Una nuova percezione dell’acqua.

Mauro Icardi

Ogni italiano, in media, beve 208 litri di acqua in bottiglia in un anno: siamo primi in Europa, dove la media è di 106 litri, e secondi al Mondo dopo il Messico (244 litri). Questa abitudine sembra quasi impossibile da modificare. Ma pochi giorni fa ho assistito ad una conversazione tra un cliente e la cassiera di un supermercato che mi ha indotto a scrivere questa breve riflessione. Il cliente voleva verificare se il prezzo della confezione di acqua che aveva appena finito di acquistare fosse esatto. Quando la cassiera lo ha confermato ho avuto per un attimo la tentazione di intervenire, per invitare il signore che era stupito e quasi indignato, a confrontare il prezzo dell’acqua in bottiglia con quello della cosiddetta acqua del sindaco, ovvero quella potabile. Alla fine ho desistito sia per ragioni legate all’educazione ricevuta ma anche per la convinzione che non sarei approdato a nulla, iniziando una conversazione che rischiava di farmi passare per inopportuno ed impiccione. L’attuale situazione economica italiana è stata probabilmente la molla che deve avere spinto il signore in fila alla cassa a chiedere la verifica dello scontrino. Quando ogni singolo euro, o centesimo di euro diventa importante, alcuni schemi mentali possono cambiare.

Ma mi sono sempre posto una domanda. In Italia si è molto dibattuto, manifestato e protestato affinché la gestione dell’acqua rimanesse in capo ad un soggetto pubblico. Votarono per questo quesito referendario 27 milioni di elettori, ed il sì al mantenimento della gestione pubblica delle risorse idriche venne votato da 25 milioni di avanti diritto al voto, ovvero con una percentuale del 95%, risultato che si può definire storico.

Ma nonostante questo la mercificazione dell’acqua è proseguita. A livello subliminale, trainata da martellanti campagne pubblicitarie. I molti esperti della nostra salute individuale, siano essi dottori, amici che la sanno lunga, personal trainer o blogger, ci raccomandano in tutti i modi di bere molto e di farlo proattivamente senza affidarci all’occasionale presentarsi di pulsioni come, per fare un esempio, la sete. Concetto giusto ma che porta anche a comportamenti decisamente esagerati.

Se è concepibile che un medico consigli per i bambini un’acqua oligominerale, trovo semplicemente assurdo leggere commenti sui social dove si consiglia l’acquisto di acqua in bottiglia per gli animali da compagnia. Mi fa venire immediatamente in mente ciò che Nicholas Georgescu Roegen definiva crimine bioeconomico.

Sono state immesse sul mercato “super acque” arricchite di elettroliti e proteine e questo di fatto significa che si sta lavorando a un potenziamento funzionale dell’acqua che non si limita alle caratteristiche che l’acqua potrebbe avere naturalmente. Vengono ancora chiamate acque anche se ormai la parola ha perso il suo significato originario, finendo per definire una categoria di merce più che un composto. Cioè proprio quello che il referendum del 2011 voleva evitare.

Credo si debba lavorare sulla percezione dell’acqua. Non solo ragionando su quella che beviamo che in Italia relativamente al consumo di quella potabile rappresenta il 7% mentre il resto si distribuisce per l’uso di cucina, igiene personale e lavaggio indumenti.

Sarebbe necessario riflettere sulla nostra futura disponibilità di acqua. Il modificarsi del regime delle precipitazioni è evidente. Le statistiche mensili pubblicate dal Centro Geofisico Prealpino di Varese mi informano che in settembre alcuni forti temporali hanno portano piogge del 28% più abbondanti della media, ma che il deficit idrico dal primo dicembre 2021 rimane di 709 millimetri. In una provincia che un tempo era nota per l’abbondanza di precipitazioni. In attesa di vedere se ritroveremo neve sulle Alpi per  evitare quanto accaduto l’estate appena trascorsa, quella che abbiamo definito di siccità epocale.

Ma nel frattempo il Segretario Generale dell’Autorità Distrettuale del fiume Po, in merito allo stato idro-climatico del bacino Padano ha dichiarato il 30 Ottobre che: “La situazione è drammatica. E a preoccupare sono le falde ormai molto basse, quell’acqua che arriva dal sottosuolo è vita per la pianura”

Educazione all’uso dell’acqua, o come mi piace definirla educazione idrica ma non solo. Educazione ambientale che deve partire dallo studio della molecola dell’acqua e dalle sue particolarità cioè un ambito di studio prettamente chimico. Dimenticandoci di distorsioni percettive che sono inutili e dannose.

22 Marzo 2020: giornata mondiale dell’acqua ai tempi del coronavirus

Mauro Icardi

(con osservazione finale di Lugi Campanella)

La giornata mondiale dell’acqua quest’anno si celebra in un pianeta in apprensione. Spaventato dall’avanzare dell’epidemia di coronavirus. La celebrazione potrebbe passare in secondo piano, e la cosa non credo debba stupire o indignare più di tanto. La situazione di pandemia che l’OMS ha dichiarato è qualcosa che quasi nessuno di noi aveva immaginato, o che pensava di dover realmente affrontare.

Mi viene immediatamente in mente una prima riflessione, legata sia al virus che all’importanza dell’acqua: la raccomandazione che ci viene ripetuta incessantemente, cioè di lavarci spesso le mani. Questo è il primo collegamento sui cui rifletto. Lavarci le mani e aprire il rubinetto dell’acqua. Gesto abitudinario ed usuale, a cui probabilmente non facevamo più nemmeno troppa attenzione. Certamente qualcuno più attento avrà installato erogatori che permettono il minor consumo di acqua, avrà chiuso il rubinetto mentre si spazzolava i denti. Ma adesso questi gesti ordinari assumono un altro valore. Perché dietro a questi gesti ci sono le persone che continuano a garantirci questo servizio essenziale. Servizio di gestione delle reti e degli impianti idrici, fognari e di depurazione. Mi sembra giusto e doveroso ricordarlo. Senza enfasi o retorica. E ricordare che secondo il rapporto “Progress and drinking water” di OMS e Unicef del 2019, nel mondo, una persona su tre non ha accesso all’acqua potabile sicura. Secondo il Rapporto, circa 2,2 miliardi di persone a livello mondiale non dispongono di servizi per l’acqua potabile, 4,2 miliardi non dispongono di servizi igienici sicuri. Per 3 miliardi di persone, inoltre, non è possibile neppure lavarsi le mani disponendo di acqua e sapone in casa.

Altra riflessione che mi viene in mente è relativa alla definizione di “oro blu” legata all’acqua, e mediata dalla definizione di “oro nero” che era stata coniata per il petrolio. Sono almeno vent’anni che questa definizione è entrata nel nostro lessico. Quindi sottintende qualcosa di prezioso per definizione. E ciò che è prezioso diventa, per un modo ormai radicato di pensare, qualcosa che debba essere mercificato. E sappiamo che questa cosa già accade. In Italia molte persone si sono impegnate per ottenere un referendum che stabilisse che l’acqua non si dovesse mercificare. Che fosse e restasse un diritto pubblico universale, così come stabilito dall’ONU già nel 2010. Ognuno potrà valutare da sé se questo obbiettivo sia stato o no raggiunto. Io su questo tema ho potuto anche vedere molta confusione. L’acqua è diventata per molti un concetto astratto. Che potrei riassumere con un frase non mia, ma del Professor Roberto Canziani del politecnico di Milano, con cui a suo tempo ho collaborato per una sperimentazione sugli impianti MBR. Cioè che “Acqua pubblica non vuol dire acqua gratis, perché altrimenti dovremmo ancora andare a prenderla con il secchio e portarla fino a casa”. E’ una frase sulla quale si può essere d’accordo o meno. Certamente pone il problema degli investimenti da destinare al ciclo idrico, ed alla loro corretta gestione. Investimenti che devono comprendere anche la ricerca. Ci sono molti temi da affrontare, e qui se ne è scritto: inquinanti emergenti e resistenza antibiotica tra i più urgenti. Quanto meno serve a farci capire che l’acqua arriva e se ne va dalle nostre case, tramite le strutture e gli impianti che servono alla sua corretta gestione. Concetto che sembra ancora ignoto a molti.

