Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo
a cura di Claudio Della Volpe
Tutti i lettori di questo blog sanno che la mia personale posizione sulle questioni agricole è certamente non mainstream; ho scritto decine di articoli sottolinenando i diversi problemi dell’agricoltura contemporanea, tutti collegati alla crescita infinita perseguita dalla nostra attuale società (economica, demografica, etc.) con la conseguenza di sconvolgere i cicli degli elementi e contribuire al riscaldamento globale; tuttavia in essi come in tutti cerco di tenermi sempre disperatamente su quella linea sottile che separa la critica “scientifica”, ossia fatta secondo i criteri sperimentali e del metodo scientifico dalla posizione ideologica; probabilmente non ci sono riuscito, ma ci ho provato. Sono stato attaccato diverse volte da persone che sostenevano che ero ideologicamente “contro” il mainstream; adesso invece mi tocca scrivere un articolo di stampo opposto.
In due post recenti vi ho informato del fatto che il glifosato, l’erbicida più usato del mondo, è stato messo in categoria 2A fra i potenziali cancerogeni dallo IARC (http://wp.me/p2TDDv-1GK) e che uccide o danneggia organismi del suolo (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/16/ancora-sul-glifosato/ ) ; ma fra queste cose che sono sostenute su basi chiare e scientifiche e le pretese antiscientifiche di alcuni ce ne corre. Vediamo di che si tratta.
Nei commenti al secondo di questi post la senatrice Elena Fattori di M5S mi ha criticato (minacciando sostanzialmente di querelarmi, almeno così ho capito) perchè ho definito non scientifici, da non leggere, da non additare al pubblico, alcuni articoli (che lei invece considera “dati scientifici”) che in modo giornalistico o da riviste sostanzialmente predone o poco affidabili hanno sostenuto che il glifosato ha come conseguenza la celiachia e altri disturbi connessi, blocca l’enzima p450 dei mammiferi etc. Tutte cose che non stanno nè in cielo nè in terra.
Premetto doverosamente che la senatrice Fattori, laureata in biologia e con un PhD a Zurigo ha pubblicato oltre 40 lavori (Web-ISI of science) e ha un H-index di 28. Non stiamo quindi facendo una discussione ideologica, ma stiamo cercando di capire come si distinguono gli articoli degni di fede (intesa qui come credibilità, dato che nessuno di noi può ripetere tutti gli esperimenti di cui legge si tratta di capire come facciamo a distinguere) dal resto delle cose che si trovano in rete. Ovviamente si può dare spazio a tutto, c’è libertà di pensiero, ma facendo così si fa una enorme confusione; occorre avere dei criteri saldi.
La medesima senatrice ha condiviso sul proprio blog di FB (https://www.facebook.com/Fattori.Elena.M5S/posts/1034766399869967) un articolo di “La Stella” scritto da Maurizio Blondet dal titolo “Ma quale celiachia. Chiamatela Roundup”.
La Stella è un sito che pubblica articoli su auto ad acqua, medicine che curano l’organo a cui assomigliano, perchè esiste l’anima spiegato da un fisico e via discorrendo (anche Tutto ciò che ci è stato insegnato sulle nostre origini è una bugia).
Ha ripreso un articolo di Blondet (http://www.maurizioblondet.it/chi-e-maurizio-blondet/) giornalista in pensione, che scrisse su giornali come, La padania, Il giornale, Gente e che attualmente si occupa di temi di stampo “complottista” sul suo blog personale dove l’articolo è comparso per la prima volta. Riporto qui una frase che descrive bene le idee di Blondet:
L’America non mira più a pacificare questi paesi per farne i suoi vassalli e suoi mercati, come ha fatto agli europei nel dopoguerra. Il fine nuovo, di stampo ebraico, è quello descritto nella Bibbi quando sarà instaurato il Regno d’Israele: “spargerò il terrore di te” sulle nazioni, abiterai “case che non tu hai costruito”, raccoglierai da “campi che non ha coltivato tu”. La sola concezione possibile di impero, per Israele, è il saccheggio e il terrore.
