Storia della chimica al femminile

Rinaldo Cervellati

Lo scorso 13 aprile, su Chemistry World (newsletter della Royal Society of Chemistry), Vanessa Seifert, ricercatrice in filosofia della scienza, ha scritto un breve saggio su questo argomento[1] che qui traduco adattandolo.

Figura 1. Vanessa Seifert

Il saggio inizia affermando che il primo chimico nella storia è stata Tappūtī-bēlat-ekalle, donna a capo di un gruppo di profumiere nell’antica Assiria, intorno al 1200 a.C. Sono state infatti scoperte tavolette con le sue ricette di profumi che descrivono, tra le altre cose, come effettuare processi chimici di base, tipo l’estrazione a caldo e la filtrazione [1].

Figura 2. Copertina del libro citato in [1]

Ricordando il giorno della donna nella scienza, quali sarebbero i modi sfaccettati in cui questa giornata possa promuovere l’uguaglianza delle donne, specialmente nell’ambito della chimica? Ricordare le storie di donne come Tappūtī-bēlat-ekalle aiuta a chiarire il fatto che i loro contributi alla chimica sono stati costantemente trascurati. La semplice informazione al pubblico su questi dettagli storici è preziosa in quanto ci aiuta a rivedere i nostri preconcetti sulla presenza delle donne nella chimica. Tuttavia, rivela anche un altro problema: perché tali dettagli non sono stati incorporati nella storia della chimica e nei libri di testo per l’insegnamento? A sua volta, questo fa sorgere un’altra domanda. Su quali basi riconoscere attori specifici nella ricostruzione storica di una scienza? C’è una buona ragione per cui Robert Boyle è celebrato come il “padre della chimica”, mentre Tappūtī-bēlat-ekalle è ampiamente trascurata?

Tali domande non hanno una risposta semplice in quanto richiedono la definizione dei criteri con cui identifichiamo qualcuno come storicamente importante. Ad esempio, è sufficiente la scoperta di un nuovo fatto chimico? È necessario ricoprire una posizione accademica o di ricerca in un’istituzione consolidata o produrre una quantità sostanziale di pubblicazioni molto citate? I premi Nobel o altri riconoscimenti prestigiosi sono buoni indicatori? Oppure è necessario essere attivi nella propria comunità scientifica, prendere parte a conferenze internazionali, redigere o recensire riviste scientifiche, acquisire fondi e così via?

Più andiamo indietro nella storia della chimica, più è difficile applicare tali criteri. Tuttavia, anche nei casi in cui possono essere applicati, vediamo che il ruolo delle donne nella chimica non è riconosciuto allo stesso modo di quello degli uomini. Ci sono diversi esempi di donne che hanno contribuito alla ricerca scientifica ma non sono state riconosciute in quanto i loro mariti o supervisori si sono presi il merito. Marie Lavoisier è un esempio calzante. Ci sono altre che, nonostante il loro lavoro, non hanno acquisito una posizione accademica, o a cui sono stati offerti solo incarichi amministrativi o di segreteria o hanno ricevuto una retribuzione inferiore rispetto ai loro colleghi. La biochimica Gerty Cori ne è un esempio: le università volevano solo assumere suo marito Carl, nonostante lavorassero insieme e avessero ottenuto insieme un premio Nobel. Alla fine si stabilirono nella Washington University School of Medicine, che offrì a suo marito la cattedra di farmacologia e a lei il ruolo di assistente di ricerca. Inoltre, ci sono casi di plagio (l’esperienza di Rosalind Franklin ne è un esempio tipico) in cui pubblicazioni o risultati di ricerche sono stati attribuiti a figure che detenevano posizioni di potere più elevate.

Tali storie ci aiutano a capire i modi precisi in cui le donne (e altri gruppi di persone sottorappresentati) sono stati trascurati o esclusi dalla pratica scientifica. In generale, questa discussione fa parte della cosiddetta “critica della scienza” che viene perseguita all’interno della storia femminista e della filosofia della scienza. Questo campo è stato istituito intorno agli anni ’70 e illumina i diversi modi in cui le donne (e di conseguenza altri gruppi minoritari) sono state costantemente sottovalutate all’interno della scienza. Ciò include l’esame dei modi in cui la scienza mantiene i pregiudizi sessisti nelle sue teorie e pratiche, nonché i modi in cui viene invocata per stabilire l’inferiorità delle donne.

Le cose non vanno così male come tempo fa, tuttavia, la pratica scientifica è ancora strutturata in modo tale da escludere in pratica le donne dalla scienza. Ad esempio, la moda esistente di determinare il successo accademico in termini di h-index (che misura il numero di citazioni per pubblicazione) indebolisce molte donne, in particolare le madri, nella loro ascesa a posizioni accademiche più elevate. Questo perché le donne sono più propense degli uomini a prendere delle interruzioni professionali per motivi come il congedo di maternità, con conseguenti h-index più bassi [2].

Da tutto ciò non si deve dedurre che l’intera storia della chimica così come è presentata nella sua forma attuale sia completamente fuorviante o falsa. L’obiettivo è contribuire a una storia più equilibrata ed equa e superare i pregiudizi esistenti nei confronti di gruppi di persone sottorappresentati. Che ci piaccia o no, è ancora difficile lavorare come chimico per una donna, una persona di colore o una persona LGBTQ+. Ricordare le donne nella storia della chimica ogni marzo è una preziosa opportunità per riconoscere e superare questo problema, non solo a beneficio di questi gruppi sottorappresentati, ma anche a vantaggio della chimica stessa. Dopotutto, come disse una volta James Clerk Maxwell, “…in Science, it is when we take some interest in the great discoverers and their lives that it becomes endurable, and only when we begin to trace the development of ideas that it becomes fascinating” (nella scienza, è quando ci interessiamo ai grandi scopritori e alle loro vite che diventa sopportabile, e solo quando iniziamo a tracciare lo sviluppo delle idee che diventa affascinante) [3].

Desidero infine ricordare che recentemente ho pubblicato un libro con le biografie di più di 40 donne (dalla metà del XIX al XX secolo) che hanno dato contributi fondamentali alle scienze chimiche, dal titolo Chimica al femminile, Aracne, Roma 2019.

Bibliografia

[1] H. Wills, S. Harrison, E. Jones, F. Lawrence-Mackey, and R. Martin, eds. Women in the History of Science: A Sourcebook. UCL Press, 2023. https://doi.org/10.2307/j.ctv2w61bc7

oppure

https://discovery.ucl.ac.uk/id/eprint/10165716/

il libro è disponibile in licenza Creative Commons

[2] A. R. Larson, JAMA Netw Open, 2021, 4, e2112877

DOI: 10.1001/jamanetworkopen.2021.12877)

[3] J Read, Through alchemy to chemistry: A procession of ideas and personalities. London: G. Bell and Sons ldt, 1957, p. xiii


[1] V. Seifert, Chemistry’s history through the feminist lens, Chemistry World, 13 April 2003.

Chimica, etica, Africa

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Oggi voglio parlarvi di una mia recente esperienza, delle prospettive che mi ha aperto e di quanto la chimica abbia pesato.

Essendo stato chair del Gruppo di Lavoro sull’Etica della Chimica di Euchems, la Federazione Europea delle Società Chimiche, ho guidato insieme ad Hartmut Frank il programma di formazione sul tema basato sostanzialmente sull’insegnamento del Syllabus di Etica della Chimica approntato dal Gruppo sotto il coordinamento di Ian Mehlic. Ognuno dei Paesi presenti in Euchems era invitato a prevedere una fase sperimentale di insegnamento del Syllabus a livello opzionale di corso di laurea o di Dottorato o di Scuola di Specializzazione.

La Società Chimica Italiana diede seguito all’impegno coinvolgendo le università Federico II di Napoli e Sapienza di Roma e me stesso come docente. Su richiesta di alcuni chimici europei dopo quella prima esperienza mi fu proposto di ripetere gli 8 seminari che ne avevano segnato il contenuto ma questa volta in inglese. Il nuovo ciclo comunicato da Euchems fu seguito da 15 studenti di differenti Paesi. Evidentemente la diffusione scavalcò i confini del Mediterraneo: infatti ricevetti una richiesta di aprire il corso a 13 studenti di Chimica di differenti università africane. La nuova esperienza è stata fantastica. Discutere di brevetti, di responsabilità oggettiva, di open science, di sperimentazione animale con questi ragazzi è stato bellissimo e stimolante portandomi a confermare quanto penso da molto tempo: a volte al posto degli aiuti economici questi Paesi avrebbero bisogno  di formazione tecnico-scientifica, di educazione sociale. Dopo la conclusione del corso nel recente maggio francamente incuriosito da tanto interesse per un tema che mi sembrava lontano per Paesi a cui mancavano elementari risorse di vita, ho cominciato a documentarmi su quanto si faccia in Africa in tema di Scienza per l’uomo e di Etica.

