Ma è proprio vero che “i fertilizzanti sono un esempio emblematico di chimica sostenibile”?

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Claudio Della Volpe

Nel numero 4 di luglio/agosto 2015, il direttore di C&I, Ferruccio Trifirò, che molti dei nostri lettori conoscono bene, perchè è un collega che svolge questo lavoro da molti anni e perchè in questo medesimo blog ci ha più volte raccontato le storie della guerra chimica, essendo un membro autorevole dell’OPCW, ha scritto un editoriale dal titolo:

FERTILIZZANTI: ESEMPI EMBLEMATICI DI UNA CHIMICA SOSTENIBILE.

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L’ho letto e sono rimasto di stucco!

Ferruccio, in un articolo che è di libera lettura, che chiunque può scaricare qui (https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2015_4_1_ca.pdf), racconta di come la produzione dei fertilizzanti sia diventata una impresa chimica nella quale la chimica è riuscita a ridurre le emissioni inquinanti, durante la produzione degli intermedi come l’acido solforico o l’ammoniaca, o durante la produzione dei prodotti finali, a livelli assolutamente accettabili, grazie a tecniche moderne di chimica industriale.

Ovviamente questo è vero e va a merito di chi ci ha lavorato; ma basta per concludere che i fertilizzanti sono un caso emblematico di chimica sostenibile?

Secondo me no.

Le cose sono più complesse.

Leggere l’editoriale mi ha ricordato la famosa battuta che si fa sui chirurghi; quando uno chiede: Dottore come è andata l’operazione?, la risposta è : Benissimo, l’operazione è stata perfetta, sfortunatamente il paziente è morto.

L’articolo di Trifirò sostiene che l’azione di risparmio sulle emissioni nocive nel settore della produzione dei concimi sintetici è cruciale; in realtà questo non sembra affatto vero; per esempio dai dati di un paese avanzato come gli USA

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http://www3.epa.gov/climatechange/ghgemissions/gases/n2o.html

si vede con chiarezza che le emissioni di N2O (Nota: avevo scritto NOx ma è chiaro dal contesto dei dati che si tratta di un refuso) vengono solo al 5% dalla produzione industriale o chimica; è certamente cosa buona e giusta ridurre queste emissioni; ma vendere l’idea che ridurre la quota del 5% sia una cosa cha fa raggiungere la sostenibilità, mentre di fatto è l’emissione dal settore agricolo e dalle combustioni (come abbiamo discusso https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/10/19/noy-nox-noz/) ad essere il principale responsabile (75%) delle emissioni falsa le cose. Non è vero, semplicemente, che ridurre la emissione di inquinanti durante la fase di produzione industriale renda questo tipo di prodotti sostenibili.

Di fatto è l’uso che se ne fa in agricoltura per quantità e tipologia a costituire il principale meccanismo di inquinamento e a pesare sull’ambiente e sul clima.

Approfondiamo un momento questi meccanismi.

Sia per i composti dell’azoto che per quelli del fosforo abbiamo alterato profondamente i cicli naturali della biosfera introducendo quantità molto maggiori di quelle che la biosfera stessa può “metabolizzare”; abbiamo discusso ripetutamente su questo blog i dettagli di entrambi i cicli ed i limiti che sono stati superati(http://wp.me/p2TDDv-1pH oppure http://wp.me/p2TDDv-Yo) ; il problema non è la pulizia della produzione ma gli effetti di un uso che ha ormai eguagliato nel caso dell’azoto e superato di varie volte nel caso del fosforo per quantità quello dato dai cicli della biosfera e che quindi produce quantità di sostanza che non sono metabolizzate dal sistema ma vi si accumulano incrementando i gas serra in atmosfera e producendo le cosiddette dead zone.

Le dead zone, zone dell’oceano in cui la concentrazione di ossigeno va sotto un valore che consente la sopravvivenza della maggior parte delle specie causano la morte degli organismi che vi entrano; non sono solo causate da noi ma sono incrementate da noi; secondo gli studi più recenti il loro numero si è incrementato in modo eccezionale negli ultimi decenni, concentrandosi in zone dove è chiara l’origine umana, come potete vedere dalla immagine seguente (nero=naturale per OMZ e upwelling, rosso=umano).