Cosa dice l’articolo? L’articolo sostiene che la celiachia e i disturbi connessi dipendono dal fatto che il glifosato è presente nei cibi che mangiamo in particolare nel grano; riprende le tesi svolte in tre articoli,
1) http://www.mdpi.com/1099-4300/15/4/1416 (Entropy)
2) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3945755/ (Interdisciplinary Toxicology)
3) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25883837
(Surg Neurol Int.)
pubblicati da Anthony Samsel e Stephanie Seneff ; il primo è un libero consulente e la seconda è una ricercatrice di informatica dell’MIT che si è dedicata da pochi anni a questo nuovo tema biologico del glifosato (e di altre molecole) e dei suoi effetti sulla salute umana, pubblicando una serie di articoli basati su mere ipotesi dato che lei stessa non è una biologa e non ha fatto mai nessuna misura di tipo biologico, nessun esperimento; la dott. Seneff ha pubblicato in tutto 39 articoli quasi gli stessi numericamente della senatrice Fattori, ma mentre la Fattori ha avuto quasi 4000 citazioni la Seneff ne ha avute 125 su ISI (H-index 7). Di questi articoli solo gli ultimi sono dedicati alla biologia.
I tre articoli citati che rappresentano i suoi più noti sul tema glifosato hanno ricevuto rispettivamente: 14, 0 e 0 citazioni su Web of Science che è una delle banche dati più accreditate. Su Google Scholar che è un data base meno considerato di ISI Web of Science ma molto più ampio i tre articoli hanno ricevuto 73, 23 e 3 citazioni.
Giusto per capire di cosa stiamo parlando il termine glyphosate viene indicizzato per 141000 citazioni su Google Scholar, ossia le tre pubblicazioni della Seneff sono state considerate per una percentuale di volte che è 99/141000= 0.07% del totale su Google e del 14/7469 su ISI web of Science, ossia dello 0.18% su ISI Web of Science, come si vede valori analogamente molto bassi.
Entropy (dove è stata pubblicata la prima delle tre pubblicazioni) è indicizzata su ISI mentre le altre due riviste no, sono riviste open source recenti di alcun peso scientifico al momento.
Finora abbiamo posizionato i quattro articoli, ed è importante farlo perchè quando si legge un articolo scientifico occorre anche chiedersi in che contesto esso è stato pubblicato, ossia se chi lo ha pubblicato segue le regole che la comunità scientifica si è data per pubblicare; questo fa anche da sfondo alla valutazione degli articoli da parte della comunità scientifica di riferimento, CHE E’ QUELLA CHE CITA GLI ARTICOLI STESSI.
Quando scriviamo un articolo e lo mandiamo ad una rivista, tipicamente non sappiamo cosa succederà, se verrà approvato o se no, se verrà citato o se no; ma il rapporto fondamentale è con la comunità dei lettori una comunità di riferimento che fa il nostro stesso mestiere e che nel tempo prima approverà o meno il lavoro e poi lo citerà se lo ritiene utile o lo criticherà.
Tuttavia attenzione; lo ho scritto altre volte in questo blog, i meccanismi del mercato sono entrati pesantemente in questa macchina ideale della scienza e la hanno ridisegnata almeno in parte; sorvoliamo sull’aspetto del publish-or-perish che ci porterebbe troppo lontano, editori che si fanno pagare non da chi compra le loro riviste ma da chi ci scrive sopra (su una delle riviste usate da Seneff, Entropy gli articoli costano un migliaio di euro l’uno) è il cosiddetto open-access, che a volte diventa una sorta di pay-per-publish, pagare per farsi pubblicare, invece che una lotta al controllo delle multinazionali dell’editoria, e questa è l’editoria predona; il controllo dei referees anonimi si fa inattivo, spesso la rivista chiede all’autore di indicare lui dei referees “anonimi” (sic!) e chi ti vieta di indicare gli amici? Infine succede anche che chi legge citi superficialmente; in questo momento , proprio in questi giorni mentre vi scrivo mi è stata approvata una review sul mio tema di ricerca, la bagnabilità in cui ho criticato pesantemente alcuni degli articoli più citati anche sulle riviste ad alto fattore di impatto a causa di errori “pacchiani”; e devo dire che la cosa che mi ha fatto felice è che i tre referees (effettivamente anonimi) mi hanno tutti scritto: ci voleva proprio, bravo; si vede che la situazione è arrivata ad un estremo, vi assicuro che non sono stato tenero, ho trovato errori anche su Science. Ma questo è il bello della scienza: sono i fatti a contare alla lunga; finora almeno è andata così; il metodo tiene ancora NONOSTANTE il mercato.
