Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo
a cura di Claudio Della Volpe
“Zitto e calcola!” frase attribuita a R. Feynman.
L’atomo sembrerebbe non avere più segreti per noi chimici; tuttavia è certo che comprenderne le proprietà non è banale e soprattutto illustrarle a chi non è chimico appare complesso e spesso tortuoso; in certi casi sembra quasi una “storia” ma nel senso deteriore, una invenzione del tutto incredibile, una velina ministeriale, quasi.
La natura elettrica della materia è un aspetto relativamente facile da accettare, dato che le proprietà elettriche sono facili da sperimentare, anche con carta e penna; chi non ha mai giocato almeno da bambino con una penna strusciata forte sul maglione e capace così di attrarre un pezzetto di carta?
Esperimenti di questo tipo, vecchi di millenni (ηλεκτρον-elektron è il nome greco dell’ambra) hanno aiutato a costruire il modello dell’elettricità positiva e negativa o meglio vitrea e resinosa per usare i nomi proposti qualche secolo fa da Charles François de Cisternay du Fay, sovraintendente dei giardini del Re di Francia (Volume 38 of the Philosophical Transactions of the Royal Society in 1734) segno che nella materia coesistono parti che si attraggono; per cui accettare la natura dell’atomo come composita, fatta di particelle di segno opposto è semplice.
Più complesso capire “come” stanno insieme; da questo punto di vista tutti hanno sentito parlare dell’esperimento con cui Rutherford falsificò il modello a goccia di Thomson; l’esperimento fu condotto da Geiger e Marsden nel 1909 sotto la direzione più o meno informale di Rutherford (si favoleggia che abbiano interagito esclusivamente in corridoio) che interpretò poi i risultati in un lavoro del 1911 che invalidava definitivamente il modello a panettone (plum pudding model)
The Scattering of α and β Particles by Matter and the Structure of the Atom”
Philosophical Magazine, Series 6, vol. 21, 1911, pp. 669–688.
Trovò che all’incirca una particella su 8000 veniva deflessa ad un angolo di oltre 90°.
“« Fu l’evento più incredibile mai successomi in vita mia. Era quasi incredibile quanto lo sarebbe stato sparare un proiettile da 15 pollici a un foglio di carta velina e vederlo tornare indietro e colpirti. Pensandoci, ho capito che questa diffusione all’indietro doveva essere il risultato di una sola collisione e quando feci il calcolo vidi che era impossibile ottenere qualcosa di quell’ordine di grandezza a meno di considerare un sistema nel quale la maggior parte della massa dell’atomo fosse concentrata in un nucleo molto piccolo. Fu allora che ebbi l’idea di un atomo con un piccolissimo centro massiccio e carico. »”
citato da David C. Cassidy, Gerald James Holton, Gerald Holton, Floyd James Rutherford, (2002) Understanding Physics Harvard Project Physics Published by Birkhäuser, p. 632
L’idea del sistema solare non venne a Rutherford, ma appena pochi anni dopo a Bohr nel tentativo di spiegare le proprietà dell’atomo.
Di fatto il numero trovato da Rutherford, Geiger e Marsden chiariva che l’atomo di oro le cui dimensioni si stimavano in 1.5×10-10 m (150picometri) era occupato al centro da una zona molto densa e di carica positiva con un raggio che è immediato calcolare in al massimo 9×10-13 m (0.9 picometri o 900 femtometri); ma facendo qualche conto più esatto sulla frazione di particelle deviate e sull’angolo e sulle forze di Coulomb agenti su di esse ed applicando la conservazione dell’energia, Rutherford ridusse il raggio ulteriormente a circa 30 volte di meno, 3×10-14m (30 femtometri).
Negli anni successivi si svolse un dramma collettivo che mandò in soffitta la meccanica classica e tirò fuori dal cappello del mago il coniglio quantistico, un animale così strano che perfino chi partecipò fin dall’inizio alla sua estrazione si rifutava di crederci.
I conigli saltano, il coniglio quantistico fa ben di più.
La conclusione fu la cosiddetta interpretazione di Copenaghen a sua volta spesso riassunta nella frase attribuita a Feynman che reciterebbe:” Zitto e calcola!”.
http://scitation.aip.org/content/aip/magazine/physicstoday/article/57/5/10.1063/1.1768652 Physics Today Could feynman have said this? N. David Mermin
Physics Today 57(5), 10 (2004); doi: 10.1063/1.1768652
La interpretazione di Copenaghen è una delle possibili interpretazioni ed è basata nel modo seguente(da Wikipedia)
Le affermazioni probabilistiche della meccanica quantistica sono irriducibili, nel senso che non riflettono la nostra conoscenza limitata di qualche variabile nascosta. In meccanica quantistica i risultati delle misurazioni di variabili coniugate (ossia quelle che si trovano nelle relazioni di indeterminazione di Heisenberg) sono fondamentalmente non deterministici, ossia che anche conoscendo tutti i dati iniziali è impossibile prevedere il risultato di un singolo esperimento, poiché l’esperimento stesso influenza il risultato.