Su quello che sono i beni comuni credo che già in questi giorni molti stiano facendo delle riflessioni. A partire dalla questione, oggi sotto gli occhi di tutti ,di un altro settore fondamentale e primario, cioè la sanità. L’acqua segue a ruota. Credo che sia un dovere per tutti riflettere a fondo sui beni comuni. Uscire da quelle affermazioni banali che, o per interesse proprio, o per dissonanza cognitiva o percettiva ci portano a considerare tutto il pubblico come qualcosa di inefficiente se non clientelare o parassitario. A pensare che solo la privatizzazione sia sinonimo di efficienza, trasparenza e professionalità. Lo stiamo vedendo anche per l’epidemia in corso. Forse dobbiamo ritornare cittadini, e ricordarci che come mi venne insegnato da mia madre lo Stato non è (o non dovrebbe esserci) estraneo. Lo stato mi diceva, siamo noi.

Esiste a mio parere una dissonanza idrica. Profonda e radicata, quella che ci fa svuotare i supermercati di confezioni di bottiglie d’acqua, che ci induce a considerare a priori che sia negativo bere l’acqua del proprio rubinetto di casa. Un atteggiamento di questo tipo merita un altra riflessione, profonda e doverosa.

Supportata certamente da studio e informazione. Senza superficialità . In tanti anni di lavoro ne ho sentita davvero troppa.

In Italia abbiamo anche permesso che in passato le organizzazioni criminali, come la mafia si sostituissero alle istituzioni fornendo acqua con le autobotti nei momenti di crisi idrica. In Italia dobbiamo tenere a mente un numero: 42. Questo numero non è la risposta che il supercomputer pensiero profondo ,(deep thought) del ciclo di libri “Guida galattica per autostoppisti” fornisce agli uomini che gli domandano cosa ci sia nella vita e nell’universo. Quei libri sono di fantascienza umoristica. In Italia 42% è ancora la quantità di acqua mediamente dispersa nelle reti idriche. Dato rimasto praticamente costante, e in questo caso l’umorismo sarebbe fuori luogo.

Lo sostengo su questo blog praticamente da sempre. Serve l’educazione idrica. Serve la rivalutazione della conoscenza. Della ricerca. I tempi del coronavirus ci hanno fatto capire, e ci stanno mostrando che il futuro, che non si può predire, ma solamente in qualche modo prefigurare, sarà decisamente molto diverso. Ne stiamo facendo esperienza tutti noi, ogni giorno. Il cambio di approccio e di paradigma è vitale.

Mi permetto l’ennesima citazione . Che viene da Primo Levi e anche dai Talmud.

Se non ora, quando?

https://www.who.int/water_sanitation_health/publications/jmp-report-2019/en/

https://www.worldwatercouncil.org/en

http://waterweb.org/

https://pubs.rsc.org/en/journals/journalissues/ew#!recentarticles&adv

https://www.snpambiente.it/category/temi/acqua/

 

Un commento di Luigi Campanella sulla Giornata dell’acqua

Aumentare l’accesso all’acqua pulita e la disponibilità di servizi sanitari nel mondo è un Obiettivo di Sviluppo Sostenibile fissato dall’ONU.

Acqua pulita e igiene sono essenziali per la sopravvivenza e per la produttività economica delle comunità.

In Africa il diritto all’acqua è ancora in gran parte non garantito.

In tutto il continente, escluso il Nord Africa, meno del 25% della popolazione ha eccesso all’acqua potabile, contro una media globale di oltre il 70%.

Nelle aree rurali 339 milioni di persone non hanno accesso ad acqua pulita e sicura.

In 60 anni e oltre di lavoro in Africa abbiamo imparato molto di più di quel che abbiamo insegnato. Gran parte di ciò che abbiamo appreso lo dobbiamo alle donne.

Le donne sono il volano dello sviluppo, sociale, culturale ed economico. Dal 2010 ad oggi, l’Africa Sub-sahariana ha perso in media 95 miliardi di dollari ogni anno, solo per non aver offerto le medesime opportunità e tutele a donne e uomini.

Il parallelismo che suggerisco in questo post del blog tra donne e acqua, richiama alla mente due immagini su tutte: la vita e la forza. Le donne, infatti, sono coloro che hanno il dono di custodire e dare la vita; l’acqua è il bene primario per eccellenza, senza il quale nessuno di noi potrebbe vivere. Che dire invece della forza, quella dei fiumi, degli oceani, quella di una goccia perpetua in grado di scavare la roccia? Eccole le donne.

 

Giornata mondiale dell’acqua 2018 “La natura per l’acqua”

Mauro Icardi

Anche quest’anno si celebra la giornata mondiale dell’acqua. Il tema di quest’anno è “Acqua e natura”, ovverosia ricercare soluzioni basate sulla natura per affrontare le sfide idriche del nuovo millennio.

L’appuntamento annuale, sia pur simbolico va ovviamente ricordato. Dovrebbe servire a ricordarci che l’acqua è un bene indispensabile per la vita umana. Imprescindibile.

Credo che molte, troppe, persone si dimentichino di questo concetto di base, distratti dal semplice gesto di aprire un rubinetto e vedere scorrere l’acqua. Senza chiedersi cosa ci sia dietro, quali risorse in termini monetari e di personale qualificato siano necessarie per la corretta gestione. Ho sostenuto diverse volte, sulle pagine di questo blog, come sul tema acqua si faccia spesso confusione, e in qualche caso anche dell’inutile demagogia. Mi rendo conto che troppo spesso informazioni che oggi chiamiamo bufale o fake news, e che una volta avremmo definito chiacchiere da bar hanno purtroppo maggior riscontro di interesse ma provocano notevoli danni, che spesso sembra rendano inutili gli sforzi di informazione e di divulgazione. E’ un problema che ovviamente coinvolge tutte le tematiche riguardanti i temi ambientali. Qualcosa che i tecnici o i ricercatori non possono risolvere da soli, senza l’aiuto determinante di chi si interessa del comportamento umano. Io ho ricordi personali di come mia nonna, che già anziana doveva pescare acqua dal pozzo della cascina dove viveva, e che per questa ragione poneva molta attenzione all’uso che faceva dell’acqua. Anche nelle pratiche di irrigazione, dell’orto e dei vasi di fiori che disponeva sui davanzali. Questo ricordo è stato utile e formativo. Anche se succedeva nel Monferrato negli anni 70 e non in un paese africano ai giorni nostri.

Da tecnico mi sono reso conto che molte volte gli appelli al risparmio idrico vengano colpevolmente sottovalutati, anche se nutro fiducia che questo tipo di malcostume dovrà cessare.

La scorsa estate è stata significativa in questo senso, basta andare a rivedere le cronache per rendersene conto.

