Borofene e borofano

Rinaldo Cervellati

Il borofene è un monostrato atomico cristallino di boro, un allotropo bidimensionale del boro, noto anche come foglio di boro. Predetto teoricamente per la prima volta a metà degli anni ’90 [1], diverse strutture di borofene sono state confermate sperimentalmente nel 2015 da un gruppo di ricercatori coordinati da Marc C. Hersam (Nothwestern University, Evaston, IL, USA) e Nathan P. Guisinger (Argonne National Laboratory, IL, USA) [2].

Marc C. Hersam (sopra) e Nathan P. Guisinger (sotto)

Sperimentalmente, strati sottili di borofeni cristallini e a carattere metallico sono stati sintetizzati su superfici metalliche pulite in condizioni di ultra alto vuoto [2]. La loro struttura atomica è costituita da motivi triangolari ed esagonali misti, come mostrato nella Figura 1. La struttura atomica è una conseguenza di un’interazione tra il legame a due centri e quello multicentrico planare, tipico degli elementi carenti di elettroni come il boro.

Figura 1. Strutture cristalline del borofene

Il borofene ha catturato l’attenzione dei ricercatori per le sue proprietà, come l’elevata resistenza meccanica, la flessibilità e la superconduttività. Più forte e flessibile del grafene, un singolo strato atomico di borofene potrebbe rivoluzionare sensori, batterie elettriche e informatica quantistica.

Tuttavia, il borofene si ossida immediatamente all’aria, perdendo le sue proprietà conduttive, quindi non può esistere al di fuori di una camera ad altissimo vuoto. Ciò ha gravemente ostacolato l’esplorazione del borofene e delle sue caratteristiche.

Molto recentemente Mark Hersam[1] e il suo gruppo di ricerca hanno sintetizzato “borofanici”  polimorfi, idrogenando il borofene con idrogeno atomico in ultra alto vuoto [3].

Attraverso l’imaging su scala atomica, metodi spettroscopici e calcoli quantomeccanici, il polimorfo borofano più diffuso ha dimostrato di possedere una combinazione di legami boro-idrogeno a due centri-due elettroni e legami boro-idrogeno-boro tre-centri-due-elettroni (figura 2).

Figura 2. Struttura del borofano, in verde acqua gli atomi di boro, in rosso quelli di idrogeno © Northwestern University

I polimorfi di borofano sono metallici con funzioni lavoro locale modificate, e possono ritornare in modo reversibile al borofene attraverso il desorbimento termico dell’idrogeno. L’idrogenazione fornisce anche la passivazione chimica perché il borofano riduce i tassi di ossidazione di oltre due ordini di grandezza dopo l’esposizione ambientale. Il prodotto idrogenato è stabile nell’aria per giorni e le sue proprietà possono essere indagate perché è stabile al di fuori del vuoto.

Hersam prevede che il suo utilizzo prolifererà rapidamente.

*Largamente ampliato da un breve articolo di Rebecca Trager su Chemistry World del 15 marzo 2021. 

Bibliografia

[1] I. Boustani, New quasi-planar surfaces of bare boron., Surface Science, 1997, 370, 355-363.

[2] A.J. Mannix et al., Synthesis of borophenes: Anisotropic, two-dimensional boron polymorphs., Science, 2015, 350, 1513-1516.

[3] Q. Li et al., Synthesis of borophane polymorphs through hydrogenation of borophene., Science,2021, 371, 1143-1148; DOI: 10.1126/science.abg1874


[1] Nel 2010 Mark C. Hersam fu nominato miglior giovane ricercatore per i materiali nano elettronici (MRS Bulletin, Cambridge University Press, January 2011).

Sicurezza, normativa e Covid-19

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Dinnanzi alle emergenze, e di certo covid-19 lo è, si è a volte portati o costretti ad adottare iniziative che possono non corrispondere alle direttive ufficiali: poco male in alcuni casi, molto peggio in altri, quando il mancato rispetto di norme comporta danni ed incidenti. Ecco perchè proprio in corrispondenza di contingenze critiche la normazione  diviene attività di sicurezza per tutti ed i relativi Enti fondamentali garanti della responsabilità  sociale che deve presiedere alla gestione di questi periodi drammatici.

Cosi l’Ente Europeo di normazione ed i nazionali UNI ed ACCREDIA hanno in questo frangente operato per fungere da supporto delle diverse misure di contenimento e gestione dell’emergenza, anche intercettando aspetti di carattere organizzativo e gestionale. Tale supporto vuole trasformare la gestione di un’emergenza in quella di un cambiamento, non programmato, di uno scenario noto, strutturato, gestito secondo flussi, relazioni responsabilità, autorità, ruoli definiti e secondo schemi consolidati che inevitabilmente vengono reinvestiti.I problemi pratici che richiedono l’attenzione dei normatori sono tantissimi e di natura diversa. Le norme sono fondamentali per orientare e portare nel mercato l’innovazione nel settore delle mascherine, dei camici, dei guanti, ma anche del ricambio dell’aria, della disinfezione e sanificazione, delle strumentazioni idonee.

Due punti particolarmente discussi e di rilievo riguardano i rifiuti di nuova generazione legati alla pandemia e la didattica a distanza.

Per quanto riguarda il primo l’elevato consumo di mascherine ne ha fatto un rifiuto quantitativamente molto significativo e per questo molto pericoloso in caso di smaltimento selvaggio (nelle discariche,in mare): di qui la necessità di norme per la gestione di questo rifiuto e di altri ad esso collegati come guanti, camici, residui di gel disinfettanti.

Per quanto riguarda il secondo si tratta di esperienza relativamente nuova e da applicare improvvisamente e su larga scala: sono necessarie norme che garantiscano tutte insieme sicurezza, sostenibilità, qualità dell’insegnamento. Con riferimento all’Ente Nazionale durante l’emergenza UNI è stato un punto di riferimento a livello nazionale, non soltanto in quanto depositario attraverso le norme delle conoscenze tecniche necessarie alla riconversione, ma anche  come snodo di conoscenze e competenze di esperti (funzionari tecnici, industria, università, laboratori di prova, ordini professionali) e per lo sviluppo tempestivo di nuovi riferimenti normativi per colmare le lacune evidenziate dall’emergenza stessa.

L’UNI, Ente italiano di normazione, ha reso liberamente scaricabili le norme tecniche che definiscono i requisiti di sicurezza, di qualità e i metodi di prova dei prodotti indispensabili per la prevenzione del contagio da Covid-19.

Si tratta, in particolare, di maschere filtranti, guanti e occhiali protettivi, indumenti e teli chirurgici le cui caratteristiche tecniche ora sono liberamente accessibili in modo da facilitare le scelte di acquisto da parte delle pubbliche amministrazioni e la riconversione produttiva da parte delle imprese. Ma non solo UNI, anche gli inglesi si sono mossi e l’English Standard Institute BSI con la sua sezione Italia ha ora  resta disponibile una nuova versione delle linee guida “Il lavoro in sicurezza durante la pandemia da COVID-19”.

Il documento offre un approccio completo e pratico, applicabile a tutte le organizzazioni, indipendentemente dal loro settore o dimensioni. Le Linee guida forniscono raccomandazioni, basate sull’esperienza dei lavoratori e sul contributo di esperti, per lavorare in sicurezza durante la fase di ripresa dalla pandemia. La prima versione è stata migliorata ed estesa, sulla base delle informazioni più approfondite e più recenti, per aiutare a prevenire una seconda ondata. Le principali nuove clausole aggiunte sono:

  • Lavorare in sicurezza anche da casa
  • Gestione di casi sospetti o confermati di COVID-19
  • Luoghi di lavoro multipli e postazioni mobili
  • Uso sicuro dei servizi igienici
  • Segnalazione a soggetti esterni
  • Inclusività e accessibilità
  • Salute e benessere psicologico
  • Un aspetto che ancora fa fatica ad imporsi e che è più vicino a noi chimici riguarda i materiali: si preferisce normare e certificare la funzione, ma chi ha vissuto negli anni 80 la rivoluzione della REFERENZIAZIONE Analitica sa che questa scelta può non essere la migliore a garanzia dell’utenza

Elementi della Tavola periodica. Calcio, Ca (parte prima)

Rinaldo Cervellati

Il calcio (ingl. Calcium), simbolo Ca, è l’elemento n. 20 della tavola periodica, metallo alcalino-terroso collocato al 2° Gruppo, 4° Periodo. Con il suo 4,15% è il quinto elemento per abbondanza nella crosta terrestre e il terzo fra i metalli, dopo ferro e alluminio. Le sue proprietà fisiche e chimiche sono molto simili a quelle dei suoi omologhi più pesanti stronzio e bario. Il composto di calcio più comune sulla Terra è il carbonato di calcio, che si trova nel calcare e nei resti fossili della prima vita marina.

I composti del calcio sono noti da millenni, anche se la loro composizione chimica non fu compresa fino al XVII secolo. La calce come materiale da costruzione e come intonaco per statue era usata già intorno al 7000 a.C.

Figura 1.  Statua monumentale scoperta nel sito di Ayn Ghazal in Giordania risalente al periodo neolitico pre-ceramico. Realizzata con un intonaco di sabbia, calcare e acqua.