Ho così scoperto che esiste il Don Bosco Tech Africa che coordina 107, dico 107, Centri di istruzione e formazione tecnico professionale, attivo in 34 paesi africani subsahariani con un’utenza di 35000 giovani. Opera sostenendo una gestione efficiente delle risorse e promuovendo un’educazione mirata allo sviluppo delle competenze di ogni giovane iscritto. Richiesti circa i maggiori interessi disciplinari di questa utenza fa impressione trovare la chimica fra i primi: siamo abituati a vederla citare per la complessità, in questa occasione è invece la convinzione di aiutare la propria comunità a spingere verso la chimica, rimarcando anche in quella società diversa dalla nostra europea, lo stretto collegamento fra chimica ed economia.

Collegato a questo progetto e l’altro Jinserjeune, un’app informatica dedicata alla misura del tasso di integrazione professionale nei sistemi internazionali di istruzione tecnico-scientifica dalla quale risulta che fra le materie ponte la chimica attrae particolarmente i più giovani. Parlando di questo dimenticavo di farvi notare quanto mi ha particolarmente sorpreso: in questo tipo di attività i Paesi africani, pure nella loro povertà, investono convinti di quanto sia vitale per una prospettiva futura migliore della contingenza. L’ambiente e al centro di questi progetti. In quei 107 Centri di cui sopra sono stati creati 17 Green Club i cui membri si impegnano in seminari formativi e tavole rotonde, in diffusione della bibliografia scientifica di settore, in campagne di sensibilizzazione, in eventi celebrativi come le Giornate dell’ambiente. Per agevolare queste azioni è stata sviluppata una piattaforma di e-learning per garantire un accesso alla formazione da remoto. Ho partecipato a qualcuno di questi incontri e vi posso assicurare che le domande che venivano poste confermano la qualità intellettuale di quelle popolazioni.

Vi riporto alcuni esempi di domande che mi sono state poste:

Cosa si intende quando si parla di flexible-chemistry?

Perché non ci avete mai parlato di Intelligenza Artificiale?

Che vogliono dire le 2 facce dell’ozono?

Il mio invito conclusivo è per un impegno dei Chimici verso i Paesi Africani: è un terreno fertile che offre soddisfazioni sociali ed etiche, oltre alla convinzione di stare facendo qualcosa in favore di un’alternativa alla polarizzazione planetaria fra nuove povertà e nuove ricchezze, fra paesi in via di sviluppo e Paesi industrializzati, fra demografie emergenti e  demografie sempre più immerse, fra emigranti ed immigranti. La nostra disciplina con i diritti dell’uomo al suo centro, ambiente, salute, alimentazione può fare di più di quanto noi stessi pensiamo.

Colleghi inaspettati.

Mauro Icardi

Molto spesso su questo blog abbiamo scritto, e ci siamo decisamente rammaricati, di come la chimica sia, tra le discipline scientifiche quella che troppo spesso viene, in maniera molto superficiale, vista come la causa di molti se non di tutti i mali. Non è sempre facile superare le etichette ed i luoghi comuni, quando diventano patrimonio comune. Credo a questo proposito di saperne qualcosa. Come persona che predilige per i propri spostamenti la bicicletta e i mezzi pubblici spesso mi trovo a dover intavolare discussioni che rischiano di diventare a volte molto faticose.

Eppure la chimica, che ha avuto tra i suoi narratori migliori Primo Levi, è riuscita in qualche modo ad affascinare altri personaggi più o meno famosi a cui possiamo fare ricorso per cercare di combattere questa percezione negativa che si porta dietro, quasi come un fardello.

Sempre Levi quando doveva spiegare come si conciliasse il suo lavoro di chimico con quello di scrittore, si riferiva al linguaggio delle nozioni di chimica come un grande patrimonio di metafore e termini, che si potevano utilizzare anche in altri campi ed ambiti.

Ecco allora che il primo nome che mi viene in mente è quello di Johann Wolfgang von Goethe.

Nel suo quarto romanzo “Le affinità elettive”( 1809) Goethe utilizza gli argomenti dell’affinità chimica (da cui il titolo) come metafora delle relazioni interpersonali, narrando l’attrazione tra quattro personaggi che, non vogliono rinunciare ai loro legami reciproci, pur sentendosi attirati verso altre scelte dal punto di vista sentimentale. Significativo che Goethe utilizzi questo artificio narrativo ispirato dagli studi studi del chimico svedese Torber Olof Bergman che nel 1775 pubblicò “Una dissertazione sulle attrazioni elettive”

Un’altra persona che non è rimasta insensibile al fascino della chimica, anzi ha dichiarato di esserne sempre stato attratto è Jorge Mario Bergoglio ovvero Papa Francesco.

L’attuale Pontefice ha frequentato un istituto tecnico ad indirizzo chimico diplomandosi come perito, ha lavorato in Laboratorio ed ha insegnato chimica per qualche tempo. Nella recente intervista rilasciata nella trasmissione “Che tempo che fa” ha utilizzato per definire la sua passione per lo studio della chimica addirittura il termine seduzione. La chimica affascina quindi, e in qualche modo l’appartenenza del pontefice ad un ordine come quello dei gesuiti forse può aver rafforzato questa passione.

Anche l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel che inizialmente consegui la laurea in fisica, successivamente lavorò all’istituto centrale per la chimica fisica dell’accademia delle scienze di Berlino, conseguendo poi il dottorato con una tesi di chimica quantistica.

 Chimica-fisica e chimica quantistica sono il presente ed il futuro della chimica, dal punto di vista teorico e da quello applicativo. Forse è questa la ragione che spinse l’ex politica tedesca ad intraprendere questo tipo di percorso formativo. Per altro in un paese che ha una grande tradizione (nel bene e nel male) nel campo. Basti pensare ai nomi di Fritz Haber e di Carl Bosh. Il primo ricordato per la sintesi dell’ammoniaca, il secondo per quella del metanolo.

  Un altro leader politico molto conosciuto ovvero Margaret Thatcher prima di diventare avvocato si laureò in chimica al Sommerville College dell’università di Oxford, e trovò lavoro come ricercatrice chimica presso la BX plastic. Successivamente si laureò in Giurisprudenza per intraprendere la carriera politica. Ma ebbe una significativa esperienza di lavoro nell’ambito della chimica industriale.

Bud Spencer invece si iscrisse al corso di laurea in chimica alla Sapienza di Roma dopo aver terminato gli studi al liceo, nel 1946. Le vicende legate al lavoro del padre lo costrinsero ad abbandonare gli studi.

Certo rimane una certa curiosità nell’immaginare un uomo con una corporatura imponente come la sua, muoversi agevolmente in un laboratorio chimico.

Rimanendo in ambito cinematografico, anche un famoso regista di origine italiana come Frank Capra, conseguì nel 1918 una laurea in ingegneria chimica presso il Throop Institute (futuro California Institute of Technology).

Sempre in ambito cinematografico un attore conosciuto per il ruolo di Ivan Drago nel film Rocky IV cioè Dolph Lundgren ha conseguito una laurea in chimica presso l’istituto reale di tecnologia di Stoccolma.

La Svezia e le sue istituzioni universitarie, non solo Stoccolma ma anche Uppsala hanno radicate e fiorenti tradizioni accademiche legate alla chimica. Ma anche per questo attore valgono le considerazioni già espresse per Bud Spencer!

 Questo è ovviamente un elenco non esaustivo. Anche altre due personalità dello spettacolo come l’attore Paolo Rossi, (diplomato perito chimico), il cantante Alex Baroni hanno affrontato lo studio della chimica.

Se si riesce a capirne la bellezza, se si è curiosi e attenti la chimica può dare davvero molto. Anche se questi personaggi sono diventati famosi svolgendo altre attività, il richiamo di questa disciplina li ha sicuramente incuriositi. E credo anche in qualche modo aiutati nello svolgere le loro nuove attività in maniera positiva.

Covid: ancora chimica e medicina.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Più volte mi sono soffermato sugli insegnamenti del Covid-19 che non sempre sono stati colti completamente, ma che certamente hanno aperto alla nostra vita prospettive nuove sia rispetto ad alcuni valori sia rispetto alle tecnologie che ci ha obbligato a sviluppare e sfruttare.