Tra le iniziative che si possono segnalare quella che si terrà a Roma a cura dell’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale.

http://www.sinanet.isprambiente.it/gelso/eventi/xviii-giornata-mondiale-dell2019acqua-2018

I temi del convegno si focalizzano sulla corretta gestione delle acque sotterranee destinate al consumo umano. Quelle che necessitano di maggior protezione dalle contaminazioni di agenti inquinanti.

Oltre a questo i prelievi eccessivi, per esempio l’acquifero di Ogallala negli Stati Uniti dove i prelievi di acqua cosiddetta fossile (e quindi non rinnovabile) ammontano circa 26 km3 all’anno (consumo stimato nel 2000).

Sappiamo da anni che occorre incrementare non solamente il risparmio, ma il riuso e la diversa destinazione di vari tipi di acqua. Non ha molto senso utilizzare acqua potabile per i servizi igienici.

Il tema acqua e natura allarga la visuale anche alla protezione dei corsi d’acqua, delle aree umide. E si lega a quello dell’inquinamento ambientale in senso più ampio.

La natura ci ha già dato una mano in passato, considerando che per esempio le tecniche di depurazione classiche sono nate proprio trasferendo in impianti dotati di depurazione quelli che sono i processi autodepurativi naturali. Attualmente queste tecniche sono supportate da altre innovative, che migliorano il processo nel suo insieme. Ma nessuna tecnica, qualunque essa sia, potrà funzionare se non ci si rende conto di quanto sia importante l’acqua. Che è un diritto non solo per noi esseri umani, ma per le comunità ecologiche in generale. Questo credo vada sottolineato, perché spesso è un concetto dimenticato e non conosciuto. Per chiudere occorre anche doverosamente ricordare l’impegno che il settore chimico ha per la protezione dell’acqua. Non fosse altro che per il controllo a livello analitico di inquinanti vecchi e nuovi, che devono essere monitorati. Per i nuovi limiti di concentrazione e di rilevabilità che dal punto di vista quantitativo sono sempre più bassi.

Non siamo ovviamente i soli che si devono occupare di questo tema, ed è fondamentale la collaborazione con altre discipline scientifiche e tecniche. Anche questa collaborazione è imprescindibile. E in ultimo l’appello che sempre mi sento di dover ripetere. La collaborazione sia a scopo operativo, che divulgativo con le scuole e le Università. Educazione idrica e ambientale diffusa. A partire dalle scuole elementari. Quando ho tenuto lezioni nelle scuole ho sempre riscontrato interesse e arricchimento reciproco.

Auguro a tutti una buona giornata dell’acqua. Per chiudere ci sarebbero moltissimi aforismi che si prestano.

Ma questo tratto da “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge credo sia il più adatto.

“Acqua, acqua ovunque. E non una goccia da bere”

L’acqua percepita.

Mauro Icardi

Pochi giorni fa mi è capitato un episodio che mi ha indotto a qualche riflessione.

Durante la pausa pranzo, nel locale mensa stavo riempiendo la borraccia della bicicletta, mezzo che uso per recarmi al lavoro, dal rubinetto della rete idrica. Un collega mi ha guardato e mi ha chiesto perché non la riempissi con acqua in bottiglia, dicendomi anche, in maniera piuttosto esplicita che a suo giudizio l’acqua del rubinetto non fosse buona, anzi che “facesse schifo”.

L’episodio è abbastanza singolare per alcuni motivi. Il primo è che entrambi lavoriamo in un’azienda che si occupa di gestione del ciclo idrico. Per la verità la gestione dell’acqua in provincia di Varese è (purtroppo) ancora frammentata in tre differenti gestori per quanto riguarda la fornitura di acqua potabile. L’azienda per la quale lavoro gestisce una parte significativa della fornitura idrica potabile a livello provinciale.

Il laboratorio dove lavoro è situato alla periferia di Varese, e la fornitura di acqua potabile è a carico di un’altra società. Esaurito il preambolo ho trovato piuttosto strano che il mio collega, che conosce il lavoro che faccio avesse un’idea così negativa dell’acqua del rubinetto.

Io gli ho risposto che per scelta, non solo uso la bicicletta per gli spostamenti quotidiani, ma anche che bevo quotidianamente acqua del rubinetto. Dopo la chiacchierata ognuno è poi tornato alle proprie occupazioni. Io in laboratorio, e lui all’attività di gestione e manutenzione del depuratore dove è inserito il laboratorio.

La vicenda in sé mi ha confermato una cosa: la prevalenza di una idea diffusa. Cioè che l’acqua del rubinetto sia troppo dura, che sappia di cloro, che le tubazioni siano vecchie, e quando non lo siano quelle dell’acquedotto, lo siano quelle del proprio condominio. Queste sono solo alcune delle obiezioni più diffuse di chi utilizza acqua potabile per usi diversi dal bere. In realtà per la mia esperienza personale non credo che le cose stiano esattamente così. Ho bevuto quasi da sempre acqua potabile. In strada dalle fontanelle, e a casa (quando ancora vivevo a Settimo Torinese) sempre dal rubinetto, magari con l’aggiunta delle polveri per acqua da tavola, che ormai sono quasi oggetti di modernariato.

Per quanto riguarda invece l’avversione di molte persone a bere acqua di rubinetto mi chiedo quanto possano influire le martellanti campagne pubblicitarie che negli anni ci hanno mostrato fantomatiche “particelle di sodio” solitarie e tristi, oppure che ci ricordano (in una recente pubblicità) che per una certa acqua con giuste percentuali di calcio e magnesio sia tutta “questione di chimica”.

Forse per questa ragione gli italiani sono così affezionati all’acqua in bottiglia, tanto da esserne i primi consumatori in Europa con 208 litri all’anno secondo i dati riferiti al 2015 da beverfood.com e terzi al mondo secondo Statista.com.

Col tempo poi si sta assistendo ad una tendenza particolare. Sembra che l’acqua si stia trasformando in qualcosa di diverso. L’acqua deve essere colesterol free, vitaminizzata. Si sta affermando la figura del water sommelier, l’assaggiatore di acqua nei ristoranti

Purtroppo tra molte persone si sta facendo strada l’idea che ci possano essere contaminazioni nella rete di acquedotto, mentre l’idea che l’acqua che viene imbottigliata a pochi metri dalla sorgente sia garanzia di miglior qualità. Poi per molti è del tutto secondario che quest’acqua possa viaggiare per chilometri da un capo all’altro dell’Italia, e che esista un problema legato ai rifiuti di plastica.

Viaggiando molto in bicicletta vedo moltissime bottiglie di plastica ancora buttate ai lati delle strade.

L’impegno che io ritengo debba essere prioritario da parte delle aziende di erogazione di acqua potabile credo sia quello di essere maggiormente impegnate in un opera di informazione seria e capillare, in un continuo filo diretto con gli utenti, per fugare timori che sono molto spesso infondati. Parallelamente deve (ed è fondamentale) partire una massiccia opera di ristrutturazione delle infrastrutture della rete acquedottistica. La percentuale di acqua ancora dispersa nelle reti di acquedotto continua ad aggirarsi intorno a valori del 50%.

Rimane la questione del gusto dell’acqua, ma sono convinto che una prova di assaggio di diverse acque in bottiglia non gasate, con l’inserimento di un’acqua di acquedotto lasciata riposare per essere liberata dal cloro volatile residuo, probabilmente non permetterebbe all’ipotetico assaggiatore di identificarla tra le altre, soprattutto quando non sono addizionate di anidride carbonica.

