Troppa chemofobia nella informazione.

E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements

************************************************************************************************

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

Come alcuni di noi sono socio e lettore di Altroconsumo da molti, molti anni (credo una ventina); so che nella direzione della rivista e dell’associazione ci sono tanti chimici (fra gli altri Marino Melissano, vicesegretario, che è un nostro collega dell’ordine dei chimici della Regione TAA-ST).

Eppure anche Altroconsumo casca nell’errore di usare il termine “chimica” in modo improprio. E’ una questione di chemofobia, che abbiamo già fatto notare per altri media (https://ilblogdellasci.wordpress.com/perle/niente-chimica-nellorto/).

chemofobo1

Nell’ultimo numero 300 di febbraio 2016 e nel corrispondente Test salute n.120 di febbraio 2016 che mi sono stati recapitati come abbonato n. 2143008-84 ci sono due articoli che fanno questo tipo di errore e badate non si tratta solo di un problema di titolo, ma di qualcosa di più sottile e profondo.

Gli articoli sono i seguenti:
Troppa chimica nel piatto, una intervista crediamo, ad un chimico svizzero Koni Grob dell’Autorità cantonale per la sicurezza alimentare di Zurigo (pag. 30-32 di Altroconsumo 300) e

Pollo senza chimica della redazione pag 10 di Test Salute 120.

Cosa dicono i due articoli e perchè ne parliamo qui?

In entrambi i casi la questione non sono i contenuti degli articoli, ma il modo improprio in cui le cose sono presentate ed i termini usati.

Nell’articolo “Pollo senza chimica” l’argomento è il diverso modo di affrontare le infezioni da Campilobacter jejuni nel pollo da allevamento; in Europa la cosa si affronta alla radice curando meglio il modo di allevare i polli mentre in USA è consentito risolvere il problema ex-post disinfettando le carcasse dei polli con un potente disinfettante, l’acido peracetico o perossiacetico,

chemofobo2

mediante la reazione

2 CH3COOOH –> 2 CH3COOH + O2

Il timore giustificato di Altroconsumo è che il TTIP (http://www.soc.chim.it/system/files/private/chimind/pdf/2015_4_64_ca.pdf) consenta la vendita in Europa di polli disinfettati che ora è proibita o addirittura la pratica della disinfezione post macello.

chemofobo3

Ora, mentre si può condividere la preoccupazione di Altroconsumo che il TTIP spinga verso l’uso inutile o perfino potenzialmente dannoso di un disinfettante (nonostante non ci siano problemi conosciuti per il suo uso nè effetti conosciuti a lungo termine, la letteratura (1) spinge verso un approfondimento e il principio di precauzione quindi consiglierebbe di soprassedere al momento ad un uso alimentare) direi soprattutto di evitare l’uso della disinfezione post macello, perchè è saggio e giusto mangiare meno carne e che quella che mangiamo sia prodotta in modo sostenibile, evitando rischi e sofferenze inutili agli altri esseri viventi e in ultima istanza a NOI STESSI che ce ne nutriamo (ricordate le altre malattie da pollame che ci riguardano?) .

Ma se il problema è combattere una possibile infezione, perchè il titolo non è non dico Polli senza biologia (dopo tutto i batteri li studia la biologia) ma almeno “Polli senza batteri”, oppure “Polli senza ultraprofitti o senza spocizia” o cose simili e invece il colpevole è sempre la chimica? Ossia un utile disinfettante, al momento nemmeno particolarmente pericoloso? Non capisco. Ma probabilmente in questo caso la colpa è del solito titolista facilone e chemofobo.

Analogo, ma perfino maggiore, il problema comunicativo se si esamina l’altro articolo-intervista, problema che si può chiamare semplicemente: inutile stimolo alla chemofobia.chemofobo4

Stavolta abbiamo un esperto straniero, “quindi” molto autorevole; non sappiamo se le sue risposte siano state date in italiano o in inglese o in altra lingua; sta di fatto che il titolo è “Troppa chimica nel piatto” e nel testo si parla ripetutamente di “sostanze chimiche” con tono negativo. Oh fra l’altro si tenga presente che anche gli alimenti sono “sostanze chimiche” e che con quelli possiamo certamente venire in contatto.

Ora il tema di fatto, come recita il sottotitolo, è quello dei rilasci di sostanze usate nella preparazione dei contenitori o delle pentole per conservare o cuocere gli alimenti; in alcuni casi si osservano rilasci o del materiale del contenitore o del materiale usato nella preparazione del medesimo (additivi, plasticizzanti, inchiostri); si danno alcuni utili consigli nel preferire il vetro a tutti gli altri contenitori e soprattutto si parla della carenza di regole a riguardo e di conoscenze; tutte cose sacrosante e che sottoscrivo.