Una di queste è di certo collegata alla possibilità di respirare aria pulita in casa e per strada. Il punto di partenza di questa tecnologia è proprio la mascherina Ffp2 che abbiamo indossato con continuità per tanti mesi: sul mercato sta per arrivare una cuffia bluetooth con filtro analogo a quello delle mascherine, capace di cancellare il rumore e con una visiera applicata che fornisce aria purificata alla bocca ed al naso. Gli studi su questo progetto sono iniziati ben prima del Covid per proteggere soprattutto da ossidi di azoto, allergeni e particolato atmosferico. Durante la pandemia l’aria esterna era di migliore qualità, ma oggi stiamo tornando alla situazione precedente.

L ‘aria viene aspirata e purificata mediante un ventilatore e filtri HEPA (microfibre alternate ad alluminio e a carbone attivo fino al 99% delle particelle di 0,1 micron). Mediante un’ app il monitoraggio può avvenire anche da remoto. Il sistema si presta assai bene anche per l’atmosfera interna spesso inquinata da prodotti della frittura o della cottura, da peli di animali domestici, da prodotti della pulizia domestica

Un altro insegnamento del Covid ci viene dal Dipartimento di Salute Pubblica di San Francisco che ha creato il Covid hospital data depository (CHDR). Si tratta di un database che unisce i pazienti sulla base del livello di gravità della malattia e di tutta una serie di informazioni su di essi realizzando per ognuno quello che viene chiamato il documento di conoscenza, che sostituiva il precedente foglio elettronico definito provocatoriamente di fantasia in quanto privo dei dati essenziali al suo sfruttamento.

Purtroppo è mancata in questa prima applicazione l’automazione della gestione per cui i dati venivano postati manualmente dal personale del Dipartimento. Questa situazione é stata superata grazie all’impegno del Direttore Eric Raffin che collaborando con sistemi diversi, attivi nella medicina del territorio locale, è riuscito a centralizzare una buona parte dei dati informativi compresi risultati di analisi cliniche, diagnosi, demografia dei pazienti, lunghezza della degenza in.ospedale, terapia adottata.

Attenzione è stata posta anche alla qualità dei dati centralizzati al fine di poterli considerare fruibili. A tal fine è stata realizzata una scala di attendibilità delle fonti che potesse aiutare a generare indici di accuratezza. Il CHDR è oggi un prezioso strumento che consente di prevenire e curare individuando situazioni mediche e sociali più esposte al Covid-19. La gestione del sistema consente alla medicina del territorio interventi preliminari che evitino il sovraffollamento delle strutture ospedaliere confinandole soltanto ai casi di vero pericolo. Anche su questo progetto la Chimica dà il suo contributo: andando a verificare nel data base la natura dei dati immagazzinati ci si rende conto del loro prevalente carattere chimico. Questa esperienza dimostra ancora una volta come in una visione olistica della scienza i periodi storici siano caratterizzati da apparentamenti: quello più significativo nell’era del Covid-19 è senz’altro fra chimica e medicina.

L’alchimia: dal potere della parola alla nascita della chimica

Enrica Gianotti* e Aharon Quincoces**

Questo lungo periodo di confinamento ci ha dato l’opportunità di riflettere su alcuni argomenti che collegano diversi campi del sapere. E così che ci siamo posti una domanda, qual è la relazione tra scienza e lingua? È una domanda nata dalla rilettura del romanzo, Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Márquez: “Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquíades, diede una truculenta dimostrazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia” e poco più avanti “Esplorò la regione palmo a palmo, compreso sul fondo del fiume, trascinando i due lingotti di ferro e recitando ad alta voce l’esorcismo di Melquíades” [1].

La figura dell’alchimista spicca tra le righe legando scienza e parole. Potremmo pensare che si tratti di una risorsa narrativa, tuttavia l’alchimia e l’alchimista furono, nei tempi, proprio il legame tra parola e scienza in nuce. Furono un ponte e segnarono il passaggio tra due visioni del mondo che avevano come materiali di partenza l’uomo e la materia e le reciproche relazioni.

Ma prima di andare oltre dobbiamo fare alcuni passi indietro, in senso storico e cronologico.

Alchimia come protoscienza

Antiche sono le radici dell’alchimia, che possiamo rintracciare nel lontano VI millennio a. C.[2,3]. Un periodo in cui la manipolazione della materia, specialmente nella metallurgia, supponeva, per così dire, una chimica inconsapevole. Non sappiamo di certo come avveniva la trasmissione di un sapere che con ogni probabilità era basato sul fare e sulla ripetizione delle azioni: possiamo ipotizzare ragionevolmente che si trattasse di una trasmissione orale, poiché non abbiamo testi superstiti che diano prova di altro.

Non li abbiamo fino al periodo ellenistico in Egitto (dal 334 a. C.), quella terra che aveva affascinato i greci come culla di saperi segreti. L’Egitto è terra di convivenza tra religioni e saperi diversi, visioni cosmologiche divergenti che trovano il modo di convergere in sintesi. Egitto è anche terra di nascita della medicina e di una visione magica della realtà. Dalla mummificazione ai papiri magici, dalla religione politeista ai nuclei monoteisti del giudaismo passando dalle teorie platoniche e neoplatoniche, Egitto è la terra dell’alchimia. Con questa affermazione non dimentichiamo altre tradizioni alchimiche, cioè basate sulla manipolazione della materia in un stato pre-scientifico, come ad esempio in Cina, ma è la base per la sua diffusione come disciplina in Europa e Medio Oriente.

In Egitto si evolve questa prima consapevolezza pre-scientifica sulla manipolazione della materia in ambito metallurgico e medico, fatto che si può leggere nei primi testi nell’arco che va dal I al IV secolo d.C. Potremo dire che è la prima testimonianza del nesso tra materia e parola; anche se certamente vi è stato un legame con l’oralità, è la parola scritta quella che sancisce un nesso stabile e quasi eterno.

Parola e materia

Proprio dalla commistione tra incipiente ricerca di una più o meno consapevole manipolazione della materia e la sfera ideale rappresentata dall’incrocio tra magia, mistica e filosofia nasce il contatto tra materia e parola. In questo senso l’importanza dei testi veterotestamentari e la mistica che da essi scaturisce risulta determinante, in modo rilevante nell’evoluzione medievale dell’alchimia, fino alla nascita della chimica vera è propria [4].

È importante il nesso tra i concetti ideali di trasformazione della realtà e il potere della parola per capire la nascita e l’impatto dell’alchimia. Infatti la ricerca della trasformazione della materia, nel caso della trasformazione del piombo in oro, o della creazione attraverso la materia, come nel caso della ricerca dell’elisir di lunga vita, non è concepibile senza il nesso con il potere della parola: sono le parole quelle che danno carta d’identità alle cose; il mondo è quando è nominato. Tale è questo potere che le parole non finiscono o nel loro significato immediato, nascondono altri che a loro volta nascondono le chiavi della trasformazione. Molteplicità dei significati e ordine delle parole sono determinanti per scoprire la natura della materia e trasformarla nel senso desiderato: la ri-creazione del mondo avviene nella materia attraverso la potenza delle parole.

Difensore medievale di questa concezione mistica, attraverso le interazioni con la Cabbala [5], è Paracelso, personaggio tardivo ma di grande influenza [6]. Tuttavia è importante segnalare che questa interazione è più presente in ambito cristiano che in quello ebraico, allo stesso modo che prevale l’influenza, mediata, della Cabbala sull’alchimia; interazioni davvero marginali.

Evoluzione dell’alchimia

La perdita del valore propulsivo della parola

Dal XIII secolo a. C. il vincolo di potenza tra parola e trasformazione della materia, sopratutto i metalli, visse anche il progressivo deterioramento che si poteva aspettare dal  numero crescente di insuccessi. L’alchimia acquista maggiore consapevolezza di meccanismi materiali della trasformazione, fatto che determina, correlazione o conseguenza, anche un progressivo depotenziamento della parola. L’allargamento delle osservazioni produsse uno slittamento del quadro complessivo, alterando la prevalenza degli elementi, materia e parola, ma senza rompere ancora il vincolo.