Sono prive di senso domande come: «Dov’era la particella prima che ne misurassi la posizione?», in quanto la meccanica quantistica studia esclusivamente quantità osservabili, ottenibili mediante processi di misurazione. L’atto della misurazione causa il «collasso della funzione d’onda», nel senso che quest’ultima è costretta dal processo di misurazione ad assumere uno dei valori permessi, secondo una probabilità verificabile solo attraverso più misurazioni.
Quindi il gatto di Schroedinger è “vivo e morto” e non “vivo o morto”, fino a che non apriamo la scatola.
Questo tipo di approccio mi ha sempre lasciato molto freddo e personalmente mi ritengo un supporter del punto di vista di Bohm.
Il senso della questione la abbiamo già discusso in un post precedente , ma lo riassumo qui.
La matematica della MQ, dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio da Bell, un irlandese geniale e testata sperimentalmente anch’essa oltre ogni dubbio attuale corrisponde a dire: ci sono tre concetti del senso comune che non potete accettare TUTTI INSIEME, dovete rinunciare ad uno di essi:
- il principio di realtà: le cose ci sono anche se non le guardo
- la località, ossia se una cosa avviene qui e adesso non può essere influenzata da ciò che sta avvenendo in questo medesimo istante molto lontano, più lontano di dove un segnale luminoso può giungere in tempo utile
- il comportamento prevedibile della Natura; non è capriccioso e imprevedibile, ma in realtà lo è, se non in media; tutto può succedere anche se solo in minima percentuale di casi.
Sto semplificando all’eccesso, se avete dubbi leggetevi il post cui ho fatto riferimento prima.
L’interpretazione di Copenaghen rinuncia al principio di realtà; è quello che si definirebbe una interpretazione neopositivista, ossia i fenomeni della MQ che è la scienza di base della materia corrispondono a risultati di esperimenti, non necessariamente a oggetti “materiali” con proprietà intrinseche; in altre parole la Scienza non ci dice come sono fatte le cose del mondo, MA come è fatta la nostra conoscenza delle cose del mondo. Al di fuori dell’esperimento e dei suoi risultati non c’è altro: zitto e calcola!
L’approccio di Bohm è diverso; consiste nel rinunciare alla località, l’atomo è infinito; l’idea parte dall’esperimento di Davisson e Germer, quello della interferenza degli elettroni in una doppia fenditura, che Bohm e de Broglie interpretarono come fenomeno quantistico per il quale ogni tipo di particella è associata a un’onda che ne guida il moto (da cui il termine onda pilota) e che è responsabile del fenomeno di interferenza osservato. Matematicamente tale onda pilota è descritta dalla classica funzione d’onda della meccanica quantistica, corretta da un fattore che rende conto dell’influenza sul moto della particella. L’onda pilota, nel governare il moto della particella, evolve in accordo con l’equazione di Schrödinger. Diversamente dall’interpretazione a molti mondi, l’interpretazione di Bohm non implica che l’universo si separi quando viene effettuata una misura, e diversamente dall’interpretazione di Copenaghen è sia oggettiva che deterministica. Essa afferma che l’universo evolve uniformemente nel tempo, senza collasso delle funzioni d’onda.
Quando usate un programmino come Atom in a box, vi viene mostrata la funzione d’onda in falsi colori con tanto di fase dell’onda ed evoluzione nel tempo; tuttavia è da chiarire che nella visione ortodossa di Bohr una rappresentazione del genere è del tutto fuori luogo. Infatti voi non avete alcuna certezza di cosa avvenga nel vostro sistema se non quando fate una misura su di esso; dunque l’idea implicita in quel programma e in molti altri, che è di fatto l’idea di realtà indipendente, l’ipotesi del realismo, che il vostro sistema esista senza la misura e che evolva in quel modo descritto istante per istante e che se voi faceste una misura in quel momento avreste quel risultato è del tutto ipotetica e probabilistica.
Di fatto il vostro atomo descritto con ricchezza di dettagli esiste solo quando ci fate una misura sopra e la sua descrizione è valida solo nel momento in cui la fate; in quel momento la funzione d’onda collasserà in uno degli stati possibili; dopo aver fatto parecchie misure potrete verificare che la distribuzione di probabilità ottenuta è quella attesa; di più nessuno PUO’ sapere; badate, NESSUNO vuol dire nemmeno il padreterno (per chi ci crede).