La prima fornace da calce datata risale al 2500 a.C. ed è stata trovata a Khafajah, in Mesopotamia. Quasi nello stesso periodo, nella Grande Piramide di Giza veniva utilizzato gesso disidratato (CaSO4); questo materiale sarebbe stato successivamente utilizzato per l’intonaco della tomba di Tutankhamon. Gli antichi romani utilizzavano invece malte di calce ottenute mediante riscaldamento di calcare (CaCO3); il nome stesso “calcio” deriva dal latino calx, (calce). L’architetto romano Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. – 15 a.C. ca.) notò che la calce risultante era più chiara della pietra calcarea originaria, attribuendola all’ebollizione dell’acqua; nel 1755, il chimico scozzese Joseph Black (1728-1799) dimostrò che ciò era dovuto alla perdita di anidride carbonica, che come gas non era stato riconosciuto dagli antichi romani.

Nel 1787 Antoine Lavoisier (1743-1794) sospettava che la calce potesse essere l’ossido di un elemento chimico fondamentale. Nella sua tabella degli elementi, Lavoisier elencava cinque “terre salificabili” (cioè minerali che potevano essere fatti reagire con acidi per produrre sali): chaux (ossido di calcio), magnésie (magnesia, ossido di magnesio), barite (solfato di bario), allumina ( ossido di alluminio) e silice (biossido di silicio).

Il calcio, insieme ai suoi omologhi magnesio, stronzio e bario, fu isolato per la prima volta da Humphry Davy[1] nel 1808. In seguito al lavoro di Jöns Jakob Berzelius (1779-1848) e Magnus Martin Pontin (1781-1858) sull’elettrolisi, Davy isolò calcio e magnesio mettendo una miscela dei rispettivi ossidi con ossido di mercurio (II) su una piastra di platino usata come anodo, il catodo essendo un filo di platino parzialmente immerso nel mercurio. L’elettrolisi fornì amalgame di calcio-mercurio e magnesio-mercurio, e la distillazione del mercurio diede i metalli.

Figura 2. Sir Humphry Davy

Tuttavia, il calcio puro non può essere preparato economicamente con questo metodo e un processo commerciale per la sua produzione non è stato trovato fino a oltre un secolo dopo.

Il calcio è un metallo argenteo (a volte descritto come giallo pallido) molto duttile le cui proprietà sono simili agli elementi più pesanti nel suo gruppo, stronzio, bario e radio[2]. Come gli altri elementi posti nel gruppo 2 della tavola periodica ha due elettroni di valenza nell’orbitale s più esterno, che si perdono molto facilmente nelle reazioni chimiche per formare uno ione bipositivo con la configurazione elettronica stabile di un gas nobile, in questo caso argon. Quindi, il calcio è quasi sempre bivalente nei suoi composti, che di solito sono ionici[3].

Proprietà fisiche

Il calcio metallico fonde a 842 °C e bolle a 1494 °C; questi valori sono superiori a quelli del magnesio e dello stronzio, i metalli vicini del gruppo 2. Cristallizza nella disposizione cubica a faccia centrata come lo stronzio.

Figura 3. Campione di calcio metallico

Sopra i 450 °C, si trasforma in una disposizione esagonale anisotropica come il magnesio. La sua densità di 1,55 g/cm3 è la più bassa nel suo gruppo. Il calcio è più duro del piombo ma può essere tagliato con un coltello. Mentre il calcio è un conduttore di elettricità più debole del rame o dell’alluminio in volume, è un conduttore migliore in massa di entrambi a causa della sua densità molto bassa. Sebbene non sia utilizzabile come conduttore per la maggior parte delle applicazioni terrestri poiché reagisce rapidamente con l’ossigeno atmosferico, il suo utilizzo come tale è stato considerato nello spazio.

Il calcio naturale è una miscela di cinque isotopi stabili (40Ca, 42Ca, 43Ca, 44Ca e 46Ca) e un isotopo con un’emivita così lunga da poter essere considerato stabile per tutti gli scopi pratici (48Ca, emivita di circa 4,3 × 1019 anni). L’isotopo di gran lunga più comune in natura è il 40Ca, che costituisce il 96,941% di tutto il calcio naturale. Sono noti molti radioisotopi artificiali, che vanno da 35Ca a 60Ca.

Proprietà chimiche

La chimica del calcio è quella di un tipico metallo alcalino terroso pesante. Ad esempio, reagisce spontaneamente con l’acqua più rapidamente del magnesio e meno rapidamente dello stronzio per produrre idrossido di calcio e idrogeno gassoso. Inoltre reagisce con l’ossigeno e l’azoto nell’aria per formare una miscela di ossido di calcio e nitruro di calcio. Quando finemente diviso, brucia spontaneamente all’aria per produrre il nitruro. Compatto, è meno reattivo: forma rapidamente un rivestimento di idratazione nell’aria umida, ma al di sotto del 30% di umidità relativa può essere conservato indefinitamente a temperatura ambiente.

Oltre al semplice ossido CaO, il perossido CaO2 può essere prodotto per ossidazione diretta del calcio metallico sotto un’elevata pressione di ossigeno, ed esiste un superossido giallo Ca(O2)2. L’idrossido di calcio, Ca(OH)2, è una base forte, sebbene non sia forte come gli idrossidi di stronzio, bario o quelli dei metalli alcalini.

Sono noti tutti e quattro i dialogenuri del calcio: CaX2 con X = F, Cl, Br, I. Il carbonato di calcio (CaCO3) e il solfato di calcio (CaSO4) sono minerali particolarmente abbondanti (calcite e gesso rispettivamente).

Come lo stronzio e il bario, così come i metalli alcalini e i lantanidi bivalenti europio e itterbio, il calcio metallico si dissolve direttamente in ammoniaca liquida per dare una soluzione blu scuro.

A causa delle grandi dimensioni dello ione Ca2+, sono comuni numeri di coordinazione elevati, fino a 24 in alcuni composti intermetallici come CaZn13.

Figura 4. Struttura dello ione polimerico [Ca(H2O)6]2+ nel cloruro di calcio idrato, che illustra l’elevato numero di coordinazione tipico dei complessi di calcio.

Il calcio è facilmente complessato dai chelanti all’ossigeno come EDTA e polifosfati, che sono utili in chimica analitica e nella rimozione degli ioni calcio dall’acqua dura. In assenza di impedimento sterico, i cationi del gruppo 2 più piccoli tendono a formare complessi più forti, ma quando sono coinvolti macrocicli polidentati di grandi dimensioni la tendenza è invertita.

Sebbene il calcio appartenga allo stesso gruppo del magnesio e i composti organomagnesici siano comunemente usati in tutta la chimica, i composti organocalcici non sono altrettanto diffusi perché sono più difficili da produrre e più reattivi, sebbene siano stati recentemente studiati come possibili catalizzatori. Questi tendono a essere più simili ai composti organoitterbici a causa dei raggi ionici simili, Yb2+ (102 pm) e Ca2+ (100 pm). La maggior parte di questi composti può essere preparata solo a basse temperature; ligandi voluminosi tendono a favorire la stabilità. Ad esempio, il calcio diciclopentadienile, Ca(C5H5)2, deve essere prodotto facendo reagire direttamente il calcio metallico con il mercurocene (C10H10Hg) o lo stesso ciclopentadiene; sostituire il ligando C5H5 con il più voluminoso ligando C5(CH3)5 d’altra parte aumenta la solubilità, la volatilità e la stabilità cinetica del composto.

Disponibilità e produzione

I depositi sedimentari di carbonato di calcio pervadono la superficie terrestre come resti fossilizzati di vita marina; si presentano in due forme, la calcite romboedrica (più comune) e l’aragonite ortorombica (che si forma nei mari più temperati). I minerali del primo tipo includono calcare, dolomia[4], marmo, gesso e longarone islandese.

Figura 5. Campioni di calcite, dolomite e gesso

Letti di aragonite compongono i bacini delle Bahamas, delle Florida Keys e del Mar Rosso. Coralli, conchiglie e perle sono per lo più costituiti da carbonato di calcio. Tra gli altri importanti minerali del calcio ci sono il gesso (CaSO4·2H2O), l’anidrite (CaSO4), la fluorite (CaF2) e l’apatite ([Ca5(PO4)3F]).

I principali produttori di calcio sono la Cina (da circa 10000 a 12000 tonnellate /anno), la Russia (da circa 6000 a 8000 tonnellate/anno) e gli Stati Uniti (da circa 2000 a 4000 tonnellate/anno). Canada e Francia sono tra i produttori minori. Nel 2005 sono state prodotte circa 24000 tonnellate; circa la metà del calcio estratto nel mondo viene utilizzato dagli Stati Uniti, con quasi l’80% della produzione utilizzata ogni anno. In Russia e in Cina, il metodo elettrolitico di Davy è ancora utilizzato, applicato però al cloruro di calcio fuso. Negli Stati Uniti e in Canada il calcio viene invece prodotto riducendo la calce con alluminio ad alte temperature. Poiché il calcio è meno reattivo dello stronzio o del bario, il rivestimento di ossido e nitruro che si forma in aria è stabile e la lavorazione al tornio e altre tecniche metallurgiche standard sono quindi adatte per il metallo.

