La chimica: chiave del “realismo magico”.

 Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.

a cura di Mauro Icardi (siricaro@tiscali.it)

 Dopo aver scritto di depurazione prendendo spunto da un romanzo di Piero Bianucci, dove si trovavano  nelle pagine del romanzo “Benvenuti a bordo”  nozioni di chimica e di tecnica delle depurazione fognaria,vorrei fare conoscere un racconto di uno scrittore forse poco conosciuto. Uno scrittore dimenticato. Uno scrittore con una formazione non chimica, ma che usa la chimica ed il suo immaginario, per scrivere uno dei suoi più bei racconti intitolato “Il buon vento”. Uno scrittore che si ispira al surrealismo che tenta di introdurre in letteratura e nell’arte italiana chiamandolo “realismo magico”: Massimo Bontempelli.

Nasce a Como nel 1878. E’ figlio di un ingegnere che lavora nelle ferrovie. Per questa ragione la famiglia si trasferirà frequentemente in varie località italiane. Bontempelli frequenterà il liceo Parini a Milano, sosterrà l’esame di maturità ad Alessandria, e otterrà la laurea in lettere e filosofia nel 1902 a Torino con una tesi sul libero arbitrio.

Ottenuto un incarico nelle scuole medie, insegna Lettere a Cherasco e poi ad Ancona.

Lascia l’insegnamento nel 1910 e si trasferisce a Firenze,lavora come giornalista per quotidiani quali La Nazione ed il Corriere della Sera, oltre che per la casa editrice Sansoni.

Nel 1915 accetta l’incarico di responsabile culturale dell’Istituto Editoriale Italiano e si trasferisce a Milano, curando la pubblicazione di classici della letteratura italiana. Nello stesso tempo è collaboratore del quotidiano milanese Secolo e corrispondente di guerra per conto del giornale romano Il Messaggero.  Convinto interventista, nel 1917 è arruolato come ufficiale di artiglieria collabora anche alla stesura del giornale militare Il Montello e ottiene due medaglie al valore e tre croci di guerra.

Terminata la guerra si  avvicina al futurismo, sia pure inizialmente con scarsa convinzione, e pubblicherà due romanzi “La vita intensa” nel 1920 e “La vita operosa” nel 1921. I soggiorni da giornalista a Parigi tra il 1921 e il 1922 lo avvicineranno alle avanguardie francesi. Nei romanzi “La scacchiera davanti allo specchio” del 1992 ed “Eva ultima” del 1923 si nota un’impostazione di scrittura che coincide in gran parte con le tesi del “Primo manifesto del surrealismo” di Andrè Breton.

Successivamente entrerà a far parte del Teatro degli Undici,fondato dal figlio di Pirandello Stefano Landi, e stringerà amicizia con lo stesso Pirandello.

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Con Curzio Malaparte fonda nel 1926 la rivista “900 Cahiers d’Italie et d’Europe.” Su questa rivista che fino al 1927 viene pubblicata in francese, espone la poetica del realismo magico. Questa poetica invita l’artista moderno a scoprire l’incanto dell’inconscio e delle avventure imprevedibili, però senza rinunciare alla funzione di controllo della sua ragione umana.

Due romanzi pubblicati successivamente “Il figlio di due madri” del 1929, e gente nel tempo del 1937 avranno meno successo critico. Lo scrittore in un primo momento convinto assertore del fascismo che ritiene il movimento politico adatto a sostenere la nascita di una società moderna in Italia, e che sarà anche nominato accademico d’Italia nel 1930, avrà poi dei ripensamenti.

Nel 1931 rientrato a Milano da un soggiorno a Parigi pubblica “Mia vita morte e miracoli” nel quale è contenuto il racconto intitolato “Il buon vento”.

Comincia a soffrire l’invasività del regime fascista nelle scelte artistiche. Nel 1938 dopo la proclamazione delle leggi razziali, si rifiuta di succedere ad Attilio Momigliano e nel novembre dello stesso anno nel discorso di commemorazione di Gabriele D’Annunzio critica “l’obbedienza militaresca” divenuta costume nazionale. Viene espulso dal partito fascista e gli viene proibito di scrivere per un anno. Nel 1939 collabora con il settimanale Tempo ed con il Corriere della Sera. Inizierà a ad avere contatti con l’opposizione comunista. Alla caduta di Mussolini, preoccupato dalle minacce di morte ricevute da Alessandro Pavolini si nasconderà rifugiandosi in casa di amici.

Nel 1945 tornato a Milano fonderà il Sindacato Nazionale autori drammatici. Ne 1948 verrà eletto senatore nelle liste del Fronte democratico popolare. Ma ma la nomina è invalidata poiché, nel 1935, aveva curato un’antologia per le scuole medie, e la legge elettorale prevede che non possano candidarsi «gli autori di libri e testi scolastici di propaganda fascista» per cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.

Torna a Roma nel 1950.  Accettato non senza reticenze dall’Unità visti i trascorsi fascisti, qui pubblica il suo ultimo racconto, Idoli,, del 15 febbraio 1951.. Nel 1953 vince il Premio Strega  con il suo ultimo libro L’amante fedele, una raccolta di racconti scritti già nell’immediato dopoguerra nello stile del realismo magico. Dalla metà degli anni cinquanta una grave malattia gli impedisce di proseguire il suo lavoro e, a 82 anni, muore a Roma il 21 luglio 1960.

