconosciuto danni per il glifosato ad un agricoltore professionista, il Brasile ha in corso una procedura di messa in mora).

Vedremo.

E’ da dire che sostanze con attività erbicida esistono anche in natura. Lo stesso glifosato è molto simile ad altri prodotti analoghi presenti già in natura come mostrato qui:

variorganofosforici

Tetrahedron 58 (2002) 1631-1646

e quindi i prodotti organofosforici come erbicidi non sono state inventati dall’uomo.

Il prodotto 5, Bialaphos, è un tripeptide estratto da uno Streptomicete e commmercializzato come Herbiace; mentre il prodotto 6 è venduto come sale di ammonio col nome di glufosinato da Bayer ma è uno dei componenti del tripeptide precedente.

Si nota che il 7, il glifosato è molto simile come struttura alle molecole precedenti, ma inibiscono enzimi diversi. 8 infine è la fosfonotrixina, anch’essa estratta da un’altro batterio, Saccarotrix.

Una serie di altre sostanze sono elencate in un bellissimo articolo di autori italiani in italiano (Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2007, 4:463-476 Sostanze di origine naturale ad azione erbicida di Mariano Fracchiolla e Pasquale Montemurro, ma si veda anche http://arnoldia.arboretum.harvard.edu/pdf/articles/473.pdf ma anche Tetrahedron 58 (2002) 1631-1646 da cui è tratta la figura precedente), in cui c’è un elenco di sostanze naturali ad effetto “allelopatico” ossia prodotte dalle piante ma non con effetti su se stesse ma con effetti sul proprio ambiente o su altre piante.

Fra le altre, due mi hanno colpito perchè conosco le piante che le producono, l’Ailanto, (Ailantus altissima) una specie altamente invasiva, l’albero del paradiso, cosiddetto, introdotto in Europa alla fine del 700 per farvi crescere la sfinge dell’ailanto un insetto simile al baco da seta e il comune Noce, (Jugland regia).

La prima, l’ailanto o albero del paradiso

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produce l’ailantone

ailantone

e la seconda che tutti conosciamo, il Noce,

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produce lo Juglone

juglone

Juglone

Nel Noce lo Juglone è sintetizzato come naftoidrossichinone

idrochinone

naftoidrossichinone

 

che viene poi ossidato e modificato nell’ambiente

Due sostanze “allelopatiche” che rendono la vita difficile alle altre piante nelle vicinanze delle prime e che spiegano sia la capacità dell’Ailanto di crescere formando spettacolari boschetti di solo ailanto sia la difficoltà ben conosciuta dai nostri agricoltori di far crescere altre piante vicine al Noce.

Ma cosa differenzia queste abilità naturali delle piante dalla nostra capacità di fare altrettanto?

In fondo anche i batteri e le muffe usano gli antibiotici da milioni di anni così come l’Ailanto e il Noce usano gli allelopati, i loro erbicidi.

Noi con gli antibiotici abbiamo certo vinto una battaglia, per qualche decennio, ma rischiamo di perdere la guerra a causa della vorace esigenza di profitto di chi spinge ad usare gli antibiotici anche quando non servono nell’uomo e come adiuvanti nell’allevamento del bestiame; gli antibiotici in eccesso alterano perfino la composizione batterica delle acque di scarico ed hanno reso resistenti moltissimi batteri comuni; oggi la resistenza batterica rischia di diventare un problema serio in tutto il mondo come abbiamo già raccontato in questo blog (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2012/12/18/una-pallottola-spuntata/ )(https://ilblogdellasci.wordpress.com/una-alla-volta/aspergillomarasmina-a/) (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/02/02/batteri-chimica-e-altro-parte-iv/)

Allo stesso modo è la struttura “a senso unico” dell’agricoltura moderna, intensiva, monocolturale, votata non tanto all’eliminazione della fame nel mondo ma alla produzione di beni che garantiscano il massimo profitto che porta ad un uso improprio ed eccessivo delle sostanze di sintesi.

L’agricoltura moderna basata su un ristretto numero di piante, prevalentemente annuali (con un mercato dei semi sempre più strappato al controllo dei singoli produttori) è sempre più fragile e dipendente da prodotti di sintesi che garantiscono la produzione di sempre meno specie ma in sempre maggiore quantità, più interessata al profitto continuo che all’integrazione dei bisogni umani nell’ecosistema complessivo.

Gli erbicidi, o il sistema delle piante OGM resistenti ad essi, non mi sembrano tanto pericolosi per se stessi, (a parte il caso attuale ovviamente) non credo alle ipotetiche tossicità di qualche pomodoro “nero”, ma temo invece la fragilità di un sistema in cui sono state brutalmente abolite tutte quelle complesse relazioni fra specie che sono alla base della biosfera come unità vitale.

La agricoltura moderna non è un sistema permanente e stabile, una permacoltura come in parte l’agricoltura dei Romani basata più su piante permanenti che annuali, o perfino non è più la coltura a cinque livelli dell’agro aversano della mia infanzia, fecondato dalla grande eruzione ignimbritica del 37.000 a.C. e che produceva nel medesimo campo verdura, frutta (la vite), legna da ardere, cereali e consentiva la sopravvivenza degli animali da cortile; oggi quell’agro è trasformato nella terra dei fuochi!

L’agricoltura moderna invece di garantire la sopravvivenza della specie umana nella biosfera ed il ricambio delle sostanze che ci garantiscono la vita a partire dall’acqua, dall’azoto, dal fosforo, si trasforma sempre più in un improvvido e fragile metodo produttivo monocolturale che dipende dall’energia del petrolio e dai prodotti di sintesi in quantità crescenti e che dopo aver alterato il ciclo dell’acqua, dell’azoto e del fosforo e distrutto gran parte dell’ambiente naturale e delle specie in esso viventi si avvia a diventare uno dei nostri principali problemi.

8 pensieri su “Glifosato e altre storie

  1. “L’ombra del noce è un ombra cattiva” mi diceva Roberto, contadino montanaro ultranovantenne

  2. Proverò a fare un macerato di mallo di noci e spruzzarlo sulle malerbe, vediamo che succede.

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