Ora il bassissimo numero di citazioni degli articoli della Seneff qualunque sia il database di riferimento che usiamo da parte di chi pubblica nel medesimo settore deve essere parte integrante del metodo di valutazione dei suoi articoli; se la comunità che si occupa del medesimo argomento non la cita vuol dire che quel che dice non ha molto senso; non la critica neppure badate o almeno non ci spreca articoli, ma post scritti da colleghi contro di lei si sprecano; è anche interessante notare che su ISI per esempio dei 14 che citano il suo articolo su Entropy (il primo) solo due sono a loro volta citati da altri; in pratica la gran parte di chi la cita (12 su 14) è ai margini del suo medesimo settore di lavoro. Questo completa la valutazione della comunità di riferimento.
Adesso entriamo nel merito dei quattro articoli.
Una informazione che è utile: cosa è la celiachia? Non c’è una risposta semplice, trovate varie informazioni qui:
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2103_allegato.pdf
http://www.eufic.org/article/it/artid/celiachia-intolleranza-glutine/
Si tratta di una intolleranza alimentare alle proteine del glutine probabilmente su base autoimmune; nel celiaco il glutine contenuto nel cibo causa un danno alla membrana dell’intestino che a sua volta impedisce al cibo di essere digerito ed assorbito dal corpo in modo corretto. Il risultato è essenzialmente uno stato di malnutrizione cronica; il glutine è un complesso proteico contenuto in: grano tenero, grano duro, farro, segale, orzo e altri cereali minori. Lo si trova in pane, pasta, biscotti, pizza e in ogni altro prodotto derivato da tali cereali. La celiachia è una condizione con una forte componente ereditaria, infatti la concordanza tra gemelli veri (cioè dotati di identico patrimonio genetico) è di molto superiore rispetto all’attesa nella popolazione generale. Con crescente evidenza si tratterebbe di una patologia autoimmune, basata su una base genetica e scatenata dall’alimentazione.

La sua importanza nella popolazione mondiale (che si chiama prevalenza) e in specie europea stimata inferiore all’1%. Si stima che la sua prevalenza sia aumentata negli ultimi 50 anni di varie volte (dallo 0.2% allo 0.8%, ma non se ne conoscono le ragioni (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19362553).
Veniamo all’effettivo contenuto degli articoli
Blondet:
“Sono almeno 12 mila anni che l’umanità mediterranea si nutre di frumento, senza problemi. E di colpo, ecco sorgere la “intolleranza al glutine”, con relativo ipersviluppo degli affari relativi a questa “malattia”: paste senza glutine a 5 volte il prezzo delle normali, prodotti bio dove l’etichetta dichiara “senza glutine”, cibi spesso a carico del servizio sanitario nazionale… Il glutine è un veleno? Si deve sospettare del grano geneticamente modificato? Per una volta no. Anche se c’entra il Roundup, il diserbante della Monsanto, specifiamente concepito dalla multinazionale per essere usato in abbondanza coi suoi semi geneticamente modificati (modificati appunto per resistere al diserbante, che uccide tutte le erbacce) . Come ha scoperto la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice senior al Massachusetts Institute of Technology (MIT), da una quindicina d’anni gli agricoltori americani, nelle loro vastissime estensioni, hanno preso l’abitudine di irrorarle di Roundup immediatamente prima della mietitura.”
Questa è la parte iniziale dell’articolo che esprime una serie di come dire “profonde inesattezze”?
