Delusioni europee.

Claudio Della Volpe

Ho spesso difeso da queste pagine la situazione europea dei controlli sulla chimica; REACH è certamente un baluardo (o almeno potrebbe esserlo) contro l’uso scriteriato della nostra disciplina che si è verificato nel secolo scorso lasciandoci con un ambiente fortemente inquinato. Ricordiamo che in Italia ci sono al momento 42 SIN, siti di interesse nazionale migliaia di chilometri quadrati fortemente inquinati e per i quali non si conoscono spesso le modalità di bonifica.

Come si vede dal grafico il loro numero è stato ridotto per legge nel 2012 da 57 a 39 (poi ritornato a 42); ma questo non toglie che abbiamo una colossale quantità di zone inquinate dall’attività della chimica industriale e non abbiamo né i soldi né, spesso, i metodi per bonificarle.

In alcuni casi questo inquinamento non è stato NEMMENO riconosciuto ancora e nel frattempo si è esteso dal 3% del territorio nazionale (circa 10mila chilometri quadrati!!) a zone molto più ampie.

Il caso recente più eclatante è ovviamente quello dei PFAS. Come abbiamo riportato si tratta della violazione di un vero e proprio limite planetario che, a causa della stabilità delle molecole in questione, ci condanna per secoli ad usare acqua e suolo inquinati e ad avere queste sostanze nel nostro stesso corpo, dato che ormai cade con la pioggia.

Ma come mai REACH non ci difende? Come mai non ci ha difeso? Dove sta il busillo? Perché REACH non ha fermato i PFAS?

Qualche amico mi sollecita a ricordare un caso recente, ossia il glifosato, di cui abbiamo parlato sul blog anche in anni passati (ricordate il conflitto inimmaginabile fra ECHA e IARC?); in questi giorni l’EU ha deciso di rinnovare, sia pure a certe condizioni, il permesso di usarlo per altri 10 anni, nonostante ci siano ormai le prove che questa molecola non sia del tutto innocua, ma danneggi in modo significativo l’ambiente naturale e che le sue modalità di determinazione e di verifica nei tessuti biologici non siano adeguate allo scopo.

A riguardo del primo punto, oltre i noti dubbi espressi già nel 2015 dallo IARC sull’effetto cancerogeno della molecola, un altro recente lavoro dell’Istituto Ramazzini sostiene che il glifosato altera il microbioma intestinale anche a dosi molto basse.

A riguardo del secondo punto un recentissimo lavoro stabilisce che

In conclusione, il nostro studio evidenzia la mancanza di affidabilità dei processi di valutazione effettuati dalle agenzie regolatorie per il glifosato in particolare, e per i pesticidi in generale, e mette in discussione la rilevanza di tali processi che dovrebbero salvaguardare la salute umana e l’ambiente.

Il meccanismo è il seguente; per bloccare il glifosato o permetterlo ci vuole la maggioranza qualificata del 55% e non si è trovata in entrambi i casi; solo qualche matto si è schierato; ne segue che si continua ad usarlo; nessun meccanismo di precauzione, ma invece di garanzia del profitto si (ma si parla solo dei posti di lavoro “salvati”).

Forse la cosa buona è che se ne parli e anche tanto; almeno così si riesce a mettere le persone sull’avviso e in generale a combattere la disinformazione; che non è solo legata ai gruppi che mettono in discussione la Scienza sostenendo sciocchezze palesi, come i no-vax, ma anche a coloro che si pongono su un altare tecno-economico riducendo a zero ogni sia pur elementare principio di precauzione; mantenere il timone in questo mare procelloso ed incerto di informazioni contraddittorie è difficile anche per chi come molti di noi ha strumenti di discrimine.

Durante l’estate c’è stata la possibilità di esprimersi a riguardo della richiesta di bando dei perfluorurati chiesta da alcuni paesi europei; l’ECHA ha aperto la possibilità di esprimere il proprio parere pubblicamente; nessuna associazione professionale o culturale di chimici a livello europeo si è espressa. Perché questo avviene?

Oddio qualcuno si è comunque espresso pubblicamente sui PFAS, chessò la RCS:

https://www.rsc.org/policy-evidence-campaigns/environmental-sustainability/sustainability-reports-surveys-and-campaigns/cleaning-up-uk-drinking-water/

La RCS ha dedicato una pagina web ai pfas e chiesto il contatto con il grande pubblico e stimolato il governo.

La ACS, in un’America straziata anche dai processi che sono diventati film è intervenuta in qualche modo:

https://cen.acs.org/sections/pfas.html

Da noi nulla a parte il nostro blog.

In questi giorni è in corso il processo a Vicenza contro Miteni, mosso da denunce di privati (le Mamme NO Pfas); scrive la stampa nazionale (Il Fatto Quotidiano del 26/10/2023) che l’istituzione pubblica che sovraintende alla salute (l’assessorato regionale del Veneto) sospese la ricerca sull’inquinamento del sangue dei cittadini veneti per motivi economici (traduzione: le analisi costavano troppo); e cosa ha impedito ai chimici italiani di schierarsi? Anche qui motivi economici? Perché gli italiani non hanno letto da nessuna parte, casomai attraverso un comunicato stampa, che i chimici italiani in qualche forma organizzata, una associazione, una lista di nomi conosciuti, quel che volete, deplorava l’uso criminale, irresponsabile della chimica fatto dalla Miteni?

Qualche giorno fa abbiamo reso noto che su alcuni giornali europei era uscita una denuncia precisa contro la presidente von der Leyen: con la scusa delle elezioni europee ha posticipato la riforma e l’adeguamento del REACH di un anno almeno. E perché mai ha indebolito così il nostro principale strumento di difesa ambientale proprio in un momento critico? La denuncia parte dalle grandi firme del giornalismo europeo: The Guardian e Le Monde. Nessun giornale italiano a parte il Fatto se ne è accorto.
Cari amici e colleghi, qua si tratta lo so, di cambiare “narrazione”; da la Chimica è bella e potente a la Chimica non è dei Chimici, è guidata da interessi economici e nessuno di noi (a parte qualche matto) si muove per denunciarlo; a Napoli si dice “’a pazziella mmano e ccriature”; una guida irresponsabile di uno strumento potente e difficile! I risultati tragici sono scontati!

Non sto accusando nessun chimico in particolare, ma sapere le cose non comporta una responsabilità? Sapere le cose della Chimica e magnificarle non comporta fare da garanti della sua bellezza e potenza? (e qua ben vengano filmati anche un po’celebratori)

Ma perché non anche della sua correttezza e affidabilità? (e qua purtroppo silenzio totale)

Cocktail di erbicidi.

Mauro Icardi

Di glifosato come di altre centinaia di molecole che abbiamo sintetizzato ex-novo, e che poi sono state diffuse nell’ambiente, probabilmente  sentiremo parlare ancora a lungo. Perché il glifosato non è presente soltanto nel cibo che consumiamo ogni giorno, ma è stato rilevato anche nei fiumi italiani.

Un nuovo studio (vedi anche link in fondo) , condotto dall’Università Statale di Milano e coordinato da Caterina La Porta, docente di Patologia generale del dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali e Stefano Bocchi, docente di Agronomia dello stesso dipartimento, ha valutato la presenza di erbicidi e insetticidi in fiumi e acque sotterranee della Lombardia. I risultati, anche stavolta, non sono certo confortanti e mostrano un livello di inquinamento da pesticidi molto alto.

Nelle acque lombarde (soprattutto quelle superficiali), infatti, vi è una grande presenza di sostanze “chimiche”, in particolare di glifosato e Ampa (metabolita che deriva dalla trasformazione microbica  dell’erbicida anche se dobbiamo ricordare che l’AMPA può derivare anche da altre fonti).

Lo scopo dello studio pubblicato su Scientific Reports però non rivolgeva l’attenzione solamente al glifosato, ma si prefiggeva di valutare gli effetti del mix di queste sostanze sull’ambiente, quello che è ormai noto come “effetto cocktail”. 

In merito al quale i ricercatori scrivono: Anche se un singolo pesticida potrebbe essere allo stesso tempo efficace e sicuro a una concentrazione sufficientemente bassa, oggi la questione principale è l’impatto dell’accumulo di più pesticidi nell’ambiente, considerando l’intero ecosistema e inclusi gli esseri umani.

Spesso insieme al glifosato, soprattutto nelle acque delle aree agricole, si trovano anche altri erbicidi come Terbutilazina, Bentazon, il 2,4-Diclorofenolo (intermedio di produzione di erbicidi) e Metolaclor (erbicida).

I risultati di questo studio hanno mostrato che l’esposizione per 7 giorni a un mix di inquinanti di questo genere è in grado di provocare problemi sulla crescita e sulla conformazione morfologica dell’alga C.Reinhardtii utilizzata come biosensore.

Il monitoraggio non ha preso in esame l’acqua che esce dal rubinetto ma quella dei corpi idrici.  Nella filiera di trattamento delle acque destinate al consumo umano, sono previsti sistemi di abbattimento e depurazione per poter immettere nel rubinetto acqua a norma. Questo perché i corpi idrici superficiali e sotterranei sono sempre più vulnerabili al cocktail di molecole definite come inquinanti emergenti.

Le aziende che gestiscono il ciclo idrico integrato perseguono una politica volta a implementare controlli e trattamenti adeguati per i nuovi inquinanti. Tra questi ad esempio il “water safety plan”.

Il 12 dicembre 2020 il parlamento europeo ha approvato in via definitiva la nuova direttiva sulle acque potabili (DIRETTIVA (UE) 2020/2184), la prima legislazione europea adottata in seguito a una mobilitazione dei cittadini, la campagna Right2Water del 2013. Per consentire e incoraggiare le persone a bere l’acqua del rubinetto piuttosto che l’acqua in bottiglia, la qualità dell’acqua sarà migliorata imponendo limiti più severi per alcuni inquinanti, tra cui il piombo. Entro l’inizio del 2022, la Commissione redigerà e monitorerà un elenco di sostanze o composti. Tra queste vi saranno i prodotti farmaceutici, i composti che alterano il sistema endocrino e le microplastiche.

Il problema però rimane aperto per quanto riguarda le acque superficiali. Ed è un problema che dovrebbe indurre a riflessioni importanti.

L’interesse verso la presenza di contaminanti emergenti risale  al famoso libro pubblicato da Rachel Carson nel 1962, Silent Spring, che mostrò come l’uso eccessivo di DDT e fitofarmaci avesse portato alla morte di molte specie, tra cui anche quelle che solitamente accompagnavano con il loro canto i mesi primaverili (da cui il titolo che voleva sottolineare come la primavera fosse diventata silenziosa).

E’ giusto precisare che l’inquinamento dovuto da un utilizzo eccessivo di prodotti fitosanitari può provocare una profonda alterazione dei suoli, ma anche altri fattori concorrono alla perdita di biodiversità. Per esempio il cambiamento climatico, e l’introduzione di specie alloctone.

 Sull’effetto della presenza diffusa di molecole di sintesi (nel senso di molecole non esistenti in natura e dunque ragionevolmente mancanti di meccanismi di depurazione naturali) nell’ambiente, occorre senza dubbio un attento lavoro di ricerca e di studio. Che data la complessità e l’importanza del tema, non potrà che essere multidisciplinare. Ma sul quale, come per altri problemi ambientali, non possiamo perdere troppo tempo.

Una nota finale è sulle quantità; ci sono molte altre molecole di sintesi che arrivano nei depuratori, farmaci umani per esempio o anche veterinari, (un buon esempio è il diclofenac un comune antinfiammatorio che ha effetti micidiali su alcuni uccelli); anche su questi i depuratori possono poco al momento, dovremo adattarli, ma considerate che il diclofenac viene prodotto in quantità che sono 400 volte inferiori al glifosato, 2400 ton/anno contro 1 milione in tutto il mondo.

Il lavoro di adeguamento degli impianti di trattamento delle acque reflue è iniziato già da tempo. Il percorso decennale che ha portato alla costituzione delle aziende di gestione del ciclo idrico, a livello di ambito provinciale, permette lo sblocco di investimenti  attesi e non più rimandabili. Per quanto riguarda  l’ambito provinciale di Varese  53 milioni nel quinquennio 2021-2025 sono destinati all’adeguamento tecnologico degli impianti di trattamento delle acque reflue già esistenti. Le tecnologie di abbattimento a livello di trattamento definito “terziario”, sono ormai tecnologie mature.  Il lavoro di depurazione deve essere completato in maniera più completa possibile, a monte del corpo idrico ricettore, diminuendo il carico di inquinanti che possano interferire con l’equilibrio ecologico dei corpi idrici. Una rivoluzione concettuale e progettuale, rispetto a quanto avveniva in passato quando si lasciava fare una parte del lavoro di rimozione degli inquinanti ai meccanismi di autodepurazione naturali.  Ma questa scelta mostrava già da tempo criticità importanti, legate al modificato regime delle precipitazioni idriche, alla riduzione dei ghiacciai alpini. Fenomeni che hanno impatti significativi sulle portate dei principali fiumi italiani. E che nei casi più gravi hanno provocato anche fenomeni di mancanza totale di acqua, come nel caso del Lambro nel 2015.

Link per approfondimento

https://www.nature.com/articles/s41598-021-93321-6#Fig2

A volte ritornano. La battaglia del glifosato.

Claudio Della Volpe

Nelle ultime settimane si è riaccesa quella che potremmo definire la battaglia del glifosato, l’erbicida più venduto al mondo, del quale avevamo parlato parecchio negli anni dal 2015 al 2017, prima che la UE decidesse di consentirne l’uso per 5 anni, che scadranno nel 2022.

Alla fine dell’articolo troverete la lista dei post che pubblicammo (a mia firma meno uno all’epoca raccontando le varie situazioni); nei commenti ad uno di essi si sviluppò anche una polemica fra me e la senatrice Elena Fattori.

Come vedete dalla figura qua sotto lo IARC (attenzione in italiano la sigla AIRC corrisponde ad una associazione privata fondata da Veronesi, ma qui cita quasi punto per punto in italiano la pagina IARC sul glifosato) ritiene il glifosato un “probabile cancerogeno” cat. 2A; potete accedere a questa pagina qui. Il documento originale sul glifosato di IARC è qui*.

Perché si sta riaccendendo questa discussione?

Il motivo è semplice dato che il permesso di usare il glifosato scadrà il 15/12/2022 stanno scendendo in campo da una parte i produttori di glifosato e di prodotti collegati (soprattutto di semi geneticamente resistenti) riassunti nella sigla GRG (Glyphosate renewal group), una lobby e dall’altra le associazioni ambientaliste a partire per esempio da Stop Glyphosate.