In un contesto generale di scarsità idrica dovuta ai cambiamenti climatici, credo che occorra tornare ad un approccio più naturale al normale gesto di bere un bicchier d’acqua.

Trovo paradossale che per anni si sia sostenuto che l’acqua non dovesse essere una merce, riferendosi a quella potabile, mentre si accetta senza nessuna obiezione di pagare un prezzo molto più alto per l’acqua in bottiglia. Per sincerarsene basta verificare il prezzo al supermercato. Alcune bottiglie possono costare 50 centesimi per un litro e mezzo. Con 50 centesimi io posso acquistare 746 litri di acqua potabile, comprese tasse e costi fissi.

Ecco, la riflessione che mi sento di fare è quella se questa non sia una situazione paradossale.

L’altra riflessione è quella solita: spesso un chimico si trova a predicare nel deserto, ed è riferita alla conversazione iniziale con il collega. Situazione non nuova, ma provata anche in altri contesti.

E questo purtroppo riguarda non solo l’acqua, ma ogni argomento nel quale non si discuta razionalmente, ma si ceda ai luoghi comuni ripetuti fino ad avere ottenuto la dignità di verità.

Due parole su chi controlla le acque potabili.

Mauro Icardi

La scorsa settimana una delle “Pillole di Mercalli”, filmati che il noto climatologo dedica ai temi ambientali e che vanno in onda su Rai News, è stata dedicata all’eccessivo consumo di acqua in bottiglia da parte degli Italiani.

Terzi a livello mondiale dopo Messico e Tailandia.

Ho visionato il filmato sul sito della Rai e ho voluto vedere qualche commento a proposito. A parte il solito schierarsi a favore o contro il consumo di acqua in bottiglia per ragioni diverse (sostenibilità ambientale su tutte, ma anche abitudini e gusti personali), ho potuto notare come al solito il proliferare di luoghi comuni decisamente banali.

Si sa che in generale le persone si lamentano dell’odore di cloro dell’acqua potabile (problema che è risolvibilissimo con il semplice utilizzo di una caraffa dove far riposare l’acqua per circa trenta minuti).

Molti sono addirittura convinti che l’acqua potabile sia nociva per la salute. E non è semplice far capire che un gestore di acquedotto ricorre alla disinfezione per consegnare l’acqua completamente esente da microorganismi potenzialmente patogeni.

Devo dire che ormai mi sono quasi rassegnato a questo tipo di commenti. Ma non ho resistito a dover rispondere ad un commento che in maniera superficiale e direi offensiva, sosteneva che la fiducia nell’acqua in bottiglia risiedesse nel fatto che le aziende imbottigliatrici “fanno i controlli”, e che conseguentemente i controlli effettuati dai gestori del ciclo idrico fossero insufficienti, o addirittura mancanti.

Ho risposto al commentatore, scrivendo che, se era così sicuro che gli addetti al controllo delle acque potabili della sua zona adottassero comportamenti omissivi nello svolgimento delle analisi , non gli restava che presentare una circostanziata denuncia alla Procura della Repubblica.

Assumendosi l’onere e la responsabilità di quanto affermava. Inutile dire che non ho ricevuto nessuna risposta a questo mio commento.

Forse avrei dovuto ignorare questo commento, come molti altri. Commenti che riguardano gli argomenti più diversi. Sulla possibilità che il web amplifichi quelle che un tempo erano le chiacchiere da bar si espresse già Umberto Eco. E sulla propagazione di bufale e leggende per meccanismi di conferma che si sviluppano per esempio tra chi crede alle scie chimiche, e sulla facilità con cui queste possono prendere piede ci sono già molti studi, e molti interessanti articoli. Uno molto interessante a firma di Walter Quattrociocchi è uscito sul numero 570 de “Le scienze” nel Febbraio 2016.

Ma su una cosa di questa importanza, non ho voluto far finta di niente. Mi sono sentito chiamato in causa in prima persona, ed ho pensato anche a tutte le persone che conosco negli incontri di lavoro, e che si occupano di qualità dell’acqua potabile.

Le società di gestione e conseguentemente gli addetti sono tenuti a rispettare quanto disposto dal Dlgs 31 che regola i controlli sulle acque destinate al consumo umano.

I controlli sono sia interni, cioè svolti dall’azienda di gestione dell’acquedotto, che esterni cioè effettuati dalle aziende sanitarie locali. I gestori sono soggetti ad un numero definito di analisi in funzione del volume di acqua erogata.

Questo il link del Dlgs 31.

https://www.arpal.gov.it/images/stories/testi_normative/DLgs_31-2001.pdf

Mi chiedo come si possa pensare che le aziende sanitarie, i gestori di acquedotto possano mettere in pratica comportamenti omissivi.

Siamo tenuti a conservare i risultati delle analisi per cinque anni, a pubblicare i rapporti di prova sul sito della nostra azienda per ottemperare a criteri di qualità e di trasparenza.

Ma soprattutto siamo coscienti di fornire un servizio. Come addetti al laboratorio poi siamo impegnati in un lavoro continuo di aggiornamento sia normativo che analitico. Le aziende acquedottistiche dovranno nel futuro sviluppare un proprio “Water Safety Plan” , cioè monitorare i fattori di rischio non solo a livello analitico, ma territoriale e di rete.

Siamo consapevoli dell’importanza della risorsa acqua.

Io ho come hobby il ciclismo. E ogni volta che faccio uscite in bicicletta rivolgo sempre un ringraziamento ai colleghi di altre aziende, quando sosto presso una fontanella o ad una casa dell’acqua. Al loro lavoro che mi permette di combattere sete e caldo, soprattutto in questi giorni.

Ma vorrei dire un’ultima parola a chi crede che non si facciano i controlli. Come chimici, come biologi, come tecnici di rete siamo vincolati ad un importante valore. Sappiamo di svolgere un servizio e conosciamo cosa significa una parola: etica. La conosco personalmente come chimico che in qualche caso ha rinunciato a ferie o permessi per terminare un’analisi urgente o la lettura di una piastra di microbiologia.

La conoscono i colleghi che a qualunque ora del giorno e della notte sono chiamati ad intervenire per ripristinare la fornitura dell’acqua. Lo sostengo da sempre. Non è con la demagogia o il sensazionalismo che si possono affrontare questi problemi. E questa cosa vale non solo per la mia azienda.

Riflettere un attimo prima di dire cose insensate è una virtù ormai scomparsa.

Tubazioni di cemento amianto e rilascio di fibre. Un problema delicato.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

In questo articolo vorrei fare qualche considerazione su questo problema piuttosto delicato. Cercando di affrontare il tema dal punto di vista chimico impiantistico. Il problema epidemiologico sanitario è ovviamente al di fuori delle mie competenze e da questo punto di vista ci si deve basare sugli studi effettuati dall’OMS.

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La presenza di tubazioni di cemento amianto nella rete acquedottistica ed anche nei cassoni che fungevano da serbatoi di accumulo in vecchie abitazioni va affrontato ovviamente con cautela. E’ purtroppo facile cadere nel meccanismo della psicosi e rinunciare al consumo di acqua potabile spostando la scelta sull’acqua imbottigliata. Scelta ovviamente che attiene alle abitudini dei consumatori. Ma sappiamo che l’acqua in bottiglia ha impatti ambientali diversi, legati alla produzione di rifiuti (bottiglie in plastica), consumo di energia ed emissioni di CO2 legate alla movimentazione ed al trasporto delle confezioni anche a molti chilometri di distanza dalle fonti di imbottigliamento. Non accenno al problema del rilascio di frammenti di materiale plastico nelle bottiglie che è stato molto ben trattato da Luigi Campanella su questo stesso blog.