L’alchimista di Pietro Longhi. 1757

Ultimo bastione della potenza della parola sono i colori e la loro relazioni con i metalli, dove i colori sono rappresentanti della caratteristica dei metalli. L’alchimia cerca allora di interpretare la realtà cercando nuovi scenari in cui i metalli (nella fattispecie e in ordine gerarchico verso l’alto, rame, ferro, stagno, piombo, mercurio, argento e oro)  sviluppano una forma gerarchica, pre-scientifica ancora, che rispecchia la struttura gerarchica dei pianeti conosciuti (anche qui in rapporto gerarchico, Venere, Marte, Giove, Saturno, Mercurio, Luna e Sole, questi ultimi pianeti perfetti), in un momento in cui le idee aristoteliche platoniche stanno per subire l’urto di nuove concezioni cosmologiche. Allo stesso tempo, il vincolo con la dimensione mistica del potere della parola è vivo nel rapporto con le emanazioni divine della realtà (7), la cui gerarchia si ordina da minore a maggiore grado di perfezione o avvicinamento alla divinità. Si tratta dunque di un rapporto mediato, interposto, in cui la parola non agisce più in modo diretto, mentre la materia prende forza e s’invola versa una futura, quasi, emancipazione dalla parola. Questa fase è un allineamento dei saperi ancora in una sola sfera o se vogliamo la concezione di un sapere che non è somma di saperi parziali ma un sapere organico che ingloba tutte le forme possibili. La separazione tuttavia è alle porte.

La nascita della chimica, la morte dell’alchimia

Alla fine del XV secolo e inizio del XVI, l’alchimia fece un altro passo in là nella propria evoluzione, vale a dire nella sua dissoluzione come proto-scienza. La chimica, considerata un ramo sussidiario della medicina, acquista autonomia definendo i propri contorni e contenuti. La materia è concepita allora sulla base di nuovi paradigmi. Sono fondamentali la determinazione di quantità, di componenti e di metodi controllati dall’inizio alla fine; così risultano fondativi i lavori, a metà del XVII secolo, di Robert Boyle (1627-1691), con il suo “Il Chimico Scettico” in cui ricusa il concetto greco di elemento e fornisce una nuova definizione di “elemento”  ovvero una sostanza che non si riesce a decomporre in altre sostanze più semplici [7], e di Georg Ernst Stahl (1659-1734) che interpreta la combustione e mette in piedi la teoria del flogisto, che verrà poi confutata successivamente da Antoine-Laurent de Lavoisier (1743-1794).  È un quadro mentale in cui la materia si rende indipendente da ogni vincolo. Della parola resta solo l’ombra, fino a cristallizzare, quest’ombra, in simbolo di ogni elemento così come si presenta oggi la tavola periodica. La rottura è totale. L’alchimia muore partorendo la chimica come sapere a sé. Si conclude così una percorso durato secoli che descriveva il sapere come organico e dipendente da una visione teologica, fino a giungere, attraversando il medioevo e il Rinascimento, al pensiero antropocentrico e all’istituzioni di saperi specifici basati su metodi e definizioni di area di competenza. Le scienze e il mondo della lingua ripercorrono da quel momento vie parallele pur condividendo un metodo di lavoro e una meta condivisa di conoscenza sempre maggiore nei relativi campi disciplinari. Questa separazione, dicevamo, tra parola e materia rappresenta la fine di un rapporto e la morte dell’alchimia. Una morte che dà il via alla nascita della modernità. Ciò nondimeno non suppone la morte della parola e del suo potere. Proprio in questo momento nascono anche movimenti mistici ed esoterici che hanno percorso i secoli e che rimangono vivi ancora oggi.

Bibliografia

[1] G. Garcia Marquez, Cent’anni di Solitudine, Feltrinelli.

[2] Eric J. Holmyard, Storia dell’alchimia, Odoya 2019

[3] S. Califano, Storia della Chimica, Bollati Boringhieri, 2010.

[4] R. Patai, Alchimisti ebrei, Ecig 2020 (originale inglese del 1939)

[5] M. Idel, Cabbalà. Nuove prospettive, Giuntina, 1995

[6] Paracelso, Scritti alchemici e magici, Phoenix, Genova, 1981.

[7] R. Boyle, The Sceptical Chymist, The classic 1661 text, Dover Publications INC., 2003

* Professore Associato di Chimica-Fisica preso l’Università del Piemonte Orientale

Si occupa di progettazione, sintesi e caratterizzazione chimico-fisica delle proprietà di superficie e di interfaccia di materiali inorganici o ibridi organico-inorganici funzionalizzati per varie applicazioni.

**Scrittore e Ph.D in Ebraistica

Si occupa di filologia semitica ed ebraismo . Ma ha anche scritto di filologia
ed  è autore di narrativa letteraria con il romanzo
Bite that Fruit, Ediciones Tolstoyevski, Alicante, 2016.

Scrive in spagnolo ed in italiano. In italiano ha scritto, insieme a Ugo Splendore, un romanzo intitolato Santa Marta. Improvvisazioni di vendetta Creativa, Edizioni Compagine 2018.

 

 

Giorno di ferie

Mauro Icardi

Oggi sono in ferie. Un giorno solo, ma la mia destinazione per trascorrere la giornata è particolare. Me ne vado in biblioteca. Sono sempre stato un topo di biblioteca. Proprio ieri, io Dario ed Emanuele eravamo a fare il nostro solito briefing alla trattoria Campigli. Sono ormai passati quasi sei mesi, da quando abbiamo cominciato a lavorare su un progetto. Forse troppo ambizioso, ma insomma ci crediamo. Ci siamo messi in testa di lavorare sugli inquinanti emergenti. E magari di trovare il modo per eliminarli. O per meglio dire per cercare di ridurne gli effetti nocivi. Dario ed Emanuele sono due amici. In gamba. Sono anni che mi chiamano, per avere consigli e informazioni. Mi chiamano il Professore. Il Professore della depurazione. E la cosa mi fa invariabilmente sorridere. Abbiamo discusso davanti ad un piatto di pasta al pomodoro, e ad un bicchiere di bianco, su quali saranno le nostre prossime mosse. Utilizzare un sistema di ossidazione avanzata. Se l’ossigeno liquido ad alte pressioni, seguito dalla cavitazione idrodinamica non ci darà i risultati sperati, passeremo all’ozono, magari in combinazione col perossido di idrogeno. Insomma l’acqua ossigenata. Loro sono Ingegneri. Io il loro chimico di riferimento. In fondo l’esame di stato per l’iscrizione all’ordine l’ho dato anche per questo. Per fare il consulente. Per approfondire. Per placare le mie inesauste curiosità. Loro qualche anno fa si sono trovati in una situazione critica. Lo studio di Ingegneria che li aveva assunti viveva delle iniziative del titolare e fondatore. Alla sua morte, il figlio li aveva rassicurati: “Niente paura, l’attività la mandiamo avanti, con il vostro aiuto”. Due mesi dopo invece lo stop. Brusco e inaspettato. E nemmeno per una ragione di crisi, finanziaria o di ordinativi. Gli impianti di trattamento di reflui rognosi, come quelli zootecnici o tessili erano disseminati non solo in Italia, ma in buona parte del mondo. Anche nella rampante ed emergente Cina. Ma il figlio e gli altri fratelli avevano semplicemente deciso di dedicarsi al marketing pubblicitario. Emanuele dopo qualche insistenza, ma con molta caparbietà era riuscito a convincere Dario. Lo studio alla fine lo avevano rilevato loro. E piano piano avevano rassicurato i vecchi clienti, che avevano necessità di essere seguiti nella manutenzione e nell’addestramento per la gestione degli impianti installati. Ma non si erano fermati, e ne avevano costruiti e progettati di nuovi. Ormai sono una decina di anni che collaboro con loro. Sono in gamba e se lo meritano.

Io però devo chiarirmi le idee su come eventualmente procedere. Servirebbe un protocollo per le prove sull’impianto pilota, e uno per le analisi da fare. E per questa seconda attività ci serve un laboratorio molto attrezzato. Ed è per questo che voglio andare in biblioteca. A Varese nella sala studio ci sono almeno tre monumentali enciclopedie di chimica industriale. Non sono oggetti di modernariato, come qualcuno potrebbe pensare. Sono invece un tesoro di informazioni preziose. E io ancora provo quella inebriante sensazione che attiene al sentimento, più che alla razionalità, del piacere di sfogliare le pagine di un libro. Di prendere appunti (non sottolineare, ovvio i libri della biblioteca vanno rispettati), e di immergermi nello studio.

Le previsioni meteo mi hanno avvisato. Farà caldo. L’ennesima ondata di caldo africano. Il nuovo che avanza a livello climatico. Oggi non posso usare la bici, seppure a malincuore. Userò il treno che mi è sempre stato amico. Una passione per i mezzi che viaggiano su rotaia che risale all’infanzia. E molti mi prendono benevolmente in giro, citando una battuta di Renato Pozzetto: “Eh, il treno è sempre il treno”. Ma non è un gran tragitto. Sono pochi chilometri, ed in soli sette minuti arrivo a Varese. E l’auto resta a casa. Chi mi conosce bene lo sa. Io cerco di fare la mia parte, come il colibrì della favola che cercava di spegnere l’incendio della foresta con una goccia d’acqua che portava nel becco, mentre tutti gli animali fuggivano dalle fiamme.