Il suo utilizzo come erbicida è stato approvato nell’Unione europea nel 2017 fino al 2022, con alcune limitazioni, tra cui il divieto di avere nella stessa formulazione glifosato e ammina di sego polietossilata e una serie di divieti relativi al fatto che anche ECHA ha riconosciuto che il glifosato è tossico per l’uomo in certe condizioni e dannoso per l’ambiente acquatico.

I paesi europei arrivano divisi alla questione almeno al momento; scrive il Sole 24 ore:

Dopo la retromarcia dell’Austria, il Lussemburgo sarà il primo Stato Ue a vietare l’uso dell’erbicida già dal 2021. Una decisione che ha anticipato quelle di Francia e Germania. Parigi, nonostante un investimento pubblico da 400 milioni non è riuscita a far decollare il piano, denominato “Ecophyto”, che mira a ridurre del 50% i fitofarmaci in agricoltura entro il 2025. Dal lancio del piano nel 2008 il loro uso è aumentato del 12%, secondo i dati presentati dalla corte dei conti al governo francese

L’Italia non ha una posizione chiara.

Cosa è successo di interessante nel frattempo dal punto di vista scientifico?

Il sito http://www.weedscience.org che riporta lo sviluppo delle resistenza ai vari fitofarmaci mostra che c’è stato un continuo incremento delle resistenze anche per il glifosato

Dal 2017 altre 15 specie sono diventate resistenti al glifosato per un totale attuale di 53; è un fenomeno che dovrebbe far riflettere poiché riguarda TUTTI i fitofarmaci- erbicidi usati nel mondo come mostra quest’altro grafico:

A questo occorre aggiungere che l’azione dei movimenti ambientalisti ha obbligato a rendere pubblici i documenti su cui si sono basate le autorizzazioni delle varie istituzioni pubbliche; se ricordate è stata proprio la diversa strategia nell’accettare la documentazione  che ha portato all’inimmaginabile conflitto fra IARC ed ECHA o EFSA nell’autorizzazione del glifosato.

IARC usa una metodologia autorizzativa basata solo su documenti privi di ogni conflitto di interesse, pubblicati sulla letteratura internazionale, mentre ECHA, EFSA o EPA accettano la documentazione dei produttori, che fra l’altro NON E’ PUBBLICA o almeno non lo è sempre.

Dato che sono in corso negli USA centinaia di cause di privati che sostengono di essere stati danneggiati dall’uso del glifosato le associazioni antiglifosato sono riuscite a rendere pubblici molti dei documenti di cui si parlava grazie alla forza della magistratura; analogamente nel marzo 2019 quattro europarlamentari verdi hanno ottenuto  una sentenza della Corte di giustizia in  cui si afferma che l’EFSA dovrebbe pubblicare tutti gli studi (segreti) sui rischi di cancro del glifosato. L’ONG SumOfUs ha richiesto all’EFSA 54 studi di genotossicità e ha avviato un’azione di finanziamento pubblico per poter pagare scienziati indipendenti per lo screening di questi studi ne è seguita una analisi dettagliata di queste documentazioni che sono ora pubbliche e che è  stata condotta da alcuni specialisti.

Tutta la storia è stata pubblicata dal Guardian e sono disponibili anche i documenti stessi.

https://www.theguardian.com/business/2021/jul/02/glyphosate-herbicide-roundup-corporate-safety-studies

o anche

https://greenreport.it/news/inquinamenti/glifosato-la-valutazione-positiva-dellefsa-si-basava-su-dati-scientifici-accomodanti/

i documenti resi pubblici sono su

L’analisi dei documenti condotta da due specialisti del settore, Armen Nersesyan and Siegfried Knasmueller, dello Institute of Cancer Research, Department of Medicine I, Medical University of Vienna, è scaricabile da qui.

L’analisi è stata condotta gratuitamente da Knasmueller, mentre l’altro autore (precario) è stato ricompensato con 3500 euro.

Cosa si conclude in questa analisi?

«Non meno di 34 dei 53 studi di genotossicità finanziati dall’industria utilizzati per l’attuale autorizzazione dell’Ue del glifosato sono stati identificati come “non affidabili”, a causa di sostanziali deviazioni dalle linee guida per i test dell’OCSE, che potrebbero compromettere la sensibilità e la precisione del sistema di prova. Per quanto riguarda il resto dei 53 studi, 17 erano “parzialmente affidabili” e solo 2 studi “affidabili” da un punto di vista metodologico».

Su questa base molte associazioni ambientaliste e di consumatori chiedono una revisione dei permessi che tenga conto di questi nuovi punti di vista.

Come chimici ci resta da dire che vorremmo che ci fossero metodologie non inficiate da scelte discutibili e soprattutto completamente trasparenti; non è possibile che gli enti regolatori debbano scegliere sulla base di documenti non solo soggetti a conflitti di interesse, ma perfino non completamente pubblici; le stesse leggi europee dovrebbero tener conto di queste profonde debolezze dei processi di accertamento; e non sono le sole modifiche legislative da considerare.

Ricordo qui per la sua assonanza la questione posta dal tema PFAS: l’uso dei brevetti contro i ricercatori che vogliono misurare la presenza di inquinanti nell’ambiente, come denunciato da alcuni colleghi dell’Università di Padova e raccontato in un nostro recente post. Questa situazione porta all’impossibilità di avere lo standard di misura utile per misurare l’inquinamento perché i detentori del brevetto dell’inquinante ne impediscono l’uso o non ne diffondono lo standard.

Poi non ci si dica che non si sa perché la chimica è considerata “sporca e cattiva” o perché molti siano i chemofobici. Sta a noi chimici schierarci apertamente e sempre per la trasparenza dei dati.

SEMPRE.

  • grazie a Francesco Pascale per avermi fatto notare questa possibile confusione.

Post pubblicati sul glifosato nel nostro blog:

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/04/13/glifosato-e-altre-storie/ https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/16/ancora-sul-glifosato/ https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/24/non-ce-due-senza-tre-ancora-glifosato/ in questo c’è una polemica negli interventi con la allora senatrice 5S Elena Fattori (oggi SI). https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/07/31/ma-insomma-il-glifosato-e-o-non-e-cancerogeno/ https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/12/15/glifosato-dove-siamo-parte-prima-alcuni-fatti/ https://ilblogdellasci.wordpress.com/2018/01/12/glifosato-dove-siamo-parte-2-altri-fatti-e-qualche-opinione/ https://ilblogdellasci.wordpress.com/2018/10/10/glifosato-e-api-da-miele/

Glifosato e api da miele

Rinaldo Cervellati

Il discusso erbicida glifosato (di cui abbiamo parlato diffusamente nel blog, cercate glifosato in alto a destra e anche nella rubrica La Chimica allo specchio di C&I) potrebbe incrementare la mortalità delle api da miele come ritiene uno studio riportato da M. Satyanarayana nell’ultimo numero di settembre di Chemistry & Engineering newsletter on-line.

Struttura molecolare del glifosato

Lo studio, effettuato da un gruppo di ricercatori in Texas, ha evidenziato che l’erbicida, commercializzato col nome RoundupÒ, potrebbe danneggiare le api indirettamente perturbando la flora batterica del loro intestino. (E.V.S. Motta et al. Glyphosate perturbs the gut microbiota of honey bees., Proc. Nat. Acad. Sci. USA., 2018, DOI: 10.1073/pnas.1803880115). Gli scienziati pensano che i risultati potrebbero aiutare a spiegare il declino delle api da miele osservato negli ultimi anni.

Il gruppo, coordinato da Nancy Moran, esperta in biologia delle api alla Texas University di Austin, ha esposto centinaia di api operaie al glifosato a concentrazioni uguali a quelle che avrebbero potuto incontrare nei pressi di campi agricoli trattati con l’erbicida.

Nancy Moran

Questo gruppo di api è stato poi reintrodotto nel proprio alveare. Dopo tre giorni la flora batterica dell’intestino di queste api è stata analizzata e confrontata con quella di un gruppo di api non trattato col glifosato. I ricercatori hanno scoperto che l’abbondanza di alcune delle otto specie predominanti di battèri intestinali era significativamente diminuita nelle api trattate rispetto a quelle non trattate, suggerendo che l’esposizione al glifosato aveva modificato la composizione della flora batterica intestinale nel gruppo di api trattato. I due gruppi sono stati poi esposti a un comune agente patogeno delle api. E’ risultato che le api operaie esposte al glifosato sono decedute a velocità più elevate rispetto alle api non esposte, portando alla conclusione che la diminuzione di alcuni battèri della flora intestinale aveva reso gli insetti trattati più vulnerabili degli altri.

Queste conclusioni corrispondono a quelle riportate in precedenza che hanno dimostrato che le api da miele con flora intestinale compromessa sono malnutrite e suscettibili alle infezioni. Moran sostiene che questi risultati, insieme ai dati che mostrano che il glifosato può influenzare i battèri del suolo e che si accumulano nelle api, suggeriscono ai ricercatori di valutare se i possibili effetti indesiderati del popolare erbicida abbiano avuto un ruolo nel declino delle api.

Continua Moran: “Circa 10 anni fa, ci fu un preoccupante declino nelle popolazioni di api da miele, in seguito chiamato colony collapse disorder. I tassi di mortalità hanno continuato ad essere alti, ma i decessi non sono stati così improvvisi.”

Fred Gould, entomologo, patologo ed ecologista, professore distinto della North Carolina State University, fa notare che ricercatori hanno esaminato il ruolo di diversi pesticidi e fungicidi nel declino e nell’infezione delle colonie di api, ma il glifosato non era mai stato preso in considerazione. La ricerca di possibili effetti trascurati, come quelli descritti nel nuovo studio è un sintomo che questo settore di indagine è in netto miglioramento rispetto al passato.

Fred Gould

Come quasi tutti gli erbicidi, il glifosato agisce bloccando un enzima chiamato EPSP sintasi nelle piante, necessario per la biosintesi di amminoacidi aromatici come la fenilalanina, la tirosina e il triptofano, impedendo così la crescita delle piante[1]. Il glifosato non uccide i battèri, ma impedisce loro di crescere, e la maggior parte dei batteri trovati nell’intestino delle api portano il gene che codifica l’enzima.

Ma mentre alcune specie di battèri che abitano nell’intestino delle api sono sensibili al glifosato, altre lo sono meno, perché portano un gene per una forma di EPSP resistente al glifosato, o per altri meccanismi sconosciuti, dice Moran. Il suo gruppo ha in programma di ripetere i loro esperimenti su alveari interi e di esplorare i meccanismi di nonresistenza degli EPSP.

Colonia di api da miele

L’impatto ambientale e gli effetti sulla salute del glifosato sono una questione ancora controversa dice Gould, quindi studi sull’ intero alveare potrebbero far luce sugli effetti dell’ erbicida su una specie critica per l’agricoltura.

Questi studi potrebbero anche aiutare a evitare possibili effetti negativi del glifosato sulle api. Il risultato probabile sarà una sorta di miglior pratica su quando e dove spruzzare il glifosato, dice Juliana Rangel, entomologa della Texas A & M University.

Juliana Rangel

L’impollinazione attraverso le api è un’industria di circa 15 miliardi di dollari l’anno, dice, e “molte volte, tragedie come il colony collapse disorder possono essere evitate con una migliore comprensione dell’ecosistema”.

[1] A differenza di molti altri erbicidi che risultano efficaci contro alcune specie, cioè selettivi, il glifosato è un erbicida totale il che ne spiega l’uso generalizzato.

Glifosato. Dove siamo? Parte 2. Altri fatti e qualche opinione.

Claudio Della Volpe

Nella prima parte di questo post abbiamo presentato alcuni fatti sul glifosato, il più venduto e discusso erbicida del mondo.

In questo secondo post completerò la mia (sia pur personale) descrizione delle cose e commenterò alcune posizioni a riguardo.

Per comprendere le posizioni delle tre agenzie principali di sicurezza mondiali sul glifosato IARC, EFSA ed ECHA, ricordiamo prima di tutto cosa sono rischio e pericolo. Sono termini usati nel linguaggio comune come sinonimi, ma la legge e la tecnica o la scienza li usano in modo diverso e questo comporta una pesante ambiguità specie sui giornali o negli articoli scientifici quando le cose non sono scritte con attenzione. Perfino nella tecnica giuridica le due terminologie si sovrappongono con risultati non esaltanti; per esempio il pericolo concreto e astratto sono termini tecnici della giustizia che sono completamente lontani dal loro senso comune: per caratterizzare il pericolo, il danno potenziale, di lesione del bene giuridico tutelato, si usano tre elementi: i dati di fatto completi dell’evento, le leggi scientifiche che caratterizzano i fenomeni coinvolti e la probabilità che si verifichino. Il pericolo è astratto quando la norma contiene tutti gli elementi necessari alla caratterizzazione del pericolo ed astrae da fatti concreti, la sua applicazione è dunque automatica, mentre è concreto quando la norma rimanda al giudice la necessità di tener conto di tutta un’ulteriore serie di elementi di fatto, concreti appunto, su cui basarsi per formulare una valutazione definitiva. Dunque in un testo giuridico, una sentenza i due aggettivi riferiti a pericolo hanno un senso del tutto diverso dal loro senso comune. Come vedete insomma ce n’è a sufficienza per stare attenti nell’uso di questi termini.

Il pericolo è una qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni mentre il rischio è la probabilità di raggiungere il livello potenziale di danno nelle effettive condizioni di impiego; in definitiva una cosa può essere pericolosa ma non rischiosa, ossia costituire un pericolo ma non un rischio, avere una valenza mortale ma non essere concentrata a sufficienza: è la dose che fa il veleno, come diceva il vecchio Paracelso. Per questo motivo la botulina che è un veleno potentissimo è anche contemporaneamente alla base di una tecnologia per ristabilire la freschezza dei lineamenti. E’ pericolosa ma il rischio è trascurabile a dosi molto basse, anzi il suo uso è benvenuto.

 

Gli effetti possono essere comunque “nefasti”, certi visi sono stati rovinati da un uso eccessivo o scorretto, ma questo è un altro problema, che non dipende dal botox in se, ma di cui occorre tener conto.

Cosa dicono allora IARC, EFSA ed ECHA?

Nel marzo 2015 lo IARC ha posto il glifosato in classe 2A in un elenco definito dalla immagine qua sotto.