Per l’amianto non sono ancora stati stabiliti limiti di concentrazione per le acque destinate al consumo umano, sia nella normativa italiana che in quella comunitaria.

In Italia le tubazioni in cemento amianto (fibrocemento) si sono iniziate ad utilizzare fin dal 1916, e in generale l’utilizzo del fibrocemento in edilizia è continuato in maniera costante dagli anni 50 fino agli anni 80. La scoperta che le fibre di amianto se inalate provocavano asbestosi e insorgenza di mesotelioma pleurico hanno portato all’emanazione del Decreto del Ministero della Sanità 14 maggio 1996, attuativo della legge n° 257 del 27 marzo 1992 che ha vietato l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione dei manufatti in amianto. Sono ancora in corso bonifiche e rimozioni di questo materiale che spesso ricopriva varie costruzioni con le caratteristiche coperture ondulate.

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Il problema specifico delle tubazioni di questo materiale destinate al trasporto di acqua potabile è stato affrontato nel D.P.R 215 del 24/05/1988 che ne proibiva l’immissione sul mercato, analogamente agli altri manufatti e stabiliva una deroga temporanea fino al 30/04/1991 ad eccezione di casi in cui le acque fossero particolarmente aggressive.

Per quanto riguarda l’ingestione di fibre di amianto con l’acqua potabile e lo sviluppo di tumori del tratto gastrointestinale le indicazioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità, basandosi su studi effettuati a livello internazionale, ha indicato che non esistevano chiare evidenze di una correlazione tra ingestione di acqua potabile contenente fibre di amianto, (provenienti da fonti naturali contaminate o da rilascio da tubazioni o cassoni serbatoio) con valori di fibre/litro che variavano da 1 milione fino a 200 milioni di fibre/litro.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1994 nel documento “Direttive di qualità per l’acqua potabile” si espresse con questa affermazione : “ Non esiste dunque alcuna prova seria che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute, non è stato ritenuto utile pertanto stabilire un valore guida fondato su delle considerazioni di natura sanitaria, per la presenza di questa sostanza nell’acqua potabile”. Ricordo che tutte le linee e i valori guida dell’OMS sono poi di norma recepiti nelle normative specifiche di settore. Per questa ragione ancora non esiste un valore nelle normative del settore idrico.

L’EPA (Environmental Protection Agency) degli Usa ritiene accettabile nell’acqua potabile la presenza di 7 milioni di fibre/litro con lunghezza superiore a 10 µm.

Veniamo ora a qualche considerazione di tipo tecnico. Il rilascio di fibre di amianto dipende dalla solubilizzazione della matrice in cemento che subisce la sottrazione di ioni calcio. In questa situazione si può verificare il rilascio di fibre di cemento nell’acqua. Quindi dipende anche dall’aggressività dell’acqua che è funzione dl pH, della durezza calcica e dell’alcalinità. Altri fattori sono la temperatura, l ’ossigeno disciolto, il contenuto di solidi sospesi e la velocità dell’acqua nella tubazione. Paradossalmente un’acqua fortemente incrostante con valori elevati di durezza eserciterebbe un fenomeno di protezione superficiale. Lo strato di calcare isolerebbe la parte di tubatura in cemento- amianto impedendo il rilascio di fibre.

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Per quanto riguarda l’aggressività dell’acqua la formula elaborata dall’American Water Works Association e ripresa da EPA e OMS è la seguente.

IA (Indice di aggressività) = pH + log10 (AxH)

A= alcalinità totale (mg/l di CaCO3)

H= durezza calcica (mg/l CaCO3)

L’acqua risulta più aggressiva quanto più basso è il valore di questo indice. Il valore di temperatura in cui questa formula ha validità va da 4,5 a 26,5 ° C.

Il 31 Marzo di quest’anno dopo segnalazione di comitati di cittadini e del dipartimento di protezione dell’Asl di Pistoia, l’Istituto Superiore di Sanità ha autorizzato la richiesta che l’Asl aveva inviato alla regione Toscana di effettuare monitoraggi sulla rete acquedottistica. L’Istituto Superiore di Sanità ribadisce la non pericolosità dell’amianto citando l’ultima conferenza governativa e le revisioni degli studi scientifici di IARC, OMS,ISS. L’ordine dei medici di Pistoia è di parere diverso.

http://www.italyjournal.it/2016/03/31/lamianto-nellacqua-non-provoca-cancro/

In ogni caso adottando il principio di precauzione il monitoraggio sulla rete dell’ acquedotto Pistoiese verrà eseguito.

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In passato sono stati eseguiti monitoraggi sulla rete dell’acquedotto di Bologna e in altre zone della Toscana.

Il monitoraggio sulla rete acquedottistica di Bologna è stato condotto dal 1998 al 2005. Le positività per presenza di fibre di amianto è risultata essere positiva in 11 campioni su 188 analizzati, con una percentuale del 5,8% dei campioni.

Le positività ripetute si sono verificate in punti terminali di condotta dove è più facile l’accumulo, anche in relazione a possibili rotture della tubazione.

I valori riscontrati variavano da un minimo di 238 fibre/litro fino ad un massimo di 2550 fibre/litro.

Valori quindi di diversi ordini di grandezza inferiori a quello suggerito dall’EPA Statunitense (7 milioni di fibre/litro).

La regione Toscana ha effettuato monitoraggi sulle condotte nel biennio 1995-1996 su 59 campioni di acqua della rete riscontrando positività nel 24% dei casi con valori variabili da 1600 fibre/litro nelle reti dell’Isola d’Elba, Scandicci, Empoli, zona Livorno Centro, fino a valori di 37700 fibre litro nella rete della zona Livorno Porto.

Normalmente in questo tipo di analisi prevedono la determinazione di parametri chimico fisici dell’acqua per verificarne l’eventuale aggressività (Cloruro, Nitrato, Nitrito ,Ammonio, Durezza , pH ,Conducibilità) e la filtrazione di due litri di acqua potabile da sottoporre poi alla microscopia elettronica a scansione. Per diminuire gli errori sperimentali e di contaminazione viene effettuata prima dell’analisi al microscopio anche la lettura di un bianco di due litri di acqua ultrapura filtrata.

Qualche considerazione conclusiva.

L’acqua potabile non viene usata solo per bere, ma anche per uso di cucina e per lavaggio di superfici. Quindi vi sono quantità di acqua che evaporano da superfici estese o da lavabi e docce. Quindi non si può escludere un problema di inalazione di fibre areodisperse. Il decreto del ministero della Sanità citato all’inizio dell’articolo (Decreto Ministero Sanità 1/5/1996) citava studi statunitensi che indicavano che acque con concentrazione molto elevata di amianto (pari a 20 milioni di fibre/litro ) potessero aumentare di cinque volte il valore di fondo di fibre areodisperse nelle abitazioni.

I valori riscontrati negli studi in Toscana e a Bologna riportano dati abbastanza variabili ma con valori non elevati di concentrazione fibre/ litro di amianto.

Secondo il Safe Drinking Water Committee della National Academy Sciences statunitense il rischio tumorale associato alla presenza di amianto nelle acque potabili sarebbe dell’ordine di un tumore ogni 100.000 persone che abbiano ingerito per 70 anni di vita acque con concentrazioni di amianto dell’ordine delle 100.000 – 200.000 fibre/litro.