Sono davanti all’ingresso della biblioteca in anticipo di quindici minuti. Controllo le mail sullo smartphone. Ho resistito per anni. Non volevo comprarne uno, ero irremovibile. Mi venivano sempre in mente i bambini del Congo infilati in piccoli e terrificanti pozzi, a scavare per estrarre il Coltan. Per permetterci di buttare via il modello funzionante e utilizzabile, ma ormai fuori moda. Ho ceduto le armi perché la banca mi ha volontariamente obbligato a procurarmene uno. Altrimenti mi sarei scordato l’internet banking. Ho borbottato parecchio, ma ho placato i sensi di colpa. Lo smartphone era quello di Alessia, la mia bambina. Vent’anni compiuti da pochissimi, ma è sempre la mia bambina. Lo smartphone è stato riutilizzato. Magari in futuro lo riciclerò. Piccola economia circolare domestica.

Mi sento chiamare: “Signore, scusi signore”. Alzo la testa. Di fronte ho un uomo di mezza età. Nemmeno troppo male in arnese. “Mi offrirebbe un caffè?”. Sono sorpreso, penso di alzarmi e accompagnarlo al bar più vicino, ma cambio idea. Estraggo due euro dal portamonete. Lui li prende, mi ringrazia, e se ne va borbottando. Mi dice che qualcuno glieli ha rifiutati con scortesia. Si chiede perché, forse perché sono persone cattive. Ci penso anche io, forse è vero. Ma non trovo una risposta. Nel frattempo la biblioteca ha aperto le porte. Mi infilo e salgo in sala consultazione.

Non c’è molta gente. Mi siedo in un tavolo d’angolo. L’enciclopedia di chimica industriale, mi assorbe per un paio d’ore. Mi immergo nello studio e mi si crea intorno come una bolla. Non c’è il solito rumore, il solito caos dell’emeroteca, dove alcuni arzilli pensionati ignorano i cartelli che invitano a non disturbare. Discutono di tasse, di calcio, di donne. Come fossero al bar. Sono un gruppo di quattro o cinque frequentatori abituali. Non mi sono mai permesso di dirgli di abbassare il tono di voce. Né io, né gli addetti della biblioteca. Ma in sala consultazione trascorro due ore di pace. Riesco a studiare con profitto. Oggi leggere è complicato. Non si riesce più a farlo in santa pace per esempio nei viaggi in treno. La babele cacofonica delle telefonate insulse lo rende impossibile. Leggere in treno è ormai un’attività piacevole, ma di fatto ormai impossibile. I lettori sono pochi, dispersi nella massa dei messaggiatori compulsivi, e dei chiacchieroni instancabili. Ma qui una strategia per le prossime prove l’ho trovata. Partiremo con l’ossigeno ad alta pressione. Poi con l’ozono, modificando l’impianto pilota e magari recuperando un generatore che lo produca. Si, direi che sono soddisfatto. Anche di aver ripreso in mano i libri che avevo consumato mentre preparavo l’esame per iscrivermi all’Ordine. E la memoria mi porta anche più indietro. Fino a farmi ricordare che ho perso, e che vorrei ritrovare i normografi che usavo per il disegno di impianti chimici. Indimenticabili. Le mitiche mascherine Unichim. Altro che CAD-CAM. Il fascino di disegnare impianti col normografo in pochi lo conoscono. Normografi con i simboli di pompe, serbatoi e valvole. Mi viene quasi la malinconia…

Mi accingo ad uscire, ma varcata la porta il caldo esterno mi mozza quasi il fiato. Siamo a Varese, a pochi metri ci sono i giardini estensi. Ma se chiudessi gli occhi potrei pensare di essere in Africa.

Ho deciso di mangiare nel solito self service, dove vado in pausa pranzo quando lavoro. Ci arrivo in autobus. Il parcheggio è pieno di auto ed è assolato. Ci sono pochi alberi che da anni crescono molto stentatamente. Entro nell’atrio del centro commerciale, mentre ne sta uscendo, piuttosto trafelato un signore che spinge un condizionatore portatile. La temperatura sta salendo verso i 35° C. Cerca di uguagliare il record di 37 della fine di Giugno. Andando verso la fermata dell’autobus ho capito anche perfettamente, sulla mia pelle, cosa sia l’isola di calore urbana. Lo scopro anche quando pedalo, e i camion mi regalano il caldo degli scappamenti mentre pedalo, e cerco anche di non farmi investire.

Ritorno verso il centro della città. Ho una sete tremenda. Vengo avvicinato da un altro questuante, anche lui simile a quello precedente. Non me la sento di fare distinzione. E due euro ci sono anche per lui. Arrivo alla mia fontanella, quella dei giardini estensi. Bevo, mi bagno i polsi e i capelli. Che meraviglia! Mi siedo su una panchina vicina e lascio andare i pensieri. Osservo le persone intorno a me con la mentalità del chimico. Mi chiedo che cosa potrebbe succedere se cominciassi a rivolgere la parola a qualcuno di loro. Sono persone le più diverse. Mamme o nonni con i bambini. Impiegati, netturbini che lavorano sotto un caldo che toglie il fiato. Le mamme che si lamentano del caldo. Chissà se cominciassi a parlar loro di CO2, magari a raccontare che già Svanthe Arrhenius aveva capito che bruciando i combustibili fossili ci saremmo trovati nei guai. Se provassi ad accennare all’impossibilità di sfuggire alle leggi fisiche. Probabilmente mi troverei in difficoltà. Forse isolato. Destino di chi cerca di guardare la realtà con gli strumenti della sua professione e della sua formazione. Non solo quelli di laboratorio, ma anche quelli della filosofia della professione. Probabilmente sarei isolato due volte. Sono un chimico, quello a cui i colleghi chiedono di mettersi a produrre la metanfetamina.

Quello a cui continuano a chiedere quando bisogna buttare il sale nella pasta. E nonostante continui a ripetere che si deve buttare dopo, e non prima dell’ebollizione, quando si fa una spaghettata tra amici continuano imperterriti a fare il contrario. Se mi mettessi a far lezione per strada, quasi un filosofo nell’agorà forse rischierei non dico il linciaggio, ma forse un certo ostracismo. Alla fontanella sono stato l’unico a bere. Intorno a me vedo bottigliette di ogni tipo di liquido. Gassose, tè, energy drynk, qualche birra e molte bottigliette di acqua che ha fatto molta strada per arrivare fin qui, a Varese. Ha viaggiato in autostrada. Potrei spiegare che si impiega dell’energia per trasportare l’acqua, e che qui la fontanella è disponibile per placare la sete. Potrei tentare di far capire che è un controsenso bruciare petrolio per bere l’acqua di montagna imbottigliata nel PET. Che c’è dell’energia dispersa che va in entropia e caos, e del petrolio bruciato che produce la CO2 che contribuisce alla nostra sofferenza odierna. Sospiro e rinuncio. Mi alzo dalla panchina per dirigermi in stazione. Sentendomi un poco escluso. Una cassandra come mi sono definito. Vado a casa bisogna che metta giù una procedura per le nostre prove. Poi ne parlerò con Dario ed Emanuele. Per il resto so che fare il colibrì è faticoso. Ma sono nato tondo, e non morirò quadrato. Domani torno al lavoro, e la bici mi sta aspettando.

Chimica: oltre le apparenze.

Mauro Icardi

Ho avuto occasione ultimamente, di discutere e scambiare opinioni con ragazzi molto giovani. Cosa che cerco di fare sempre molto volentieri, in particolare se la discussione verte su temi oggi molto sentiti. In particolare la crisi ambientale e climatica. Durante questi anni di collaborazione al blog, ho sempre espresso con chiarezza il mio punto di vista, raccontando anche quale sia stata la mia formazione personale. Non solo legata al percorso formativo scolastico, ma anche a quello dello studio successivo. Studio legato alla formazione continua che ho seguito per passione personale, molto prima di doverlo fare per rispettare le indicazioni e i regolamenti dell’ordine professionale. Parlando con uno studente giovane, che appartiene ad uno dei gruppi locali italiani di “Friday for future”, ho raccontato della mia formazione e interesse per questi temi. E mi sono anche qualificato come chimico ambientale. La risposta che ho ricevuto, mi ha lasciato vagamente sbigottito. Sostanzialmente questo ragazzo mi ha detto “Lei è un chimico e si interessa di queste cose?” Abbiamo ancora chiacchierato per una mezz’oretta, con la promessa di mantenerci eventualmente in contatto.