Lo IARC si occupa di pericolo NON di rischio e dunque ci consiglia di stare attenti al Sole che è certamente un pericolo di cancro alla pelle, ma questo pericolo è gestibile attraverso l’uso di opportune metodologie (evitare le scottature, usare creme solari, stare attenti ai nei e alla loro evoluzione, etc) per ridurre il rischio; e così per ogni altra cosa. Lo IARC si occupa solo di valutazioni di pericolo ed usa una metodologia che è molto precisa: solo lavori scientifici pubblicati SENZA conflitto di interesse, dunque solo lavori non supportati in alcun modo dalle aziende produttrici, riunioni in presenza di rappresentanti delle controparti, relazioni finali pubbliche, tuttavia la discussione non è resa pubblica completamente, anche per tenere i singoli rappresentanti lontani dalla pubblicità e dal character assassination che potrebbe venir fuori, esattamente come è venuto fuori per il glifosato.

IARC è il braccio armato contro il cancro dell’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, mentre ECHA, l’altro ente che si occupa di valutazione SOLO di pericolo delle sostanze “chimiche” è una istituzione squisitamente europea; la terza istituzione che si è occupata del tema è l’EFSA che è una istituzione europea che si occupa di rischio per cibo e ambiente.

Capite allora bene che mentre un conflitto fra le conclusioni di EFSA e IARC è tutto sommato accettabile, la cosa è diversa per le conclusioni di IARC e ECHA.

Entrambi questi organismi si occupano solo di pericolo e dunque le loro differenti conclusioni sono da far risalire alle metodologie diverse di valutazione e al set di dati usati; a questo riguardo aggiungo per chiarezza che IARC non separa il glifosato dai costituenti nelle sue valutazioni, ossia valuta il prodotto come viene usato di fatto, mentre ECHA ed EFSA classificano separatamente le varie sostanze e indicano le proprietà solo per il glifosato lasciando agli stati membri di analizzare le conseguenze dell’aggiunta di altri additivi.

E’ interessante a questo proposito leggere cosa dice l’equivalente americano di Federchimica, l’associazione degli industriali della Chimica USA, American Chemistry Council (ACC).

Like IARC, ECHA performed the latter type of evaluation of glyphosate and found there is no evidence the herbicide qualifies as a cancer hazard. The conflicting conclusions between IARC and ECHA are all the more significant considering ECHA even evaluated the same studies that IARC did, in addition to industry data that IARC refused to use. As the ECHA press release notes:“The committee also had full access to the original reports of studies conducted by industry. RAC has assessed all the scientific data, including any scientifically relevant information received during the public consultation in summer 2016.” The comparison of ECHA and IARC’s findings underscores the need for the IARC Monographs Program to improve how it conducts its evaluations of substances. Until its Monographs are based on transparent evaluations of all available scientific evidence, IARC’s findings are of little value.

Ve li lascio in inglese; la conclusione di ACC è che dato che IARC si rifiuta di usare i dati dell’industria (come dicevo fa questo per evitare ogni tipo di conflitto di interesse) le sue conclusioni sarebbero di poco valore. Ma neanche loro attaccano, almeno in questo caso i metodi di IARC, nel merito.

Questo nei documenti ufficiali; sui giornali e nelle aule dei tribunali la cosa è stata diversa; si è scatenata una vera e propria guerra di religione che ha visto schierata da una parte la stampa filoglifosato, guidata da Reuters e dall’altra la stampa ambientalista guidata da Le Monde (ne ho parlato in parte qui). Il fatto che Reuters, che dal 2008 è parte del gruppo Thomson Reuters, sia uno dei maggiori gruppi a livello mondiale nell’informazione economico-finanziaria aggiunge dubbi e pensieri a questo fatto (fra l’altro Thomson detiene ISI e JCR, che sono cruciali nelle stime bibliometriche). Reuters ha accusato IARC di aver cambiato i risultati dei lavori usati; strano che il rappresentante dei produttori di glifosato, Thomas Sorahan, presente alle riunioni non abbia MAI detto nulla a riguardo. Accuse di conflitto di interesse sono state mosse ad uno degli “invited speakers” dello IARC, Portiers, per aver accettato DOPO la conclusione dei lavori (i lavori sono finiti il 20marzo) un contratto (firmato il 26 marzo) con uno studio legale americano che sta rappresentando alcuni dei 184 casi che hanno chiamato in giudizio la Monsanto per gli effetti del glifosato; sono cause miliardarie e come succede negli USA sono combattute senza esclusione di colpi.

Insomma è chiaro che in questo caso, come nel caso della carne rossa ci sono in gioco interessi miliardari e dunque non è strano che si scateni un conflitto sul giudizio di rischio accettabile contro un pericolo giudicato limitato nell’uomo e provato solo negli animali. La stessa cosa non è successa per sostanze come il benzene che è in classe 1 cancerogeno conclamato ed è usato comunemente come additivo nella benzina (1% in volume); lo si usa ancora ma si cerca di ridurlo, le pompe sono state dotate di aspiratore per ridurne l’evaporazione, ciononostante la concentrazione di benzene nelle aree adiacenti le pompe è più alta delle zone circostanti e può porre problemi almeno ai lavoratori coinvolti (Journal of Environmental Management 91 (2010) 2754e2762, Int. J. Environ. Res. Public Health 2014, 11, 6354-6374); ma non vedo guerre di religione; dipenderà dallo scarso valore del mercato del benzene nella benzina?

Comunque stiano le cose ECHA (ECHA/PR/17/06 Helsinky marzo 2017) ha concluso che il glifosato debba essere classificato come sostanza di sintesi con due rischi precisi:

The committee concluded that the scientific evidence available at the moment warrants the following classifications for glyphosate according to the CLP Regulation:

Eye Damage 1; H318 (Causes serious eye damage)

Aquatic Chronic 2; H411 (Toxic to aquatic life with long lasting effects)

Dunque ha riconosciuto un rischio che riguarda sostanzialmente i lavoratori professionali e l’ambiente, gli animali acquatici, tanto è vero che anche le regole di uso per esempio nel nostro paese escludono i terreni molto sabbiosi perché in questo modo si può raggiungere la falda e anche gli animali acquatici. Ricordo che la questione del rischio per gli invertebrati e i batteri e in genere le specie del terreno è più complesso e non ha ancora una risposta certa. Su questo sarebbero necessari nuovi studi.

Quello che mi colpisce è che su questi due aspetti, i diversi metodi di valutazione fra ECHA e IARC e gli aspetti mancanti di conoscenza sugli effetti ambientali del glifosato manchino articoli e divulgazione.

Aggiungo per chiarezza che su molti siti trovate scritto che l’OMS ha dato parere favorevole, come se lo IARC non fosse parte dell’OMS; in realtà questi siti scorrettamente si riferiscono al giudizio espresso da una commissione FAO-OMS, il JMPR; in questo caso il conflitto di interessi è stato palese come potete leggere qua.

Vengo ora ad un articolo che mi ha molto colpito, scritto da Elena Cattaneo, scienziata e senatrice a vita; l’articolo è stato pubblicato su Repubblica e lo riporto integralmente in figura, sperando che Repubblica non mi colpisca con i suoi strali.

Questo articolo contiene secondo me alcune importanti imprecisioni e dei veri e propri errori oltre ad esprimere una opinione molto specifica sul futuro dell’agricoltura. Vado per punti, seguendo l’articolo.

punto1 )Quello che lo IARC ha detto lo abbiamo visto, si tratta di una valutazione di pericolo fatta esclusivamente su lavori senza conflitto di interesse; la cosa non viene riportata dal testo della senatrice e dunque i successivi paragoni lasciano il tempo che trovano; il fatto che il glifosato si trovi nella stessa categoria del vino o delle carni rosse prodotte in Italia non vuol dire nulla; mangiare la carne rossa o bere vino nei limiti di livelli ragionevoli e controllati è un rischio che ciascun consumatore può assumere in piena coscienza ed autonomia sapendo quel che mangia, mentre la stessa cosa non si può dire del consumo di glifosato dato che le sue quantità effettive non sono riportate da nessuna parte; chi consuma un prodotto contenente glifosato non sa di farlo e non sa quanto ne consuma perchè non c’è nessuna norma che obblighi i produttori a indicarne la presenza o le quantità.

L’altra questione citata al punto 1 è indice di incompleta informazione della Cattaneo; il fatto che Portiers non avesse informato del suo contratto, fatto peraltro una settimana dopo la conclusione dei lavori dello IARC, è falso dato che Portiers è stato sentito come invited speaker e non come membro della commissione proprio per questo motivo! Quanto ai lavori non citati si tratta di una notizia non corretta già circolata precedentemente e smentita sia da IARC che da altri; a questo proposito potete leggere l’articolo di Le Monde (questa è una traduzione in italiano della seconda parte dove trovate anche il link alla prima, se no leggetelo su Internazionale) che avevo già citato in un precedente post. In realtà Iarc ha discusso e deciso di non usare quei dati in modo trasparente. Diciamo che la Cattaneo ha usato solo le notizie Reuters riprese a loro volta da quelle di un sito di uno sconosciuto lobbista, tale Zaruk.

punto 2) Sulla differenza fra le valutazioni di ECHA e IARC abbiamo già detto; c’è un motivo preciso che la Cattaneo non riporta. Non solo; i risultati che ho citato nella prima parte sulla presenza di glifosato nei tessuti umani dimostrano che il glifosato, a differenza di quanto si pensi, è abbastanza stabile nell’ambiente e circola di fatto attraverso il cibo che mangiamo, non solo la pasta, ma qualunque altro cibo in cui siano coinvolti prodotti nella cui filiera sia presente il glifosato e le sue formulazioni. Ripeto quel che ho dettto prima: sarebbe logico sapere se il glifosato c’è o no e non solo accettare che comunque ce n’è meno di quanto è considerato tossico. Fra l’altro non ho accennato e lo faccio adesso al fatto che il glifosato è usato in una formulazione complessa che potrebbe a sua volta contenere sostanze con problemi. E’ vero i valori trovati sono molto più bassi degli attuali limiti, che comunque non sono uguali dappertutto, ma questo facendo il paragone con altri casi simili non rassicura (ricordo ancora i limiti ad hoc che rendevano potabile l’acqua all’atrazina, con il magico intervento di Donat-Cattin), né me né credo il resto della popolazione. Anche le vicende del PFAS o dell’arsenico insegnano che i limiti sono sempre soggetti a cambiamenti, in genere in forte riduzione (per esempio i limiti per l’Arsenico nell’acqua potabile sono stati ridotti di 20 volte in 40 anni (da 200 a 10 μg/l )e quelli attuali hanno più a che fare con le difficoltà di determinazione che con l’effettivo limite dell’As).

Per il glifosato i limiti attuali accettati di assorbimento da cibo sono di 0.3mg/kg di peso al giorno in UE (e circa 6 volte maggiori in USA ; il limite di determinazione è di 0.05ppm e quello considerato per alcuni cibi è 0.1ppm; notate che ppm o mg/kg sono equivalenti in questo caso).

Questi valori sono stati estrapolati da lavori condotti su animali in tempi non recentissimi; esiste un lavoro molto recente in cui si sostiene che valori molto bassi, determinati per diluizione equivalente, possono comunque avere un ruolo biologico importante. Questo lavoro non è stato preso in considerazione anche perchè gli autori (fra i quali Seralini) sono stati coinvolti in una polemica su un precedente lavoro che fu ritirato e poi ripubblicato sugli effetti cancerogeni del glifosato (su tutto questo tema un articolo del gruppo DETOX di cui abbiamo parlato nel caso dei tessuti).

punto 3) Questa del brevetto scaduto per la produzione di glifosato è risaputo da anni. Ma a parte la questione citata nella prima parte di questo post dei LoA, la questione vera è che i brevetti importanti non sono quelli relativi alla produzione del glifosato, ma sono quelli relativi ai semi delle piante resistenti al glifosato per modifica genetica; quelli sono il cuore dei soldi di un monopolio mondiale e di una agricoltura controllata da poche grandi multinazionali. Questo voler mettere in conflitto di interessi noi italiani che produciamo vino e glifosato (in minima percentuale, il glifosato è vietato in Italia per molte applicazioni) è veramente una cosa senza senso: i profitti da glifosato come tale sono una parte minima dei profitti da agricoltura “attraverso” il glifosato, con semi modificati che occorre ricomprare ogni volta dai medesimi produttori.

Al punto 4 la Cattaneo dà per scontato che per controllare le infestanti esistano SOLO gli erbicidi e che siano necessari PER FORZA.

Questo non è vero. Potete leggere voi stessi quanti altri metodi non solo chimici, ma prima di tutto agronomici (di gestione delle colture) e fisici (calore, fuoco o specifiche coperture, la cosiddetta solarizzazione) siano possibili in questo studio commissionato da una associazione ambientalista e gentilmente segnalatomi dal deputato europeo Marco Affronte; nello studio sono indicate le sorgenti scientifiche dei dati. Certo i costi immediati sono maggiori, ma siamo sicuri che non ci siano costi nascosti dell’uso di agenti erbicidi? Per esempio la riduzione dell’80% degli insetti volanti di cui abbiamo parlato in un post precedente non potrebbe essere dovuto anche al fatto che facciamo un deserto monocolturale e lo chiamiamo agricoltura intensiva? Quanto ci costa questo uso così massivo della chimica di sintesi in agricoltura?

https://twitter.com/urtikan_net?lang=it

A questo punto la senatrice Cattaneo comincia a descrivere come vede l’agricoltura del domani.

Beh è una visione bau, diciamo così: fa una critica feroce del cosiddetto biologico, critica che di per se si può anche condividere nel senso che è un settore da considerare con attenzione, da non dare per scontato, con trucchi e imbrogli, ma non credo più di quanti ce ne siano nel non-bio; ma non c’è una parola di critica dell’agricoltura moderna e del sistema di consumi di cui essa é schiava, una che sia una. Secondo questa visione i produttori “biologici” sono imbroglioni e incapaci di produre quanto gli altri, dei cui problemi però non si fa menzione.

Non una parola sugli sprechi alimentari, sul tipo di agricoltura dedicata principalmente a supportare i nostri animali e dunque con un consumo eccessivo di carne, anzi si gira la frittata attribuendo gli animali all’agricoltura bio!