Questo non vuol dire abbassare la guardia, ma al contrario prevedere ulteriori campagne di monitoraggio e di verifica. Il problema è delicato ed è molto sentito, basta fare una ricerca in rete per rendersene conto. Per questo problema, come per tutti gli altri attinenti ad inquinanti emergenti occorrono atti concreti e se possibile nessuna propensione all’isteria o alla demagogia. Ci sono necessità di interventi sulla rete acquedottistica e quindi di investimenti anche cospicui in termini economici. . L’esperienza che ho maturato mi ha portato a concludere che spesso sull’acqua si fa confusione, si fanno fiorire leggende. Molti la vogliono pubblica (e dal punto di vista del diritto naturale il concetto non è fuori luogo) ma poi ci si perde in discussioni capziose e sterili, mentre le strutture invecchiano e necessitano di manutenzioni, upgrading o rifacimenti totali. Nello stesso tempo si deve investire in apparecchiature analitiche sempre più complesse e sofisticate, per raggiungere limiti di rilevabilità analitica sempre più bassi, e per determinazioni qualitative di inquinanti sempre nuovi.

E il dialogo tra politica, movimenti di cittadini, tecnici del settore è spesso un dialogo tra sordi.

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Anche su questo specifico argomento basta vedere in rete e si coglie un diffuso senso di polemica e di litigiosità. E comprensibile che la parola amianto faccia paura, ma bisogna cercare di rimanere razionali se possibile.

Ritengo indispensabile creare un clima più disteso e collaborativo e contestualmente creare e diffondere una corretta cultura dell’acqua. E tra i promotori culturali ca va sans dire i chimici hanno esperienza e cose da dire.

Ovviamente anche gli studi epidemiologici e clinici devono approfondire il tema. La sinergia è fondamentale. Terzo elemento: informazione onesta e trasparente. Siamo già sommersi da bufale e leggende. Questo per altro è un problema che trascende l’argomento in oggetto, e va molto oltre.

Per approfondire.

  • Decreto Ministero della Sanita 14/05/1996 G.U suppl. Ord 25/10/1996
  • EPA Technical Fachtsheet on Absestos
  • “Fibre di amianto nell’acqua potabile” di O. Sala Rivista Arpa Emilia Romagna n° 2 Marzo-Aprile 2006
  • “Contaminazione da fibre di amianto nelle acque potabili in Toscana” a cura di G Fornaciai, M Cherubini, F Mantelli Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Pavia 1997 I Documenti . 12
  • Polissar L , Severson R.K and Boatman E.S “ A case- control study of asbestos in drinking water an cancer risk” American Journal of Epidemiology 119: 456-471
  • Working group on the DHHS Commettee to Coordinate Environmental and Related Programs. Subcomittee on Risk Assessment (1987) “Report on cancer risk asoociated with the ingestion of asbestos”. Enviromental Healt Perspectives 72 : 253-265.
  • World Healt Organization (WHO) (1984-1985) “Guidelines for drinking- water quality”
  • Asbestos International Association (1982) “Method for the determination of airborne asbestos fibres and other inorganic fibres by scanning electron microscopy. Recomanded Technical Method n° 2 AIA Health and Safety Publication London
  • Chatfiel E.J ,Dillon M.I, “Analytical method for determination of sbestos in water” EPA- 600/4-83-043
  • Ministero della Sanità (1992) Decreto del 13 dicembre 1991 “Direttive per la redazione elaborazione aggiornamento e trasmissione della mappatura relativa agli impianti di acquedotto e per la trasmissione dei dati relativi al controlli analitici esperiti sulle acque destinate al consumo umano” G.U serie generale n° 3 4/1/1992

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E’ APERTA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE ALLA IUPAC per dare il nome Levio ad uno dei 4 nuovi elementi:FIRMATE!

https://www.change.org/p/international-union-of-pure-and-applied-chemistry-giving-name-levium-to-one-of-the-4-new-chemical-elements

La sicurezza dei servizi idrici ed il ruolo del laboratorio.

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

Gli avvenimenti del 13 Novembre scorso Parigi sono ancora ben presenti in tutti noi. E purtroppo hanno riportato alla nostra mente la difficoltà di sentirsi interamente al sicuro da attacchi terroristici. sicuacqua1

Quanto sta avvenendo in queste ore a Bruxelles, città dove sono state chiuse la scuola e la metropolitana, lo ha confermato. Cinque giorni dopo i fatti di Parigi ho partecipato ad un corso sulla sicurezza dei servizi idrici da eventi di tipo terroristico o di danneggiamento intenzionale, ed in particolare su quello che è il ruolo del laboratorio nella gestione di emergenze di questo tipo. Il corso si è svolto presso il depuratore di Milano Nosedo, e i relatori sono stati tecnici della società Smat (società metropolitana acque Torino) che gestisce il ciclo idrico nell’area di Torino. E’ stato illustrato il lavoro di creazione di un piano di gestione dei rischi connessi ad eventuali atti terroristici o di danneggiamento intenzionale delle strutture di distribuzione e di accumulo di acqua potabile.

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La creazione di un piano di emergenza parte con una scala di valutazione delle possibili criticità e vulnerabilità dei pozzi e delle stazioni di sollevamento. Le minacce possono essere divise tra possibili e credibili. Devono successivamente essere valutate. In caso di conferma di un atto di sabotaggio o manomissione intenzionale viene attivato un piano di emergenza che comprende vari passaggi. Dallo screening della rete, fino alle comunicazioni alla cittadinanza, e in casi maggiormente gravi l’allerta alle autorità sanitarie e alla prefettura. Un esempio pratico di valutazione che fa scattare il piano di sicurezza è questo.

La media dei reclami per la qualità dell’acqua è mediamente di cinque reclami al mese. Se questo numero sale in maniera evidente si da inizio alle operazioni di valutazione della minaccia per verificarne la veridicità. Sono disponibili per questa valutazione dei questionari dove agli utenti vengono chieste informazioni: variazioni nel colore dell’acqua, modifica del sapore, presenza di terriccio, manifestarsi di irritazioni della cute, problemi eventuali su acquario domestico o piante d’appartamento. Si domanda se per esempio in un nucleo familiare più persone lamentano malesseri o irritazioni dopo aver bevuto acqua del rubinetto.

Le valutazioni di probabilità di un evento sono indicate in una scala da 1 a 10, partendo da remota, fino ad arrivare a molto alta. Gli addetti al Laboratorio in caso di emergenze sulla rete idrica si devono attivare per il controllo della rete. Lo screening può partire da misure in continuo di alcuni parametri che vengono rilevati con l’ausilio di sonde automatiche che possono misurare in continuo parametri sia di base che specifici. Si parte da rilevazioni di pH , conducibilità, torbidità e cloro libero (per contaminazione inorganica) fino ad arrivare alla rilevazione di parametri come TOC, DOC (sostanza organica disciolta ). Altre misure possono essere quelle di ioni come ammonio, cloruri, nitrati, potassio. I valori rilevati dalle sonde vengono confrontati con quelli dell’archivio delle analisi di routine e verifica effettuati nella normale gestione. Se si notano scostamenti evidenti e significativi si approfondiscono le verifiche analitiche. Per impianti di trattamento di acque superficiali destinate ad uso potabile si utilizzano sonde spettrometriche uv e uno spettrofometro uv/visibile funzionanti in continuo.

Devono essere monitorati i punti di prelievo sulla rete con l’ausilio di una mappa dettagliata, esi devono gestire le apparecchiature automatiche con un programma cadenzato di autotarature.