Non è vero che l’umanità si nutre di frumento senza problemi, né che l’intolleranza al glutine sia sorta di colpo; un disturbo con tutti i sintomi dell’intolleranza in senso lato è stato riportato fin dal 1 secolo dC da Areteo di Cappadocia, 2000 anni fa;

che nel suo “Corpus Medicorum Graecorum II “ parlava di “diatesi celiaca” descrivendo pazienti con pallore, perdita di peso e diarrea cronica, ossia alterazione intestinale. La definizione ufficiale risale al 1888. In quel periodo Samuel Gee, medico del S. Bartholomew’s Hospital di Londra, fu il primo a descriverne magistralmente il quadro della forma tipica. Ma il merito principale di Gee è stato quello di aver intuito che la causa della malattia celiaca andava ricercata in un alimento, anche se non era riuscito ad identificare quello responsabile. Un forte interesse per la Celiachia riprese quando nel 1945 il pediatra dell’Ospedale di Utrecht Willem-Karel Dicke scoprì una forte riduzione della malattia in Olanda durante la seconda guerra mondiale legata al ridotto utilizzo di cereali.
Dopo di ciò affermare che la intolleranza al glutine o celiachia nelle sue varie forme sia sorta “di colpo” appare una pura invenzione.
L’altro aspetto citato da Blondet è l’uso del glifosato come essicante del grano che sarebbe fatto in Canada ma non da noi ma noi compreremmo quel grano canadese; ora questo modo di usare il glufosato è stato effettivamente sviluppato in USA e Canada ma purtroppo per tutte le altre fantasiose complottiste ipotesi del Blondet dal 2012 anche in Italia è ahimè possibile fare la medesima cosa. Non so come mai questo fatto che io personalmente considero una cosa alquanto grave, un uso del tutto inutile del glifosato sia stato permesso anche in Italia nonostante le proteste di alcuni dei nostri produttori di grano, probabilmente per favorire la concorrenza di altri produttori italiani; ovviamente si tratta di interessi contrapposti, ma di fatto ormai dal 2012 questo argomento del grano canadese “al glifosato”, (che è una parte sia pur ridotta delle recenti importazioni di grano in Italia, l’Italia importa poco meno della metà del grano che usa e le importazioni canadesi sono cresciute solo molto di recente) usato invece del nostro che sarebbe indenne non ha ragion d’essere dato che la medesima cosa si può fare anche in Italia; lo sapeva il Blondet? Lo sa la senatrice?

Dal 19/11/2012 con regolamento Ministeriale n.14737, il prodotto commerciale Roundup Platinum della Monsanto Crop Protection (il più concentrato in glifosate p.a. 480g/l) è stato autorizzato dal Ministero della Salute per il trattamento pre-raccolta su grano ed orzo.
In realtà la preraccolta serve ad altro, serve a “seccare” le piante come racconta Blondet, ma come vedete si può fare benissimo anche da noi fin dal 2012; dopodichè che senso ha il racconto complottista di Blondet?
Veniamo alla ipotesi del collegamento fra celiachia e glifosato legata al numero di casi ed all’uso; Blondet usa il grafico che compare nel secondo dei lavori che ho elencato e che la medesima senatrice Fattori cita sul proprio sito FB come articolo con “dati scientifici”.
La correlazione non è provata da un meccanismo dettagliato testato in laboratorio e controprovato ma da una ricerca puramente numerica come può fare una ricercatrice di informatica come la Seneff. Fra l’altro notate che i dati usati dalla Seneff nel grafico che viene qua sotto sono di un’altra ricercatrice (la Swanson) che ci ha pubblicato un lavoro successivo del tutto numerico tentando di trovare molte altre correlazioni e riuscendoci.

Questo grafico (come gli altri che trovate nei lavori della Seneff e della Swanson) è un ottimo esempio di ciò che viene indicato come “correlazione spuria”, un tema su cui sono stati scritti libri (http://www.tylervigen.com/spurious-correlations, che è anche un sito dove potete provare a correlare praticamente qualunque cosa) e c’è perfino un giornale a riguardo: http://www.jspurc.org/.