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Biogeosciences, 7, 585–619, 2010 http://www.biogeosciences.net/7/585/2010/ OMZ= Oxygen Minimum Zone; upwelling=materiale organico in arrivo dal fondo dell’oceano

 

Nel 1995 si contavano 195 aree documentate di ipossia lungo le coste causate dall’attività umana. Nella loro compilazione più recente, Dıaz, R. J. and Rosenberg, R.: Spreading dead zones and consequences for marine ecosystems, Science, 321, 926–929, 2008. hanno documentato quasi 400 aree di questo tipo lungo le coste dell’oceano per una superficie totale di 245 000 km2 di oceano .

La situazione dei cicli dell’azoto e del fosforo fuori controllo è considerata comunemente una delle 7 variabili importanti dell’ecosistema il cui stato è preoccupante per il nostro futuro.

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La presenza di zone morte nell’oceano non è una cosa che riguarda solo posti lontani come il golfo del Messico o del Giappone e la Cina, ma anche la italianissima costa adriatica, un mare che è soggetto a causa della sua struttura a questo problema e nel quale il problema è lontano dall’essere risolto.

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Estuarine, Coastal and Shelf Science 115 (2012) 1e13

https://ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/21/recupero-del-fosforo-da-acque-reflue-e-allevamenti/

La conclusione è questa: bene fa Ferruccio a festeggiare i successi della chimica nella produzione “pulita” dei fertilizzanti, ma questo non basta a definire sostenibile il loro uso; dobbiamo sviluppare metodi di riciclo sia del fosforo che dell’azoto dalle acque reflue per ridurre l’impatto sui cicli globali e dobbiamo imparare ad usare i fertilizzanti in modo tale da evitare l’aumento costante delle zone morte dovute all’accumulo delle sostanza di scarto dell’agricoltura nell’oceano. Consideriamo che i depositi di fosfati sono limitati a circa 90-100 anni a questa velocità di consumo.

Questa sarebbe chimica sostenibile! Il cammino è ancora lungo, al momento nonostante l’operazione di produzione dei concimi sintetici sia “pulita” le sue conseguenze sono tali che il paziente “biosfera” sta morendo o comunque soffrendo.

12 pensieri su “Ma è proprio vero che “i fertilizzanti sono un esempio emblematico di chimica sostenibile”?

  1. Caro della Volpe,
    mi sembra molto opportuno ricordare che non si può qualificare come “pulita” un’industria guardando solo alle modalità di produzione, ma che bisogna considerare anche l’utilizzo dei suoi prodotti. Questo è tanto più vero nel caso in cui tipologia e qualità dei prodotti (p.es., quali fertilizzanti azotati?) possono influire sui danni collaterali al momento del loro utilizzo.
    Detto questo, penso che bisognerebbe essere più chiari sulla diversa origine e impatto di N2O e NOx (peccato che in questa finestra dei commenti non siano disponibili gli indici in alto e in basso, essenziali per i chimici). Il pie chart relativo alla situazione negli USA riguarda N2O, non gli NOx (cioè NO e NO2). È utile per sottolineare che le emissioni di N2O sono dovute soprattutto alle pratiche agricole, compreso l’uso di fertilizzanti azotati, e non all’industria. Però N2O non ha molta importanza come inquinante, bensì come gas serra e come fonte di azoto in forma chimicamente attiva per la stratosfera (interferenza con lo strato di ozono). Gli NOx invece sono tra i più importanti inquinanti dell’atmosfera urbana e responsabili delle precipitazioni acide. Tutte le attività che consumano energia sono responsabili delle loro emissioni, nella misura in cui l’energia viene prodotta bruciando combustibili (fossili o altri); quindi, anche l’industria chimica e l’agricoltura, ma insieme a tutte le altre attività industriali, ai trasporti, al riscaldamento di edifici e via elencando.
    Cordialmente
    Maurizio Persico, Pisa

    • Ringrazio Persico per l’utile commento; ho cambiato il testo spero ora sia più chiaro; la questione che volevo far risaltare è che non si può considerare sostenibile una produzione solo perchè è fatta in modo pulito quando poi sono i suoi prodotti ad essere usati in modo tale da produrre inquinamento

  2. Non sono esperto nel campo, ma ho da tempo un dubbio di fondo. Come si può pensare alle piante per una efficiente produzione di biocarburanti, che hanno bisogno per crescere di fertilizzanti azotati? Per la produzione di quest’ultimi si utilizza l’80% di tutta l’ammoniaca prodotta (tanto per cambiare il 30% viene dalla Cina). Quest’ultima però si fa con il processo di Haber Bosch che richiede temperature e pressioni di esercizio molto alte. Qualcosa non mi torna.