Nel racconto “Il buon vento” la chimica è il mezzo con il quale il protagonista trova la sostanza che permette il contatto tra la realtà fisica, ed il mondo dell’immaginario.

Questo è il link del racconto. A mio giudizio un piccolo capolavoro di letteratura.

http://www.istituti.vivoscuola.it/ic-villalagarina/Ipertesti/Metafore/bontempelli.htm

L’incipit ci introduce subito in quello che l’autore vuole intendere per realismo magico.

Circa dodici anni fa avevo messo su per mio divertimen­to una specie di gabinetto di chimica, ove mi appassiona­vo a tentare esperienze col segreto proposito di trovare la sostanza di contatto tra il mondo fisico e il mondo spiri­tuale. Un giorno, d’improvviso, me la trovai tra mano, quella sostanza: fu, ognuno lo capisce, l’invenzione più mi­racolosa che possa immaginarsi. Era una polverina, che raccolta nel cavo della mano non seppi giudicare se fosse calda o fredda: era impalpabile e imponderabile, pure an­che a occhi chiusi la mia mano la percepiva; era incolore e visibilissima.”

Nel rileggere questo racconto dopo moltissimi anni (la prima volta ero alunno delle elementari) la prima impressione che ne ho ricavato, è quella che provo ancora oggi. L’autore descrive l’esperienza della chimica come un divertimento. Ma la lega anche alle sue origini oscure. Agli alchimisti. E quindi mi fà pensare a quello che ancora oggi è nell’immaginario collettivo di molti. Cioè la chimica considerata  come qualcosa di ancora oscuro e magico. Lo stesso analista chimico (e confesso che ancora mi succede) come un piccolo oracolo. Forte del suo sapere che può per esempio sapere se l’acqua (ed è il mio caso specifico) è buona da bere. E quindi quando scrive il referto analitico, emette quasi un verdetto.

L’autore parla di una polverina. Altro topos legato più che alla chimica, direi alla magia (donde il realismo magico). E utilizza almeno un termine (imponderabile) che etimologicamente rimanda alla chimica. In particolare all’analisi gravimetrica o ponderale, come era definita nei testi scolastici di molti anni fa. A me personamente la polverina richiama alla mente i sali.

L’idea poi che il personaggio del racconto sia un chimico che cerca la sostanza di contatto tra il mondo fisico e quello spirituale rafforza la convinzione che Bontempelli abbia della chimica questa immagine. O che usi questa visione della chimica per la costruzione del racconto. La polverina è quasi una pietra filosofale. Quando il protagonista scoprirà la sua particolare proprietà, non esiterà ad usarla, trasformando il cameriere dell’osteria dove ha pranzato in un asino, per non pagare il conto.

Massimo Bontempelli

Massimo Bontempelli

Il racconto si legge quasi d’un fiato. E’ pieno di descrizioni particolari. Piccolo gioiello di letteratura.

Ne estrapolo ancora un brano, quello in cui si scopre a cosa realmente serva la polverina, quale sia la sua stupefacente proprietà. Il personaggio è alla ricerca di un prestito per continuare i suoi esperimenti (e anche per risolvere il problema del pranzo…).

Si rivolge quindi ad uno degli uomini più ricchi del paese: il Signor Bartolo che però gli rifiuta il prestito.

“Signor Massimo”mi rispose “lei non sa che io so­no povero. Io non posso somministrarle nemmeno ven­ticinque centesimi. Le giuro che nel farle questo rifiuto il cuore mi sanguina”.
Sostò. Lo guardai. Mi guardava, onde una gran timi­dezza mi prese, e abbassai lo sguardo.
E scorsi che sul suo petto, dalla sua parte sinistra, sotto la tasca del fazzoletto, sulla tela bianca del vestito c’era una piccola macchia rossa. Pensavo d’insistere. Ma mi av­vidi che la macchiolina era fresca, e s’allargava. Stavo al­lora per avvertirlo, quando egli riprese a parlare:
“Il cuore mi sanguina – ripeté – e io mi compiaccio di spiegarle…”
Ma non sento più niente. Mi balena un sospetto, una speranza, una spiegazione, una illuminazione, forse, cer­to, anzi certo certissimo, capivo ora gli effetti della mia scoperta. L’uomo parlava entro il raggio d’azione della mia polvere, la sostanza che segna il punto di contatto e pas­saggio tra il mondo reale e il mondo delle immagini: ed ecco, lui parlava, la mia polvere operava: la mia polvere serve a realizzare le immagini: le immagini di cui fanno uso gli uomini parlando. Il cuore mi sanguina, egli aveva detto, e ripetuto. E il disgraziato…

Il racconto è decisamente fantasioso e surreale. La chimica che si evoca non è più una scienza. E’magia. Ma per una volta possiamo concedere all’autore questa specie di licenza poetica. Il racconto lo merita. E noi chimici ci possiamo concedere questa lettura gradevole. Proprio perchè apprezziamo la chimica reale, possiamo apprezzare questa chimica surreale di cui si narra in questo racconto.