Mauro Icardi
La fine del 2019 segna uno spartiacque, tra un passato che era percepito dalla maggioranza delle persone come un tempo felice e spensierato, rispetto ad un tempo presente che viene percepito come difficile, faticoso da vivere e soprattutto ingiusto. In questo tipo di giudizio assume una grande importanza l’abitudine. Credo che tutti siamo degli abitudinari, le abitudini riescono a darci un certo senso di sicurezza. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno pesantemente minato le sicurezze di ognuno di noi. La prima reazione alla quarantena del 2020 è coincisa con uno slogan denso di speranze, ma a mio parere ingenuo: “Andrà tutto bene”. Purtroppo le cose non sono andate proprio come ci si aspettava, le speranze che si potesse tornare ad una normalità, che era in effetti una normalità distorta, piena di incongruenze e disuguaglianze, non si sono verificate. Ora stiamo facendo i conti con un conflitto che ci mette di fronte una realtà persino peggiore della pandemia. Ci è voluta una guerra per far riflettere quella che un tempo si definiva opinione pubblica, sull’importanza centrale del tema energetico. E nel frattempo, nascosto per molti mesi dalle cronache di guerra, un problema altrettanto importante come quello della siccità, legato al cambiamento climatico si sta manifestando in tutta la sua gravità.
Per comprendere appieno queste problematiche, ricordando la mia formazione personale, mi convinco ogni giorno di più che si debba essere preparati. Conoscere i principi di base della termodinamica rappresenta uno strumento culturale imprescindibile.
Quindi ecco il mio primo consiglio di lettura: “Il secondo principio” di Marco Malvaldi, editrice il Mulino.
Il libro fa parte della collana “Formule per leggere il mondo”. Il libro è uscito nel 2021, sono 131 pagine di agevole lettura.

Leggere questo libro aiuta ad approcciare il mondo reale con razionalità. Raccontare la storia di chi la termodinamica l’ha creata, partendo dalla prima rudimentale macchina a vapore di Thomas Newcomen e via via introducendoci alle esperienze e riflessioni di James Watt, Sadi Carnot, Rudolf Clausius, William Gibbs. Ci sono le formule di base studiate a scuola, ma che probabilmente si sono dimenticate. Presi dall’abitudine negativa del consumismo, dimenticando che la terra non è un pozzo senza fondo, una cornucopia che ci elargisce cibo, materie prime in abbondanza per compiacere i nostri desideri. Comprendere tutto questo sarebbe un primo passo importante, fondamentale. Eviterebbe di dover leggere commenti sui social o sui giornali che per esempio vedono come soluzione al problema della mobilità privata la produzione di auto ad aria compressa, ovvero la realizzazione del moto perpetuo di primo grado.
A tutti coloro che magari in perfetta buona fede credono a queste cose, e per incoraggiare lo studio della termodinamica, anche se ormai già diplomati o laureati, dedico questo aforisma di Albert Einstein:
“Una teoria è tanto più importante quanto maggiore è la semplicità delle sue premesse, tanto più sono diversi i tipi di cose che correla e quanto più esteso è il campo della sua applicabilità. Di qui, la profonda impressione che ho ricevuto dalla termodinamica classica. È la sola teoria fisica di contenuto universale di cui sono convinto che nell’ambito di applicabilità dei suoi concetti di base non verrà mai superata.”
Quando si affrontano temi ambientali, molto spesso risulta difficile utilizzare un linguaggio adatto a divulgare temi importanti, ma spesso rifiutati dalla maggioranza delle persone. Per questo ho voluto leggere un libro pubblicato nel 2017 dalla casa editrice Neri Pozza cioè “La grande cecità” di Amitav Gosh.
L’autore mentre lavorava ad un suo romanzo dal titolo “Il paese delle maree” si accorge dei cambiamenti di natura geologica che stanno avvenendo nel Bengala. In particolare il ritirarsi delle linee costiere, e la sempre maggiore contaminazione di acqua salina che si infiltra nelle terre coltivate. Il libro non è recente, in Italia è stato pubblicato nel 2017. Recente è invece la constatazione che l’acqua di mare sta risalendo lungo il letto del Po, mettendo a rischio l’utilizzo delle sue acque che diventano salmastre per l’uso irriguo, e potrebbero anche contaminare le falde acquifere destinate all’uso potabile. In questi giorni in cui si parla molto di siccità italiana, una delle frasi che più spesso sento pronunciare è “Mai visto niente di simile”. Amitav Ghosh che oltre ad essere uno scrittore è anche antropologo riflette su cosa ci impedisca di accettare la realtà di questi cambiamenti, e perché la letteratura non sempre riesca o voglia utilizzare il cambiamento climatico come argomento principale di un romanzo.