Torniamo al punto di partenza; come sono messe le cariche nell’atomo? Di solito si dice che quelle positive sono nel nucleo, tenute insieme in qualche modo, dall’effetto dei neutroni per esempio (falso: in effetti sia i neutroni che i protoni sono soggetti alla cosiddetta forza forte che a breve distanza sovrasta quelle elettriche, ma certo diluire le repulsioni fra protoni è utile) e quelle negative “orbitano” attorno muovendosi non su orbite precise ma nel modo descritto dagli orbitali, che sono delle funzioni matematiche il cui quadrato ci consente di calcolare la densità di probabilità. (Orbitano il piffero! Provate a tenere ferma un’onda! Si, si può fare ma è complicato.)
Ma appunto questo non può essere provato: quelle funzioni possono solo aiutarci a prevedere su base statistica il risultato di specifiche “misure”, interazioni che danno su base statistica un risultato compatibile con la funzione stessa, al momento della misura.
Ma cosa facciano le cariche mentre noi non facciamo misure non possiamo saperlo; anzi non abbiamo nemmeno il diritto di chiederlo: zitti e calcolate!
C’è un verso molto “ficcante” di una quasi sconosciuta poetessa americana, Muriel Rukeyser (1913-1980)
Muriel, è stata una attivista politica, ma anche convinta che non bisogna separare scienza e umanesimo; per questo motivo ha scritto varie autobiografie di scienziati e matematici americani; fra gli altri pensate di J.W. Gibbs, il fondatore della termodinamica. (M. Rukeyser, Willard Gibbs: American Genius, (Woodbridge, CT: Ox Bow Press, 1988 [1942]). ISBN 0-918024-57-9 ) Gli aveva anche dedicato un poema nel 1930 (“Gibbs”, incluso in A Turning Wind, 1939). Ebbene in un poema del 1968 (The speed of darkness)) Muriel ha scritto:
“The Universe is made of stories, not of atoms.”
volendo sottolineare con questa frase la sua lotta politica contro le armi nucleari e il loro uso, contro la guerra. Ma una riflessione simile potrei farla anche io pensando al perchè ho spinto e sgomitato per fare questo blog: raccontare storie per raccontare gli atomi.
In un certo senso quando noi presentiamo gli atomi, facciamo questo; raccontiamo storie; immaginate quale validità possa avere portare questi astrusi concetti della MQ parlando di orbitali a studenti anche del primo anno di università? Figuriamoci prima! Gli atomi che raccontiamo sono storie, perchè non supportati da una base di matematica sufficientemente ampia e robusta; meglio invece partire dai fatti, dagli esperimenti che giustificano gli atomi e le loro proprietà, gli atomi non come storie, ma come modello che deve nascere dal lavoro sperimentale, dalle ipotesi degli studenti. Se no gli atomi diventano storie nel senso deteriore, raccontini, favole, che però sfigurano rispetto alle vere grandi favole, che so come quelle di Torquato Tasso, ma con l’aggravante che Tasso scriveva meglio di quanto noi si possa mai sperare di raccontare gli atomi.
Ci sono però dei fenomeni molto, molto interessanti che aiutano a gettare luce sulle cose; uno di questi fenomeni che vorrei raccontarvi oggi è l’atomo muonico.
Di cosa si tratta?
L’atomo di idrogeno è l’atomo più semplice, un solo protone attorno a cui “orbita” un solo elettrone; le sue dimensioni sono le più piccole possibili fra tutti gli atomi; nel 1964 Slater pubblicò una serie di valori dei raggi atomici illustrati qui sotto ed ottenuti con i raggi X ; si tratta di raggi atomici misurati allo stato solido.
Il raggio dell’idrogeno solido è circa 25 picometri. In effetti quello stimato modernamente per la molecola di H2 gassosa è di 31 picometri. Questo raggio è circa la metà di quello calcolato per un atomo “libero” da legami nel vuoto. Infatti il cosiddetto raggio di Bohr, calcolato in modo semiclassico ma coincidente con quello che segna il massimo di densità della funzione 1s è di
ossia 0.53 angstroms

J.C. Slater J. Chem. Phys. 41, 3199 (1964)
Queste differenze sono comprensibili in quanto sia nella molecola di idrogeno che nel cristallo di idrogeno solido le forze agenti sono tali da costringere lo spazio occupato dalle due particelle che sono attratte da quelle circostanti. E’ un po’ quel che succede quando si confrontano i valori di volume molare di un liquido e del suo covolume (ossia il volume da sottrarre a quello gassoso totale per far tornare valida l’equazione di stato del gas ideale). Se andate a cercare i dati l’acqua liquida a t ambiente ha un volume molare di circa 18 cm3, ma il covolume dell’acqua è di ben 30 cm3. In altre parole i volumi di atomi e molecole non sono fissi, la molecola di acqua gassosa si espande quando le altre molecole non la stringono da vicino! L’idea che si possano trattare come sfere rigide tenute da molle sarà comoda per i conti ma non corrisponde alla realtà; gli atomi e le molecole sono “soffici”, come si conviene a oggetti ondulatori e compressibili, spugnosi.