Per l’ennesima volta ho sentito crescere dentro di me una sensazione di palese ingiustizia. Per riassumerla credo che questo brano, tratto dall’editoriale del mese di Marzo de “L’almanacco delle scienze” del CNR, a firma di Marco Ferrazzoli sia decisamente utile.

Sta di fatto che la chimica sembra scontare sia la sottovalutazione della sua importanza per la vita dell’uomo, sia la sopravvalutazione dei rischi a cui viene consuetamente legata. Chimica vista quindi come scienza complicata, noiosa, oppure causa dell’inquinamento e responsabile della mancanza di rispetto per la natura e per il Pianeta. La chimica se la batte quasi con la matematica per il titolo di disciplina più negletta a livello popolare e mediaticamente con minor appeal. Un giudizio severo, ingiusto, immotivato, poiché si tratta invece di una materia di grande fascino e importanza, a patto ovviamente che sia spiegata e comunicata in modo efficace e comprensibile.

Questo è quello che cerchiamo di fare anche noi che scriviamo su questo blog.

Per quanto riguarda la mia formazione personale, e per il lavoro che svolgo, la chimica e le nozioni principali di questa scienza sono state il mio costante ausilio. Il mio lavoro riguarda l’acqua e la sua salvaguardia. Negli anni mi sono confrontato con moltissime persone (ingegneri, biologi, tossicologi) e con molte persone con le quali collaboro per lavoro (elettricisti, meccanici). Da tutti ho ricevuto qualcosa, e a tutti ho cercato di dare qualcosa. Ma con quasi tutti ho dovuto faticare, lavorare ai fianchi. Per dimostrare (o tentare di farlo) che la chimica è qualcosa di molto diverso, da una sorta di vaso di Pandora dal quale sono scaturiti tutti i mali di questo nostro tempo. Altre volte ho scritto pezzi in difesa di una scienza che a troppi appare come il ricettacolo di ogni male. Mi occupo di acqua. Bastano queste poche nozioni per capire la bellezza della chimica.

Le eccezionali proprietà chimico-fisiche e la maggior parte di quelle chimiche dell’acqua sono legate alla sua polarità elettrica e alla possibilità di formare legami a idrogeno intermolecolari. Pur essendo formata da molecole semplici, possiede una stabilità chimica sorprendentemente elevata. Poiché le sue molecole sono polari è un solvente eccellente per sali e molecole che presentano legami polari (soluzioni).

Questo brano è tratto da appunti scritti a macchina che ho conservato gelosamente. Risalgono all’anno scolastico 1974/75. Frequentavo la seconda classe della scuola secondaria di primo grado, meglio conosciuta come seconda media. Mi vennero regalati da un ragazzo di qualche anno più vecchio di me, che frequentava il liceo scientifico. Sono stati in qualche modo profetici.

Non vorrei ripetere concetti già espressi. Sarebbe tutto sommato noioso e ripetitivo ritornare sul concetto che la chimica ha rischi, ma ci ha concesso molti benefici. Che molto del benessere di cui godiamo oggi, e delle cose a cui siamo abituati dipende da scoperte fatte nei laboratori chimici. Non mi voglio ripetere. La chimica che utilizzo io, è una chimica che deve affinare i propri metodi analitici. Che deve migliorare la parte preparativa dei campioni difficili (fanghi, morchie,reflui, rifiuti di varia tipologia). E’ una chimica che deve modellizzare flussi di acque, oppure di inquinanti aerodispersi. E che quindi deve dialogare strettamente con fisica e matematica. Una chimica che deve guardare al proprio futuro. E che sarà modificata da chi la vorrà studiare con lo stesso impegno. Ritornando per un attimo alla conversazione di cui parlavo all’inizio, mi ha fatto invece molto sorridere l’idea che quel ragazzo aveva della chimica, cioè che si occupasse esclusivamente di petrolio. In parte è vero, se uno sfoglia in maniera distratta e superficiale un testo di chimica organica. Io continuo a studiarla, magari non sistematicamente. Tenendo sul comodino (si lo confesso) dei testi che ogni tanto rileggo, o per meglio dire riassaporo. Tutto questo mi serve ogni giorno, e mi aiuta anche a mantenermi aggiornato ed attento.

Ecco, vorrei dire a quel ragazzo ,e a chi avrà la pazienza e la voglia di leggere questo post. Provate anche voi ad approcciarla. Se lo farete sono certo che troverete almeno un argomento che vi potrà appassionare. Ma per farlo liberatevi da condizionamenti che non hanno più ragione di essere. Perché posso assicurarvi che anche i chimici possono essere artefici di un nuovo modo di guardare al mondo, al pianeta ed al futuro.

E credo ne abbiano tutto il diritto. Lo abbiamo scritto come presentazione di questo blog : “Nell’Antropocene, l’epoca geologica attuale fortemente caratterizzata dalle attività dell’uomo, la Chimica ha il compito di custodire il pianeta e aiutare a ridurre le diseguaglianze mediante l’uso delle energie rinnovabili e dell’economia circolare.

Provate a leggere la tavola periodica, come fosse il calendario dell’avvento, anche se il Natale è trascorso, ed il prossimo non è alla porte. Provateci, potreste rimanerne finalmente affascinati, abbandonando le due p che si legano alla chimica. Tranquilli, non sto parlando delle p degli orbitali sp. Sto parlando delle p che significano le iniziali di preconcetto e pregiudizio. Che la chimica davvero non merita. Datele una possibilità.

NdA. Spero che le immagini “leggere” di questo post non siano fraintese. Tutto può servire a mio parere ad avvicinare, non solo alla chimica, ma alla conoscenza in generale.

Donne da ricordare e cose da ricordare per le donne (e per gli uomini).

Claudio Della Volpe

Nei numerosissimi post pubblicati in questo blog e scritti da Rinaldo Cervellati, dedicati alle donne scienziate che avrebbero potuto vincere il Nobel od avere comunque un ruolo di primo piano in ambito scientifico si è evidenziato ripetutamente il percorso difficile e lungo che si è seguito a partire dalla metà dell’800 fino ad oggi (non è ancora terminato) verso una effettiva parità delle opportunità di genere.

In occasione del 27 gennaio, giornata della memoria, quest’anno riprendiamo dall’oblio i nomi di alcune donne che si occuparono di Chimica nei momenti più bui per il nostro paese.

L’oscurità per le donne era cominciata presto, appena dopo la conquista del potere da parte del movimento fascista. Basta guardare la sequenza legislativa.

Negli anni fra il 1900 e il 1919 era iniziato, a partire dalla cosiddetta legge Carcano un percorso di emancipazione:

la legge 242/1902 che introduce il congedo di maternità, limita a dodici ore giornaliere l’orario massimo di lavoro per la manodopera femminile, vieta alle donne i lavori sotterranei e proibisce l’impiego delle minorenni nel lavoro notturno e per mansioni pericolose e insalubri;

fu seguita dal Regio decreto 1905 che apre alle donne l’insegnamento nelle scuole medie; dalla legge 816/1907 che vieta alle donne il lavoro notturno in ottemperanza alla convenzione di Brema del 1906;

poi la legge 520/10 che Istituisce la Cassa di Maternità per dare un sussidio fisso uguale per tutte durante il congedo obbligatorio

ed infine la Legge 1176/1919, la legge Sacchi, che cancella l’autorizzazione maritale e ammette le donne ad esercitare tutte le professioni, escluse quelle che «implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche o che attengono alla difesa militare dello Stato»

Anna Maria Mozzoni antesignana dell’emancipazione della donna in Italia

Anna Kuliscioff

Maria Montessori

Eleonora Duse

Questo percorso emancipativo si interrompe bruscamente con il potere fascista; il governo più lungo nella storia dell’Italia unita, rimane in carica dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943; e già nel 1923 il neoministro Gentile realizza una famigerata riforma rimasta in vigore anche ben dopo la caduta del fascismo; in quella legge,

