Mauro Icardi
Lo scorso 18 Ottobre, dopo qualche anno di mancata frequentazione di fiere di settore, son voluto andare a Bologna per la manifestazione “accadueo”. Devo dire di avere fatto una scelta azzeccata. Ho potuto verificare di persona quelle che sono le nuove tendenze per la gestione in particolare delle reti idriche, e le nuove tecnologie disponibili a questo scopo. La parte più interessante è stata però il corso di formazione, seguito nel pomeriggio, e dedicato all’ottimizzazione funzionale ed energetica degli impianti di depurazione. Il depuratore del futuro è destinato a diventare qualcosa di profondamente diverso da come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Tendenzialmente deve diminuire il consumo unitario di energia per m3 di acqua trattata. Questo risultato però è ottenibile solo con un’operazione accurata e precisa di verifica delle funzionalità reali delle varie sezioni di impianto. Successivamente si possono programmare interventi mirati per il miglioramento del rendimento delle varie sezioni di trattamento. Occorre quindi conoscere con molta precisione il funzionamento reale dell’impianto. Tutto questo non può prescindere dal creare delle sinergie reali e positive, tra i gestori degli impianti di depurazione, che sono quelli che ne hanno la conoscenza gestionale e pratica, gli enti di ricerca, le università. Un modello di questo tipo è ormai usuale nei paesi del nord Europa, quali Danimarca e soprattutto Olanda. E non è casuale che proprio l’Olanda adottando una politica idrica di questo genere stia producendo ed esportando brevetti di nuove applicazioni dedicate alla gestione del ciclo idrico. Questa è un idea che sostengo da molto tempo, e di cui ho spesso scritto sulle pagine di questo blog. Per esperienza personale so purtroppo che in Italia la gestione e la realizzazione concreta di progetti innovativi, o di gestioni diverse del ciclo idrico incontrano molte resistenze, della natura più varia. I progetti di tesi di laurea sostenuti dagli studenti dell’Università di Varese che ho seguito come tutor, e che si occupavano della codigestione di matrici biodegradabili da trattare insieme al fango prodotto dagli impianti di depurazione municipali, hanno purtroppo subito uno stop, e non si è riusciti a trasformarli in progetti di ricerca. La sperimentazione sia pure molto positiva in scala di prova di laboratorio, si sarebbe dovuta proseguire a livello di prova su impianto pilota. Questo personalmente mi è dispiaciuto molto, visto che la codigestione sarebbe uno dei modi con i quali si può ridurre il consumo energetico dei depuratori, nonché migliorare la stabilizzazione della materia organica dei fanghi prodotti.
Purtroppo, come per esempio la vicenda della gestione dei fanghi di depurazione sta dimostrando, intorno a queste questioni si sta facendo troppa inutile confusione. Basta fare una normale ricerca in rete, per potersene rendere conto. Non esistono solo comitati che giustamente pretendono attenzione e chiarezza sulla gestione e disciplina dell’utilizzo dei fanghi di depurazione, ma anche decine di comitati contro la digestione anaerobica, cosa che invece lascia qualche perplessità in più. Inutile ribadire quanto è già stato detto qui su questo blog. La digestione anaerobica è una delle tecniche per il trattamento dei fanghi. E’ cosa diversa dalla digestione anaerobica degli effluenti zootecnici su cui molte persone storcono il naso. Per altro la codigestione di reflui e fanghi è normalmente praticata nei soliti paesi nord europei, ed era stata anche suggerita dall’Agenzia Europea di protezione ambientale nel 2011.
Utilizzandola in combinazione con una gestione oculata della fase di ossidazione biologica può contribuire a diminuire il consumo energetico per m3 di acqua trattata da valori di 1kWh fino a circa 0,2.
