Il colorante ‘alchemico’ Blu di Prussia : la sua storia e struttura chimica
Roberto Poeti
Come nasce e si afferma il colorante
La storia del colorante Blu di Prussia è iniziata intorno al 1705 presso il laboratorio di Johann Konrad Dippel a Berlino, in cui oltre alla medicina egli praticava l’alchimia. Dippel, nato nel 1673 a Castello Frankenstein vicino Darmstadt in Germania, è un personaggio complesso, problematico ,
ribelle per natura. Fu coinvolto in molte controversie pubbliche in cui difendeva la posizione dei Pietisti, (corrente religiosa nata nella seconda metà del settecento in conflitto con il protestantesimo) rispetto ai Luterani ortodossi, in modo intemperante e impetuoso. Si procurò molti nemici in Europa al punto che passò sette anni in galera accusato di eresia. Stabilitosi a Giessen dove perseguì la sua ritrovata passione per l’alchimia, credette nella propria capacità di trasmutare il piombo in oro. Comprò una piccola tenuta, a credito, dove avrebbe potuto lavorare in pace, ma dopo otto mesi di riscaldamento continuo, il suo crogiolo si ruppe. Pressato dalle richieste dei suoi creditori, fuggì da Giessen alla volta di Berlino. A Berlino rivolse i suoi sforzi nella creazione di un altro sogno alchemico, una “cura universale”. Dippel si interessò presto all’olio ottenuto dalla distillazione distruttiva di materia animale, tra cui cuoio, sangue, avorio e corna. L’olio nero prodotto venne conosciuto come Olio di Dippel. Questo olio era un distillato maleodorante che Dippel sosteneva si trattasse di una medicina universale, elisir di lunga vita, che poteva curare qualsiasi cosa, dal comune raffreddore all’epilessia.
Dippel e Frankenstein
Ci sono molte voci che circondano la connessione di Dippel con il Frankenstein di Mary Shelley (1797- 1851). Queste derivano principalmente dal fatto che, essendo nato nell’omonimo Castello di Frankenstein, Dippel praticò l’alchimia e l’anatomia e si dice anche che abbia sperimentato il trasferimento di anime tra cadaveri. Resta da dimostrare se questo sia vero o meno, ma è certo che la nozione di “trasferimento dell’anima” era un argomento di conversazione popolare all’epoca e che Dippel si riferisce ad esso nei suoi scritti contemporanei in Malattia e Rimedi della Vita Carnale. Dippel parla del suo olio animale e della possibilità di usarlo per esorcizzare i demoni. Menziona anche l’idea di un imbuto utilizzato per trasferire un’anima da un cadavere all’altro.
Inoltre si dice che Mary Wollstonecraft Godwin abbia visitato il castello di Frankenstein con suo marito Percy Bysshe Shelley quando stava viaggiando lungo il Reno. È infatti possibile che mentre era lì abbia sentito storie sul famigerato Dippel dalla gente del posto e successivamente abbia basato il personaggio di Frankenstein su di lui, o almeno abbia usato i racconti locali come ispirazione per la sua scrittura. Dippel morì nel 1734, si pensò che avesse avuto un ictus, ma circolò anche l’ipotesi che potesse essere stato avvelenato. Il fatto che queste voci esistessero dimostra quanto Dippel fosse impopolare. Nel periodo tra il 1705 e il 1706 si trovava a lavorare nel laboratorio di Dippel un produttore svizzero di coloranti e pigmenti di nome Johann Jacob Diesbach. Di lui non abbiamo quasi nessuna notizia, neppure la data di nascita e morte. È diventato famoso per aver prodotto insieme a Dippel il Blu di Prussia.