Regio Decreto 1054/1923, la cosiddetta Riforma Gentile (quella che ha escluso i chimici dall’insegnamento di Chimica nei licei) si inizia a proibire alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie;

col Regio Decreto 2480/1926 si continua proibendo alle donne l’insegnamento della filosofia, della storia e dell’economia nelle scuole secondarie;

con le scelte economiche deflazionistiche che portarono alla cosiddetta quota 90 nel cambio si aumentarono le tasse del 20% sui salari e il 20 gennaio 1927 furono dimezzati con un decreto i salari femminili. Dopo l’instaurarsi delle crisi economica mondiale del 1929 la situazione portò ad ulteriori restrizioni per il lavoro femminile; nel 1933 al culmine della crisi si vietò alle donne (e ai pensionati) in cerca di occupazione di iscriversi nelle liste di collocamento. Negli anni successivi la pubblica amministrazione potè discriminare le donne nelle assunzioni, escludendole da una serie di pubblici uffici (Legge 22/1934) ed il Regio Decreto 15/10/1938, che vieta ai datori di lavoro pubblici e privati di assumere più del 10% di donne. Esclusi solo i lavori considerati particolarmente “adatti” alle donne. Tutte queste scelte restrittive oltre alle motivazioni economiche avevano come scopo di rafforzare l’idea che il compito delle donne era quello di stare a casa e fare e crescere i figli. In quindici anni, dal 1921 al 1936, la percentuale delle donne che svolgevano attività extradomestiche passò dal 32,5 per cento al 24 per cento. ( da L’avventurosa storia del femminismo di Gabriella Parca Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. – Milano – Prima edizione Collana Aperta maggio 1976)

Marussia Bakunin, figlia di Mikail e zia di renato Caccioppoli

C’è da ricordare che nel 1925 le donne ebbero la possibilità di votare nelle elezioni locali; ma tali elezioni vennero eliminate l’anno successivo. Dovettero aspettare il 1945 per avere il diritto di votare alle politiche.

E’ questo il quadro in cui dobbiamo valutare la forza di carattere e l’impegno profuso da quelle donne che nonostante tutto studiarono e si laurearono impegnandosi nell’insegnamento e nella ricerca.

Ricordiamo qui quattro casi che hanno a che fare con le discriminazioni ebraiche ma che non sono gli unici casi di donne discriminate ovviamente.

I testi sono stati estratti da un sito molto bello dedicato alle donne nella scienza che vi invito a leggere:

http://scienzaa2voci.unibo.it/

Vita Nerina (chimica) a Bologna;

Nerina Vita nacque a Bologna il 29 settembre 1891. Frequentò l’istituto tecnico “Pier Crescenzi”, ottenendo la licenza fisico-matematica con sessantaquattro punti su ottanta il 25 ottobre 1909. Nel 1910 si iscrisse alla Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università di Bologna, laureandosi il 14 novembre 1914, in chimica pura, con la tesi: Sulla trasformazione degli alcaloidi (studio sul seme del lupino) (108/110). Suo relatore fu il noto chimico Giacomo Ciamician.

Nell’anno accademico 1914-15, dopo la laurea in chimica, si iscrisse alla Facoltà di farmacia del medesimo Ateneo. Il 30 gennaio 1916 scrisse poi una lettera al rettore sottoponendogli la propria domanda di congedo per trasferirsi nella stessa facoltà a Parma, città ove era allora domiciliata in quanto assistente nel laboratorio di chimica di quella università. Nel 1934 ottenne l’abilitazione alla libera docenza: a quel tempo era aiuto presso la cattedra di chimica industriale nella Scuola superiore di chimica industriale di Bologna. L’anno successivo passò un brevissimo soggiorno presso la Stazione zoologica di Napoli per apprendere la cosiddetta ‘tecnica Warburg’ per la misurazione del consumo di ossigeno nelle cellule.

Nel 1939, a seguito delle leggi razziali, venne dichiarata decaduta dall’insegnamento. Con la sorella Elda si recò allora clandestinamente in Svizzera: tornò in Italia solo alla fine della guerra. Venne riammessa all’insegnamento il 7 giugno 1945.

Tra il 1959 e il 1960, la direzione della pubblica istruzione la sollecitò affinché regolarizzasse la sua posizione di libera docente; Nerina rispose di non aver proceduto a causa delle proprie condizioni di salute malferma.

Clara Di Capua Bergamini (chimica) a Firenze;

Allorquando, nel 1938, le leggi razziali promulgate dal regime fascista privarono i cittadini italiani di origine ebraica dei diritti civili  e politici, Clara Di Capua era aiuto ordinario di chimica analitica, libero docente di chimica generale nonché professore incaricato di chimica applicata presso la Facoltà di medicina dell’Università di Firenze. In quanto ebrea e nonostante si dichiarasse aconfessionale fu estromessa dal proprio incarico. A nulla valse la sua operosità scientifica per la quale un anno prima era stata premiata.  Aveva sposato Mario Bergamini, libero docente di odontoiatria nel medesimo ateneo. Nel 1944 venne reintegrata come incaricato, libero docente e aiuto.

Angelina Levi (farmacologia) a Modena;

Nata ad Ancona il 10 maggio 1892 da Guido e Sara Carola Castelli, nel 1929 entrò in qualità di aiuto ordinario e libera docente di farmacologia e tossicologia nell’Istituto di farmacologia dell’Università di Modena, diretto da G.M. Piccinini. Nel 1931 fu ammessa nella Società dei naturalisti e matematici di Modena. Qui esordì con una comunicazione tenuta il 30 gennaio circa le proprietà curative di un principio chimico, la periplocina, estratto da una pianta asclepiadea assai diffusa in Italia ma ancora poco studiata, la Periploca graeca; principio che, sembrava, potesse essere validamente usato nella cura delle affezioni cardiache.
Lo studio degli effetti di droghe digitaliche sul sistema cardio-circolatorio fu al centro di altre due comunicazioni, entrambe pubblicate nel 1933 negli «Atti» della Società, relative ad una sostanza estratta da una pianta del genere Acokanthera, proveniente dalla Somalia, e fatta pervenire al laboratorio di Modena, per le necessarie analisi tossicologiche, dall’Istituto di patologia coloniale. I risultati evidenziarono la presenza di principi cardioattivi, le strofantidine, da utilizzare come farmaco naturale.
Le indagini farmacognostiche e chimiche rappresentavano, infatti, il filone principale delle  ricerche della Levi, la quale si era altresì occupata di sperimentazione animale allo scopo di verificare gli effetti della somministrazione di preparati iniettabili a base di ferro, piombo e zinco in organismi affetti da neoplasie. L’idea di fondo era quella di controllare la risposta del sistema reticolo endoteliale (un insieme di cellule del sistema immunitario) al quale, correttamente, si attribuiva un’azione di difesa dell’organismo. Ne erano scaturiti un paio di lavori, rispettivamente del 1928 e del 1930, pubblicati sull’«Archivio di farmacologia sperimentale e scienze affini» e «Arch. Inter. de Pharmacod. et de Therap. ».
Aveva quindi testato l’azione dell’arsenico in una serie di sperimentazioni analoghe di cui diede notizia nel 1935 anche sul «Bollettino della Società medico chirurgica di Modena».
Nello stesso anno erano pure uscite, nelle pagine del «Bollettino della Società italiana di biologia sperimentale», altre due note nelle quali esponeva i risultati di ricerche istologiche compiute sugli apparati nervosi terminali del muscolo gastrocmenico (il più superficiale dei muscoli della regione posteriore della gamba) di rane sottoposte ad una intossicazione cronica da glicerina, stricnina e curaro. Due anni dopo, aveva raccolto dati anche rispetto alla caffeina e alla nicotina e proceduto ad un esame comparativo degli effetti istologici di questi cinque farmaci.
La sua attività, spesso condotta in collaborazione con allievi interni dell’Istituto, venne bruscamente interrotta nel 1938, allorquando, a causa delle leggi razziali promulgate dal regime fascista fu radiata dall’Università di Modena per la sua origine ebraica. Come conseguenza indiretta del provvedimento assunto dall’ateneo, ovvero in assenza di una precisa disposizione del Consiglio direttivo, perse la qualifica di membro della Società dei naturalisti e matematici, ove,  su proposta del presidente Giorgio Negodi e all’unanimità, fu reintegrata nel 1945.
Negli anni seguenti partecipò attivamente alla vita della Società ricoprendo all’interno del Consiglio di presidenza la carica di revisore dei conti dal 1951 al 1955; indi, di consigliere fino al 1957. Continuò altresì a pubblicare negli «Atti»: nel 1948 riferì sulle proprietà analgesiche dei derivati della Cannabis; mentre, nel 1949  illustrò l’azione di alcune sostanze farmacologiche (mianesina, tionarcon, stricnina) sull’attività colinesterasica del tessuto nervoso centrale e del sangue.

Ada Bolaffi (chimica biologica) farmacista

Questo nome è presente su internet come quello di una donna chimica che subì gli effetti della legge del 1938 sulla discriminazione antiebraica, ma non ci sono dati biografici precisi; è anche elencata in nota nell’articolo di Albini e Vita-Finzi citato in fondo; laureata a Firenze fu libera docente a Milano; chi ne sa di più?