Applicazioni

Il principale utilizzo del calcio metallico è nella produzione dell’acciaio, grazie alla sua forte affinità chimica per l’ossigeno e lo zolfo. I suoi ossidi e solfuri, una volta formati, danno alluminato di calcio liquido e inclusioni di solfuro nell’acciaio che galleggiano; al trattamento, queste inclusioni si disperdono nell’acciaio e diventano piccole e sferiche, migliorando la colabilità, la pulizia e le proprietà meccaniche generali. Viene anche utilizzato nelle batterie per autoveicoli che non richiedono manutenzione, in cui l’uso di leghe di calcio e piombo allo 0,1%, invece delle solite leghe di antimonio e piombo, porta a una minore perdita d’acqua e a una minore autoscarica. A causa del rischio di espansione e fessurazione, talvolta anche l’alluminio è incorporato in queste leghe. Queste leghe piombo-calcio sono utilizzate anche nella fusione, in sostituzione delle leghe piombo-antimonio. Il calcio è anche usato per rinforzare le leghe di alluminio usate per i cuscinetti, per il controllo del carbonio grafitico nella ghisa e per rimuovere le impurità di bismuto dal piombo. Il calcio metallico si trova in alcuni detergenti per scarichi, dove funziona per generare calore e idrossido di calcio che saponifica i grassi e liquefa le proteine ​​(ad esempio quelle dei capelli) che bloccano gli scarichi.

Oltre alla metallurgia, la reattività del calcio viene sfruttata per rimuovere l’azoto dal gas argon di elevata purezza e come getter per ossigeno e azoto. Viene anche utilizzato come agente riducente nella produzione di cromo, zirconio, torio e uranio. Può anche essere usato per immagazzinare idrogeno gassoso, poiché reagisce con l’idrogeno per formare idruro di calcio solido, da cui l’idrogeno può essere facilmente riestratto.

Il frazionamento degli isotopi del calcio durante la formazione dei minerali ha portato a diverse applicazioni. In particolare, l’osservazione del 1997 che i minerali di calcio sono isotopicamente più leggeri delle soluzioni da cui precipitano i minerali è alla base di analoghe applicazioni in medicina e nella paleooceanografia. Negli animali con scheletri mineralizzati con calcio, la composizione isotopica del calcio nei tessuti molli riflette la velocità relativa di formazione e dissoluzione del minerale scheletrico. Negli esseri umani, è stato dimostrato che i cambiamenti nella composizione isotopica del calcio delle urine sono correlati ai cambiamenti nell’equilibrio minerale osseo. Quando il tasso di formazione ossea supera il tasso di riassorbimento osseo, il rapporto 44Ca/40Ca nei tessuti molli aumenta e viceversa. Grazie a questa relazione, le misurazioni isotopiche del calcio nelle urine o nel sangue possono essere utili nella diagnosi precoce di malattie metaboliche delle ossa come l’osteoporosi. Un sistema simile esiste nell’acqua di mare, dove il rapporto 44Ca/40Ca tende ad aumentare quando il tasso di rimozione del Ca2+ mediante precipitazione minerale supera l’immissione di nuovo calcio nell’oceano. Nel 1997, è stata presentata la prima prova del cambiamento nell’acqua di mare del rapporto 44Ca/40Ca nel tempo geologico, insieme a una spiegazione teorica di questi cambiamenti. Ricerche più recenti hanno confermato questa osservazione, dimostrando che la concentrazione di Ca2+ nell’acqua di mare non è costante e che l’oceano non è mai in uno “stato stazionario” rispetto all’input e all’output di calcio. Ciò ha importanti implicazioni climatologiche, poiché il ciclo del calcio marino è strettamente legato al ciclo del carbonio.

Molti composti di calcio sono usati negli alimenti, come prodotti farmaceutici e in medicina. Ad esempio, calcio e fosforo sono integrati negli alimenti attraverso l’aggiunta di lattato di calcio, difosfato di calcio e fosfato tricalcico. Quest’ultimo è usato come agente lucidante nel dentifricio e anche negli antiacidi. Il lattobionato di calcio è una polvere bianca che viene utilizzata come agente di sospensione per i prodotti farmaceutici. Nella cottura al forno, il monofosfato di calcio viene utilizzato come agente lievitante. Il solfito di calcio è usato come sbiancante nella fabbricazione della carta e come disinfettante, il silicato di calcio è usato come agente rinforzante nella gomma e l’acetato di calcio è un componente della colofonia calcarea ed è usato per fare saponi metallici e resine sintetiche.

Il calcio è nell’elenco dei medicinali essenziali dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Opere consultate

Handbook of Chemistry and Physics, 85th Ed. p. 4-7

https://en.wikipedia.org/wiki/Calcium

https://en.wikipedia.org/wiki/Carbonate-silicate_cycle


[1] Sir Humphry Davy (1778 – 1829), chimico e inventore della Cornovaglia, ricordato per aver isolato, usando l’elettrolisi, una serie di elementi per la prima volta: potassio e sodio nel 1807 e calcio, stronzio, bario, magnesio e boro l’anno successivo, oltre a scoprire la natura elementare del cloro e dello iodio. Davy studiò anche le forze coinvolte in queste separazioni, costruendo il nuovo campo dell’elettrochimica.

[2] Calcio, stronzio, bario e radio sono sempre considerati metalli alcalino terrosi; sono spesso inclusi anche il berillio e il magnesio più leggeri, anch’essi nel gruppo 2 della tavola periodica. Tuttavia, il comportamento fisico e chimico di berillio e magnesio differiscono significativamente dagli altri membri del gruppo: si comportano più come l’alluminio e lo zinco e hanno alcuni dei caratteri metallici dei metalli di post-transizione, per cui la definizione tradizionale del termine “metallo alcalino terroso” li escluderebbe. Questa classificazione è per lo più obsoleta nelle fonti in lingua inglese, ma è ancora utilizzata in molti altri paesi.

[3] Recentemente sono stati sintetizzati complessi di calcio monovalente Ca(I). Ne parleremo in un prossimo post in preparazione.

[4] La dolomia è il particolare tipo di roccia prevalente nella catena montuosa delle Dolomiti, costituita principalmente dal minerale dolomite, un carbonato doppio di calcio e magnesio, CaMg(CO3)2. Tutti questi nomi per ricordare il naturalista francese Deodat de Dolomieu (1750-1801), che per primo studiò il tipo di roccia nella regione.

A proposito di Nutriscore.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

273 scienziati europei (19 italiani), su proposta francese, hanno inviato un appello al l’UE per l’introduzione del cosiddetto Nutriscore, un sistema di etichettatura dei cibi a semaforo.

A questo sistema si oppongono alcuni Paesi fra cui l’Italia.Tale opposizione si basa sul fatto che Nutriscore avvantaggerebbe i prodotti alimentari ultra trasformati penalizzando i DOP egli IGP, prodotti di eccellenza mono ingredienti di altissima qualità ,tipici della nostra filiera e produzione agroalimentare come il prosciutto di Parma o il parmigiano reggiano.

Il sistema si basa su cinque colori dal verde al rosso e cinque lettere da A a E. Si vorrebbe guidare il consumatore verso cibi che ne proteggono lo stato di salute.Si tratta di un sistema a punteggio pensato per semplificare l’identificazione dei valori nutrizionali. Il calcolo del punteggio tiene conto di sette diversi parametri :fibre, verdura,frutta e proteine positivi, contenuto calorico, grassi saturi e sodio negativi. L’algoritmo è stato criticato da alcuni governi, fra cui il nostro, da alcuni gruppi industriali e di agricoltori, da nutrizionisti in quanto ha semplificato le informazioni nutrizionali in modo eccessivo e ridotto gli alimenti complessi ai singoli ingredienti. Ne risultano ad esempio vantaggi per i cibi trattati, chiari svantaggi per i grassi sani come l’olio di oliva. Il risultato é che da parte di alcuni Stati si chiede il rinvio dell’applicazione di Nutriscore, da parte di altri la sua variazione:ad esempio il riferimento come quantità di cibo al valore di 100 g è considerato improprio. Credo che l’obiezione a Nutriscore debba basarsi anche e soprattutto su altri aspetti che ho avuto modo di discutere in un altro mio recente post.

La fotosintesi clorofilliana consente di trasformare CO2 ed acqua, l’energia solare  in prodotti ad alto contenuto energetico che l’uomo utilizza quali alimenti. Chiaramente per rendere commestibili i prodotti della fotosintesi l’uomo deve aggiungere altra energia (arare, seminare, mietere, trattare) e così facendo contribuisce ai cambiamenti climatici. Diventa allora importante scegliere un’alimentazione che richieda la minima quantità di energia aggiunta a quella solare, energia oggi in larga parte fornita dai combustibili fossili

Da questi due dati contenuto energetico  ed energia aggiunta non solare per unità di peso o di volume deriva l’efficienza energetica di un alimento. È nostro compito educare a rispettare le esigenze energetiche della vita con alimenti che siano quanto più possibilmente efficienti energeticamente. In questo senso la ben nota dieta mediterranea rappresenta una buona guida rispetto ad un consumo elevato di carne da evitare: la carne è un alimento che richiede mediamente per kg prodotto 7 litri di petrolio e circa 10000 l di acqua. Le emissioni europee di gas serra imputabili alla produzione di carni alimentari hanno superato quelle di tutti gli autoveicoli circolanti nei 28 Stati membri.

L’efficienza energetica degli alimenti sarebbe forse un indice più opportuno di Nutriscore

L’entropia della Terra

Claudio Della Volpe

Negli ultimi anni la presa di coscienza dell’esistenza del riscaldamento globale, causato a sua volta dalla crescita dei gas serra in atmosfera ha reso più diffusa la conoscenza del bilancio energetico terrestre.

Si tratta di un bilancio essenzialmente radiativo legato allo scambio di radiazione fra Sole-Terra e spazio, espresso dal famoso grafico di Trenberth e Kiehl

Bulletin of the American Meteorological Society

Volume 90: Issue 3

Earth’s Global Energy Budget

Kevin E. Trenberth, John T. Fasullo, and Jeffrey Kiehl

Questo è forse diventato uno dei grafici più famosi e illustrati agli studenti del mondo; esso ci dice che c’è una situazione stazionaria, tanta energia arriva dal Sole e tanta riparte verso lo spazio aperto; quella che arriva dal Sole è centrata sul giallo-verde (0.5micron) , nel visibile, mentre quella riemessa verso lo spazio è nell’infrarosso(10micron); questa parte viene assorbita e riflessa/riemessa indietro dall’atmosfera per cui prima di lasciarci incrementa la temperatura dell’atmosfera, il famoso effetto serra.