Altre tecniche di controllo in continuo dell’acqua immessa nella rete di acquedotto sono quelle di tipo microbiologico e di biomonitoraggio. In particolare quest’ultima viene effettuata con fishtest con trota iridea e con mossel monitor con molluschi bivalvi. Il primo test consiste nell’osservazione di eventuali anomalie di comportamento delle trote che sono presenti in un acquario alimentato con l’acqua che verrà poi immessa in rete. Gli animali sono ripresi da due webcam e sono monitorati 24 ore su 24. Le anomalie di comportamento o le eventuali morie sono comunicate tempestivamente alle sale controllo degli impianti di potabilizzazione. Il mosselmonitor invece rileva le eventuali anomali nella chiusura ed apertura delle valve dei molluschi, non attribuibili al normale ciclo di sonno veglia. Di solito le valve dei molluschi rimangono aperte per il 70-80% della giornata per l’assunzione di cibo e ossigeno. La chiusura e la riapertura delle valve è un comportamento anomalo. Se il mossel test rivela presenza di tossicità l’apertura e chiusura anomala delle valve dei molluschi attiva un sistema di allarme gestito da sonde che sono posizionate nei gusci dei molluschi. Questo allarme permette di isolare o chiudere automaticamente sezioni dell’impianto di fornitura di acqua potabile. Per avere informazioni in tempi più rapidi sull’eventuale contaminazione da microrganismi che vengono ricercati da quanto previsto nel dl 31 (e coli,enterococchi) vengono effettuate estrazioni del DNA batterico, e test dell’ATP in aggiunta alle normali semine su piastra. L’azienda ha messo a punto anche valutazioni di patogeni conclamati quali antrace colera e peste, e sta conducendo sperimentazioni sulla possibilità di una ricerca qualitativa del virus ebola.

Bisogna ricordare che sono molto diverse le quantità di agenti contaminati che possono avere effetto per esempio nella contaminazione di un serbatoio del volume di 10.000 m3. Su un serbatoio di questa capacità si devono o per esempio utilizzare 1000 kg di arsenico, oppure 250 kg di cianuro per ottenere avvelenamento acuto per ingestione di mezzo litro di acqua. Mentre sono sufficienti 1,4 kg di tossina botulinica, e mezzo chilo di sarin. Per quanto riguarda la contaminazione da agenti biologici basta una provetta contenente 10.000 batteri di Salmonella typhi. Come si vede i patogeni sono il rischio reale maggiore. Va detto però che le indagini di tipo chimico ad ampio spettro possono essere utilizzate anche per la rilevazione di sversamenti accidentali di inquinanti nella rete acquedottistica, o di infiltrazioni e veicolazioni di inquinanti in falda.

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Tra le nuove emergenze merita un cenno anche quella relativa alla gestione dei sistemi acquedottistici e depurativi durante il verificarsi di eventi meteorologici estremi (prolungate siccità e precipitazioni piovose straordinarie). Situazioni che si stanno ripetendo con molta frequenza negli ultimi anni.

Si delineano nuovi impegni professionali per gli addetti ai laboratori di controllo. Ma questi nuovi impegni sono anche un triste segno di questo nuovo periodo storico, dominato da incertezza e complessità.

Riferimenti utili.

Istituto Superiore di Sanità – Rapporti ISTISAN 05/4 – Sicurezza dei sistemi

acquedottistici (2005)

  • AWWA-WRF – A Water Utility Manager’s Guide to Cyanotoxins (2015)
  • AWWA WEBINAR –Water Contamination Incidents and Response Guidance (2015)
  • Istituto Superiore di Sanità – Rapporti ISTISAN 11/35 – Cianobatteri in acque destinate

al consumo umano (vol 1: Stato delle conoscenze per la valutazione del rischio; vol 2:

Linee guida per la gestione del rischio) (2011)

  • Department of Homeland Security Science and Technology – PNNL-21713 –

Biodetection Technologies for First Responders (2012)

  • S. States et al. – Utility-based analytical methods to ensure Public water supply security

– JAWWA (2003)

  • AWWA WEBINAR – Preparing for Ebola in the Water Sector (2014)
  • AWWA WEBINAR –Water contamination Incidents and Response Guidance (2015)
  • RSPH WEBINAR – Water for Food (2015)
  • WHO Guidance on water supply and sanitation in extreme weather events (2011)

 

Inquinanti emergenti nelle acque: qualche considerazione

a cura di Valentina Furlan* e Mauro Icardi*

Negli ultimi anni tra gli addetti alla gestione del ciclo idrico integrato (approvvigionamento,distribuzione,depurazione delle acque reflue)  si è iniziata a focalizzare l’attenzione sulla presenza di contaminanti definiti “emergenti”, riscontrati sia nelle acque destinate al consumo umano,sia nelle acque reflue. La provenienza di questi contaminanti è piuttosto varia. Il termine emergenti significa che sono composti sui quali si stanno approfondendo controlli e studi. Questo per due principali motivi: inserirli nelle tabelle dei limiti di emissione, se non ancora normati, e verificare quali possono essere le tecnologie più adatte per la loro rimozione.

Sono sostanze che  possono derivare da trattamenti di potabilizzazione delle acque (per esempio i cloriti),dall’incremento dell’uso di prodotti per la detergenza personale,  dall’uso di farmaci e dal consumo di droghe d’abuso. Gli effetti di questi prodotti sulle acque sono da diversi anni in fase di studio e di monitoraggio, vista la loro diffusione  capillare nell’ambiente.

I farmaci per esempio non vengono  metabolizzati completamente, e possono venire escreti tal quali,o come metaboliti attivi con le urine o le feci. Queste sostanze finiscono così nel flusso di acque fognarie destinate ai trattamenti di depurazione negli impianti centralizzati. Non riescono ad essere degradate adeguatamente .

La maggior parte degli impianti di depurazione presenti in Italia sono di tipo biologico. La fase principale del trattamento avviene in una vasca di ossidazione detta  a fanghi attivi. In questa vasca si sfrutta l’azione metabolica dei microorganismi che possono essere di diverso tipo,dai batteri ai protozooi ,e che sfruttano le sostanze organiche e l’ossigeno disciolti nel liquame per le loro necessità di sviluppo e riproduzione. In questo modo si formano fiocchi di fango facilmente eliminabili poi nella successiva fase di sedimentazione finale. E’ di tutta evidenza che se i microrganismi trovano nel liquame per esempio sostanze ad azione antibiotica, la loro attività può essere inibita o ridotta. In questo modo le sostanze non biodegradabili si ritrovano inalterate alla fine del processo di depurazione, e quindi finiscono per essere scaricate nei corsi d’acqua dove possono esplicare attività tossica. O interferire con il sistema endocrino dei pesci,e della fauna in generale.

Per ovviare a questo problema è necessario adottare trattamenti di tipo terziario, consistenti principalmente nei sistemi di filtrazione su membrana, che attualmente stanno cominciando a trovare impiego in alcuni depuratori consortili.  Il costo gestionale però  sta ancora limitandone la diffusione. La tecnica di filtrazione su membrana è,dal punto di vista gestionale, di più facile applicazione e gestione, rispetto per esempio ai sistemi di ossidazione avanzata. Questi ultimi se non correttamente condotti e gestiti possono portare alla formazione di intermedi di reazione più tossici dei prodotti di partenza.  Sono comunque sistemi utilizzati. Si possono utilizzare per questa tecnica anche le lampade uv, che però trovano maggior impiego per le disinfezione finale delle acque già sottoposte a sedimentazione finale, prima dello scarico nel corpo idrico. Questo perché uno dei principali fattori limitanti delle lampade uv, è la riduzione della capacità ossidativa delle lampade, a causa di problemi di sporcamento delle stesse.