 

Aggiungerei un altro nome, ricordato dal bell’articolo di Albini e Vita-Finzi, che sono due soci della SCI, sul tema generale degli effetti delle leggi razziali del 1938; in quell’articolo si testimonia come la collettività ebraica e le donne reagirono alle nuove limitazioni; l’articolo, che è liberamente scaricabile al link qui sotto, ricorda fra l’altro la storia esemplare di Lia Foà che studiò nei corsi organizzati dalla comunità ebraica e completò gli studi universitari prima a Losanna e poi a Pavia e che testimonia della volontà di reagire della comunità ebraica e delle donne.

Ed infine, anche se non era una chimica, ricordo qui Enrica Calabresi, zoologa a Ferrara, che per non farsi deportare si suicidò.

In questo post non ci sono fotografie delle donne citate perché non ne ho trovate.

Riferimenti.

https://womenforwomenitaly.com/donne-leggi-dal-1902-ad-oggi/

http://www.memorieincammino.it/file/2017/01/Una-storia-poco-nota.-Le-leggi-razziali-e-la-chimica.-Milano-1941-di-A.Albini-e-P.Vita-Finzi.pdf

http://scienzaa2voci.unibo.it/

https://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=ottobre-1938-lespulsione-dei-docenti-ebrei-dalluniversita-di-firenze

Chimica, società, vaccini.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Alla recente riunione del Consiglio Centrale della SCI ho avuto l’opportunità di partecipare ad una discussione, purtroppo per esigenze organizzative limitata nel tempo, relativa al dibattito in atto nel Paese circa l’obbligatorietà o meno di vaccinazioni.

Il tema è caldo: la politica ha tentato di scavalcare la scienza, in parte-per fortuna solo in parte- riuscendovi. Giustamente sono apparsi sulla stampa interventi di prestigiose ed eminenti istituzioni scientifiche e loro ricercatori, soprattutto medici, a difesa dei vaccini obbligatori. La domanda che è emersa in sede di Consiglio Centrale SCI è stata: è opportuno che una Società Scientifica non medica si pronunci su un tema così dibattuto e non strettamente di sua competenza? Mi permetto in questo post di focalizzare i motivi per cui la mia risposta a quella domanda non può che essere: sì è opportuno, utile e necessario. Innanzitutto la scienza non ha comparti stagni: i punti di contatto e le correlazioni sono presenti sempre avvicinando discipline a volte un tempo considerate lontane (si pensi ad archeologia e chimica,ad economia e matematica, a diritto e statistica).

La chimica tradizionalmente oltre a sviluppare una propria ricerca di scienza molecolare è stata considerata una disciplina di supporto (di servizio si diceva con irrispettosa espressione ) per molte altre: dalla medicina alla biologia, dalla geologia alla merceologia, dalla fisica all’antropologia. In passato talvolta questo ruolo non è stato riconosciuto così da perdere occasioni di progresso e di avanzamento. Noi stessi chimici mentre da un lato ci siamo lamentati per questi mancati riconoscimenti e delle resistenze e mancate permeabilità di alcune componenti scientifiche , dall’altro ci siamo impegnati a trovare sbocchi culturali alla nostra disciplina, che camminassero parallelamente alla riconosciuta importanza della chimica nella vita di tutti i giorni ed aprissero settori di studio poco esplorati. Così abbiamo fatto crescere il nostro patrimonio metodologico e tecnico offrendo modelli di approccio, metodi e strumenti avanzati di indagine per i ricercatori delle altre discipline. Nel caso della medicina è mia ferma convinzione che un contatto più stretto ed assiduo con la chimica avrebbe certamente giovato al progresso già esaltante di questa scenza. Per tutto ciò io credo che laddove questa correlazioni scientifiche e culturali ci siano si debba cogliere l’occasione di esprimere la nostra posizione. Che poi queste correlazioni ci siano nel caso dei vaccini mi pare quasi ovvio per numerose ragioni. Esistono settori della Chimica dedicati al tema: si pensi alla Chimica Biologica, in particolare all’Immunochimica,alla Chimica Farmaceutica; i vaccini sono sistemi complessi la cui composizione prevede la coesistenza con l’antigene di numerosi composti generalmente tutti a concentrazioni di sicurezza, ma da valutare integralmente; si tratta di associazioni di elementi che non esistono nei manuali dei materiali conosciuti; questi materiali sono in massima parte non biodegradabili, per cui una volta iniettati rimangono nel corpo laddove il sangue li ha trasportati; le particelle di dimensione ridotta possono venire incamerate da cellule ed interagire direttamente con il DNA danneggiandolo. Apprezzo quindi molto la proposta-che spero si concretizzi- del Presidente della SCI al Consiglio per creare un GdL che sintetizzi questi punti evidenziando gli aspetti chimici di un problema che è soprattutto medico, sociale, culturale.

Accanimento non terapeutico.

Mauro Icardi

Certamente non è una cosa che faccia piacere ai chimici pensare a come venga percepita, la Chimica, nell’immaginario dei non chimici. E questo atteggiamento preconcetto, io credo non deponga in generale a favore di una necessità evidente di contrastare la diffusione dell’analfabetismo di ritorno, delle fake news, e in generale della sovraesposizione a notizie banali, quali ad esempio quelle che si occupano di gossip.

Essere interessati alla propria professione, all’interesse mai interrotto per la scienza che è diventata strumento di lavoro e apprendimento, spesso espone a fraintendimenti che, personalmente trovo molto fastidiosi.

E tutto questo aumenta una sensazione di estraneità che qualche volta pesa.

L’ultimo episodio mi è capitato durante una degenza ospedaliera. In questa circostanza, oltre a pensare alla guarigione, è necessario pensare ad impiegare il tempo in maniera proficua.

Io ho chiesto a mia moglie di portarmi il libro di Marco Malvaldi “L’architetto dell’invisibile – ovvero come pensa un chimico”. Era sul comodino della stanza d’ospedale. Una sera, un’operatrice sanitaria lo ha adocchiato, preso in mano, e dopo aver guardato la copertina e letto il titolo, posato di scatto con un atteggiamento piuttosto plateale. Le ho chiesto il perché, ricevendo come risposta una sorta di borbottio, ed una molto generica spiegazione di idiosincrasia alla materia.

Ora, se una persona frequenta le librerie (purtroppo da proteggere come qualsivoglia animale in via d’estinzione), si può accorgere delle decine di libri che insegnano a vincere la paura della matematica, o della fisica.

Si trovano molti libri di divulgazione chimica, anche se a mio parere in numero leggermente minore, ma l’idea di scrivere un libro per vincere la paura della chimica potrebbe essere interessante.

Nelle pagine di questo blog si è scritto più volte in difesa della chimica, si è ripetuto quali siano i più diffusi luoghi comuni su questa scienza. Luoghi comuni che lo stesso Malvaldi riesamina, a partire da quello più diffuso che vede i termini “sintetico” o “chimico” come negativi, in contrapposizione a “naturale” che invece è percepito univocamente come positivo. Ma le aflatossine ad esempio, o la cicuta sono quanto di più naturale vi sia , eppure le prime sono molto tossiche e cancerogene, e l’estratto della seconda fu responsabile della morte che Socrate volle autoimporsi.

Altra riflessione che mi sento di fare è questa: occorre trovare un modo per appassionare le persone non solo alla scienza, ma in generale alla lettura, alla riflessione e allo sviluppo di capacità critiche. Tutte capacità ormai rare. La chimica ha nella sua dualità benefici/rischi già una sorta di peccato originale, una sorta di destino per il quale è tacciata di ogni nefandezza. E tutto questo fa dimenticare a troppi quanto invece le dobbiamo, e quanto del benessere (per altro da ripensare nei suoi aspetti maggiormente dissipativi) di cui attualmente possiamo ancora godere, sia dovuto alle scoperte dei laboratori o dei reparti di produzione.

Come dicevo i libri di divulgazione chimica ci sono. Sono disponibili credo nelle biblioteche di qualunque città o piccolo centro. Si possono acquistare così da averli sempre a disposizione per riguardarli. In rete ci sono innumerevoli siti per chi abbia il coraggio, la voglia e la curiosità di conoscere questa scienza. Basta avere un poco di quella che una volta veniva definita “buona volontà”. Per altro da estendersi a tutte le discipline scientifiche. Ma per la chimica almeno per tentare di modificare una cattiva reputazione decisamente immeritata. E sono convinto che una volta conosciuta, possa riservare sorprese a chi, per abitudine ne ha una visione negativa, ma non reale.