Però nel complesso l’idea base è: tanta energia entra e tanta ne esce, circa 342 W/m2, in media (meno l’albedo).

Quale è termodinamicamente l’effetto legato al cambio della lunghezza d’onda media? Cioè al fatto che la radiazione entrante è essenzialmente nel visibile mentre quella uscente è nell’infrarosso?

Come chimici sappiamo bene che i fotoni hanno una energia che dipende dalla loro lunghezza d’onda; e che inoltre possono essere considerati un gas di particelle con una loro equazione di stato.

La conclusione dunque è che il numero di fotoni entranti è necessariamente INFERIORE a quello dei fotoni uscenti; i fotoni uscenti hanno in media una lunghezza d’onda circa 20 volte superiore a quella entrante e di conseguenza una energia per fotone 20 volte inferiore; per pareggiare il bilancio energetico complessivo il numero di fotoni uscenti sarà proporzionalmente più alto; per la precisione 22 volte maggiore.

Q. J. R. Meteorol. Soc. (1993), 119,pp. 121-152

Pochi discutono o riflettono sulle conseguenze di questo fenomeno; proviamo a dire solo due o tre cose semplici.

La prima cosa è che il flusso entropico in queste condizioni non si può valutare usando le equazioni dell’equilibrio, sia per l’energia che per l’entropia non si possono usare solo le equazioni che molti conoscono legate all’emissione di corpo nero in equilibrio con la sua radiazione; la Terra non è in equilibrio con la radiazione né ricevuta né emessa (tipo per capirci l’equazione di Stefan-Boltzmann e la corrispondente equazione dell’entropia). E comunque mentre per l’energia si usa il criterio del tanto entra tanto esce, lo stesso ragionamento non si può fare per l’entropia. In questo caso si stabilisce solo un estremo superiore alla entropia positiva prodotta “dentro” il sistema Terra per rimanere sotto la quota di bilancio (che comunque non è di per se obbligata).

Tale quota di bilancio dipende dalla differenza fra l’entropia in ingresso e in uscita a causa della radiazione (deS in uscita è negativa, mentre deS in entrata è positiva).

Alex Kleidon o Peixoto la calcolano dai rapporti fra l’energia libera trasportata dalla radiazione e la sua temperatura assoluta concludendo che:

La radiazione infrarossa dunque esporta (segno negativo) poco meno di 1watt/m2 K mentre quella ricevuta (positiva) è solo 41mW/m2K, e da questo nasce il fatto che a differenza dell’energia l’entropia in uscita è diversa da quella in ingresso.

Questa differenza consente al sistema Terra pur rimanendo al bilancio di entropia (ma non necessariamente) di dissipare al proprio interno fino ad una equivalente quantità di entropia POSITIVA; e come? Degradando enormi quantità di energia libera e costruendo ordine al proprio interno, quel meraviglioso ordine legato a tutte le strutture che ci circondano e che sfrutta almeno in parte il grande flusso solare: nuvole, sistemi di nuvole, cicli di materiali e di elementi, la vita stessa, etc.

Kleidon e Peixoto hanno ricostruito anche i vari flussi di entropia dissipati nella biosfera e questi flussi sono molto più bassi di quanto ci si aspetterebbe come riportato per esempio nello schema qui sotto che è limitato all’atmosfera.

(continua)

Si veda anche 

Entropy budget of the atmosphere

José Pinto Peixoto, Abraham H. Oort , Mário De Almeida , António Tomé

First published: 20 June 1991

https://doi.org/10.1029/91JD00721

oppure:

Phil. Trans. R. Soc. B (2010) 365, 1303–1315 doi:10.1098/rstb.2009.0310

O ancora A.Kleidon R.D.Lorenz (Eds.)  Non-equilibrium Thermodynamics and the Production of Entropy

Life, Earth, and Beyond With a Foreword by Hartmut Grassl  Springer 2005

Strategia italiana sulla riduzione di gas serra.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

“Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni di gas serra” è il titolo di un documento inviato dal precedente Governo alla Commissione Europea. (https://www.minambiente.it/notizie/cambiamenti-climatici-trasmessa-bruxelles-la-strategia-nazionale-di-lungo-periodo)

Volendo individuare una novità del documento questa va di certo trovata in uno scenario energetico rinnovato con una dritta verso la decarbonizzazione ed un ridotto uso dei combustibili fossili. Quello che la CE aveva richiesto ai Paesi della Comunità era un documento programmatico di adesione alla strategia al 2050 finalizzata al rispetto di Parigi nella COP21 del dicembre 2015.La strategia italiana al 2050 è coerente con quella europea: la decarbonizzazione delinea una drastica riduzione dei combustibili fossili con uno scenario che prevede una consistente diminuizione della domanda di energia,una forte elettrificazione della mobilità e nei trasporti,un aumento elevato della produzione di energia rinnovabile. Il documento con il suo all.to riporta numeri e tecnologie di questo cambiamento.Il confronto fra il bilancio energetico del 2018 e quello delineato del 2050 mostra la scomparsa dell’uso del carbone e del petrolio ed un ridimensionamento nell’uso del gas naturale. Per fare fede a questo programma è necessaria una permeazione con esso di tutte le le politiche pubbliche,in un percorso ampiamente condiviso.E’avvenuto molto spesso che questo percorso già in più sedi reclamato ha trovato nella sua attuazione difficoltà e resistenze che solo si possono superare con un cambio di atteggiamento da parte dei diversi livelli istituzionali,dei cittadini e delle imprese. Sul piano dei contenuti delle scelte al 2050 emerge il ruolo di elettricità ed idrogeno; il che suggerisce di valutare le possibilitá di progressiva riconversione delle infrastrutture gas per il trasporto e la distribuzione. Per la veritá sull’idrogeno stiamo assistendo ad un dibattito. Sia l’UE che il MISE hanno obbiettivi importanti sull’idrogeno: per la prima vanno costruiti elettrolizzatori per produrre 10 milioni di tonnellate di gas entro il 2030,per il secondo l’idrogeno deve penetrare il 20% dei consumi finali di energia entro il 2050.

La filiera dell’idrogeno è tecnicamente matura, ma il quadro legislativo appare poco chiaro e l’input politico non c’e stato, probabilmente per motivi collegati alla convenienza economica, al problema del trasporto ed a quello della materia prima nel caso di produzione elettrolitica ( acqua dolce o acqua di mare). Questo.spiega il modesto valore della quota idrogeno italiana, solo 1%.  che non proviene da fonti rinnovabili. C’é poi un problema ambientale, di certo non secondario. L’idrogeno verde, ottenuto cioè per elettrolisi con energia da fonti rinnovabili potrebbe risultare assai poco verde per l’ingente consumo di risorse idriche, delle quali il Sud del Paese scarseggia (per ogni kilo di idrogeno ci vogliono 9kg di acqua). Circa poi gli utilizzi industriali dell’idrogeno, riducente  in raffineria o per sintetizzare materie prime come ammoniaca e metanolo o anche per produrre polimeri viene spontanea la domanda se abbia senso estrarre il gas per elettrolisi a questi fini. Per arrivare alla neutralità climatica (emissioni nette zero di gas serra) sono necessarie scelte politiche e tecnologie perseguibili soltanto su base europea coordinata, nonché una condivisione internazionale del processo primario di decarbonizzazione.

Ecco un punto importante rispetto a quanto detto sopra circa l’idrogeno: potrebbe il suo utilizzo  trovare uno sviluppo proprio nell’ambito della decarbonizzazione del settore energetico, come alcuni recenti accordi industriali paiono confermare.Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR),il programma che l’Italia deve inoltrare alla Commissione Europea nell’ambito del Next Generato on EU – -strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid19 -c’è un capitolo piuttosto breve dedicato al l’idrogeno dove, in via molto generale,si parla di produzione, distribuzione ed utilizzo di idrogeno verde, nonché di realizzazione degli elettrolizzatori.

L’effetto valanga

Mauro Icardi

Capita che a volte le notizie interessanti, o sui cui fare una riflessione, arrivino in maniera del tutto casuale.

Mi è successo recentemente, dopo che un’amica che per lavoro fa l’assistente di laboratorio in un istituto tecnico, mi ha domandato informazioni su un prodotto di uso comune nel trattamento delle acque reflue.

Cioè chi fosse il fornitore di un polimero in emulsione che avevo usato per una dimostrazione mostrando come si utilizzi per addensare i fanghi di depurazione, prima di sottoporli al trattamento di disidratazione, e a cui lei e alcune insegnanti avevano assistito.

Poiché che non mi tornava in mente la sigla commerciale del prodotto, ho telefonato ad un altro amico che conosco da anni e che lavora nell’azienda fornitrice.  E l’ho sentito abbastanza preoccupato e stanco. L‘ho invitato a passare a salutarmi un attimo, cosa che spesso fa vista la decennale conoscenza reciproca, ma ha declinato momentaneamente l’invito dicendomi  era piuttosto impegnato col problema del rialzo dei prezzi delle materie prime.