E’ l’agricoltura intensiva che è strutturata proprio per favorire un uso spropositato della carne, esattamente il contrario ! Riciclare le deiezioni umane ed animali per riciclare azoto e fosforo è una necessità, dato che allo scopo di accrescere la quota di carne e sostenere l’agricoltura intensiva l’umanità è diventata la principale dominatrice sia del ciclo dell’azoto che del fosforo mandandoli del tutto fuori equilibrio! Ne abbiamo parlato decine di volte sul blog. A paragone la quota di deiezioni animali riciclate dal bio è solo un esempio virtuoso.

Non una parola sulla distruzione sistematica dell’ecosistema operata da questo tipo di agricoltura che ha raggiunto il poco invidiabile primato di rendere la biomassa nostra e dei nostri animali il 98% di quella di tutti i vertebrati, come ho notato in altri articoli; non una parola sugli effetti climatici di una agricoltura esclusivamente intensiva, che sono stati notati di recente anche da studiosi italiani come Riccardo Valentini, che non è classificabile come un rivoluzionario, membro di IPCC. Nessuno nega che sia possibile usare chimica e biologia al servizio di una agricoltura più sostenibile, lo diciamo anche noi, ma dietro questo c’è un cambio del modello di consumi e degli sprechi, della crescita infinita.

Un quadro, quello della Cattaneo, che non esiterei ad assimilare a chi per risolvere il problema climatico pensa alla geoingegneria: come se l’umanità fosse padrona del pianeta, che invece condivide con tutta la biosfera! Le infestanti per esempio nutrono una quantità di insetti che poi servono a impollinare le nostre piante! L’agricoltura umana non può corrispondere ad una dichiarazione di guerra a tutte le altre specie, nè essere il motivo per modificare in modo industriale la genetica delle altre specie a nostro esclusivo vantaggio, oppure distruggerle; è questo che sta succedendo: dominio o distruzione e a volte entrambi.

(ringrazio Vincenzo Balzani per avermi segnalato la discussione sull’articolo della Cattaneo sviluppatasi su Scienza in rete e che trovate qua e qua)

Secondo me il glifosato rivela questo: una hubris che è tanto più forte quanto più la scienza, non supportata da una visione critica, accetta i punti di vista di un sistema produttivo orientato alla crescita infinita: occorre cambiare registro e ricerca, siamo i custodi non i padroni del pianeta Terra.

Personalmente sono in totale disaccordo con alcuni dei punti della Cattaneo; a parte usare di più la scienza e la biologia ci separa la logica che sta dietro:

  • ridurre il peso dell’azoto e del fosforo di sintesi per esempio attraverso l’ampliamento della coltivazione dei legumi
  • ridurre il consumo di carni rosse in particolare e di carni in genere ancora una volta accrescendo la quota di leguminose ed ELIMINARE la coltivazione di biocombustibili (Emily S Cassidy et al 2013 Res. Lett. 8 034015)
  • usare strumenti di lotta agli insetti e alle piante infestanti che usino metodi di coltura agronomica e a preferenza fisici invece che chimici favorendo il ripristino del numero di insetti volanti, specie di impollinatori
  • vietare la brevettazione privata delle nuove specie ed investire pubblicamente sulla ricerca genetica di tutti i tipi rendendo pubblici e disponibili i risultati più importanti ed utili (sto parlando anche di OGM, ovviamente).
  • rendere sempre più completi i test per l’introduzione di nuove molecole di sintesi usate in agricoltura non presenti in natura ed usate in ampia quantità (questo lo sta facendo REACH, ma ci vuole tempo).

A Napoli, la mia città natale, alla cui cultura non posso sottrarmi, c’è un proverbio che dice:“E’ gghjuta a pazziella ‘mmane e’ criature” è un modo di dire napoletano, dare i giocattoli in mano ai bambini, (versione edulcorata di un’altro a sfondo sessuale) ma che vuol dire “affidare le cose a chi non è capace di gestirle”, la moderna classe dirigente mondiale preoccupata prima di tutto del PIL, la religione della crescita infinita e non della conservazione dell’ambiente in cui viviamo e di cui siamo parte, non padroni, e che si sta degradando tanto da mettere in pericolo la nostra stessa sopravvivenza come specie.

http://blog.aeroportodinapoli.it/napoli-turismo/parco-dei-murales

*A riguardo delle resistenze vorrei precisare che su siti diversi si trovano dati diversi; per esempio sul sito Dupont (https://www.pioneer.com/home/site/us/agronomy/library/glyphosate-resistance-in-weeds/) il numero delle specie infestanti resistenti è indicato 35; altrove si riportano i numeri delle sottospecie che raggiunge quasi i 300; il fatto è che questo numero cresce di continuo soprattutto nei luoghi dove il glifosato è più usato come è ovvio che sia.

Altri files da leggere oltre quelli citati: The Glyphosate Files: Smoke & Mirrors in the Pesticide Approvals Process di Helmut Burtscher-Schaden K&S ed., 2017

https://corporateeurope.org/food-and-agriculture/2017/10/setting-record-straight-false-accusations-dr-c-portier-work-glyphosate

https://www.greens-efa.eu/files/doc/docs/ab61fee42c3217963d3a43bd1c4b1e09.pdf

https://www.sigmaaldrich.com/technical-documents/articles/reporter-us/method-for-determination-of-glyphosate.printerview.html#ref

https://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/efsaexplainsglyphosate151112en.pdf

Glifosato: dove siamo? Parte prima: alcuni fatti.

Claudio Della Volpe

Continuo a parlarvi di glifosato dato che nelle ultime settimane la Commissione europea ha deciso di rinnovarne il permesso d’uso per 5 anni. Lo ha fatto a maggioranza dopo un voltafaccia della Germania. L’Italia e la Francia han votato contro. Ovviamente questa situazione ha scatenato le proteste da entrambe le parti in causa ed ha anche scatenato un attacco contro lo IARC, che è un organismo dell’OMS che da sempre si occupa del pericolo delle sostanze cancerogene e che qualche tempo fa aveva classificato il glifosato come potenzialmente cancerogeno. C’è stato anche un intervento su Repubblica della senatrice Elena Cattaneo che commenterò nella 2 parte del post. Dedico questa prima parte ad alcune informazioni sulla molecola che vi riporto qua nella forma in cui le uso per farmi un’idea, raggruppandole per settore e sottolineando le cose che comunemente non si dicono.

Vorrei con voi guardare al glifosato da un punto di vista più generale; ne abbiamo già parlato in precedenti post (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/07/31/ma-insomma-il-glifosato-e-o-non-e-cancerogeno/); ma proviamo ad allargare il punto di vista.

Cosa è il glifosato.

Il glifosato è un fosfonato sintetico, un derivato dell’acido fosfonico. Dunque una molecola del tipo:

Estere  e derivato dell’acido fosfonico

Acido fosfonico

2-amminoetilfosfonato, fosfonato naturale presente in molte membrane di piante e animali

fosfomicina, antibiotico vie urinarie

Come vedete in tutti i casi il ruolo del fosfonato viene deciso dalla sostituzione in R3; nel caso del glifosato abbiamo:

Glifosato, acido fosfonometilamminoacetico

Si può vedere anche come un derivato fosforilato dell’aminoacido glicina, N-fosfono metilglicina; la glicina, il più semplice amminoacido che costituisce la parte a destra della molecola; il gruppo fosfonico è attaccato sull’azoto dell’aminoacido.

Perchè faccio questa introduzione? Perchè è utile sottolineare come tutte le molecole che usiamo hanno un senso e una struttura ben precisi; e sono spesso analoghe di altre buone o cattive, velenose o utili; i fosfonati sono usati come agenti addolcenti dell’acqua, essendo chelanti; abbiamo parlato di questo meccanismo nel post sui prodotti anticalcare.

Sono impiegati come additivi con vari ruoli, come chelanti ed inibitori della corrosione, disperdenti, flocculanti, etc. nella formulazione degli anticalcare e nei detersivi c’è un ruolo crescente dei fosfonati dopo la decisione UE di ridurre i fosfati nei detersivi, che è del 2012; oggi i fosfonati hanno un mercato mondiale di oltre 500.000 ton, di cui in Europa oltre 130.000; per paragone il derivato fosfonico glifosato è prodotto in oltre 800.000 ton di cui in USA circa 125.000.( https://enveurope.springeropen.com/articles/10.1186/s12302-016-0070-0)

Aggiungo che c’è una seconda molecola di questa classe che viene usata come erbicida ma è presente in natura e che si chiama glufosinato; come vedete il glufosinato ha un atomo di carbonio in più nella catena R3 e il legame fra amminoacido e fosfonato non è sull’azoto amminico ma sul carbonio. Il glufosinato a differenza del glifosato è parecchio più persistente in ambiente.

Il glufosinato (o fosfinotricina) è un erbicida sistemico naturale ad ampio spettro prodotto da parecchie specie del batterio del suolo Streptomyces. Le piante trasformano un altro erbicida il bialaphos, anch’esso naturale in glufosinato. Esso funziona inibendo l’enzima glutaminasintetasi necessario alla sintesi della glutamina e alla eliminazione dell’ammoniaca. Per questo motivo esso ha anche proprietà antibatteriche, antifungine.

Diciamo che stiamo ancora una volta facendo un esperimento di massa spargendo ampiamente derivati fosfonati sintetici e naturali nelle acque superficiali. Vedremo come va a finire; vi racconterò come apparentemente siano molecole molto maneggevoli, ma anche altre volte in passato ci siamo sbagliati in queste valutazioni e maggiore è l’uso di una tipologia di molecole maggiori sono i rischi.

Meccanismo di azione.

(Glyphosate Resistance in Crops and Weeds: History, Development, and Management Vijay K. Nandula (Editor) July 2010)Il glifosato uccide le piante interferendo nella sintesi degli amminoacidi aromatici (fenilalanina, tirosina, triptofano) nella cosiddetta via dello shikimato; ottiene lo scopo inibendo un enzima il 5-enolpiruvilshikimato-3-fosfato sintetasi (sigla: EPSPS), che catalizza la reazione dello shikimato-3-fosfato e del fosfoenolpiruvato per formare il 5-enolpiruvil-shikimato-3-fosfato (EPSP), come mostrato nello schema precedente.

Esso viene assorbito attraverso le foglie e pochissimo dalle radici; ne segue che sia attivo sulla pianta in crescita e non possa impedire ai semi delle infestanti di germinare. Una volta entrato in circolo nella pianta in crescita lo shikimato si accumula nei tessuti costringendo la pianta a concentrarsi sulla sua eliminazione. La crescita della pianta si ferma entro poche ore dall’applicazione mentre ci vogliono alcuni giorni per l’ingiallimento delle foglie. I raggi X hanno mostrato che il glifosato occupa il sito di legame del fosfoenolpiruvato; esso è in grado di inibire l’enzima di diverse specie di piante e di microbi.

Fosfoenolpiruvato vs glifosato

Questa via metabolica non esiste negli animali. Questa è la base, la condizione per la maneggevolezza del glifosato. Attenzione però ciò non esclude altri meccanismi di azione, il fatto che il glifosato non possa espletare la sua azione principale sulle cellule animali non esclude che possa espletarne altre, tanto è vero che come vedremo nella seconda parte ci sono delle indicazioni di rischio ben precise da parte di ECHA (H318 e H411), che implicano azioni tossiche sia sull’uomo che sugli animali. Ne riparleremo nella seconda parte (ne abbiamo accennato in passato).

E’ interessante notare che il glifosato sia uno zwitterione; infatti dato che l’acqua è normalmente esposta all’atmosfera ed è quindi in equilibrio con CO2 a circa 5.5 di pH avremo che il gruppo più acido si dissocierà mentre quello più basico si associerà:(da una presentazione di Arpat, Michele Mazzetti)

Questo spiega la significativa solubilità del glifosato in acqua, 12g/litro circa 0.07M e la relativa insolubilità in solventi organici.

Che fine fa?

Si adsorbe fortemente sul suolo e in genere si stima sia immobilizzato, ma badate è immobilizzato sulle particelle del suolo, ma può circolare in questa forma adsorbita. I microbi del suolo lo degradano ad acido amminometilfosfonico (AMPA) che anch’esso teoricamente si adsorbe sul suolo. Di fatto entrambi, glifosato ed AMPA si ritrovano nel suolo; c’è da notare che esiste una via potenziale di inquinamento da AMPA alternativa ed è quella dei detersivi contenenti derivati fosfonici. Tuttavia il peso relativo delle due forme di inquinamento da AMPA è in discussione. (non confondete AMPA con un’altra molecola che pure usa questa sigla ed è completamente diversa, l’ acido α-ammino-3-idrossi-5-metil-4-isoxazolpropionico ) (Chemosphere 77 (2009) 133–139 e Chemosphere 47 (2002) 655–665).

AMPA da glifosato

anche questa molecola usa l’acronimo AMPA, ma ha tutt’altra origine.

La semivita del glifosato nel suolo è di circa 50 giorni. E’ stato suggerito che la emivita sia più breve in acqua dolce, ma anche più lunga in acqua di mare con effetti possibili sulle barriere coralline (Marine Pollution Bulletin>

Volume 85, Issue 2, 2014, Pages 385-390).

 

I ricercatori dell’Università della California presso la San Diego School of Medicine hanno confrontato i livelli di glifosato nell’urina di 100 persone in un arco di tempo di 23 anni. Hanno cominciato dal 1993, l’anno prima dell’introduzione, da parte della Monsanto, di coltivazioni geneticamente modificate resistenti al Roundup, nome commerciale dell’erbicida. Da quando queste colture si sono diffuse, l’uso del diserbante nel mondo è aumentato di circa 15 volte.

Nelle urine dei partecipanti le quantità di glifosato sono passate da una media di 0,20 microgrammi per litro del periodo 1993-1996 a una media di 0,44 microgrammi per litro del 2014-2016. Le dosi sono ben al di sotto degli 1,75 milligrammi per chilo di peso corporeo fissati come soglia limite di esposizione dall’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, e dei 0,3 milligrammi per chilo stabiliti dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. È comunque un aumento importante, che passa in gran parte inosservato, che dipende dall’ampia diffusione, negli USA, di coltivazioni Ogm resistenti al diserbante (prima soia e mais, ora anche grano e avena)”

Il glifosato si ritrova in giro nei cibi e in acqua e dunque si ritrova poi nei nostri tessuti; questo avviene in quantità molto basse, ma è spiacevole sapere che senza che lo vogliamo atomi o molecole sintetiche di questo tipo ci entrino dentro; succede per molte altre specie: il mercurio, il DDT e oggi anche per il glifosato; certo i limiti di tossicità stabiliti ufficialmente sono parecchio più alti delle quote che si ritrovano nei tessuti umani ma il fatto stesso che non ci sia certezza del livello di sicurezza (1750mg pro kilo pro die in USA, 300 mg pro kilo pro die in UE) lascia perplessi.