L’adsorbimento su appositi materiali, quali filtri a carboni attivi è, nel settore del trattamento acque ancora uno dei maggiormente usati, sia nel trattamento delle acque reflue, sia in quello delle acque destinate al consumo umano. I filtri a carboni attivi riescono ad eliminare microinquinanti sia inorganici che organici,quali metalli pesanti,insetticidi e altri fitofarmaci.

Per quanto riguarda gli inquinanti emergenti nel settore delle acque destinate al consumo umano, l’attenzione nel tempo è stata focalizzata sia sui prodotti  intermedi della disinfezione, sia su inquinanti derivanti da particolari situazioni ambientali.

Nel primo caso si può citare il problema dei cloriti. I cloriti sono prodotti intermedi che si originano nel trattamento delle acque destinate al consumo umano con biossido di cloro, per garantirne la purezza microbiologica al punto di erogazione.  Se l’approvvigionamento  di acqua per uso potabile non viene effettuato da pozzi o da acque sorgentizie, ma da acque superficiali, questo tipo di trattamento è indispensabile, soprattutto se la rete di distribuzione è particolarmente estesa.

Ma i cloriti sono sospettati di poter produrre problemi di anemia nei bambini, e disordini nel sistema nervoso. Per questa ragione, in un primo momento il limite di questi composti nelle acque potabili era stato fissato a 200 microgrammi/litro. Ma ci si è accorti molto presto che era un valore troppo basso, e che si rischiava di non riuscire ad effettuare un’adeguata disinfezione dell’acqua. Giova ricordare che se l’acqua non è disinfettata adeguatamente può essere veicolo di problemi sanitari piuttosto gravi, quali colera, tifo, varie patologie dissenteriche di origine batterica. A seguito di verifiche effettuate dall’Istituto superiore di sanità, questo limite è stato innalzato al valore di 700 microgrammi/litro dal decreto del Ministero della salute del 5 settembre 2006, modificando il precedente valore di 200 microgrammi inserito in origine nel decreto legislativo 31 del 2001.

Le modifiche di questi valori di parametro, ovviamente seguono l’evoluzione delle ricerche e degli studi effettuati da diverse organizzazioni, prima fra tutte l’Organizzazione Mondiale della sanità. Le indicazioni sono poi di norma recepite dalle normative europee, e da quelle italiane.

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L’altro problema dovuto ad un inquinante, che forse non si può definire emergente in senso stretto, ma che ha avuto molto risalto  è quello dell’arsenico. Problema particolarmente grave nella zona di Viterbo, ma anche in altre zone d’Italia. E su questo problema occorre fare chiarezza, per diversi motivi.

L’arsenico che si può trovare nelle acque destinate ad uso potabile, può derivare da inquinamento ambientale, o da dissoluzione naturale . In Lombardia concentrazioni significative di Arsenico si possono riscontrare per esempio nella zona nord della provincia di Varese e nelle zone di Cremona e Mantova.

La tossicità dell’Arsenico, e gli effetti negativi sulla salute sono ben noti da tempo. L’ingestione di acqua contenente arsenico può provocare gravi patologie, quali cancro a pelle, polmoni, fegato, effetti neurotossici, iperpigmentazione.

Le acque inquinate da Arsenico possono subire opportuni  trattamenti. Le forme principali dell’Arsenico solubilizzato sono quelle ossidate  di arseniati (As+5) o ridotte di arseniti (As+3).

Si può quindi rimuovere l’arsenico con vari processi

-Coagulazione/precipitazione  con  coagulanti quali solfato di alluminio, solfato ferrico, cloruro ferrico. Questi processi necessitano di una preossidazione alla forma As+5

. In assenza di questa fase il rendimento che solitamente è pari al 90% si riduce drasticamente fino al 10%. Uno degli svantaggi di questa tecnica è la produzione di fanghi di risulta che necessitano di essere poi avviati allo smaltimento.

– Ossidazione , principalmente con ozono, cloro,permanganato di potassio, che permettono di ottenere rendimenti di rimozione fino al 95%. In questo tipo di processi non risultano controindicazioni evidenti. Occorre ovviamente procedere con molta cura ed accuratezza alla gestione del processo per evitare il rilascio di sottoprodotti di reazione.

– Processi di adsorbimento su vari materiali quali idrossidi di ferro, allumina attivata. Questi processi prevedono controlli per verificare la necessità di rigenerazione dei letti di filtrazione. Gli idrossidi di ferro sono meno influenzati dallo stato di ossidazione dell’Arsenico, mentre l’allumina ha maggiore affinità per la forma  arseniato rispetto all’arsenito, che necessita anche in questo caso di preossidazione. I rendimenti di rimozione sono dell’ordine del 90-95%.

– Scambio ionico con resine sintetiche anioniche caricate “forti”, che riescono a rimuovere solo le specie ioniche dell’As+5 ma non quelle dell’As+3 perché non caricate. I problemi gestionali  di questa tipo di tecnica sono principalmente lo sporcamento (fouling), la presenza di ioni competitivi, il rilascio di eluati.

Anche in questo caso il rendimento di rimozione può arrivare al 90%.

-Processi di ultrafiltrazione a membrana, che devono però essere preceduti  da precipitazione.  Questi processi non richiedono una fase preossidativa, anche se risultano maggiormente efficaci sulla forma ossidata dell’Arsenico. Si possono verificare problemi di incrostazione in presenza di acque dure, ed intasamenti in caso di presenza di sostanze colloidali.

Per concludere si può dire che la risorsa acqua, che diventa ogni giorno più scarsa, soggetta ad inquinamenti di vario tipo, necessita di adeguate politiche di gestione e tutela.

Che è necessario che gli addetti , ma anche i semplici cittadini si rendano conto di quelle che sono le problematiche per la gestione di questo bene prezioso.

E che la chimica svolge un ruolo importante e fondamentale in questo settore. Non soltanto fornendo prodotti per il trattamento, ma anche fornendo le basi fondamentali per la conoscenza dei processi che riguardano la risorsa acqua.

Ed insieme agli aspetti di chimica delle acque, occorre porre molta attenzione agli aspetti  riguardanti e contaminazioni e  i processi biologici e biochimici delle acque. Non dimenticando quelli che possono essere i problemi di altri inquinanti emergenti  attinenti alla biologia, quali la giardia lamblia.

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L’acqua va gestita, va difesa e non deve essere sprecata. Ma bisogna che sia conosciuta, per evitare che anche in questo ambito la tecnologia e la scienza siano soppiantate dalle ormai onnipresenti bufale.

Questo è uno dei compiti più importanti a cui ci dobbiamo applicare.

per saperne di più:

http://www.europarl.europa.eu/news/it/news-room/content/20130701IPR14760/html/Acque-di-superficie-nuove-sostanze-chimiche-da-monitorare

http://www.acqualab.it/innovazione/files/20080522-Verlicchi-Dondi-LARA_H2O.pdf

http://www.greenreport.it/news/acqua/inquinamento-delle-acque-i-nuovi-standard-di-qualita-ambientale-dellue/

http://it.wikipedia.org/wiki/Acqua_potabile

*Mauro Icardi e Valentina Furlan sono tecnici di laboratorio in una azienda che si occupa di gestione integrata della acque in provincia di Varese.