E,  in effetti ,la sua preoccupazione è decisamente motivata.  Cercando in rete ho scoperto che si sta verificando il fenomeno  della carenza di materie plastiche. Per chi volesse fare una ricerca avviso che il termine usato è shortage, ma per una serie di mie ragioni personali preferisco usare il termine in lingua italiana.

C’è una scarsità di plastica. Non per un ravvedimento green a livello planetario. Anzi, in tempi di pandemia le materie plastiche sono più che mai necessarie. Basterebbe pensare alle siringhe monouso per la vaccinazione anti covid. Ma le imprese oggi faticano ad approvvigionarsi al punto da essere costrette a fermare linee di produzione. 

Il problema è particolarmente critico in Europa. E a partire dal polietilene, quasi tutte le materie prime destinate all’industria di trasformazione della plastica stanno subendo rincari che sono arrivati anche a percentuali molto elevate (per avere un’idea il rincaro di polimeri a bassa densità è arrivato a toccare la percentuale record dell’81% secondo quanto evidenziato dai dati di Standard & Poor’s).

Nel giro di cinque mesi ci sono stati i rialzi di prezzo superiori al 40% anche per il polipropilene (Pp), che oggi costa più di 1.600 euro per tonnellata, e per it Pet delle bottiglie di plastica (polietilene tereftalato), mentre per il polistirene (Pp) il rincaro sfiora il 70%.

Le cause di questa situazione sembrano essere individuate in alcuni casi definiti di forza maggiore. In particolare l’ondata di gelo anomalo che ha colpito il Texas fermando la produzione nelle industrie petrolchimiche. A questo si devono aggiungere i rincari del prezzo del petrolio e dell’energia. Il petrolio in particolare che rispetto allo scorso anno ha subito un incremento di prezzo di oltre il 30%, dovuto ai vincoli imposti all’offerta dall’OPEC e alla domanda in rilancio. Altro problema è quello relativo alla logistica dei trasporti di container.

La disamina di tipo economico finisce qui, non sono un’economista e mi limito a fornire informazioni reperibili. Voglio invece fare qualche riflessione di tipo diverso.

Non è certamente la prima volta che si assiste a un problema simile a questo. Ricordo che nel 2008 si verificò un periodo di scarsità di acetonitrile, solvente tra i più usati per la cromatografia liquida ad alta pressione (HPlC).  L’acetonitrile è il sottoprodotto della sintesi dell’acrilonitrile. Quest’ultimo è un monomero usato per la produzione di vari altri polimeri sintetici, tra cui quelli che si utilizzano nell’industria automobilistica.

Il calo delle vendite di auto finì per ridurre la produzione dell’acrilonitrile, e conseguentemente i rivenditori di prodotti per il laboratorio non riuscivano più a reperire l’acetonitrile destinato ai laboratori chimici.

 Non so ancora se questa situazione “contingente” avrà ripercussioni sul settore del trattamento delle acque.  La preoccupazione del mio amico però mi induce a qualche perplessità. Nel trattamento dei fanghi si fa uso di condizionanti polimerici (polielettoliti).  In caso di carenze di fornitura si prospettano due soluzioni. La prima prevede l’uso di flocculanti di tipo diverso, sostanzialmente calce o cloruro ferrico, che però non otterrebbero lo stesso tipo di efficienza su fanghi  organici come quelli ottenuti dal trattamento delle acque reflue. La seconda opzione è quella più critica. Ridurre gli smaltimenti di fango dagli impianti lavorando con concentrazioni più alte in vasca di ossidazione, situazione che solitamente nel tempo porta ad un peggioramento della qualità delle acque scaricate.

Ovvio che sto facendo solo delle supposizioni. Ma sto riflettendo su almeno due argomenti. Il primo riguarda la chimica propriamente detta. Cioè, per definizione, la scienza che “studia le proprietà, la composizione, l’identificazione, la preparazione e il modo di reagire delle sostanze sia naturali sia artificiali del regno inorganico e di quello organico.”

Parto da questa definizione per toccare un tema spesso trattato in questo blog. Cioè l’avversione alla chimica. Eppure senza la chimica neanche la depurazione potrebbe funzionare correttamente. E la corretta depurazione delle acque ha avuto un impatto fondamentale e spesso non conosciuto sulla decisa riduzione di malattie infettive come il colera. Malattia che è molto legata alle condizioni igienico sanitarie, e che si correla storicamente al degrado sociale. La realizzazione di moderni impianti di trattamento delle acque reflue fu risolutiva per i problemi igienico-ambientali di Londra e Parigi a partire dalla fine del diciannovesimo secolo.

La seconda riflessione è di più ampio respiro. Questa scarsità di monomeri sta preoccupando gli addetti del settore di trasformazione delle materie plastiche per le ricadute immediate, per esempio sull’occupazione e sui tassi di redditività e profitto. Eppure leggendo gli articoli pubblicati che trattano di questa scarsità, non riesco a cogliere collegamenti che ritengo fondamentali.

Il Texas date le dimensioni territoriali ha una notevole variabilità climatica, ma non è certo conosciuto nel nostro immaginario come un paese abituato a tempeste che si potrebbero definire di tipo nord europeo.

Ed è stato messo in ginocchio piuttosto duramente da quest’ anomalia climatica. Passata l’emergenza, rimesse in funzione le linee produttive degli stabilimenti petrolchimici, rientrato il problema del rialzo dei prezzi (che le previsioni degli economisti collocano entro la fine dell’anno) probabilmente tutto sarà dimenticato. In maniera forse inevitabile, o forse colpevole.

Pochi credo riescano a immaginare quale potrebbe essere l’effetto valanga  che si potrebbe innescare, quando le situazioni contingenti  diventeranno a poco a poco stabili e continuative.

Ci sono sfide enormi che ci aspettano. Ma ancora oggi non siamo in grado di prendere decisioni non più rimandabili. Partendo da quelle di base. Che per quanto riguarda il mio orizzonte personale riguardano un nuovo tipo di gestione, un nuovo modo di considerare un impianto di depurazione. La definizione coniata è “bioraffineria”, e su questo blog ne ho scritto. Ma questo tipo di realizzazioni è solo uno dei tanti che occorre implementare. Avremo ancora necessità di polimeri, avremo ancora necessità di trasformare materia. Ma dobbiamo anche modificare profondamente  l’idea di avere a disposizione materie prime come da una fonte inesauribile. Trascurando troppo spesso  una serie di segnali, di diversa origine che ci stanno indicando che stiamo infilandoci  su una strada senza uscita.  E in un prossimo futuro l’effetto valanga potrebbe sorprenderci.  Cosi come narrato in un numero della rivista “Urania”. Forse qualche lettore potrebbe obbiettare che il riferimento ad un romanzo di fantascienza sia poco indicato. Ebbene ci sono centinaia di pubblicazioni più autorevoli che hanno cercato di insegnarci che non è possibile pensare di crescere infinitamente in un pianeta finito e con risorse che vanno gestite con saggezza, primo fra tutti il troppo bistrattato “I limiti dello sviluppo”*.  Ora si tratta di cambiare radicalmente, perché non rimane molto tempo a disposizione.

Christian von Weigel: l’inventore del “condensatore di Liebig” in contro-corrente.

Roberto Poeti

Del complesso dei laboratori chimici di Justus von Liebig a Giessen, trasformati dal 1920 in uno dei più interessanti musei scientifici del mondo, si rimane colpiti dalle dimensioni, dalla ricchezza di strumenti e apparecchiature.  Il museo conserva quasi intatto l’Istituto di Chimica, dove Liebig svolse la sua attività di docente e scienziato dal 1825 al 1852. È una struttura unica, sopravvissuta   fino ai nostri giorni. In quei locali e laboratori   generazioni di chimici provenienti da tutta Europa e perfino dagli Stati Uniti si sono formati sotto la guida di un grande insegnante. Liebig insegnò in seguito anche a Monaco di Baviera. Al Deutsches Museum di questa città gli è stato dedicato uno spazio importante. Vi è ricostruito il suo laboratorio a dimensioni reali. Ma tra i tanti “oggetti” che riempiono lo spazio dei suoi laboratori, in entrambi i musei sono due quelli che il visitatore percepisce i più importanti. Uno è l’apparato per l’analisi delle sostanze organiche, l’altro è l’apparato per la distillazione. In entrambi vi è un particolare che li rende originali. Nel primo è il Kalium-apparat per l’assorbimento della anidride carbonica, nell’altro è il condensatore in controcorrente nella distillazione.

Ma se la paternità del Kalium-apparat è di Liebig, il condensatore, che porta il suo nome, non è una sua invenzione. Il suo merito è di averlo fatto diventare uno strumento di routine, prezioso nell’analisi di laboratorio.

Ma a chi si deve attribuire l’invenzione del condensatore in contro corrente?

È nel 1771 che viene pubblicata una dissertazione di un giovane medico Christian Ehrenfried Weigel, poco più che ventenne, per la sua laurea in medicina. È scritta in latino:

Nel contenuto di poche pagine è la presentazione di un apparecchio per la distillazione con il raffreddamento dei vapori ottenuto mediante un condensatore che opera in controcorrente. È allegato un disegno esplicativo.  Prima di entrare in dettaglio nel capitolo vediamo una breve biografia dell’autore.

                                             La biografia di Christian Ehrenfried Weigel

Christian Ehrenfried Weigel nacque nel 1748 nella Pomerania svedese; benché di lingua e cultura tedesche, era dunque suddito svedese. Il padre era un medico con interessi per la chimica farmaceutica, inventore di un preparato noto come “gocce di Weigel” (un rimedio contro i parassiti intestinali); anche lo zio materno era un medico.

Compì i suoi studi, prima all’università di Greifswald, dove seguì corsi di botanica, chimica e anatomia, poi a Gottinga dove ottenne il dottorato in medicina. Per tutta la sua vita ha coperto la cattedra di chimica e farmacia alla facoltà di medicina all’università di Greifswald, dove fu lettore per molti anni anche del giardino botanico. Scrisse uno dei primi testi di chimica “Cenni di chimica pura e applicata” che era indirizzato ai lettori di tutte le classi. Weigel fece molto anche per i chimici tedeschi favorendo il loro aggiornamento sugli sviluppi della chimica attraverso le sue traduzioni di opere di Wallerius, Guyton de Morveau, Lavoisier e altri. Nel 1806 fu nobilitato dall’imperatore Francesco II e due anni dopo divenne il medico personale della casa reale svedese. Fu membro delle accademie scientifiche di Erfurt e Berlino, nonché dell’Accademia leopoldina e dell’Accademia di Svezia. Ha lasciato anche importanti contributi nel campo della botanica. Era un appassionato naturalista, e ha un intero genere a lui intitolato: Weigela, un tipo di pianta “arbustiva” dell’Asia orientale, della famiglia dei caprifogli.

Christian von Weigel ha scritto oltre 76 libri scientifici in lingua tedesca, l’unico scritto in latino è la sua tesi. È probabile che la tradizione dello studio universitario, essendo questa la dissertazione da lui tenuta per la laurea, richiedesse la lingua latina. Senza dubbio la lingua con cui fu scritto il lavoro di Weigel non favorì la sua diffusione. Inoltre la traduzione dal latino del testo presenta alcune difficoltà, perché questa lingua è stata usata per esprimere contenuti tecnici che non appartenevano al lessico di una lingua antica.

Una interpretazione errata

 È possibile che questa sia anche la ragione che ha portato ad una interpretazione fuorviante, come vedremo di seguito, dell’apparecchio di Weigel da parte del Prof. William B. Jensen docente all’University of Cincinnati.

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 In un articolo apparso nella prestigiosa rivista Journal of Chemical Education, vol.83, 2006 della Società Chimica Americana dal titolo “The Origin of the Liebig Condenser“ descrive il condensatore di Weigel così:

«Nel progetto originale di Weigel, l’acqua di raffreddamento era confinata tra un tubo interno ed esterno di stagno o zinco e il tubo di distillazione in vetro non entrava in contatto diretto con l’acqua di raffreddamento ma era piuttosto sospeso all’interno del tubo metallico interno… [in grassetto del traduttore]. Nel caso di Liebig, questi [le modifiche N.d.T.] consistevano apparentemente nell’eliminare il tubo metallico interno e restringere la camicia di raffreddamento a ciascuna estremità in modo che il tubo di distillazione in vetro potesse essere sigillato direttamente alla camicia metallica esterna per mezzo di tappi o sezioni di tubo di gomma, consentendo così al tubo di distillazione di entrare in contatto diretto con l’acqua di raffreddamento…»

Purtroppo l’inesattezza del Prof. Jensen si è disseminata. Wikipedia, l’enciclopedia on-line, alla voce” Liebig condenser”, riporta il seguente passaggio:

«Il primo condensatore da laboratorio raffreddato ad acqua fu inventato nel 1771 dal chimico svedese – tedesco Christian Weigel (1748–1831). Il condensatore di Weigel era costituito da due tubi di stagno coassiali, che erano uniti alle loro estremità inferiori, formando una camicia d’acqua, e aperti alle loro estremità superiori. L’acqua fredda è entrata nella giacca attraverso un ingresso nella parte inferiore ed è fuoriuscita dall’estremità superiore aperta della giacca. Un tubo di vetro che trasporta i vapori da un pallone di distillazione è fatto passare attraverso il tubo interno di stagno

Un sito in lingua inglese, che promuove il superalcolico Rum, riporta la biografia di Weigel allineandosi alle interpretazioni precedenti:

«Il condensatore di Weigel era costituito da due tubi di stagno coassiali, che erano uniti alle loro estremità inferiori e aperti alle loro estremità superiori. L’acqua fredda è entrata, attraverso un ingresso, nell’estremità inferiore di questa camicia ed è fuoriuscita dall’estremità superiore aperta della camicia. Un tubo di vetro che trasporta i vapori da un pallone di distillazione è fatto passare attraverso il tubo interno di stagno, non a contatto con l’acqua di raffreddamento

I dubbi sulla interpretazione

Devo dire che l’interpretazione data da Jensen mi ha lasciato qualche dubbio, così ho cercato in rete la dissertazione di Weigel, trovando il libro disponibile. Il grosso ostacolo della lingua è stato superato da due insigni latinisti aretini, che insieme hanno perfezionato la traduzione:

Prof. Claudio Santori, Vice Presidente e Segretario della Classe di Lettere dell’Accademia Petrarca e Don Natale Gabrielli, Priore della Pieve di San Polo e responsabile della Biblioteca antica e dell’Archivio del Seminario Vescovile di Arezzo.

 Le loro traduzioni, di cui riporto i passaggi più significativi, non lasciano dubbi di interpretazione.

 Il contenuto della dissertazione di Wiegel è una lucida e puntuale analisi della tecnica della distillazione impiegata fino allora a cui segue una proposta rivoluzionaria, per il suo aspetto moderno, per superare gli inconvenienti. La padronanza che mostra nel discutere di questa tecnica, malgrado la sua giovane età e la condizione di studente, ci induce a pensare che sia frutto della frequentazione del laboratorio di chimica farmaceutica del padre e dello zio, da cui ricevette l’educazione pre universitaria.  Era necessario riabilitare questo valente scienziato e rimettere il suo pensiero nell’ottica corretta, perché l’interpretazione che fa Jensen dell’apparecchio di Weigel declassa quest’ultimo ad una bizzarra rappresentazione.

                                                              La tesi di laurea

Nella prima parte della sua dissertazione Weigel fa una disamina della tecnica della distillazione allora impiegata, in particolare l’aspetto che riguarda il raffreddamento dei vapori. Come si evince dal suo titolo lo scopo è ottenere alcol a elevato grado di purezza, alcohol fortissimum”, dopo ripetute distillazioni, repetita rectificatione, partendo da liquidi a basso contenuto alcolico, come il vino.

 Individua i problemi che derivano dall’uso dei condotti del vapore lineari o a forma di serpentina:

Potuissem breuiorem tubulum eligere, illumque per vas refrigeratorium ducere, methodo vulgari; sic potuissem destillare absque tanta temporis iactura. Sed Imo Tubuli vulgari methodo, oblique quidem, attamen linea recta, per dolium refrigeratorium ducti, mediocri tantum refrigerant gradu; qui vero serpentino modo per dolia refrigeratoria ducti, non nisi ex cupro parari possunt, nec decenter expurgari ob structuram suam m; unde Spiritus Vini aut venerea labe inficitur aut foetidus facile euadit a partibus impuris antecedentis destillationis.”

(“Avrei potuto scegliere un tubicino più corto, e farlo passare attraverso una botte di raffreddamento, secondo il metodo comune; avrei potuto così distillare in meno tempo. Ma in primo luogo i tubicini fatti passare, secondo il metodo comune, obliquamente, comunque in modo rettilineo, raffreddano lentamente; quelli che usano passare le serpentine attraverso una botte di raffreddamento, possono essere fatte solo di rame e non possono essere pulite in modo appropriato a causa della loro struttura; per cui lo spirito di vino rimane danneggiato o prende facilmente un odore cattivo per via delle impurità delle precedenti distillazioni.)

Gli apparecchi per la distillazione producono perdite di vapori:

  “2do Nec in usu esse solet recipiens vas vitreum tubo applicare et ope vesicae adglutinare, sed solent supponere excipulum, eique imponere infundibulum, quod intrat spiritus ex tubulo profluens, quando ad instar calami straminei profluit. Coguntur ad id faciendum, quia praeuident periculum displofionis vasorum a spiritu non sufficienter refrigerato, alioquin oriundum. Qua vero methodo copiam vaporum spirituosorum in auras auolare vix mentione eget.”

(“In secondo luogo non è abitudine di applicare un vaso di vetro al tubicino (per raccogliere il condensato) e fissarlo, ma è consuetudine collocare sotto al tubicino un recipiente provvisto di imbuto, nel quale entra lo spirito uscente dal tubicino. Si è costretti a fare così in quanto si previene il pericolo della rottura dei vasi di raccolta a causa dello spirito non sufficientemente raffreddato. È evidente che con questo metodo molti vapori di spirito si disperdono nell’aria.”)

Il problema della refrigerazione, lo spazio utilizzato, la quantità di acqua e la manodopera:

3tio Vulgare vas refrigeratorium, scilicet sufficientis capacitatis, magnum occupat spatium, quare in boratoriis minoribus maxime incommodum est instruzmentum. Requiritur insuper saepissime ministri praesentia in laboratorio, cum ad aquam vase refrigeratorio contentam agitandam, eum scilicet in finem, ut superior frigidior cum inferiore calefacta misceatur, tum ad refrigeratorium euacuandum et denuo aqua frigida replendum; unde etiam istud emergit incommodum, quod laboratorium claudere nunquam liceat. Demum notetur, non semper aequalem effectum per vulgare vas refrigeratorium obtineri posse; breui nimirum ante repetitam repletionem aqua refrigeratorii tepida euafit, hinc impotens, quae sufficienti gradu refrigeretur.”

(“In terzo luogo la botte refrigerante comune, cioè di sufficiente capacità, occupa un grande spazio per i piccoli laboratori, è uno strumento di grande incomodo. Si richiede inoltre molto spesso la presenza di un operatore nel laboratorio, sia per muovere l’acqua contenuta nella botte refrigerante perché quella più fredda che sta di sopra sia mescolata con quella più calda che sta di sotto, sia per svuotare il refrigeratorio e successivamente riempirlo con nuova acqua: donde emerge l’altro incomodo di non poter mai chiudere il laboratorio. Va infine notato che con la normale botte refrigerante non è possibile ottenere l’effetto sempre uguale; certamente presto, prima del rinnovato riempimento, l’acqua del refrigeratore risulta tiepida e quindi non possa refrigerare a dovere.)

Dopo questa analisi offre una soluzione.

Bona igitur, rectaque via excogitata ad incommoda adducta remouenda, quam experientia comprobatam exponemus.”

(“È stata dunque concepita una via migliore e corretta, per eliminare gli inconvenienti appena citati, che andiamo ad esporre, convalidata dall’esperienza”.)

La frase convalidata dall’esperienza fa pensare che fosse stata già impiegata la via migliore nel laboratorio di famiglia, condotto dal padre e dallo zio. In un altro passo della dissertazione infatti si esprime:

 “Saepius in Parentis, maxima pietate colendi, laboratorio institui, hanc circa rem, experimenta, instrumentorumque ad hanc rem idoneorum imagines in charta delineaui, …”

(“Spesse volte ho condotto esperimenti su questa materia nel laboratorio del Padre, sempre venerando, e ho tracciato su carta figure di strumenti idonei a questa tecnica …”)

La parte fondamentale della sua proposta è arricchita da una immagine dell’apparecchio, con la sua descrizione.

 “…Cadit aqua in infundibulum c. Infundibulum hoc intrat canalem d. (Fig. 2), cuius subftantia est bractea ferrea stanno obducta, figurae cylindricae, diametri foraminis circiter tres quartas partes digiti transuersi aequantis, longitudinis tantae, ut eius superius orificium, quod intrat infundibulum c. circiter 2, 3, 4 digitos altius sit punctis inter h. et g. possibilibus. Nunc concipias tibi tubum e. f. g. h. eiusdem Figurae tubum a. b. ambientem (Fig. 2). Tubus hic paratus ebractea ferri stanno obducta figurae cylindraceae tantae diametri, ut ubique inter binos memoratos tubos maneat spatium tertiae partis vel dimidii digiti transuersi; longitudinis duorum pedum. Inferne ab e. ad f. clauditur hic capacior tubus per bracteam transuerse afferruminatur, medio duntaxat perforatam, pro transmittendo tubulo a. b. cui quoque firmiter afferruminatur, nulla relicta apertura. Tubuli d. inferius foramen, tubo dicto e. f. g. h. afferruminatum est antea facto foramini in tubulo hoc maiori. Ergo aqua fluens e tubo d. defluet in tubum e. f. g. h., illumque replebit, et tubum a. b. in medio fitum ambiet, quem tamen nunquam intrare valet, sed duntaxat refrigerabit, si fuerit calidus. E tubulo e. f. g.h. aqua perpetuo affluens perpetuo effluit per superius foramen apertum, quia locus inter g. et h. inferius situs quam suprema pars tubi d. …”

(… L’acqua cade nell’imbuto c. Questo imbutoentra nel canale d. (Fig. 2), la cui composizione è lamina di ferro coperta di stagno, di forma cilindrica, col diametro del foro di circa tre quarti di indice, di lunghezza tale che il suo orifizio superiore, dove entra l’imbuto c. sia 2,3, 4 dita più alto rispetto al livello dei punti h. e g.

Ora prendi il tubo e.f.g.h. che nella stessa figura circonda il tubo a.b. Questo tubo, fatto di lamina di ferro, coperta di stagno, di forma cilindrica, sia di diametro tale che tra i due suddetti tubi rimanga lo spazio di un terzo o metà indice; di lunghezza due piedi.

All’estremità da e. a f. questo tubo più grande è chiuso mediante una lamina saldata per traverso, forata nel mezzo, per inserirvi il tubo più piccolo a.b. al quale è fermamente saldata senza che sia lasciata alcuna apertura.

 Il foro inferiore del tubicino d. è saldato al detto tubo e.f.g.h. dopo aver praticato prima un foro in questo tubo più grande.)

La descrizione che ci fa Weigel è chiara. Sono due tubi concentrici. L’ estremità dell’apparecchio è chiusa da una lamina, con un foro che lascia passare il tubo più piccolo. In questa estremità, nella parte superiore del tubo più grande è praticato un foro dove è inserito il gambo dell’imbuto.

Ergo aqua fluens e tubo d. defluet in tubum e.f.g.h., illumque replebit, et tubum a.b. in medio fitum ambiet, quem tamen nunquam intrare valet, sed duntaxat refrigerabit, si fuerit calidus. E tubulo e.f.g.h. aqua perpetuo affluens perpetuo effluit per superius foramen apertum, quia locus inter g. et h. inferius situs quam suprema pars tubi d.

(Dunque l’acqua che fluisce dal tubo d. defluirà nel tubo e.f.g.h. e lo riempirà, e circonderà il tubo a.b. posto nel mezzo, nel quale tuttavia non può entrare ma naturalmente lo raffredderà se sarà caldo. Nel tubo e.f.g.h. l’acqua scorre continuamente, alimentata in modo continuo attraverso il foro aperto sopra, perché la quota di g. e h.  è posta al di sotto della parte più alta del tubo d.)

La descrizione dell’apparecchio in sezione

 “Ut eo melius mentem meam capiat confideret Figuram 4, quae sere vera magnitudine exit faciem extremitatis superioris, tubi capacioris e.f.g.h., ho scilicet quae inter h. et g. continetur, et adspicitur si oculus in b. sit conftitutus. In hac Figura 4, minimus circulus est tubus a.b. (Fig. 2) quasi sectus confideratus; medius circulus quasi sectum repraesentat tubum e.f.g.h. (Fig. 2). Inter hos binos circulos conspiciuntur tria spatia minora z.z.z. umbra notata, quae significant binos tubulos ibi connecti per intermedias tres bracteclas adferruminatas; sed duntaxat in hac extremitate, non vero per totam longitudinem tubi e.f.g.h. Spatia y.y.y. significant spatium inter binos tubulos (a.b. et e.f.g.h. Fig. 2) intermedium. Repletur hoc spatium aqua refrigerante perpetuo affluente, et per has aperturas perpetuo frigide effluente in canalem infundibulo instructum l.m., e quo defluit (Fig.5) per pavimentum laboratorii (cuius superficiem determinat linea horizontalis n.o. in canalem ligneum p.q. (Fig.6) per quem continuatum laboratorium ab omni aqua refrigeratoria affluente liberatur…”

(Affinché si comprenda meglio il mio pensiero, consideriamo la Figura 4 che mostra nella sua reale proporzione la faccia dell’estremità superiore del tubo più grande e.f.g.h., ossia la faccia

dell’estremità superiore del tubo più grande che sta tra h. ed g. e si vedebenese si fissa l’occhio in b. (Fig.2) considerato come sezionato; il tubo medio rappresenta il tubo e.f.g.h. come sezionato. Tra questi due tubi si osservano tre aree minori z.z.z. indicati inscuro, che rappresentano tre lamine di ferro che connettono i due tubi; ma soltanto in questa estremità, ma non per tutta la lunghezza del tubo e.f.g.h. Gli spazi y.y.y. significano lo spazio intermedio tra i due tubi (a.b.; e.f.g.h. Fig.2). Questo spazio è riempito di acqua refrigerante che scorre continuamente, e per questa apertura esce scorrendo nel canale fornito di imbuto l.m., dal quale defluisce attraverso il pavimento del laboratorio nel canale di legno p.q. …)

Alla fine l’autore conclude elencando i pregi dell’apparecchiatura, tra cui:

  1. Lo spazio del laboratorio non è ristretto a causa del vaso di refrigerazione
  2. Si ottiene il massimo grado di refrigerazione
  3. Non si hanno perdite dei vapori di alcol
  4. Il lavoro viene condotto senza dover temere alcun pericolo di incendio
  5. Si risparmia energia e tempo

Il capitolo riporta un secondo disegno dell’apparecchio più realistico. Da notare la grande somiglianza con l’apparecchio del laboratorio di Liebig.

La scoperta di Weigel è relativamente recente da parte della storiografia chimica. L’apparecchio di Weigel è citato nel libro di Hermann Schelenz “Zur Geschichte der pharmazeutischchemischen Destilliergeräte” (Sulla storia degli alambicchi chimico-farmaceutici) del 1911, quasi centocinquanta anni dopo la sua invenzione. Schelenz dedica poche righe all’apparecchio di Weigel, di cui riporta l’immagine. Tuttavia dalla sua breve descrizione non è chiara la struttura del condensatore. La geniale intuizione di Weigel del condensatore in contro corrente venne concepita mezzo secolo prima del “condensatore di Liebig “. Non è noto se il lavoro di   Christian Ehrenfried Weigel ispirò altri o passò inosservato. È certo che il suo nome non fu per molto tempo legato alla sua invenzione. Liebig, così come altri chimici del suo livello della prima metà dell’ottocento, che usavano quotidianamente la distillazione in contro corrente nei loro laboratori, non citano mai il nome del suo inventore.