Brevetti e interessi.

I brevetti relativi alla produzione di glifosato sono scaduti, in questo senso potrebbe sembrare che la sua produzione sia “libera”; ma di fatto ne sono subentrati altri molto più interessanti quando il glifosato è stato scelto come sostanza di elezione con cui correlare la genetica di semi di varie specie modificata con metodi OGM (ma la cosa in se non è particolarmente importante, non credo nei danni da OGM, non è questo lo sottolineo l’oggetto del contendere) in modo da essere resistente al glifosato stesso; in questo modo l’idea è che uno può avere su un campo in cui si usino tale tipo di semi solo la specie resistente, mentre tutte le altre non lo sarebbero. Questa idea è alla base di una crescente importanza dell’uso del glifosato il cui uso è dunque cresciuto soprattutto per questo motivo. I brevetti importanti sono quelli su questi semi non sul glifosato.

Tuttavia rimane un’altra cosa che pochi sanno; che pur essendo “fuori brevetto”, a causa del meccanismo delle cosiddette lettere di accesso (Letter of Access, LoA), un portato del REACH, la Monsanto continua a detenere diritti diretti sul suo uso. In pratica gli altri pagano per avere diritto ad usare i dati in suo possesso che servono alla registrazione REACH.

Sviluppo di resistenza al glifosato.

L’uso di erbicidi o di pesticidi come di antibiotici, cioè di sostanze che interagiscono con la vita di alcune specie colpendo alcuni dei loro processi vitali attraverso il blocco o la competizione con i loro enzimi ha come effetto una risposta di tipo adattativo; la selezione naturale selezionerà quei mutanti che possono usare enzimi diversi mutati e che resistano all’attacco subito. Tenete presente che questo tipo di risposta adattativa è tipica delle specie viventi a qualunque livello e dipende fondamentalmente dalla velocità riproduttiva; nel caso dei batteri che si riproducono in un tempo inferiore all’ora il numero di generazioni è talmente grande che l’adattamento può svilupparsi con grande velocità; prova ne sia che buona parte degli antibiotici che abbiamo sviluppato nel tempo sono diventati oggi inutili; è un argomento di cui abbiamo parlato in altri post a proposito del crescente problema delle resistenze batteriche (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/11/29/il-mercato-del-sapere/).

Nel caso delle piante o degli insetti la velocità riproduttiva è minore ma comunque la risposta adattativa si sviluppa lo stesso; si sviluppa anche negli umani in risposta alle pressioni ambientali e di altre specie, dunque nulla di strano. Ci si deve aspettare perciò che la strategia dell’erbicida o del pesticida possa entrare in crisi; il DDT per esempio oggi non viene più usato se non i casi molto specifici non solo perchè è un POPs, ma anche a causa di questo tipo di risposta da parte delle zanzare. La medesima risposta avviene anche nel caso degli erbicidi.

Nature ha trattato il tema varie volte introducendo il tema dei cosiddetti “supersemi”, che resistono ai vari tipi di erbicidi (24|NATURE|VOL497|2MAY2013); la Union of concerned Scientists ci ha scritto un documento; al momento la situazione glifosato è che nelle zone di maggiore impiego come gli USA una percentuale significativa di varie piante è resistente al glifosato; in Illinois l’Università segue regolarmente la cosa con una relazione annuale. In quel caso si possono avere infestanti resistenti al glifosato nell’80% dei casi. A livello mondiale 24 specie invasive finora hanno sviluppato resistenza al glifosato.

Contemporaneamente come nel caso degli antibiotici è anche diminuito l’interesse delle grandi compagnie ad investire nella scoperta di nuovi erbicidi:

Esattamente come nel caso degli antibiotici ci avviamo verso un’era in cui i vecchi erbicidi (o pesticidi) diventano meno efficienti mentre diminuisce l’interesse ed aumenta il costo di investimento per svilupparne di nuovi.

(continua).

Ma insomma il glifosato è o non è cancerogeno?

Claudio Della Volpe

Confesso subito ai lettori che non sono ovviamente in grado di rispondere in modo assoluto e definitivo a questa domanda che sta appassionando milioni di persone nel mondo. Quello che posso fare è cercare di chiarire i termini della questione. Cosa che ho cercato di fare prima di tutto a me stesso.

Abbiamo parlato di glifosato in alcune occasioni quando è uscita la famosa monografia 112 dello IARC (in francese CRIC) che lo qualificava potenzialmente cancerogeno(https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/04/13/glifosato-e-altre-storie/), quando ho avuto una polemica con una senatrice dei grillini che sembrava accusasse il glifosato di procurare l’autismo (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/24/non-ce-due-senza-tre-ancora-glifosato/) e quando è uscita la notizia delle alterazioni che il glifosato procurava all’ambiente del suolo(https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/16/ancora-sul-glifosato/); tuttavia come redazione finora abbiamo evitato di occuparci ancora del problema. In parte è colpa mia che me ne sono interessato finora e che ho avuto qualche dubbio in merito, lo confesso; tuttavia l’argomento preme, e un recente articolo di Le Monde, ripreso in italiano da Internazionale, che considero la più bella rivista italiana, ha riportato l’argomento all’attualità (Internazionale è una raccolta di articoli tradotti dalla stampa internazionale e anche, più raramente di articoli scritti dalla redazione stessa ma sempre con il medesimo stile asciutto e rigoroso, da giornalisti indipendenti, per quanto si può essere indipendenti).

Non starò qui a ripetere la storia e gli aspetti chimici ed conomici del glifosato che ho già trattato ampiamente negli altri post; vi ricordo solo che il glifosato è il più comune erbicida del mondo prodotto in ragione di più di 800.000 ton/anno, non è più coperto da brevetto, che la sua importanza è cresciuta con l’associazione con specie vegetali utili modificate geneticamente per resistere alla sua azione in modo da poter sopravvivere senza problemi al suo uso a scapito delle specie spontanee ed infestanti. Questa invenzione è oggi di fatto appannaggio della Monsanto, una delle grandi aziende agrochimiche mondiali. Stiamo parlando dunque di un cash-cow, una mucca da mungere ossia di un prodotto che è la base del profitto, del “burro” come si dice in gergo, di chi lo produce.

Proprio per questo l’uscita del rapporto 112 da parte dello IARC, il 29 luglio del 2015, che definiva il glifosato “probable human carcinogen” produsse una reazione immediata e violenta da parte di Monsanto, che è illustrata molto bene nell’articolo di Le Monde; ma non fu l’unica reazione, in quanto nell’ottobre quell’anno EFSA rese ufficiale una valutazione, Renewal Assessment Report (RAR) per il glifosato. In esso EFSA concludeva che “glyphosate is unlikely to pose a carcinogenic hazard to humans and the evidence does not support classification with regard to its carcinogenic potential”, un giudizio sostanzialmente diverso da quello di IARC. L’ Addendum 1 (the BfR Addendum) del RAR conteneva un tentativo di spiegazione razionale delle differenza fra le due valutazioni.

Il 27 novembre 2015 un gruppo di 97 scienziati del settore, capitanati da C.J. Portier ha scritto una lettera a Mr. Vytenis Andriukaitis capo della Commissione Health & Food Safety della UE in cui si criticavano aspramente i criteri e i metodi del BfR e dell’EFSA (https://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/Prof_Portier_letter.pdf).

A questa lettera l’EFSA ha risposto nel gennaio 2016 con un’altra lettera dettagliata (https://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/EFSA_response_Prof_Portier.pdf).

A questo ha comunque fatto seguito una campagna molto forte diretta da Monsanto contro lo IARC (ed altri istituti scientifici indipendenti come il Ramazzini) nel tentativo di ridurne l’immagine, il ruolo e il peso scientifico, e anche i fondi, anche questo descritto molto ampiamente nell’articolo di Le Monde e su Internazionale.

Cerco di essere più preciso.

International Agency for Research on Cancer (IARC) Monographs Programme identifica le cause ambientali del cancro nell’uomo e ha valutato finora dal 1971 più di 950 diversi agenti. Le monografie sono scritte da un gruppo di lavoro (WG) ad hoc che lavora per 12 mesi che terminano con una riunione di 8 giorni. Il gruppo valuta tutta la letteratura scientifica disponibile pubblicamente su una certa sostanza e, attraverso un rigoroso e trasparente processo raggiunge una decisione sul grado al quale l’evidenza scientifica supporta la capacità di quella sostanza di produrre o meno il cancro.

Nel caso specifico, come sempre la decisione dello IARC GW si è basata su una procedura condotta da scienziati indipendenti , privi di conflitto di interesse non affiliati nè supportati in alcun modo dalle aziende produttrici. La decisione è basata su lavori sempre citati e pubblicati nella letteratura biomedica referenziata.

Nonostante la Monsanto si sia lamentata della procedura come dice l’articolo di Le Monde:

In realtà la Monsanto sa bene che questa valutazione del glifosato è stata fatta da un gruppo di esperti dopo un anno di lavoro e dopo una riunione durata diversi giorni a Lione. Le procedure del Circ prevedono inoltre che le aziende legate al prodotto esaminato abbiano il diritto di assistere alla riunione finale. Per la valutazione del glifosato, infatti, la Monsanto ha inviato un “osservatore”: l’epidemiologo Tom Sorahan, professore dell’università di Birmingham, nel Regno Unito. Il rapporto che lo scienziato stila il 14 marzo 2015 per i suoi committenti conferma che tutto si è svolto nei modi previsti. “Il presidente del gruppo di lavoro, i copresidenti e gli esperti invitati alla riunione sono stati molto cordiali e disposti a rispondere a tutte le mie richieste di chiari- mento”, scrive Sorahan in una lettera inviata a un dirigente della Monsanto. La lettera figura nei cosiddetti Monsanto papers, un insieme di documenti interni dell’azienda che la giustizia statunitense ha cominciato a rendere pubblici all’inizio del 2017 nell’ambito di un procedimento giudiziario in corso. “La riunione si è svolta rispettando le procedure del Circ”, aggiunge l’osservatore dell’azienda statunitense. “Il dottor Kurt Straif, il direttore delle monografie, ha una grande conoscenza delle regole in vigore e ha insistito perché fossero rispettate”.

Del resto Sorahan – che non ha risposto alle domande di Le Monde – sembra molto

imbarazzato all’idea che il suo nome sia associato alla risposta della Monsanto: “Non vorrei apparire in alcun documento dell’azienda”, scrive, ma allo stesso tempo offre il suo “aiuto per formulare” l’inevita- bile contrattacco che il gruppo organizzerà.

Per la Monografia 112, 17 scienziati hanno valutato il rischio carcinogenico di 4 insetticidi e del glifosato concludendo per il glifosato : probable human carcinogen.

La review dello IARC collega il glifosato all’aumento dose dipendente di tumori maligni in molti siti anatomici negli animali da esperimento e all’aumento di incidenza del linfoma non- Hodgkin negli umani esposti.

La risposta dell’EFSA è molto articolata (è lunga 18 pagine e non banale da riassumere): ne riporto alcuni punti chiave.

1)

2)

3)

4) differenza fra i due sistemi di valutazione:

differenze specifiche:

Per non annoiarvi vi riassumo che sui punti specifici si vede che le valutazioni divergono anche per aver usato metodi statistici diversi nei due casi e dunque sembra che la valutazione finale che in fondo si distingue per limitata evidenza di cancerogenicità (IARC) o molto limitata evidenza di cancerogenicità (EFSA) dipende anche dal metodo statistico usato per la valutazione.

Ma c’è anche da considerare che mentre IARC non usa lavori se non scritti da autori indipendenti EFSA li usa tutti assegnandogli un peso statistico diverso.

Infine i membri del panel IARC sono essi stessi scelti solo fra persone prive di conflitti di interesse mentre nel caso di EFSA la cosa è più complessa e discutibile.

A proposito di questo tema è da notare che anche altri enti ufficiali che sono intervenuti nella questione con la loro autorevolezza scientifica come Joint FAO/WHO meeting on pesticide residue, in effetti sono stati accusati di non avere panels effettivamente indipendenti o comunque in condizione tale da escludere il conflitto di interessi.

Dice l’articolo di Le Monde:

Tre dei suoi ricercatori, infatti, collaborano con l’International life science institute (Ilsi), una lobby scientifica finanziata dalle grandi industrie del settore agroalimentare, delle biotecnologie e della chimica: dalla Mars alla Bayern, dalla Kellogg alla Monsanto. Si trattava del tossicologo Alan Boobis, dell’Imperial College, Regno Unito, presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ilsi e uno dei presi- denti del Jmpr; di Angelo Moretto, dell’università di Milano, relatore del Jmpr, consulente e consigliere d’amministrazione di una struttura creata dall’Ilsi; e infine di Vicki Dellarco, consulente in diversi gruppi di lavoro dell’Ilsi e componente del Jmpr.

In teoria gli esperti del Jmpr sono sottoposti alle stesse regole d’indipendenza del Circ, cioè quelle dell’Oms, tra le più severe al mondo. Di fatto un conflitto d’interessi apparente, proprio perché può alterare la credibilità dell’istituzione e delle sue decisioni, è grave quanto un conflitto d’interessi accertato. Tuttavia, interpellata da Le Monde, l’Oms ha assicurato che “nessun esperto era in una situazione di conflitto d’interessi tale da impe- dirgli di partecipare al Jmpr”.

Questa risposta lascia insoddisfatti Hilal Elver e Baskut Tuncak, rispettivamente relatrice speciale sul diritto all’alimentazione e relatore speciale sui prodotti e i rifiuti pericolosi delle Nazioni Unite. “Chiediamo rispettosamente all’Oms di spiegare come, in base alle sue regole, è arrivata alla conclusione che i rapporti degli esperti con l’industria non rappresentassero alcun conflitto d’interessi, apparente o potenzia- le”, hanno detto i due esperti a Le Monde. “Processi di verifica adeguati, chiari e tra- sparenti sui conflitti d’interessi sono fon- damentali per l’integrità del sistema”, pre- cisano prima di “incoraggiare” le organizzazioni delle Nazioni Unite a “rivederli”.

“Gravi sospetti” esistono sul “fatto che le aziende ‘comprerebbero’ degli scienziati per spingerli a confermare le loro posizioni”, hanno scritto i due esperti nel loro rapporto sul diritto all’alimentazione.