Ma due note:

  • perchè il titolo è “Troppa chimica nel piatto” e non “Troppi materiali inadeguati” oppure Troppi profitti per i produttori di contenitori o pochi scrupoli per chi produce acciaio inadatto oppure ancora Troppe poche regole per i contenitori di alimenti o ancora “Troppa ignoranza sui materiali dei contenitori”; “troppe posate usa e getta” toh! NO, come al solito si scarica tutto su una chimica che è SEMPRE presente in TUTTI I MATERIALI NATURALI ED ARTIFICIALI.
  • Forse il collega ha detto “chemicals”? Ma allora la traduzione esatta sarebbe stata “prodotti chimici di sintesi”. Si potrebbe dire Troppi prodotti di sintesi, anche se forse nemmeno andrebbe sempre bene perchè i contenitori o le pentole sono sempre fatti di materiali artificiali; contenitori o pentole di materiali “naturali” e non lavorati, che spuntano sugli alberi non ne conosco (beh ci sono le noci…). Inoltre chiariamo un pò cosa sono le “sostanze chimiche”: vorrei vederli proprio piatti o pentole, “naturali” o meno, fatti di sostanze non-chimiche; e quali sono le sostanze non-chimiche? Ne abbiamo già parlato per dire che questa è una espressione sciocca e sbagliata. Al limite laddove è possibile si dica di sintesi o se no si indichino le specifiche sostanze o molecole. Forse che il vetro indicato come sostanza più adatta è un materiale naturale? O peggio è un materiale NON CHIMICO? A me non risulta! E’ il prodotto di una delle prime tecnologie della storia e frutto al momento di una tecnologia chimica molto molto sofisticata anche.

Ma come mai questo (che il vetro o l’acciaio o la plastica fatti bene sono materiali prodotti dalla chimica e non certo “naturali” ) non si dice?

Aggiungo che nell’articolo si dice anche (e giustamente, e ne riparleremo quanto prima) della difficoltà di individuare gli enti e le strutture che dovrebbero garantirci la qualità dei materiali che usiamo; in attesa che il REACH faccia i suoi effetti almeno sul territorio europeo, sarebbe il caso che si chiarissero una serie di questioni: per esempio chi e come è “certificato” nell’eseguire le analisi dei materiali per gli usi più vari, per esempio per gli alimenti? che problemi ci sono nella pur necessaria certificazione?

Non sappiamo se la scelta del titolo e del termine “sostanza chimica” sia il risultato di una traduzione letterale o di una cattiva traduzione o di un cattivo titolista; in tutti i casi pregheremmo gli amici di Altroconsumo, la direttrice Rosanna Massarenti e il vicesegretario Marino Melissano in testa, di evitare l’uso improprio del termine “chimico” SEMPRE con una accezione NEGATIVA, stimolando inutilmente la chemofobia del pubblico.

Leggere titoli e testi come quellli che abbiamo commentato è un pugno nell’occhio;

avete mai letto “Troppa biologia nei cibi malconservati”, “Troppa natura nei funghi velenosi” o “Troppa fisica negli incidenti stradali”? No. Ma certamente avete letto: altre frasi come quelle commentate qui.
Beh sono la stessa cosa.
Frasi scritte male, approcci sbagliati e controproducenti; solo che alcune non le troverete mai, ma le altre sono diventate la norma.

Nulla è “senza chimica”; “chemical free” è un concetto sbagliato e chemofobico e che fa fare brutta figura a chi lo usa anche quando dice cose giuste: al massimo fa venir da ridere, come abbiamo già raccontato: (http://wp.me/p2TDDv-188).

Riferimenti.

(1) Toxicology Letters Volume 233, Issue 1, 17 February 2015, Pages 45–57 Evaluation of the toxicity data for peracetic acid in deriving occupational exposure limits: A minireview di Nathan Pechacek et al

9 pensieri su “Troppa chemofobia nella informazione.

  1. tutti ce l’hanno con la chimica perchè la ignorano. La colpa è dell’immensa ignoranza scientifica e soprattutto chimica di tutti. Io farei studiare chimica come la grammatica a tutti, casalinghe comprese!!!!!

  2. il problema e che la tolgono anche dalle scuole ( e gli insegnanti di chimica molto spesso non sono chimici )e di chemifobia c’e ne abbastanza nei laboratori

  3. il problema e che la tolgono anche dalle scuole ( e gli insegnanti di chimica molto spesso non sono chimici )e di chemifobia c’e ne abbastanza nei laboratori scolastici

  4. Caro Claudio,
    è sempre la solita storia! Io non so a quanti giornalisti e direttori di giornali ho scritto sull’uso improprio della parola “chimica”, senza avere mai risposte. Ma è giusto continuare, l’ignoranza va sempre combattuta e la chimica difesa!

  5. …per non parlare di quando si sente dire “abuso di sostanze” omettendo l’articolo “stupefacenti” o “psicotrope”….