La gestione corretta della fase di ossidazione biologica può consentire risparmi ulteriori. Una manutenzione efficiente e continuativa dei sistemi di diffusione di aria nelle vasche di ossidazione, consente risparmi che in un periodo di tre anni possono arrivare a 180.000 euro. Di energia non sprecata inutilmente nel comparto di ossidazione, che da solo è responsabile del 60% circa dei consumi energetici di un impianto di depurazione.
Se i piattelli si intasano e producono bolle d’aria troppo grandi l’efficacia di areazione diminuisce drasticamente. L’importanza di un sistema di aerazione che risparmi energia negli impianti di trattamento dei liquami si è rivelata molto presto. Le riduzioni di consumi energetici si devono trasformare in costi inferiori per il trattamento dell’acqua e la fornitura di acqua al cittadino.
La questione fanghi è aleggiata come un fantasma nella giornata trascorsa a Bologna. Qui ne abbiamo scritto, e abbiamo cercato di spiegarla. Da queste pagine mi sento di lanciare un invito ad un ulteriore sinergia. Quella con i medici ambientali, che si stanno occupando della questione dal punto di vista dei possibili impatti sulla salute.
http://www.gonews.it/2017/01/21/parere-medico-sullo-spandimento-dei-fanghi-depurazione-agricoltura/
Molte delle richieste che questi medici fanno sono condivisibili. Si rifanno ad un giusto principio di precauzione. Ma credo che anch’essi dovrebbero conoscere quello che sarebbe l’effetto di un eventuale blocco degli smaltimenti del fango, sulle condizioni di funzionamento (e di lavoro degli addetti). Se tutta la vicenda dei fanghi avrà come conclusione l’avvio di sinergie, il superamento delle decretazioni d’urgenza, e l’avvio di una sorta di “new deal” idrico, sarà certamente una cosa molto positiva.
Purtroppo però, devo constatare almeno alcune cose. Tanta demagogia, in un paese che è arrivato al 95% di partecipazione al referendum per l’acqua pubblica, ma continua a bere in maniera consistente quella in bottiglia (magari “griffata” da una bella fanciulla…) Poi un’altra situazione incresciosa. Quella in cui sono incappato infilandomi in una discussione che avrei dovuto evitare, visto che i social non sono il luogo migliore per approfondimenti tematici o tecnici. Molte persone hanno la radicata convinzione che gli addetti del ciclo idrico siano al servizio delle aziende e non dei cittadini. Con dubbi sulla corretta esecuzione delle analisi e dei risultati delle stesse. Bene, da queste pagine vorrei smentire questa vulgata. Io e molti altri colleghi siamo vincolati non solo dalla deontologia professionale, se iscritti ai rispettivi ordini professionali, ma anche dalla propria deontologia personale. Questa osservazione mi deve essere consentita. Sono piuttosto avvilito e stanco di vedere non solo pressapochismo e superficialità nel trattare questi temi, ma anche di vedere trasmissioni televisive dove spesso il tema è approfondito male, o trattato altrettanto superficialmente con l’arma di un’ironia che può fare più male che bene. L’acqua pubblica non significa acqua gratis. Significa averne la comprensione, l’educazione a gestirla, la doverosa rendicontazione di spese e investimenti. La corretta e puntuale pubblicazione di dati e analisi sui siti istituzionali e delle stesse aziende di gestione. A disposizione dei cittadini che sono i soggetti a cui questo servizio si rivolge. Che però dovrebbero fare almeno un minimo sforzo di comprensione e di approfondimento. Quella educazione idrica di cui ho parlato su queste pagine. Non è immediato per chi non è del settore capire per esempio che non ci sono solo inquinanti emergenti provenienti da lavorazioni industriali, ma anche residui di inquinanti legati ai nostri personali stili di vita (residui di farmaci, droghe d’abuso e cosmetici ne sono un chiaro esempio). La divulgazione è necessaria, ma deve anche essere accolta senza preclusioni o remore dalle persone a cui si rivolge. Perché se vince il pensiero magico o la preclusione ostinata non si ottiene nessun risultato.