“Gli sforzi fatti dall’industria dei pesticidi”, si legge in questo testo consegnato al consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite lo scorso marzo, “hanno ostacolato le riforme e bloccato le iniziative dirette a ridurre l’uso dei pesticidi su scala mondiale”.

Ma a quali sforzi si riferiscono i due funzionari?

La risposta è nei cosiddetti “Monsanto papers“ che sono i documenti che l’azienda è stata costretta a trasmettere finora alla giustizia. Negli Stati Uniti la cosiddetta procedura di discovery (scoperta) autorizza queste operazioni.

Negli USA sono in corso 800 processi per danni da glifosato che potrebbero portare al pagamento di somme ingenti; la magistratura americana ha imoosto la pubblicazioni di decine di milioni di pagine di documeti interni Monanto che svelano secondo Le Monde una strategia di risposta della Monsanto che ha coinvolto molti scienziati apparentemnete “indipendenti” con articoli pubblicati su blog o su riviste a pagamentoo su giornali pubblicati da enti finanziati da alcune aziende agrochimiche. Per maggiori dettagli leggete l’articolo di Le Monde e se non riuscite chiedetemelo (sono abbonato a Internazionale).

Aggiungo due cose: se si guardano le cose da un punto di vista tecnico le due posizioni potrebbero non essere in contrasto; per capirci faccio riferimento ad un argomento diverso.

Voi sapete che a norma della legge sulla sicurezza del lavoro 81/08 pericolo e rischio sono due distinti concetti;

la definizione di Pericolo è compresa nell’art. 2, lettera r, D.Lgs. 81/08

Proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni. Il pericolo è una proprietà intrinseca (della situazione, oggetto, sostanza, ecc.) non legata a fattori esterni; è una situazione, oggetto, sostanza, etc. che per le sue proprietà o caratteristiche ha la capacità di causare un danno alle persone

Ma che una cosa sia pericolosa non vuol dire che sia rischiosa.

Il rischio è definito nell’ art. 2, lettera s, D.Lgs. 81/08

Probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione

In definitiva una cosa che è pericolosa potrebbe non essere rischiosa; in questo senso non vedo un contrasto insanabile fra le due posizioni: la questione potrebbe essere vista così: IARC ha ragione il glifosato è pericoloso potenzialmente, ma nelle condizioni pratiche di impiego l’esposizione del grande pubblico alla sostanza non supera mai il livello di rischio accettabile; esistono casi analoghi; per esempio il benzene è cancerogeno conclamato ma è permesso il suo uso nella benzina a certe condizioni (percentuale in volume inferiore all’1% ed uso degli aspiratori nelle centraline di distribuzione).

D’altra parte noi chimici sappiamo bene che tutto può essere tossico, anche l’acqua, in relazione alla concentrazione: è la dose che fa il veleno. Se i pesticidi fossero stati usati con ragione e raziocinio, lo stesso discorso vale per il cromo delle concerie, certo le proprietà dei composti sotto accusa non sarebbero diverse da quelle che sono, ma i danni a salute ed ambiente sarebbero stati e sarebbero minori con le conseguenze relative sulla valutazione dell’uso

E’chiaro che qua è in gioco molto di più del glifosato che comunque vale miliardi di dollari di profitto; è in gioco una agricoltura interamente meccanizzata e basata su un uso intensivo di combustibili fossili e di concimi sintetici, di erbicidi e pesticidi; ne abbiamo parlato molte volte: l’agricoltura moderna, successiva alla “rivoluzione verde” è sostenibile? Ha alterato il ciclo del fosforo e dell’azoto e certamente ha contribuito alla crescita dei gas serra (metano, NOx); ha alterato la biodiversità e messo a rischio i principali impollinatori (api, bombi); possiamo continuare ad usarla senza problemi? Non credo.

Non voglio apparire formale, ma cercare di capire; ogni commento anche critico è ben accetto; è altrettanto certo che il conflitto deve essere risolto e al più presto; ne va della nostra immagine ancora una volta.

 

Non c’è due senza tre: ancora glifosato.(parte 1)

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

Tutti i lettori di questo blog sanno che la mia personale posizione sulle questioni agricole è certamente non mainstream; ho scritto decine di articoli sottolinenando i diversi problemi dell’agricoltura contemporanea, tutti collegati alla crescita infinita perseguita dalla nostra attuale società (economica, demografica, etc.) con la conseguenza di sconvolgere i cicli degli elementi e contribuire al riscaldamento globale; tuttavia in essi come in tutti cerco di tenermi sempre disperatamente su quella linea sottile che separa la critica “scientifica”, ossia fatta secondo i criteri sperimentali e del metodo scientifico dalla posizione ideologica; probabilmente non ci sono riuscito, ma ci ho provato. Sono stato attaccato diverse volte da persone che sostenevano che ero ideologicamente “contro” il mainstream; adesso invece mi tocca scrivere un articolo di stampo opposto.

In due post recenti vi ho informato del fatto che il glifosato, l’erbicida più usato del mondo, è stato messo in categoria 2A fra i potenziali cancerogeni dallo IARC (http://wp.me/p2TDDv-1GK‎) e che uccide o danneggia organismi del suolo (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/16/ancora-sul-glifosato/ ) ; ma fra queste cose che sono sostenute su basi chiare e scientifiche e le pretese antiscientifiche di alcuni ce ne corre. Vediamo di che si tratta.

Nei commenti al secondo di questi post la senatrice Elena Fattori di M5S mi ha criticato (minacciando sostanzialmente di querelarmi, almeno così ho capito) perchè ho definito non scientifici, da non leggere, da non additare al pubblico, alcuni articoli (che lei invece considera “dati scientifici”) che in modo giornalistico o da riviste sostanzialmente predone o poco affidabili hanno sostenuto che il glifosato ha come conseguenza la celiachia e altri disturbi connessi, blocca l’enzima p450 dei mammiferi etc. Tutte cose che non stanno nè in cielo nè in terra.

Premetto doverosamente che la senatrice Fattori, laureata in biologia e con un PhD a Zurigo ha pubblicato oltre 40 lavori (Web-ISI of science) e ha un H-index di 28. Non stiamo quindi facendo una discussione ideologica, ma stiamo cercando di capire come si distinguono gli articoli degni di fede (intesa qui come credibilità, dato che nessuno di noi può ripetere tutti gli esperimenti di cui legge si tratta di capire come facciamo a distinguere) dal resto delle cose che si trovano in rete. Ovviamente si può dare spazio a tutto, c’è libertà di pensiero, ma facendo così si fa una enorme confusione; occorre avere dei criteri saldi.

La medesima senatrice ha condiviso sul proprio blog di FB (https://www.facebook.com/Fattori.Elena.M5S/posts/1034766399869967) un articolo di “La Stella” scritto da Maurizio Blondet dal titolo “Ma quale celiachia. Chiamatela Roundup”.

La Stella è un sito che pubblica articoli su auto ad acqua, medicine che curano l’organo a cui assomigliano, perchè esiste l’anima spiegato da un fisico e via discorrendo (anche Tutto ciò che ci è stato insegnato sulle nostre origini è una bugia).

Ha ripreso un articolo di Blondet (http://www.maurizioblondet.it/chi-e-maurizio-blondet/) giornalista in pensione, che scrisse su giornali come, La padania, Il giornale, Gente e che attualmente si occupa di temi di stampo “complottista” sul suo blog personale dove l’articolo è comparso per la prima volta. Riporto qui una frase che descrive bene le idee di Blondet:
L’America non mira più a pacificare questi paesi per farne i suoi vassalli e suoi mercati, come ha fatto agli europei nel dopoguerra. Il fine nuovo, di stampo ebraico, è quello descritto nella Bibbi quando sarà instaurato il Regno d’Israele: “spargerò il terrore di te” sulle nazioni, abiterai “case che non tu hai costruito”, raccoglierai da “campi che non ha coltivato tu”. La sola concezione possibile di impero, per Israele, è il saccheggio e il terrore.
Cosa dice l’articolo? L’articolo sostiene che la celiachia e i disturbi connessi dipendono dal fatto che il glifosato è presente nei cibi che mangiamo in particolare nel grano; riprende le tesi svolte in tre articoli,

1) http://www.mdpi.com/1099-4300/15/4/1416   (Entropy)

2) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3945755/ (Interdisciplinary Toxicology)

3) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25883837

(Surg Neurol Int.)

pubblicati da Anthony Samsel e Stephanie Seneff ; il primo è un libero consulente e la seconda è una ricercatrice di informatica dell’MIT che si è dedicata da pochi anni a questo nuovo tema biologico del glifosato (e di altre molecole) e dei suoi effetti sulla salute umana, pubblicando una serie di articoli basati su mere ipotesi dato che lei stessa non è una biologa e non ha fatto mai nessuna misura di tipo biologico, nessun esperimento; la dott. Seneff ha pubblicato in tutto 39 articoli quasi gli stessi numericamente della senatrice Fattori, ma mentre la Fattori ha avuto quasi 4000 citazioni la Seneff ne ha avute 125 su ISI (H-index 7). Di questi articoli solo gli ultimi sono dedicati alla biologia.

I tre articoli citati che rappresentano i suoi più noti sul tema glifosato hanno ricevuto rispettivamente: 14, 0 e 0 citazioni su Web of Science che è una delle banche dati più accreditate. Su Google Scholar che è un data base meno considerato di ISI Web of Science ma molto più ampio i tre articoli hanno ricevuto 73, 23 e 3 citazioni.

Giusto per capire di cosa stiamo parlando il termine glyphosate viene indicizzato per 141000 citazioni su Google Scholar, ossia le tre pubblicazioni della Seneff sono state considerate per una percentuale di volte che è 99/141000= 0.07% del totale su Google e del 14/7469 su ISI web of Science, ossia dello 0.18% su ISI Web of Science, come si vede valori analogamente molto bassi.

Entropy (dove è stata pubblicata la prima delle tre pubblicazioni) è indicizzata su ISI mentre le altre due riviste no, sono riviste open source recenti di alcun peso scientifico al momento.

Finora abbiamo posizionato i quattro articoli, ed è importante farlo perchè quando si legge un articolo scientifico occorre anche chiedersi in che contesto esso è stato pubblicato, ossia se chi lo ha pubblicato segue le regole che la comunità scientifica si è data per pubblicare; questo fa anche da sfondo alla valutazione degli articoli da parte della comunità scientifica di riferimento, CHE E’ QUELLA CHE CITA GLI ARTICOLI STESSI.

Quando scriviamo un articolo e lo mandiamo ad una rivista, tipicamente non sappiamo cosa succederà, se verrà approvato o se no, se verrà citato o se no; ma il rapporto fondamentale è con la comunità dei lettori una comunità di riferimento che fa il nostro stesso mestiere e che nel tempo prima approverà o meno il lavoro e poi lo citerà se lo ritiene utile o lo criticherà.

Tuttavia attenzione; lo ho scritto altre volte in questo blog, i meccanismi del mercato sono entrati pesantemente in questa macchina ideale della scienza e la hanno ridisegnata almeno in parte; sorvoliamo sull’aspetto del publish-or-perish che ci porterebbe troppo lontano, editori che si fanno pagare non da chi compra le loro riviste ma da chi ci scrive sopra (su una delle riviste usate da Seneff, Entropy gli articoli costano un migliaio di euro l’uno) è il cosiddetto open-access, che a volte diventa una sorta di pay-per-publish, pagare per farsi pubblicare, invece che una lotta al controllo delle multinazionali dell’editoria, e questa è l’editoria predona; il controllo dei referees anonimi si fa inattivo, spesso la rivista chiede all’autore di indicare lui dei referees “anonimi” (sic!) e chi ti vieta di indicare gli amici? Infine succede anche che chi legge citi superficialmente; in questo momento , proprio in questi giorni mentre vi scrivo mi è stata approvata una review sul mio tema di ricerca, la bagnabilità in cui ho criticato pesantemente alcuni degli articoli più citati anche sulle riviste ad alto fattore di impatto a causa di errori “pacchiani”; e devo dire che la cosa che mi ha fatto felice è che i tre referees (effettivamente anonimi) mi hanno tutti scritto: ci voleva proprio, bravo; si vede che la situazione è arrivata ad un estremo, vi assicuro che non sono stato tenero, ho trovato errori anche su Science. Ma questo è il bello della scienza: sono i fatti a contare alla lunga; finora almeno è andata così; il metodo tiene ancora NONOSTANTE il mercato.

Ora il bassissimo numero di citazioni degli articoli della Seneff qualunque sia il database di riferimento che usiamo da parte di chi pubblica nel medesimo settore deve essere parte integrante del metodo di valutazione dei suoi articoli; se la comunità che si occupa del medesimo argomento non la cita vuol dire che quel che dice non ha molto senso; non la critica neppure badate o almeno non ci spreca articoli, ma post scritti da colleghi contro di lei si sprecano; è anche interessante notare che su ISI per esempio dei 14 che citano il suo articolo su Entropy (il primo) solo due sono a loro volta citati da altri; in pratica la gran parte di chi la cita (12 su 14) è ai margini del suo medesimo settore di lavoro. Questo completa la valutazione della comunità di riferimento.

Adesso entriamo nel merito dei quattro articoli.

Una informazione che è utile: cosa è la celiachia? Non c’è una risposta semplice, trovate varie informazioni qui:

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2103_allegato.pdf

http://www.eufic.org/article/it/artid/celiachia-intolleranza-glutine/

Si tratta di una intolleranza alimentare alle proteine del glutine probabilmente su base autoimmune; nel celiaco il glutine contenuto nel cibo causa un danno alla membrana dell’intestino che a sua volta impedisce al cibo di essere digerito ed assorbito dal corpo in modo corretto. Il risultato è essenzialmente uno stato di malnutrizione cronica; il glutine è un complesso proteico contenuto in: grano tenero, grano duro, farro, segale, orzo e altri cereali minori. Lo si trova in pane, pasta, biscotti, pizza e in ogni altro prodotto derivato da tali cereali. La celiachia è una condizione con una forte componente ereditaria, infatti la concordanza tra gemelli veri (cioè dotati di identico patrimonio genetico) è di molto superiore rispetto all’attesa nella popolazione generale. Con crescente evidenza si tratterebbe di una patologia autoimmune, basata su una base genetica e scatenata dall’alimentazione.

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La sua importanza nella popolazione mondiale (che si chiama prevalenza) e in specie europea stimata inferiore all’1%. Si stima che la sua prevalenza sia aumentata negli ultimi 50 anni di varie volte (dallo 0.2% allo 0.8%, ma non se ne conoscono le ragioni (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19362553).