  3. Caro Mealli,
    la teoria è che il maggior contributo energetico per la crescita delle piante viene dalla fotosintesi piuttosto che dall’energia chimica contenuta nei nutrienti che assorbono dal suolo. Quindi il grosso dell’energia di un biocombustibile dovrebbe venire dal sole. Ma tu hai una buona parte di ragione a dubitare. Se si tiene conto di tutte le spese energetiche (fertilizzanti, compresa la quota che va sprecata, meccanizzazione etc) e delle perdite nella lavorazione per produrre il biocombustibile, si deve concludere che una quota non trascurabile dell’energia contenuta nel biocombustibile è già stata spesa per produrlo. Questo vale soprattutto nel caso di coltivazioni espressamente dedicate alla produzione di biocombustibili; molto meno nel caso si utilizzino scarti di altre produzioni.
    Maurizio Persico

  4. Siamo tutti d’accordo che è necessario intervenire per limitare l’impatto delle attività umane sull’ambiente e proprio per questo non capisco la polemica.
    I punti a me chiari sono:
    1) L’industria chimica ha fatto notevoli sforzi per ridurre il suo impatto sull’ambite nella produzione dei fertilizzanti.
    2) Allo stato attuale non è proponibile un’agricoltura che non utilizzi fertilizzanti e che non sia meccanizzata (dai dati riportati da Claudio Della Volpe si evince che le maggiori quantità di NOx in agricoltura derivano dall’utilizzo di mezzi meccanici).
    3) L’uso dei fertilizzanti ha come ricaduta ambientale negativa soprattutto l’eutrofizzazione (secondo quando affermato da Claudio Della Volpe nel suo articolo).
    Ora visti i punti precedenti il tono dell’articolo mi sembra troppo polemico. Mettere in evidenza il problema dell’uso dei fertilizzanti senza riportarne gli aspetti positivi (le carestie sono ormai scomparse, almeno nel mondo occidentale) fa male alla chimica tutta, sia quella industriale che accademica. Questo impedirà ai chimici di essere parte attiva anche nella soluzione dei problemi ancora aperti grazie ad un’opinione pubblica ostile.

  5. Caro Martino tu dici che sono polemico in modo eccessivo; la questione è che Trifirò definisce sostenibili due produzioni nelle quali attualmente produciamo tanto azoto in più quanto tutto il resto della biosfera e varie volte più fosforo di quanto ne venga dilavato dalle rocce; la conclusione è che i cicli dell’N e del P sono completamente alterati; la situazione è insostenibile; viceversa non facciamo quasi nulla per RICICLARE azoto e fosforo e non produrne di nuovo; non ho mai sostenuto che non bisogna usare i fertilizzzanti , ma solo che occorre riciclarli e farlo urgentemente; per esempio la produzione di struvite per via elettrochimica dalle acque reflue che è stata discussa sul blog da Mauro Icardi è un esempio; Trifirò dice che le cose vanno bene perchè produciamo in modo pulito ciò che poi distrugge la biosfera; mi appare fortemente ironico; perchè la chimica industriale non capisce che il centro della produzione deve diventare il riciclo e non il refinement dei metodi attualmente in uso? Il depuratore è la base di una nuova economia, quella del riciclo totale; la chimica tedesca si è avviata su questa strada con un imprtante brevetto sulla struvite; noi battiamo la fiacca, anzi esaltiamo successi che non esistono; tutto qua.

  6. Mi permetto di intervenire semplicemente come lettore e iscritto per fare i miei complimenti. Ho apprezzato l’articolo di Trifirò come, e molto, l’articolo di Della Volpe su questo Blog. E’ sempre piacevole (e tutt’altro che facile e banale) leggere delle “vere” discussioni tra esperti che si confrontano o meglio dire comunicano onestamente e a viso aperto. La Scienza diventa viva e ricca di contenuti oltre a rendere manifesto quanto la Chimica sia scienza fondamentale. Grazie mille

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