Una scoperta dovuta al caso
La storia convenzionale dell’invenzione è stata raccontata da Georg Ernst Stahl (1660-1734) a margine di un suo libro sulla teoria del flogisto che pubblicò nel 1731. È l’unico resoconto che ci è pervenuto. Stahl non precisa la data della scoperta. Dippel stava preparando il cosiddetto olio animale distillando sangue animale a cui era aggiunta potassa. Allo stesso tempo Diesbach stava cercando di produrre la lacca Fiorentina, un pigmento rosso basato sul rosso di cocciniglia. Usualmente lo otteneva per precipitazione di un estratto di cocciniglia ( prodotto bollendo gli insetti seccati di cocciniglia con acqua per estrarre l’acido carminico) con allume , solfato di ferro e potassa. Tuttavia non avendo più potassa a disposizione utilizzò quella di Dippel che era stata usata nella produzione del suo olio animale. Immaginiamo la sorpresa di Diesbach quando il colore che ottenne non era cremisi, ma blu. Noi ora sappiamo che l’olio animale consisteva di un miscela di basi organiche azotate come il pirrolo ( dalle porfirine dell’emoglobina ) e diversi alchil cianuri ( o alchil nitrili) provenienti dalla degradazione termica di molecole contenenti legami C-N, come l’emoglobina. La formula del blu di Prussia (blu solubile) contiene nella sua struttura il gruppo ciano : KFeIII[FeII(CN)6]. Per caso, l’olio di Dippel ha fornito l’ingrediente essenziale, ma allora sconosciuto, il cianuro, per consentire la scoperta fortuita di Diesbach del blu di Prussia . Tutti i pittori da allora hanno avuto motivo di essere grati all’alchimista senza scrupoli Dippel. Il blu di Prussia non si trova in natura, quindi è stato il primo pigmento sintetico. Dippel e Diesbach furono capaci di intuire la causa del fenomeno e di rendere ripetibile il risultato ottenuto. Il blu di Prussia è stato menzionato per la prima volta nella letteratura scientifica nel primo numero della pubblicazione della Società Reale Prussiana delle Scienze, “The Miscellanea Berolinensia ad incrementum Scientiarum” nel 1710. La breve comunicazione anonima in latino dal titolo “Notitia Caerulei Berolinensis Nuper Inventi”, non ha rivelato quasi nulla della scoperta del blu di Prussia, né ha fornito un metodo per la preparazione del pigmento; piuttosto, era una sorta di pubblicità per il nuovo materiale, sotto gli auspici della nuova società scientifica.
Nonostante gli sforzi per nascondere il metodo di produzione del Blu di Prussia, è rimasto segreto solo per circa 20 anni. Nel 1724 John Woodward (1657-1728), un medico , naturalista, e geologo pubblicò una procedura per la produzione di questo colore nelle Transazioni Filosofiche della Royal Society di Londra. Il documento si basava su una lettera inviatagli dalla Germania dove era rivelata la procedura segreta, ma Woodward non pubblicò il nome dell’autore. In Francia Etienne-Francois Geoffroy (1672-1731) nel 1725 comunicò ai chimici francesi il segreto della produzione del Blu di Prussia. In seguito, la produzione del Blu di Prussia iniziò in tutta Europa. Inizialmente il pigmento fu utilizzato solo dai pittori e il primo dipinto dove venne impiegato è un’opera del celebre pittore olandese Adriaen van der Werff (1659-1722).
Fino alla scoperta di Diesbach, il blu era un colore problematico per gli artisti: non esisteva un pigmento del tutto soddisfacente. Il colorante vegetale indaco (il guado degli antichi britannici) era piuttosto incline a sbiadire. Il pigmento permanente blu oltremare, realizzato con il minerale semiprezioso blu lapislazzuli, veniva estratto solo in Afghanistan ed era estremamente costoso. Anche altri blu, come lo smalt (è un vetro di colore blu intenso preparato includendo un composto di cobalto, tipicamente ossido di cobalto o carbonato di cobalto, in un vetro fuso.) e l’azzurrite (carbonato di rame(II) basico, 2CuCO3 ∙ Cu(OH)2, avevano i loro svantaggi. L’oltremare era così costoso che i clienti ne limitavano l’uso nei loro dipinti. Per la sua preziosità il suo uso era riservato solo ai soggetti sacri, come le vesti delle figure religiose. L’arrivo del blu di Prussia ha trasformato l’atteggiamento degli artisti nei confronti del blu sulle loro tavolozze; possiamo vedere un esempio nell’improvviso sfogo di generosa applicazione del colore nell’opera della scuola impressionista francese.