Veniamo all’effettivo contenuto degli articoli

Blondet:

Sono almeno 12 mila anni che l’umanità mediterranea si nutre di frumento,  senza problemi. E di colpo, ecco sorgere la “intolleranza al glutine”, con relativo ipersviluppo degli affari relativi a questa “malattia”: paste senza glutine a 5 volte il prezzo   delle normali, prodotti bio dove l’etichetta dichiara “senza glutine”, cibi spesso a carico del servizio sanitario nazionale… Il glutine è un veleno? Si deve sospettare del grano geneticamente modificato? Per una volta no. Anche se c’entra il Roundup, il diserbante della Monsanto, specifiamente concepito dalla multinazionale per essere usato in abbondanza coi suoi semi geneticamente modificati (modificati appunto per resistere al diserbante, che uccide tutte le erbacce) . Come ha scoperto la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice senior al Massachusetts Institute of Technology (MIT), da una quindicina d’anni gli agricoltori americani, nelle loro vastissime estensioni, hanno preso l’abitudine di irrorarle di Roundup immediatamente prima della mietitura.”

Questa è la parte iniziale dell’articolo che esprime una serie di come dire “profonde inesattezze”?

Non è vero che l’umanità si nutre di frumento senza problemi, né che l’intolleranza al glutine sia sorta di colpo; un disturbo con tutti i sintomi dell’intolleranza in senso lato è stato riportato fin dal 1 secolo dC da Areteo di Cappadocia, 2000 anni fa;

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che nel suo “Corpus Medicorum Graecorum II “ parlava di “diatesi celiaca” descrivendo pazienti con pallore, perdita di peso e diarrea cronica, ossia alterazione intestinale. La definizione ufficiale risale al 1888. In quel periodo Samuel Gee, medico del S. Bartholomew’s Hospital di Londra, fu il primo a descriverne magistralmente il quadro della forma tipica. Ma il merito principale di Gee è stato quello di aver intuito che la causa della malattia celiaca andava ricercata in un alimento, anche se non era riuscito ad identificare quello responsabile. Un forte interesse per la Celiachia riprese quando nel 1945 il pediatra dell’Ospedale di Utrecht Willem-Karel Dicke scoprì una forte riduzione della malattia in Olanda durante la seconda guerra mondiale legata al ridotto utilizzo di cereali.

Dopo di ciò affermare che la intolleranza al glutine o celiachia nelle sue varie forme sia sorta “di colpo” appare una pura invenzione.

L’altro aspetto citato da Blondet è l’uso del glifosato come essicante del grano che sarebbe fatto in Canada ma non da noi ma noi compreremmo quel grano canadese; ora questo modo di usare il glufosato è stato effettivamente sviluppato in USA e Canada ma purtroppo per tutte le altre fantasiose complottiste ipotesi del Blondet dal 2012 anche in Italia è ahimè possibile fare la medesima cosa. Non so come mai questo fatto che io personalmente considero una cosa alquanto grave, un uso del tutto inutile del glifosato sia stato permesso anche in Italia nonostante le proteste di alcuni dei nostri produttori di grano, probabilmente per favorire la concorrenza di altri produttori italiani; ovviamente si tratta di interessi contrapposti, ma di fatto ormai dal 2012 questo argomento del grano canadese “al glifosato”, (che è una parte sia pur ridotta delle recenti importazioni di grano in Italia, l’Italia importa poco meno della metà del grano che usa e le importazioni canadesi sono cresciute solo molto di recente) usato invece del nostro che sarebbe indenne non ha ragion d’essere dato che la medesima cosa si può fare anche in Italia; lo sapeva il Blondet? Lo sa la senatrice?

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Dal 19/11/2012 con regolamento Ministeriale n.14737, il prodotto commerciale Roundup Platinum della Monsanto Crop Protection (il più concentrato in glifosate p.a. 480g/l) è stato autorizzato dal Ministero della Salute per il trattamento pre-raccolta su grano ed orzo.

In realtà la preraccolta serve ad altro, serve a “seccare” le piante come racconta Blondet, ma come vedete si può fare benissimo anche da noi fin dal 2012; dopodichè che senso ha il racconto complottista di Blondet?

Veniamo alla ipotesi del collegamento fra celiachia e glifosato legata al numero di casi ed all’uso; Blondet usa il grafico che compare nel secondo dei lavori che ho elencato e che la medesima senatrice Fattori cita sul proprio sito FB come articolo con “dati scientifici”.

La correlazione non è provata da un meccanismo dettagliato testato in laboratorio e controprovato ma da una ricerca puramente numerica come può fare una ricercatrice di informatica come la Seneff. Fra l’altro notate che i dati usati dalla Seneff nel grafico che viene qua sotto sono di un’altra ricercatrice (la Swanson) che ci ha pubblicato un lavoro successivo del tutto numerico tentando di trovare molte altre correlazioni e riuscendoci.

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Questo grafico (come gli altri che trovate nei lavori della Seneff e della Swanson) è un ottimo esempio di ciò che viene indicato come “correlazione spuria”, un tema su cui sono stati scritti libri (http://www.tylervigen.com/spurious-correlations, che è anche un sito dove potete provare a correlare praticamente qualunque cosa) e c’è perfino un giornale a riguardo: http://www.jspurc.org/.

Guardate con attenzione:

-prima di tutto non si è in grado di recuperare i dati da una sorgente chiara;

-in secondo luogo ci dovrebbe essere una medesima zona da cui vengono i cittadini malati che vanno all’ospedale e in cui venga usato il glifosato ma non è così o comunque non si sa;

-i dati di una grandezza e dell’altra sono assoluti non sono riferiti al numero di ettari coltivati o alla percentuale di popolazione;

-si cerca una correlazione senza ritardo, come se l’effetto della causa, il glifosato, fosse immediato, senza alcun ritardo, mentre la malattia celiaca si manifesta lentamente dopo anni di esposizione

-e infine notate che mentre una delle grandezze parte da zero , il glifosato, l’altra NO, il numero di casi, proprio perchè la celiachia esisteva ben prima dell’uso del glifosato; se si vuole riconoscere questo considerando effettivamente l’incidenza della celiachia dovuta a glifosato (ossia il numero di NUOVI casi di celiachia dovuti supponiamo ad esso che prende il nome di incidenza) occorrerebbe anche sapere come sono variate le ALTRE cause, quelle che provocavano la celiachia PRIMA del glifosato. Insomma trucchi da prestidigitatore dei dati!

Non si possono trovare “correlazioni” significative se non si hanno i meccanismi; è possibile se no “provare” qualunque cosa; per esempio che l’autismo dipenda dal consumo di agricoltura biologica:

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e cose del genere. Sarebbe sciocchezzzaio puro.

L’articolo due della serie di Seneff, considerato dalla Fattori “dati scientifici” sul proprio blog è basato TUTTO su questo tipo di ragionamento: correlazioni numeriche priva di causazione, ossia tecnicamente correlazioni spurie.

http://www.tylervigen.com/spurious-correlations

Ma non basta ci sono altre “imprecisioni”:

1) “Celiac disease, and, more generally, gluten intolerance, is a growing problem worldwide, but especially in North America a Europe, where an estimated 5% of the population now suffers from it.”

Falso come detto prima la letteratura riporta valori di PREVALENZA dell’ordine dell’1% o meno.

2) “Glyphosate is known to inhibit cytochrome P450 enzymes.” Falso; Questo è vero solo nelle piante ma non nei mammiferi

McLaughlin LA et al. Functional Expression and Comparative Characterization of Nine Murine Cytochromes P450 by Fluorescent Inhibition Screening. DRUG METABOLISM AND DISPOSITION (2008) Vol. 36, No. 7 1322-1331.

3) “Deficiencies in iron, cobalt, molybdenum, copper and other rare metals associated with celiac disease can be attributed glyphosate’s strong ability to chelate these elements.” Che il glifosato sia un chelante non ci sono dubbi ma che questo comporti un effetto nelle condizioni effettive del tratto digestivo umano non è stato provato finora. Mera ipotesi della Seneff non provata.

Si potrebbe continuare ma sinceramente non ho nè tempo nè voglia di perderci energie.

Ma come fa una rivista a pubblicare cose così? Vorrei aggiungere qualcosa sulla rivista su cui è stato pubblicato: Interdisciplinary toxicology; si tratta di una rivista Open Access fatta così: l’editor e buona parte dell’editorial board sono slovacchi (e fin qui nulla di male, anche se si ritiene in genere che l’internazionalità ampia e ben rappresentata sia una garanzia di indipendenza di giudizio) e una frazione consistente è fatto da persone del medesimo istituto e della medesima associazione scientifica; una parte consistente delle loro pubblicazioni sono pubblicate sulla medesima rivista; insomma si tratta di una rivista che se fosse pubblicata in Italia sarebbe guardata con sospetto: la rivista di “quel gruppo là”, non una rivista scientifica internazionale; questa rivista è sulla lista costruita da un bibliotecario, Jeffrey Beall, dell’Università di Denver che cerca di commentare la qualità delle riviste Open Access (http://scholarlyoa.com/about/): questa è fra le peggiori.

(continua)

Ancora sul glifosato.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

Con poco meno di un milione di tonnellate all’anno di prodotto il glifosato è il più importante erbicida mondiale e quindi è giusto che ne discutiamo; in effetti ne abbiamo già parlato in un precedente post di pochi mesi fa , nel marzo 2015, quando lo IARC o meglio una commissione internazionale dello IARC, che è il braccio armato della OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, nella lotta al cancro (quindi non è un ente operativo, ma solo un ente scientifico) ha prodotto una valutazione, una “metaanalisi”, una sorta di review di tutti i lavori scientifici privi di conflitto di interesse (in cui per esempio non figura la Monsanto, che il glifosato lo produce, come ente finanziatore) riguardanti non solo il glifosato ma anche altri prodotti usati in agricoltura, ed i risultati sono stati pubblicati sull’influente The Lancet (oncology) (http://dx.doi.org/10.1016/S1470-2045(15)70134-8) assegnando al glifosato la categoria 2A. In effetti la commissione analizzò 5 sostanze, due pesticidi— tetraclorvinfos e parathion — sono stati classificati come “possibly carcinogenic to humans”, categoria 2B. Gli altri 3 — malathion, diazinon e glifosato — sono stati valutati “probably carcinogenic to humans”, ossia categoria 2A, riservata alle sostanze con limitata evidenza di cancerogenicità per l’uomo e sufficiente evidenza per gli animali. (guardate il post precedente per I dettagli).

Ricordiamo che la sua molecola

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è quella di un derivato dell’amminoacido glicina, la N-(fosfonometil)glicina, C3H8NO5P, un analogo aminofosforico della glicina.

Ovviamente la cosa ha prodotto scandalo e reazioni in tutto il mondo; tenete presente che il grosso del glifosato è venduto insieme a semi OGM ossia con piante geneticamente modificate attraverso gli specifici metodi “non-naturali” ossia non presenti in natura ma realizzati dall’uomo, che ricadono nella definizione di Ogm come data dall’UE (Direttiva 2001/18/CE). (Qui in effetti occorre precisare che in almeno un caso (la patata dolce) è stato provato che piante comuni hanno subito in natura lo stesso procedimento di “infezione” da parte del medesimo batterio Agrobacterium usato da noi,si veda http://www.pnas.org/content/112/18/5844.abstract )

Cosa è successo di nuovo?

Sul problema specifico poco di più; il 15 luglio scorso il professor Christopher Portier, uno dei coautori dello studio di marzo dello IARC, partecipando a Londra ad un congresso organizzato dalla Soil Association, che si batte per una agricoltura “biologica”, ha dichiarato: “Glyphosate is definitely genotoxic. There is nothing else in my mind.

Ovviamente si tratta di una dichiarazione privata; non è una prova scientifica.

La Germania si è dichiarata a favore di un bando in Europa, l’autorità Danese per l’ambiente di lavoro lo ha dichiarato cancerogeno, El Salvador, e lo Sri Lanka lo hanno messo al bando e il governo colombiano ha proibito di spruzzarlo nelle piantagioni di coca.

I problema è che nei paesi dove si usa il glifosato esso si ritrova comunemente nel sangue e nelle urine delle persone e perciò se è effettivamente genotossico e potenzialmente carcinogeno non sembra molto saggio continuare ad usarlo; questo d’altra parte scardinerebbe un sistema produttivo basato su di esso (cosa che ci riguarda tutti) ed azzererebbe i profitti della Monsanto.

Ma ci sono altre prove che sono state nel frattempo pubblicate, seppur di tipo diverso e che gettano nuova luce sulle proprietà del glifosato.

Negli Scientific reports di Nature, liberamente accessibili al pubblico è stato pubblicato uno studio sugli effetti del glifosato sul suolo: Scientific RepoRts | 5:12886 | DOi: 10.1038/srep12886, a firma di 4 specialisti austriaci.

Glyphosate-based herbicides reduce the activity and reproduction of earthworms and lead to increased soil nutrient concentrations (http://www.nature.com/articles/srep12886)

Cosa dice questo lavoro?

Le principali conclusioni sono che:

“…the surface casting activity of vertically burrowing earthworms (Lumbricus terrestris) almost ceased three weeks after herbicide application, while the activity of soil dwelling earthworms (Aporrectodea caliginosa) was not affected. Reproduction of the soil dwellers was reduced by 56% within three months after herbicide application. Herbicide application led to increased soil concentrations of nitrate by 1592% and phosphate by 127%, pointing to potential risks for nutrient leaching into streams, lakes, or groundwater aquifers.”

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In pratica i 4 ricercatori austriaci hanno confrontato l’effetto del glifosato su due sezioni di terreno in cui erano compresi organismi comuni nel suolo, tipologie di vermi che ne costituiscono l’ossatura organica e che attraverso la loro attività lo rendono una struttura viva e non semplicemente un supporto inorganico; queste tipologie di organismi sono fortemente danneggiati dall’uso dell’erbicida e una delle conseguenze è che alcuni componenti inorganici con ruolo di concime si perdono. Finora test del genere non erano stati condotti oppure erano stati condotti su organismi della medesima specie ma non comunemente ritrovati nel terreno.

Dato l’ampio uso del glifosato se ne può dedurre che esso danneggia o può danneggiare la componente organica del suolo.