Torniamo al caso dell’atomo muonico; chi ha letto il nostro post sulla fisica delle particelle elementari ricorderà che nel modello standard gli elettroni fanno parte di un gruppo di 6 particelle denominate leptoni, di cui fanno parte anche altre particelle: i muoni.
Un muone è oltre 200 volte (207 per la precisione) più pesante dell’elettrone, ma è dotato di proprietà analoghe: stessa carica elettrica e stessa capacità di interagire con i fotoni.
Per questo motivo è possibile sostituire un elettrone con un muone; l’unico problema è che il muone è instabile e può degradarsi spontaneamente in altro; tuttavia la sostituzione regge per il tempo necessario a farci qualche “misura” e quindi la MQ considera tale sostituzione una interessante possibilità.
Si ottiene un atomo che contiene un muone al posto di un elettrone e si può fare questo con l’idrogeno ma anche con l’elio o con altri atomi. Le conseguenze sono interessanti e per molti versi inaspettate. Per esempio l’elio muonico si comporta come un idrogeno elettronico, il muone non collabora bene; perchè?
Il raggio di Bohr è una sorta di costante che si ritrova anche nella MQ rigorosa e che può servire a fare la cosiddetta adimensionalizzazione; ossia dividete tutte le distanze per questo valore, una sorta di unità di misura e le soluzioni diventano più semplici ed eleganti. Ma guardate con attenzione:

adesso a denominatore avete una massa me 207 volte maggiore e quindi il raggio di Bohr dell’idrogeno muonico è 207 volte inferiore: 25/207=0.12 picometri, ossia 120 femtometri, che è poco maggiore della stima di Rutherford per il nucleo di oro (30 femtometri); adesso l’atomo di idrogeno muonico è veramente piccolo, 207 volte più piccolo dell’idrogeno normale, ma ne conserva le proprietà, almeno in parte, se ne può fare spettroscopia, per esempio.
In effetti il nucleo dell’idrogeno è un protone isolato, il cui raggio è stimato attorno a 0.9 femtometri, ossia circa un 1% del raggio di Bohr per l’idrogeno muonico. E qui succede una cosa inaspettata, che succedeva già nell’atomo normale ma era troppo piccola per curarsene.
La funzione d’onda è definita anche “dentro” il volume del nucleo, non solo fuori di esso, le due funzioni d’onda di protone e elettrone o muone coprono medesime zone di spazio fisico; in particolare l’elettrone e il muone sono definiti anche “dentro” il volume del protone centrale; ma succede che quando sono uno “dentro” l’altro la forza di attrazione fra i due è minore. E’ una cosa che succede anche con la gravità e che avete studiato al liceo o al primo anno di fisica: in una ipotetica Terra parzialmente cava ma con la stessa massa, la forza di atttrazione diminuirebbe, in quanto un oggetto sarebbe attratto verso il centro di tutto ciò che è “sotto” di esso, ma anche verso l’esterno da tutto ciò che è “sopra” di esso, dalla massa restante; ed è ciò che accade in questo caso.
Con l’elettrone la percentuale di funzione d’onda interna al protone è troppo piccola per farci caso, ma col muone le cose sono diverse e la spettroscopia dell’idrogeno muonico ne risente; anzi si può ricavare un nuovo raggio del protone dalla spettroscopia dell’idrogeno muonico; e questa spettroscopia, laser molto precisa conduce ad una scoperta inaspettata: il protone è più piccolo di quanto misurato finora e di un bel pò, il 4% (0.84 rispetto a 0.88 femtometri): si tratta del proton radius puzzle, una questione mica da ridere perchè mette in questione a partire dalla chimica muonica nientemeno che sua eccellenza il modello standard. O è sbagliata la spettroscopia dell’idrogeno, conosciuta da oltre un secolo, oppure è sbagliato il modello standard, o quanto meno incompleto, una robetta mica da ridere. Anche il protone è una spugnetta?
Voi che ne dite?
**********************************************************************************
E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!
https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements