Claudio Della Volpe
Riassunto. Le reazioni chimiche producono non solo nuovi materiali ma possono assorbire o cedere calore e questo si può sfruttare a vari scopi; per esempio bruciare la legna produce calore (e luce), ma anche la formazione della ruggine dal ferro produce calore, e anche parecchio. Questa reazione di “arrugginimento” viene sfruttata in un prodotto che serve a ridurre, mediante il calore, il dolore causato da alcuni disturbi reumatici. L’articolo spiega in dettaglio a cosa servono i vari componenti del “cerotto” autoriscaldante.
In questi giorni c’è una forte campagna pubblicitaria per un prodotto che promette di risolvere i dolori reumatici senza l’uso di sostanze anti-infiammatorie ma col solo calore.
Il marchio pubblicitario (e il brevetto) di questi “cerotti” riscaldanti (più propriamente dispositvi medici autoriscaldanti o fasce autoriscaldanti ) usa e getta è stato inventato attorno al 2000 da Procter & Gamble, che lo ha poi venduto a Wyeth nel 2008. Dopo la fusione fra questa ultima, Pfizer e GlaxoSmithKline (2009) il marchio è stato infine venduto nel 2020 ad Angelini, una azienda italiana di cui abbiamo anche parlato altrove.

Ovviamente ci si può porre due tipi di questioni a riguardo; la prima è se il prodotto funziona e l’altra: come funziona?
Un po’ di informazioni le trovate su wikipedia oppure qua, un sito del produttore e poi vi citerò durante il post o in fondo una serie di lavori sui vari aspetti medici o chimici.
Ci sono due strategie “termiche”; una legata all’uso di pomate al mentolo che dà una sensazione di raffreddamento e l’altra invece questa del riscaldamento; un confronto puramente termico e circolatorio è fatto in questo lavoro.
Invece analisi dettagliate dell’efficacia del metodo sono riportate nei lavori citati in fondo.
Il risultato è che nei dolori lievi il metodo è più veloce ma col tempo potrebbe perdere efficacia rispetto al trattamento tradizionale. L’uso di questi “cerotti” o pomate fa cambiare la temperatura del corpo per qualche centimetro e stimola una più intensa o meno intensa circolazione del sangue.
Da sperimentare direi, per chi ha il mal di schiena. Comunque questo non è un blog di medicina, e confesso che sono più incuriosito dal meccanismo di funzionamento del prodotto; come si fa ad ottenere un aumento controllato e duraturo di temperatura tramite una reazione chimica? E quale reazione si usa?
Questo è il nostro terreno.
Il prodotto si presenta come una fascia di diversa geometria che contiene delle cellette con all’interno una miscela soffice che viene attivata con uno strappo che consente l’ingresso di aria e l’inizio di una reazione chimica, ragionevolmente di ossidazione.
Secondo le informazioni, che si trovano sulle FAQ del sito già citato, la composizione è la seguente e il ruolo dei materiali è scritto a fianco:
Il ferro reagisce con l’ossigeno nell’aria per fornire calore. Questo processo è chiamato ossidazione del ferro (in pratica si forma la ruggine!).
• Il cloruro di sodio (sale) accelera la velocità di reazione tra ferro e ossigeno.
• Il tiosolfato di sodio controlla la generazione di idrogeno.
• L’acqua è necessaria anche per la reazione di ossidazione del ferro.
• Il carbone di legna permette alla polvere di ferro di avere una superficie di reazione all’interno dei dischi termici. La superficie di questo carbone è stata trattata (attivata) per avere proprietà speciali.
• Il poliacrilato di sodio controlla il livello di acqua presente nelle celle termiche.
Commentiamo un po’ questa descrizione che è (a mio parere) abbastanza precisa, eccetto che in un caso.
Anzitutto il funzionamento. Si tolgono delle linguette adesive e la penetrazione dell’aria inizia la reazione; questo è un metodo che si usa anche per le batterie zinco-aria primarie dei dispositivi acustici; l’aria contiene un 21% di ossigeno che è un reattivo potente, veloce e gratuito e lo trovate dappertutto. Questo è confermato da un problema che si può verificare in circostanze inusuali, ossia se usate questo dispositivo in un ambiente ad alta pressione di aria o addirittura ad alta concentrazione di ossigeno, la cosiddetta condizione iperbarica, a volte usata in determinati disturbi.

Nella tabella vedete che la reazione con l’ossigeno si sviluppa in modo più potente se la pressione atmosferica aumenta o se la pressione parziale di ossigeno aumenta portando ad un incremento di temperatura molto elevato e potenzialmente pericoloso.
Il confronto è fatto fra tre tipi diversi di fasce riscaldanti che a questo punto sono da non usare (ma era ovvio) in queste condizioni; altre condizioni di rischio sono l’uso su soggetti anziani o particolarmente sensibili dove l’uso prolungato è controindicato.
Vediamo meglio cosa succede quando il ferro si ossida; la reazione è esotermica, fortemente esotermica, ne abbiamo parlato a proposito della pietra focaia e della produzione di scintille per accendere il fuoco. In quel caso l’innesco è meccanico, la formazione di una superficie di ferro puro calda, a causa della rottura istantanea, innesca una veloce reazione che si autosostenta e che produce luce e calore.
La entalpia di ossidazione del ferro è enorme: 824kJ/mole!! Produce in condizioni diverse le scintille che abbiamo usato per secoli per accendere il fuoco e anche il calore di questa fascia riscakldante.
Ma come avviene questa reazione nell’ambiente interno al dispositivo? Servono ossigeno ed acqua; possiamo usare la descrizione che ne fa Zanichelli in un bel testo per la scuola che trovate qua. Nella figura 1 è schematizzato il processo elettrochimico di ossidazione le cui reazioni sono diverse da quelle che avvengono nel caso delle scintille, anche se stati iniziali e finali sono gli stessi.

Vedete che serve l’acqua che normalmente è trattenuta nel poliacrilato di sodio; si forma una pila: il ferro si ossida a spese dell’ossigeno disciolto che si riduce e viaggia come ione idrossido verso un lato della superficie del metallo dove si accumula la ruggine; l’ossigeno si scioglie in acqua in ragione di alcuni milligrammi per litro in funzione di temperatura e pressione; (è quello che i pesci usano per respirare). Per capire meglio cosa succede si può fare un semplice esperimento schematizzato in figura 2; si prendono due provette con un chiodo di ferro o acciaio dentro, in una (a sinistra) si mette dell’acqua distillata e “disaerata”, ossia privata dell’aria disciolta (o tramite una pompa a vuoto o tramite bollitura) e nell’altra (a destra) dell’acqua non disaerata; si copre la superficie con olio per impedire all’ossigeno esterno di entrare e si aspetta. Si vede velocemente che in quella di sinistra non succede nulla mentre in quella di destra il chiodo si arrugginisce.

La provetta a sinistra rappresenta lo stato della cella del nostro prodotto prima di aprirla e la seconda dopo averla aperta. Dunque questa è la reazione che avviene; la temperatura sale velocemente e rimane alta durante la reazione che è catalizzata dalla presenza di carbone attivo, una superficie catalitica comunemente usata in molte altre occasioni grazie alla sua potenza catalitica, legata soprattutto alla conducibilità termica ed elettrica e alla elevata area superficiale (fino a 1500m2/g). Il carbone “attivo”, spesso usato come adsorbente intestinale, è carbone di legna dotato di struttura altamente porosa ed attivato chimicamente disidratando la superficie tramite acido fosforico o cloruro di zinco.
A cosa serve il sale? Il sale serve ad aumentare la conducibilità della soluzione di figura 1 in modo da trasferire le cariche più velocemente; in questo senso il sale accelera la reazione complessiva, anche se non è un tradizionale catalizzatore.
Rimane da capire a cosa serva il tiosolfato. Il tiosolfato, che vedete in figura, Na2S2O3,

contiene lo zolfo a numero di ossidazione +2 ed il suo ruolo nella ossidazione o nella corrosione del ferro e dell’acciaio è stato ripetutamente discusso; potete leggere una review in italiano .
Nelle FAQ del prodotto (citate prima) è scritto che il suo ruolo è di bloccare lo sviluppo di idrogeno; leggendo la letteratura potete però trovare un ruolo più chiaro per questo prodotto che è descritto qui:
Il tiosolfato di sodio agisce da “spazzino” di ossigeno (scavenger). Gli scavenger di ossigeno sono agenti riducenti in quanto rimuovono l'ossigeno disciolto dall'acqua riducendo l'ossigeno molecolare a composti in cui l'ossigeno appare nello stato di ossidazione inferiore, cioè -2. L'ossigeno ridotto si combina quindi con un atomo, una molecola o uno ione accettore per formare un composto contenente ossigeno. L'agente riducente, per essere idoneo come deossigenatore, deve avere un calore esotermico di reazione con l'ossigeno e deve avere una ragionevole reattività a temperature più basse.
In sostanza, come scritto prima, il tiosolfato serve ad impedire che l’ossigeno penetrato in anticipo nella cella di reazione svolga il suo ruolo; è una sorta di aiuto per mantenere attivo il tutto, mentre la cella è chiusa, ma casomai non completamente sigillata. Garantisce il funzionamento della cella termica anche in presenza di inevitabili piccole perdite. Ecco su questo non sono d’accordo con la descrizione delle FAQ.
Ultima nota: ci sono rischi nell’uso di questo prodotto? Prima ho scritto che può essere dannoso se usato troppo a lungo in soggetti deboli ed anziani; è da dire che nel 2018 c’è stata una segnalazione di problemi di questo tipo che potete leggere qui.
Ma ovviamente si tratta di rischi minimi e legati o ad un difetto di produzione o ad un uso erroneo; in genere direi che la temperatura raggiunta non è superiore a quella di un bagno caldo.
Infine essendo un prodotto usa e getta come si smaltisce? Alla fine avrete una piccola quantità di sostanze: ruggine, carbone, acqua, poliacrilato e un residuo di tiosolfato, tutto dentro un contenitore di plastica; secondo il produttore si può smaltire nel residuo; è comunque fatto di plastica; ci sarebbe da approfondire meglio che fine fa il tutto.
La termochimica “farmacologica” non si ferma qui; in futuro analizzeremo altre sue applicazioni, casomai nel campo del freddo.
Lavori da consultare:
https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.3810/psm.2014.11.2090