Saperi Pubblici, Bologna, piazza Verdi, 2 ottobre 2018

Pubblichiamo, con il permesso dell’autore, un intervento tenuto da Vincenzo Balzani il 2 ottobre us a Bologna.

Vincenzo Balzani

Buona sera. Grazie Margherita, poi un grande grazie alle due studentesse che con i loro interventi pubblici hanno portato a questa iniziativa; grazie anche a Federico Condello e a tutti coloro che hanno contribuito ad organizzare questo incontro, e a voi che ci ascoltate.

Siamo qui questa sera per esprimere il nostro disaccordo nei confronti delle decisioni e anche degli atteggiamenti dei capi di questo governo. Siamo qui per criticare. Non è la prima volta che mi capita. Il gruppo di scienziati che ho l’onore di coordinare ha criticato, pubblicamente, il governo Berlusconi quando voleva farci tornare al nucleare, Il governo Renzi quando col decreto Sblocca Italia ha liberalizzato le trivellazioni, il Governo Gentiloni quando ha pubblicato la Strategia Energetica Nazionale imperniata sul metano, sostanzialmente dettata da ENI.

Siamo qui per criticare e qualcuno dirà che criticare è facile; ma noi cha lavoriamo nel settore scientifico sappiamo che criticare è utile e anche necessario. Noi ricercatori siamo abituati sia a criticare che ad essere criticati. Ogni nostro lavoro è sottoposto al vaglio critico di colleghi e spesso tocca anche a ciascuno noi di dover leggere e criticare i lavori di altri. E’ il metodo chiamato peer review. Le critiche che facciamo e che subiamo fanno progredire la scienza perché correggono sviste o anche errori gravi nostri o di nostri colleghi e in certi casi bloccano pubblicazioni che non rispondono a due dei criteri basilare della scienza, che sono oggettività e competenza. Altri pilastri della scienza, oltre a oggettività e competenza, sono la collaborazione, lo scambio di idee, il mantenere vivo il dubbio, il non ritenersi superiori agli altri. Se uno ci pensa bene, si accorge che i pilastri della scienza sono anche i pilastri della democrazia. Ecco perché difendere la scienza significa anche difendere la democrazia.

I filosofi, in particolare Edgar Morin, ci insegnano che i problemi importanti sono sempre complessi e spesso sono pieni di contraddizioni. Nella scienza sappiamo che non esistono scorciatoie per risolvere i problemi complessi, sappiamo che bisogna affrontarli con competenza, con saperi diversi che debbono interagire fra loro, che bisogna affrontarli senza presunzione e senza pregiudizi. Noi siamo qui questa sera per chiedere a chi ci governa di riconoscere la complessità dei problemi che abbiamo di fronte e di non pretendere di risolverli con scorciatoie basate su pregiudizi, ma di attingere a quel deposito di sapienza che è la nostra Costituzione.

Il primo e più grave pregiudizio di alcuni dei nostri attuali governanti è pretendere di avere in tasca la verità, di essere migliori degli altri e quindi di non avere bisogno di nulla e di nessuno. Quindi dicono che si può fare a meno dell’Europa, si può fare a meno della Costituzione, si può fare a meno del Presidente della Repubblica, si può fare a meno della magistratura, si può fare a meno del ragioniere generale dello Stato … Dicono che se ne può fare a meno, perché sono solo ostacoli al “cambiamento”: “sappiamo noi cosa si deve fare e come si deve fare”. In realtà non dicono “si può fare a meno”, ma spesso usano il “me ne frego ” di derivazione fascista. A noi invece don Milani ha insegnato I care, il prendersi cura delle persone e delle cose.

In questi giorni mentre cercavo del materiale per una ricerca sulla sostenibilità ecologica e sociale mi sono imbattuto in un articolo scritto nel 1870 da James Freeman Clarke, un teologo e scrittore americano. Mi ha colpito il titolo dell’articolo: Wanted a Statesman, cioè vogliamo, cerchiamo una statista. Nulla di più attuale, ho pensato. Quindi me lo sono letto tutto. Se a qualcuno interessa, posso fornire il link. Questo Wanted a statesman dice molte cose interessanti. La prima è che uomini politici si nasce, e ce ne sono molti, ma statisti si diventa, e ce ne sono pochi in giro. Clarke fa l’esempio di Abramo Lincoln, il 16mo presidente USA assassinato nel 1865, che aveva iniziato come politico mediocre e poi diventò un grande presidente.

Nel suo articolo Wanted a Statesman Clarke dice che diventano statisti gli uomini politici che, anche a costo di divenire impopolari e di rimetterci la carriera, cambiano, maturano il loro modo di pensare.

Clarke discute in dettaglio questi cambiamenti con vari esempi; io per ragioni di tempo posso solo riassumere cosa, secondo lui, distingue un politico da uno statista. Alcune di queste differenze sono ben note e spesso anche citate. Clarke fa un elenco di sei punti:

  • l’uomo politico si preoccupa delle prossime elezioni, lo statista delle prossime generazioni.
  • L’uomo politico agisce per il successo del suo partito, lo statista opera per il bene del suo paese.
  • L’uomo politico si lascia spingere dal mutevole vento delle opinioni di altri (oggi, potremmo dire, dei sondaggi), lo statista guida il paese lungo una rotta studiata con cura.
  • L’uomo politico mette in atto questa o quella misura specifica, lo statista agisce sulla base di principi incorporati nelle istituzioni.
  • L’uomo politico è prigioniero delle sue idee, lo statista guarda sempre al futuro.
  • L’uomo politico promette che sistemerà tutto in pochi mesi, lo statista sa e dice di avere un compito difficile.

In base a quanto è accaduto in passato e accade tuttora in Italia, potremmo aggiungere che il politico fa annunci mirabolanti (come, ad esempio: abbiamo abolito la povertà) e dopo l’annuncio va sul balcone per farsi acclamare dalla folla entusiasta. Questa “politica del balcone” non mi piace, anche perché suscita brutti ricordi. Lo statista invece parla poco finché non ha conseguito il risultato che si era prefisso.

L’articolo di Clarke, Wanted a statesman, conclude con un concetto molto importante.

Finché saremo soddisfatti di essere governati da politici, ce li terremo. Ma se cercheremo con forza di avere qualcosa di meglio, cioè di essere governati da statisti, la nostra stessa ricerca li farà nascere. Le cose bisogna volerle, conquistarle con impegno. Ecco perché è importante fare manifestazioni come questa, che ci richiama ad un impegno quotidiano. E per mantenere accesa la speranza di far nascere fra noi qualche statista, proporrei di ripeterle, queste giornate, di rivederci nei primi giorni di ottobre del prossimo anno; o anche prima, se ce ne sarà bisogno.

Per finire, vorrei dire che ho letto il contratto di governo Lega-5 Stelle e ho cercato di vedere se da qualche parte è menzionata una parola che mi preme molto: PACE. Mi aspettavo di trovarla nella parte dedicata alla politica estera, abbiamo tanto bisogno di pace mentre, come sapete, continuiamo a vendere armi. Ebbene, sì, ho trovato la parola pace, ma solo nella sezione in cui si parla di tasse: lì c’è la pace fiscale.