Bibliografia

Relazione fra raggi atomici ed elettronegatività in funzione della pressione

Rinaldo Cervellati

Due ricercatori svedesi e uno italiano (il Prof. Roberto Cammi del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilita’ Ambientale dell’Università di Parma) hanno ottenuto un’equazione che lega i raggi atomici di van der Waals con l’elettronegatività in funzione della pressione [1]. Martin Rahm  (Chalmers University of Technology, Svezia), coordinatore della ricerca, afferma: “Questa connessione è stata implicita per  lungo tempo, ma in un certo senso è intuitiva: se gli elettroni sono più vicini al nucleo, sono più legati e l’atomo è sia più piccolo che più elettronegativo”.

Martin Rahm

In lavori precedenti [2,3], Rahm e collaboratori hanno utilizzato la teoria del funzionale densità, combinata con il modello del continuo polarizzabile a pressioni estreme, per calcolare i raggi di van der Waals e l’elettronegatività per 93 atomi a pressioni da 0 a 300GPa. Recentemente hanno raccolto questi dati, insieme a rotazioni e spin elettronico dello stato fondamentale, in un set completo per 93 atomi in un’applicazione web interattiva (Atoms-Under-Pressure (AUP) database). La scala di elettronegatività utilizzata dai ricercatori è ispirata al lavoro del 1989 di L.C. Allen ed è definita come l’energia media di legame elettronico per T → 0 K. Questa definizione di elettronegatività permette infatti di stabilire una connessione con l’energia totale di un sistema.

È noto che la pressione induce transizioni nella configurazione elettronica dello stato fondamentale di molti atomi e i dati del database AUP evidenziano le nette discontinuità previste nei raggi atomici e nell’elettronegatività a tali transizioni. Esplorando i criteri per gli atomi non legati che effettuano  transizioni tra stati elettronici concorrenti a una data pressione, il gruppo di Rahm ha ricavato la seguente equazione che mette in relazione il raggio atomico e l’elettronegatività:

Δχ = n−1(4k2½p(r23r13) − ΔEee)

che fornisce la diminuzione dell’elettronegatività Δχ quando i raggi di un atomo diminuiscono sotto pressione costante p. Anche l’elettronegatività diminuisce all’aumentare della repulsione elettrone-elettrone, ΔEee.  r1 e r2 sono i raggi atomici prima e dopo la compressione, n è il numero di elettroni nell’atomo e k è un fattore di conversione fra le unità di misura.

Altri scienziati hanno riportato formule che mettono in relazione l’elettronegatività con i raggi atomici sotto pressione ma Rahm sostiene che esse sono applicate solo a pochi atomi, non sistematicamente a tutta la tavola periodica, inoltre di solito non forniscono determinate pressioni: “Noi abbiamo prestato molta attenzione ad avere un modello che corrispondesse a qualcosa di misurabile, fornendo i dati a una determinata pressione”.

Nell’esempio che segue (figura 1), si prevede che l’atomo di Fe contragga il suo raggio da 1,68 Å  a 1,63 Å a una pressione di 30 GPa. Qui, la variazione di energia corrispondente è uguale a 0,43 eV. Nella seconda transizione, l’atomo di Fe si restringe da 1,38 Å a 1,31 Å. A causa di una pressione più elevata alla seconda transizione, la variazione di energia corrispondente è, tuttavia, notevolmente maggiore, 1,95eV.

Figura 1. Contrazioni dell’atomo di ferro a 30 GPa e a una pressione maggiore di 144 GPa. Credit: Martin Rahm.

Gi autori ricordano che la loro equazione è  stata ottenuta  per la compressione di atomi non reattivi.

Gli argomenti basati su questa equazione non sono quindi necessariamente sempre applicabili ad altre situazioni, come i cambiamenti di volume quantificati attraverso equazioni di stato sperimentali. L’equazione tuttavia aiuta a capire come la riduzione dello stato di ossidazione di un atomo in condizioni ambientali porta ad una diminuzione dell’elettronegatività (questo accade quando  ΔEee > 0). Viceversa, come l’ossidazione di un atomo (cioè, quando ΔEee <0) porta a un aumento dell’elettronegatività.

Rahm prevede che i ricercatori potrebbero utilizzare il set di dati del suo gruppo in aree come la previsione della struttura ad alta pressione (ad esempio per ottenere una buona approssimazione iniziale per il volume cellulare unitario), per definire la molecolarità nei sistemi compressi, identificare gli atomi legati e per la previsione delle loro proprietà.

Il chimico computazionale Pratim Kumar Chattaraj, dell’Indian Institute of Technology di Kharagpur, afferma.: “È un contributo importante ma la struttura, il legame e la reattività subiscono un drastico cambiamento in una condizione confinata. La variazione di tutte le proprietà atomiche o molecolari potrebbe non seguire la stessa tendenza e quindi le correlazioni valide nello stato libero potrebbero non essere vere in una situazione ristretta.”

*Tradotto e ampliato da: Pressure used to define relationship between atomic radii and electronegativity, di Ruth Zadik, ChemistryWorld, 17/02/2021

Bibliografia

[1] M. Rahm et al., Relating atomic energy, radius and electronegativity through compression., Chem. Sci., 2021, DOI: 10.1039/d0sc06675c

[2] M. Rahm et al., Non-bonded Radii of the Atoms Under Compression., ChemPhysChem, 2020, 21, 2441-20453. DOI: 10.1002/cphc.202000624

[3] M. Rahm et al., Squeezing All Elements in the Periodic Table: Electron Configuration and Electronegativity of the Atoms under Compression.J. Am. Chem. Soc. 2019, 141, 10253-10271.

DOI: 10.1021/jacs.9b02634

Geraldine Cox, fra scienza e arte

Rinaldo Cervellati

Geraldine Cox ha studiato fisica prima di frequentare la scuola d’arte e, dal 2011, è “artista residente” presso il dipartimento di fisica dell’Imperial College di Londra. Geraldine lavora anche con fisici al di fuori dell’Imperial College.

Figura 1. Geraldine Cox, artista e fisico

Gran parte del suo lavoro avviene al di fuori del suo studio, nelle conversazioni quotidiane.

Durante la pandemia, ha incontrato scienziati nell’Hyde Park di Londra invece che nei loro laboratori. Il suo studio, nel retro del suo giardino, è dove crea arte o pensa a quello che ha realizzato. Conserva i quadri completati in grandi rotoli, come quelli che si vedono in figura 2.

Figura 2. Geraldine Cox nel suo studio. Credit: Nature

Sul muro ha montato la poesia I Dwell in Possibility[1], di Emily Dickinson[2]. L’ambizione espressa in questa poesia la ispira. Il suo lavoro è ricco e denso, con molteplici significati (figura 3).

Esempi di dipinti di Geraldine Cox. A sinistra: “Universo”, a destra “Magenta Sun”

Lavora con diversi gruppi di ricerca, usa l’arte per fare domande e ricevere risposte, ad esempio come conciliare l’aspetto ondulatorio della luce e il suo comportamento simile a particelle (fig. 4).

Figura 4. Particolare del dipinto sul dualismo ondulatorio-corpuscolare della luce

Attualmente sta creando un libro di disegni a matita per illustrare un esperimento che è stato realizzato per ottenere molecole super fredde.

Sta anche lavorando a una serie di grandi dipinti su un famoso esperimento, detto le fessure di Young, in cui la luce viene divisa in due raggi che percorrono strade diverse, quando quei raggi si incontrano e colpiscono uno schermo, interferiscono tra loro, producendo alternativamente figure brillanti e scure. Sta eseguendo il rendering di una versione di un esperimento che coinvolge anche le particelle della materia.

Nei suoi quadri, rappresenta i modelli di luce e materia con triangoli e semicerchi.

Alcuni di questi dipinti appariranno sul fascicolo di marzo della rivista Physics Today.

Durante la pandemia, ha sviluppato programmi arte-scienza on-line per bambini. In uno di loro, i bambini usano spettroscopi per osservare i “codici a barre” della luce, unici per diversi elementi chimici.

Nel 2020 Geraldine Cox, ha vinto il Gemant Award[3] dell’American Institute of Physics.

Tutto il suo lavoro è guidato dalla curiosità, sempre accompagnato da domande, proprio come nella scienza.

Bibliografia

A. Dance, Where I work. Geraldine Cox., Nature, 2021, 590, 520.

https://www.findingpatterns.info/pictures

https://www.imperial.ac.uk/news/202673/imperial-artist-wins-award-combining-physics/

NdP abbiamo già citato una volta una poesia di Emily Dickinson in questo post: https://ilblogdellasci.wordpress.com/2013/02/04/tonio-le-api-e-la-chimica/


[1] I dwell in Possibility A fairer House than Prose More numerous of Windows Superior for Doors/Of Chambers as the Cedars Impregnable of Eye And for an Everlasting Roof The Gambrels of the Sky/Of Visitors—the fairest For Occupation This−The spreading wide of narrow Hands To gather Paradise*

La traduzione italiana di Margherita Guidacci

Io vivo nella Possibilità,
una casa più bella della Prosa,
di finestre più adorna,
e più superba nelle sue porte.

Ha stanze simili a cedri,
impenetrabili allo sguardo,
e per tetto la volta
perenne del cielo.

L’allietano visite dolcissime.
E la mia vita è questa:
allargare le mie piccole mani
per accogliervi il Paradiso

[2] Emily Elizabeth Dickinson nota come Emily Dickinson (1830-1886) è stata una poetessa statunitense, considerata tra i maggiori lirici moderni.

[3] L’Andrew Gemant Award viene assegnato ogni anno dall’American Institute of Physics a persone che hanno dato un contributo significativo alla dimensione culturale, artistica o umanistica della fisica.