Guardate con attenzione:
-prima di tutto non si è in grado di recuperare i dati da una sorgente chiara;
-in secondo luogo ci dovrebbe essere una medesima zona da cui vengono i cittadini malati che vanno all’ospedale e in cui venga usato il glifosato ma non è così o comunque non si sa;
-i dati di una grandezza e dell’altra sono assoluti non sono riferiti al numero di ettari coltivati o alla percentuale di popolazione;
-si cerca una correlazione senza ritardo, come se l’effetto della causa, il glifosato, fosse immediato, senza alcun ritardo, mentre la malattia celiaca si manifesta lentamente dopo anni di esposizione
-e infine notate che mentre una delle grandezze parte da zero , il glifosato, l’altra NO, il numero di casi, proprio perchè la celiachia esisteva ben prima dell’uso del glifosato; se si vuole riconoscere questo considerando effettivamente l’incidenza della celiachia dovuta a glifosato (ossia il numero di NUOVI casi di celiachia dovuti supponiamo ad esso che prende il nome di incidenza) occorrerebbe anche sapere come sono variate le ALTRE cause, quelle che provocavano la celiachia PRIMA del glifosato. Insomma trucchi da prestidigitatore dei dati!
Non si possono trovare “correlazioni” significative se non si hanno i meccanismi; è possibile se no “provare” qualunque cosa; per esempio che l’autismo dipenda dal consumo di agricoltura biologica:

e cose del genere. Sarebbe sciocchezzzaio puro.
L’articolo due della serie di Seneff, considerato dalla Fattori “dati scientifici” sul proprio blog è basato TUTTO su questo tipo di ragionamento: correlazioni numeriche priva di causazione, ossia tecnicamente correlazioni spurie.
http://www.tylervigen.com/spurious-correlations
Ma non basta ci sono altre “imprecisioni”:
1) “Celiac disease, and, more generally, gluten intolerance, is a growing problem worldwide, but especially in North America a Europe, where an estimated 5% of the population now suffers from it.”
Falso come detto prima la letteratura riporta valori di PREVALENZA dell’ordine dell’1% o meno.
2) “Glyphosate is known to inhibit cytochrome P450 enzymes.” Falso; Questo è vero solo nelle piante ma non nei mammiferi
McLaughlin LA et al. Functional Expression and Comparative Characterization of Nine Murine Cytochromes P450 by Fluorescent Inhibition Screening. DRUG METABOLISM AND DISPOSITION (2008) Vol. 36, No. 7 1322-1331.
3) “Deficiencies in iron, cobalt, molybdenum, copper and other rare metals associated with celiac disease can be attributed glyphosate’s strong ability to chelate these elements.” Che il glifosato sia un chelante non ci sono dubbi ma che questo comporti un effetto nelle condizioni effettive del tratto digestivo umano non è stato provato finora. Mera ipotesi della Seneff non provata.
Si potrebbe continuare ma sinceramente non ho nè tempo nè voglia di perderci energie.
Ma come fa una rivista a pubblicare cose così? Vorrei aggiungere qualcosa sulla rivista su cui è stato pubblicato: Interdisciplinary toxicology; si tratta di una rivista Open Access fatta così: l’editor e buona parte dell’editorial board sono slovacchi (e fin qui nulla di male, anche se si ritiene in genere che l’internazionalità ampia e ben rappresentata sia una garanzia di indipendenza di giudizio) e una frazione consistente è fatto da persone del medesimo istituto e della medesima associazione scientifica; una parte consistente delle loro pubblicazioni sono pubblicate sulla medesima rivista; insomma si tratta di una rivista che se fosse pubblicata in Italia sarebbe guardata con sospetto: la rivista di “quel gruppo là”, non una rivista scientifica internazionale; questa rivista è sulla lista costruita da un bibliotecario, Jeffrey Beall, dell’Università di Denver che cerca di commentare la qualità delle riviste Open Access (http://scholarlyoa.com/about/): questa è fra le peggiori.
(continua)