Se queste conclusioni verranno confermate, si tratta di una ulteriore mattonella, che viene meno nell’uso del glifosato e che dovrebbe indurre a applicare una maggiore precauzione nell’uso così esteso di singole molecole, che se da una parte appaiono preziose per la produzione agricola come è concepita attualmente e per i profitti di alcune corporations chimiche dall’altra mostrano la corda ed usate in enormi quantità possono causare più danni che benefici sul lungo periodo.

Il suolo è un sistema complesso ed il cibo ne dipende sia in quantità che in qualità; la sua salubrità deve essere preservata attraverso un ripensamento dell’agricoltura che abbiamo sviluppato finora; la rivoluzione verde non è così verde come ci si aspettava.

Un ripensamento sull’uso del glifosato avrebbe anche effetti sull’uso degli organismi OGM ai quali il glifosato è attualmente molto legato.

Glifosato e altre storie

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Claudio Della Volpe

Oggi parliamo di glifosato, un erbicida molto diffuso che è stato posto dallo IARC, l’agenzia internazionale di ricerca sul cancro, nella classe 2A, probabile carcinogeno per l’uomo.

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Con un mercato di quasi 6 miliardi di dollari all’anno (sei dollari al chilo corrispondono a circa 1 milione di tonnellate all’anno) il glifosato è il più comune e diffuso erbicida del pianeta; col nome commerciale di Roundup è probabilmente conosciuto anche da molti dei nostri lettori. Esso è anche il più importante erbicida associato ai prodotti OGM e quindi si capisce quale scontro di interessi titanico possa scatenare una dichiarazione come quella dello IARC.

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il loglio, Lolium perenne, uno dei principali infestanti mondiali

Il 24 marzo Nature ha pubblicato su questa questione un articoletto, neutro ma interessante che potete scaricare qui.

Cominciamo dal principio. Il glifosato è un erbicida, in particolare è un erbicida ad ampio spettro che agisce sulle piante in crescita attiva; non funziona cioè sulle piante in pre-emergenza, ossia prima che spuntino; la sua molecola 200px-Glyphosate.svg

è quella di un derivato dell’amminoacido glicina, la N-(fosfonometil)glicina, C3H8NO5P, un analogo aminofosforico della glicina.

Il glifosato è un diserbante sistemico di post-emergenza non selettivo (è cioè attivo, fitotossico per tutte le piante). A differenza di altri prodotti, viene assorbito per via fogliare (prodotto sistemico), ma successivamente raggiunge ogni altra posizione della pianta. Questo gli conferisce la caratteristica di fondamentale importanza di essere in grado di devitalizzare anche gli organi delle erbe infestanti che, essendo sottoterra (ipogei) in nessun altro modo potrebbero essere devitalizzati, se non attraverso un duro lavoro manuale o meccanico.

Fu sintetizzato la prima volta nel 1950 dal chimico svizzero Henry Martin, che lavorava per la Cilag. (la storia completa la potete trovare qua (http://media.johnwiley.com.au/product_data/excerpt/10/04704103/0470410310.pdf). Fu poi riscoperto indipendentemente da Monsanto nel 1970. I chimici della Monsanto nel tentativo di sintetizzare delle sostanze per “addolcire” l’acqua, (chelanti, che riducono il calcio) ne scoprirono un paio che avevano anche attività erbicida e a John E. Franz, fu chiesto di trovare degli analoghi più potenti. Il glifosato fu il terzo ad essere sintetizzato. Franz ha ricevuto per questo la National Medal of Technology nel 1987 e la medaglia Perkin per la Chimica Applicata nel 1990.

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Il glifosato è così potente e ad ampio spettro (uccide anche molti batteri) perché inibisce un enzima centrale nella vita delle piante, il 5-enolpiruvilshikimato-3-fosfato sintetasi (EPSPS), che catalizza la reazione fra shikimato-3-fosfato (S3P) e fosfoenolpiruvato per formare il 5-enolpiruvil-shikimato-3-fosfato (ESP).

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Dal 1970 al 2000 è stato un brevetto della Monsanto; dopo quella data è stato prodotto anche da altri tanto che attualmente è prodotto essenzialmente in Cina e pensate che queste sole modifiche nella zona di produzione hanno portato dei problemi di mercato non banali con aumenti di prezzo per questo prodotto fino a 2-3 volte il suo valore attuale.

Figuriamoci cosa può produrre una notizia come quella che abbiamo dato all’inizio.

Attualmente poi la principale parte del glifosato viene usata in combinazione con i semi OGM, ossia con piante geneticamente modificate attraverso gli specifici metodi di laboratorio che ricadono nella definizione di Ogm come data dall’UE (Direttiva 2001/18/CE). Tale modifica genetica è legata proprio all’ampio spettro del glifosato; dato che tutte le piante o quasi sono suscettibili ad esso per potenziarne l’efficacia ma per renderne seletttivo l’uso si usano piante in cui l’enzima naturale è stato sostituito mediante i metodi sintetici sopraricordati dall’enzima di un batterio che è naturalmente resistente al glifosato, l’Agrobacterium del ceppo SP4; questa informazione genetica è stata trasferita mediante quei metodi prima nella soia e poi in altre piante; in questo modo, mentre le normali infestanti sono suscettibili all’azione del glifosato e muoiono, le piante OGM, che non lo sono, rimangono vitali.

L’uso del glifosato va incontro a un problema di resistenza significativo; il numero di infestanti che resistono o che superresistono oggi al glifosato è cresciuto velocemente (al momento l’elenco internazionale delle piante resistenti agli erbicidi elenca 239 specie resistenti al glifosato; mentre erano solo 1 nel 1996 e 211 nel 2014). Sono aumentate di 200 volte in 20 anni, ossia in media sono raddoppiate ogni due anni, anche se a ritmo decrescente. Come nel caso degli antibiotici usati troppo estensivamente e che stanno perdendo il loro potere antibatterico nell’uso comune, così anche nel caso degli erbicidi questa strategia di brutale attacco mostra quindi dei punti deboli.

Ma cosa ha detto lo IARC? Anzitutto cosa è lo IARC? Lo IARC è il braccio armato della OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, nella lotta al cancro; non è un ente operativo, esso è solo un ente scientifico, tocca ad altri stabilire una quantificazione di accresciuto rischio cancerogeno di un prodotto o raccomandare livelli di esposizione più sicuri, ma è chiaro che i suoi studi possono avere una influenza.

In questo caso una commissione internazionale ha prodotto come risultato una valutazione, una “meta-analisi”, una sorta di review di tutti i lavori scientifici, privi di conflitto di interesse (in cui per esempio non figura la Monsanto come ente finanziatore), riguardanti non solo il glifosato ma anche altri prodotti usati in agricoltura, ed i risultati sono stati pubblicati sull’influente The Lancet (oncology) (http://dx.doi.org/10.1016/S1470-2045(15)70134-8) assegnando al glifosato la categoria 2A. In effetti la commissione ha analizzato 5 sostanze, due pesticidi— tetraclorvinfos e parathion — sono stati classificati come “possibly carcinogenic to humans”, categoria 2B. Gli altri 3 — malathion, diazinon e glifosato — sono stati valutati “probably carcinogenic to humans”, ossia categoria 2A.

Cosa vuol dire? LO IARC classifica i composti su una scala che comprende 5 livelli:

Gruppo 1 – “Cancerogeni umani”, riservata alle sostanze con sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo.

Gruppo 2 diviso in due sottogruppi, denominati A e B.

Sottogruppo 2A – “Probabili cancerogeni umani”

riservata alle sostanze con limitata evidenza di cancerogenicità per l’uomo e sufficiente evidenza per gli animali.

Sottogruppo 2B – “Sospetti cancerogeni umani” sostanze con limitata evidenza per l’uomo in assenza di sufficiente evidenza per gli animali o per quelle con sufficiente evidenza per gli animali ed inadeguata evidenza o mancanza di dati per l’uomo.

Gruppo 3 – “Sostanze non classificabili per la cancerogenicità per l’uomo”

le sostanze che non rientrano in nessun’altra categoria prevista.

Gruppo 4 – “Non cancerogeni per l’uomo” le sostanze con evidenza di non cancerogenicità sia per l’uomo che per gli animali.

Per il glifosato esistono dati che provano la cancerogenicità per gli animali e le evidenze per l’uomo sono limitate al linfoma non-Hodgkin (Int. J. Environ. Res. Public Health 2014, 11, 4449-4527; doi:10.3390/ijerph110404449); secondo gli autori dello IARC tali evidenze, assieme a quelle di tipo “meccanicistico” ossia ottenute in laboratorio sul danno prodotto alle molecole di DNA dal glifosato sono sufficienti a classificare il prodotto come 2A.

A questo punto spetta alle organizzazioni che hanno ruoli decisionali di emettere un verdetto; (in effetti alcuni paesi avevano già espresso perplessità: l’Olanda ha vietato la vendita del glifosato ai privati dal 1 gennaio 2016, la Francia nel 2013 ha riconosciuto danni per il glifosato ad un agricoltore professionista, il Brasile ha in corso una procedura di messa in mora).

Vedremo.

E’ da dire che sostanze con attività erbicida esistono anche in natura. Lo stesso glifosato è molto simile ad altri prodotti analoghi presenti già in natura come mostrato qui:

variorganofosforici

Tetrahedron 58 (2002) 1631-1646

e quindi i prodotti organofosforici come erbicidi non sono state inventati dall’uomo.

Il prodotto 5, Bialaphos, è un tripeptide estratto da uno Streptomicete e commmercializzato come Herbiace; mentre il prodotto 6 è venduto come sale di ammonio col nome di glufosinato da Bayer ma è uno dei componenti del tripeptide precedente.

Si nota che il 7, il glifosato è molto simile come struttura alle molecole precedenti, ma inibiscono enzimi diversi. 8 infine è la fosfonotrixina, anch’essa estratta da un’altro batterio, Saccarotrix.

Una serie di altre sostanze sono elencate in un bellissimo articolo di autori italiani in italiano (Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2007, 4:463-476 Sostanze di origine naturale ad azione erbicida di Mariano Fracchiolla e Pasquale Montemurro, ma si veda anche http://arnoldia.arboretum.harvard.edu/pdf/articles/473.pdf ma anche Tetrahedron 58 (2002) 1631-1646 da cui è tratta la figura precedente), in cui c’è un elenco di sostanze naturali ad effetto “allelopatico” ossia prodotte dalle piante ma non con effetti su se stesse ma con effetti sul proprio ambiente o su altre piante.

Fra le altre, due mi hanno colpito perchè conosco le piante che le producono, l’Ailanto, (Ailantus altissima) una specie altamente invasiva, l’albero del paradiso, cosiddetto, introdotto in Europa alla fine del 700 per farvi crescere la sfinge dell’ailanto un insetto simile al baco da seta e il comune Noce, (Jugland regia).

La prima, l’ailanto o albero del paradiso

ailanto1

produce l’ailantone

ailantone

e la seconda che tutti conosciamo, il Noce,

noce

produce lo Juglone

juglone

Juglone

Nel Noce lo Juglone è sintetizzato come naftoidrossichinone

idrochinone

naftoidrossichinone

 

che viene poi ossidato e modificato nell’ambiente

Due sostanze “allelopatiche” che rendono la vita difficile alle altre piante nelle vicinanze delle prime e che spiegano sia la capacità dell’Ailanto di crescere formando spettacolari boschetti di solo ailanto sia la difficoltà ben conosciuta dai nostri agricoltori di far crescere altre piante vicine al Noce.

Ma cosa differenzia queste abilità naturali delle piante dalla nostra capacità di fare altrettanto?

In fondo anche i batteri e le muffe usano gli antibiotici da milioni di anni così come l’Ailanto e il Noce usano gli allelopati, i loro erbicidi.

Noi con gli antibiotici abbiamo certo vinto una battaglia, per qualche decennio, ma rischiamo di perdere la guerra a causa della vorace esigenza di profitto di chi spinge ad usare gli antibiotici anche quando non servono nell’uomo e come adiuvanti nell’allevamento del bestiame; gli antibiotici in eccesso alterano perfino la composizione batterica delle acque di scarico ed hanno reso resistenti moltissimi batteri comuni; oggi la resistenza batterica rischia di diventare un problema serio in tutto il mondo come abbiamo già raccontato in questo blog (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2012/12/18/una-pallottola-spuntata/ )(https://ilblogdellasci.wordpress.com/una-alla-volta/aspergillomarasmina-a/) (https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/02/02/batteri-chimica-e-altro-parte-iv/)

Allo stesso modo è la struttura “a senso unico” dell’agricoltura moderna, intensiva, monocolturale, votata non tanto all’eliminazione della fame nel mondo ma alla produzione di beni che garantiscano il massimo profitto che porta ad un uso improprio ed eccessivo delle sostanze di sintesi.

L’agricoltura moderna basata su un ristretto numero di piante, prevalentemente annuali (con un mercato dei semi sempre più strappato al controllo dei singoli produttori) è sempre più fragile e dipendente da prodotti di sintesi che garantiscono la produzione di sempre meno specie ma in sempre maggiore quantità, più interessata al profitto continuo che all’integrazione dei bisogni umani nell’ecosistema complessivo.

Gli erbicidi, o il sistema delle piante OGM resistenti ad essi, non mi sembrano tanto pericolosi per se stessi, (a parte il caso attuale ovviamente) non credo alle ipotetiche tossicità di qualche pomodoro “nero”, ma temo invece la fragilità di un sistema in cui sono state brutalmente abolite tutte quelle complesse relazioni fra specie che sono alla base della biosfera come unità vitale.

La agricoltura moderna non è un sistema permanente e stabile, una permacoltura come in parte l’agricoltura dei Romani basata più su piante permanenti che annuali, o perfino non è più la coltura a cinque livelli dell’agro aversano della mia infanzia, fecondato dalla grande eruzione ignimbritica del 37.000 a.C. e che produceva nel medesimo campo verdura, frutta (la vite), legna da ardere, cereali e consentiva la sopravvivenza degli animali da cortile; oggi quell’agro è trasformato nella terra dei fuochi!

L’agricoltura moderna invece di garantire la sopravvivenza della specie umana nella biosfera ed il ricambio delle sostanze che ci garantiscono la vita a partire dall’acqua, dall’azoto, dal fosforo, si trasforma sempre più in un improvvido e fragile metodo produttivo monocolturale che dipende dall’energia del petrolio e dai prodotti di sintesi in quantità crescenti e che dopo aver alterato il ciclo dell’acqua, dell’azoto e del fosforo e distrutto gran parte dell’ambiente naturale e delle specie in esso viventi si avvia a diventare uno dei nostri principali problemi.