  6. Gentilissimi,
    faccio una proposta a proposito dei titoli fuorvianti tipo “Troppa “chimica” nel piatto”. Nell’articolo, giustamente, si rileva che molte opzioni sostitutive possono essere comunque non soddisfacenti. Forse la situazione migliorerebbe molto dicendo:
    “Troppe sostanze xenobiotiche nel piatto”.
    In questo modo la scienza chimica non è chiamata in causa ma si appunta l’attenzione del lettore sulle proprietà nocive per i sistemi biologici (uomo compreso) delle sostanze in gioco, indipendentemente dalla loro provenienza o qualità di essere “naturali” o “artificiali” che, come visto, porta quasi sempre a fraintendimenti.
    Un saluto
    Giuseppe

  7. Benissimo, con riferimento ad argomenti scientifici trattati nei mass media, cominciamo anche noi a dire “Bah, c’è troppo giornalismo in questa notizia!”

  8. Pingback: Senza chimica nel piatto? | il blog della SCI

  9. Più volte citato nel blog della SCI, mi preme rispondere:
    Un mio intervento ad un Congresso chimico
    Sostenibilità ambientale
    M.Melissano
    Chimicapisce – Bolzano 20 maggio 2011

    Premessa

    Prima di affrontare il tema assegnatomi, vorrei fare una premessa, ispiratami da un articolo di Alex Saragosa, apparso su Venerdì di Repubblica il 25.03.2011, dal titolo: “Nell’anno che celebra la CHIMICA cambia la sua formula: da tossica a sostenibile”. La scienza cui dobbiamo i materiali sofisticati dei satelliti, ma anche farmaci, plastiche e detersivi, negli ultimi decenni è finita sul banco degli imputati, accusata di inquinamento e produzione di sostanze nocive. Oggi però sembra aver trovato la soluzione giusta.
    Saragosa, giornalista scientifico, è un fisico che, in questo articolo parla come un chimico, a ulteriore dimostrazione che la chimica si intreccia con la fisica, la biologia e, oggi, l’informatica, e che solo un lavoro d’équipe può risultare efficace ed evitare gli errori che si sono commessi, soprattutto per egoismi personali.
    Il 2011 è stato dichiarato dall’UNESCO anno internazionale della chimica proprio per ricordare il lavoro di quelle migliaia di scienziati che hanno inventato quei 70.000 prodotti utili alla nostra quotidianità. Approfittiamo dall’occasione per riappropriarci del nostro ruolo, per riscattare e mettere nella giusta casella la parola CHIMICA, spesso usata a sproposito. Due esempi chiariscono meglio questo concetto:

    per i prodotti da agricoltura biologica, si usa dire: coltivati senza l’uso di sostanze chimiche (invece che di fitofarmaci);
    sull’Espresso del 31.03.2011, Di Feo titolava il suo articolo “Il ricatto chimico del raìs”, parlando di: armi chimiche, guerra chimica (riferendosi all’iprite).

    In entrambi i casi la chimica è demonizzata e, così, la cultura popolare si è appropriata della parola “chimica” per significare “ciò che fa male”. Ciò è avvenuto senza che i chimici o chi li rappresenta avessero mai denunciato questo uso improprio della parola. Forse perché qualche guaio lo abbiamo fatto.

    Questa è una parte della premessa di una relazione da me presentata in un congresso nel lontano 2011, in qualità di Chimico e di Presidente del’ordine dei chimici del TAA.
    L’anno scorso ho anche chiesto alla CE di rivedere nelle sue direttive la parola “chemicals”, meglio esplicitandone i diversi significati.
    Come si può vedere, da chimico, ho sempre lottato contro la chemofobia e l’uso improprio delle parole “chimica” e “chimico”.
    Fermo restando che non faccio parte delle redazioni delle riviste di Altroconsumo e che, comunque, ringraziamo per l’intervento, perché sicuramente ci sarà più avvedutezza nell’uso
    della giusta terminologia, assicuro che in Altroconsumo non regna la chemofobia e l’articolista non ha pensato assolutamente ad un’offesa alla chimica e ai chimici.
    Purtroppo, il neo viene da lontano: dall’apparato normativo e dal legislatore in primis, dalla faciloneria con la quale la lingua inglese parla sempre di “Chemicals” (a partire
    dal REACH), che, poi, in tutte le lingue viene tradotto in “Prodotti chimici”, con un tono, per il lettore non chimico, sempre spregiativo.
    E’ facile per un articolista, un giornalista (vedi il citato Di Feo), senza essere chemofobo, cadere nella “trappola linguistica”. Se vogliamo che qualcosa veramente cambi, i livelli
    più alti che ci rappresentano nel mondo dovrebbero con forza chiedere alle Istituzioni nazionali, europee ed internazionali una correzione dei termini.
    Marino Melissano
    marinomelissano@hotmail.com

I commenti sono chiusi.