La prima risposta dell’autore a queste domande è che, la vita di oggi con la sua ricerca di regolarità ci impedisca di considerare plausibili gli scenari che per esempio l’IPPC, o nel caso italiano L’ENEA, hanno pubblicato. Tesi che condivido. L‘abitudine a considerare il benessere un diritto acquisito, distorce significativamente la capacità di percezione dell’impatto dei cambiamenti climatici nelle nostre vite e frena l’approccio ad un cambiamento di abitudini. Potrebbe sembrare che nei paesi più poveri vi sia una percezione maggiore, o un’abitudine maggiore alla resilienza. Ma non è esattamente così: nel 2015 durante un’alluvione che ha colpito Mumbai lo scrittore racconta le difficoltà ed i danni che le classi più agiate (politici e star di Bollywood) hanno dovuto subire. Questo perché era ritenuto uno status symbol avere la casa direttamente affacciata sulla spiaggia, con vista mare. Ma il ciclone che colpì la città non fece distinzioni. Costruire abitazioni in una città che sorge su due isole che in alcuni punti sono anche al di sotto del livello del mare non è una primaria regola di prudenza.
La seconda risposta, cioè perché il cambiamento climatico non sia nella maggior parte dei casi il tema centrale di un romanzo, va ricercata ugualmente nello stile di vita di chi ritiene che la propria vita non possa essere sconvolta da catastrofi, e da un pregiudizio ancora largamente diffuso. Cioè che la letteratura che prospetta scenari futuri plausibili, sia una letteratura minore meno degna di attenzione critica. Insomma un certo affettato disprezzo per la letteratura fantascientifica.
Personalmente io ho sempre apprezzato la letteratura di questo genere, in particolare la cosiddetta fantascienza sociologica, cioè quella che cerca di immaginare scenari di evoluzione della società umana. Esistono pregevoli romanzi e libri di questo genere di letteratura fantascientifica. Per esempio le raccolte di racconti di Primo Levi “Storie naturali”, e “Vizio di forma”
Per quanto riguarda la letteratura non di genere, in Italia è uscito un romanzo che ha avuto come argomento narrativo il cambiamento climatico: “Qualcosa la fuori” di Bruno Arpaia.

Il romanzo pubblicato da Guanda nel 2016 racconta di un’Europa ormai devastata dai cambiamenti climatici, in cui solo alle latitudini della Scandinavia è possibile trovare territori adatti agli insediamenti umani. Il sud del continente è ormai diventato invivibile. Pianure screpolate, argini di fango secco, fiumi aridi, polvere giallastra, case e capannoni abbandonati. E proprio per la rimozione dei problemi, per la disattenzione e lentezza nel risolverli che inizia l’era dei migranti climatici. Il protagonista Livio Delmastro, anziano professore di neuroscienze, è uno di loro. Ha insegnato a Stanford, ha avuto una magnifica compagna, è diventato padre, ma alla fine è stato costretto a tornare in un’Italia quasi desertificata, sferzata da profondi sconvolgimenti sociali e politici, dalla corruzione, dagli scontri etnici, dalla violenza per le strade.
Una trama simile ricorre in un interessante volume della storica collana Urania. Il titolo è “La carovana” di Stephen Goldin. Il romanzo in originale è del 1975, in Italia è stato pubblicato nel 1979 nel volume 771 della collana omonima.

Anche qui ci sono dei migranti in fuga da una società ormai disgregata. Tra loro viene accolto il protagonista Peter Stone che è l’autore di un libro intitolato “Il collasso mondiale”. Libro che è stato molto venduto, molto criticato e di fatto completamente ignorato. Stone viaggia in un America dove il denaro non ha più valore, dove si è tornati al baratto, e lo fa sotto falso nome per paura di essere oggetto di ritorsioni e violenze proprio per aver scritto e previsto il collasso del sistema. Il romanzo è di facile lettura. Ma soprattutto sono interessanti i brani tratti dall’immaginario libro di Stone, che di fatto è l’altro protagonista del romanzo, che aprono come nota ogni capitolo. Questo è un piccolo estratto: “Stiamo diventando una società dell’io prima di tutto, in cui il bene dell’individuo spesso è in contrasto con il bene della società. E nella struttura di una civiltà che ha assoluto bisogno di una perfetta cooperazione tra i suoi vari elementi, questo può avere una sola, disastrosa conseguenza…” (da Il collasso mondiale di Peter Stone).
Come ho cercato di far capire, la lettura e la curiosità possono e devono essere una chiave di conoscenza a vari livelli per affrontare il nostro tempo incerto. Poi occorre rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani e iniziare non solo a lavorare sulle nostre abitudini individuali, ma anche sulle pressioni che possiamo fare sulla classe politica. La scienza ha già detto cosa doveva dire. Ma come si può vedere anche la letteratura nelle sue diverse accezioni lo ha fatto. Non è più tempo di indugi. Constatare che alcuni degli scenari previsti in libri di letteratura, confermano previsioni e scenari fatti dalla scienza sono alla fine una sorta di triste privilegio. Se poi non seguono azioni concrete, se la maggior parte delle persone insiste nel negare i problemi climatici e ambientali. Le generazioni che si troveranno a vivere in un pianeta diverso da quello che abbiamo conosciuto noi, ci stanno già richiamando alle nostre responsabilità, rinfacciandoci il troppo tempo perso.