Il blu di Prussia non è stato usato solo come pigmento per pittori ma fu presto applicato alla tintura dei tessuti, secondo i suggerimenti contenuti nel lavoro del chimico P. J. Macquer (1718-1784), condotto nel 1749 . Da allora le divise dell’esercito del Regno di Prussia furono colorate con il blu di Prussia.
Nel secondo volume del Dizionario di Chimica e Fisica Applicata alle Arti di Giovanni Pozzi del 1821 alla voce Azzurro di Prussia viene decritto il procedimento che veniva utilizzato negli opifici per ottenere il pigmento. I passaggi del processo sono rimasti pressoché quelli degli scopritori di un secolo prima :
Si fa bollire il sangue di bue fino a che si coaguli e quindi diventi secco. Le corna e le unghie all’opposto si fanno fondere ad un calore non troppo forte in modo che la massa si possa stendere come una poltiglia. Tosto che questa poltiglia è diventata fredda si può facilmente fare in polvere. Si mescolano esattamente di questo sangue seccato, oppure di questa massa di corno fatta in polvere cento libbre circa con cento libbre di potassa, e si mette la mescolanza a calcinare in un fornello. Nella prima ora si dà un fuoco debole: si rinforza però questo a poco a poco fino al punto che la massa diventi rovente. Essa innalza un fumo mescolato colla fiamma e tosto che ambedue cessano si leva la massa dal fornello e si lascia raffreddare. Si innaffia con 200 pinte di acqua bollente, si lascia in riposo per otto giorni almeno, e si agita giornalmente la massa. Poscia si filtra la lisciva con un panno doppio. Il fluido filtrato è la lisciva di sangue che deve essere considerata come la base del tutto. Quindi si sciolgono 25 libbre di vetriolo di ferro in una sufficiente quantità di acqua, la quale deve essere bollita per un quarto d’ ora colla latta. Allora si filtra il fluido con un panno doppio e si conserva caldo. Frattanto si sciolgono in un altro caldaio 100 libbre di allume, e si versa questa soluzione, dopo essere stata filtrata ancora calda nella soluzione di solfato di ferro, parimente calda. Vi si aggiunge poi tanta lisciva di sangue fino a che cessi l’ effervescenza, e non succeda più precipitato. Allora si lascia in riposo la mescolanza, affinchè deponga; nel giorno susseguente si riporta sulle tele, e si lascia che l’ umidità ne sgoccioli. La massa che rimane sulla tela si porta di nuovo nei vasi: si riempiono questi del tutto d’ acqua e si divide nella medesima il deposito per mezzo dell’ agitazione. Si ripete quest’ operazione per cinque o sei volte onde renderla pura col lavamento il più che sia possibile. Si porta di nuovo sul filtro: si lascia che ne coli tutto il fluido e si lascia che il residuo si secchi su dè graticci, ma però all ombra.
La possibilità di produrre ferrocianuro di potassio dal 1825 consentì di ottenere direttamente il blu di Prussia mediante la reazione con sali ferrici. Sebbene il blu di Prussia sia stato prodotto subito dopo la scoperta di Dippel e Diesbach, tuttavia la produzione non ha assunto una dimensione industriale finché il ferrocianuro di potassio non fu separato per cristallizzazione dalla massa fusa ottenuta fondendo carbonato di potassio e materia animale. E il blu è stato prodotto partendo da questo composto, invece che dalla soluzione grezza della massa fusa. Nel Manuale di tecnologia Chimica di R. Von Wagner, ed. 1897, viene descritto il procedimento industriale. Partendo dal ferrocianuro si migliorava la qualità del colorante e la costanza delle sue caratteristiche .
(continua)