Standard, norme e certificazioni. 2. Il loro ruolo nell’economia circolare.

Marino Melissano

 

Economia circolare

Il nostro sistema economico attuale è “lineare”: dalle materie prime produciamo un prodotto finito, lo usiamo e poi lo smaltiamo: terminato il consumo, finisce il ciclo del prodotto, che diventa un rifiuto. Esempi eclatanti: esce un nuovo smartphone, lo compriamo e gettiamo via il vecchio; la lavastoviglie si rompe, ne compriamo una nuova ed eliminiamo la vecchia. In questo modo ci siamo allontanati dal modello “naturale”, “biologico”: lo scarto di una specie è alimento di un’altra; in Natura qualsiasi corpo nasce, cresce e muore restituendo i suoi nutrienti al terreno e tutto ricomincia. (www.ideegreen.it)

Per Economia circolare si intende appunto un sistema economico che si può rigenerare da solo. Rigenerazione, riciclo, riuso. Tante “ri”, che non devono rimanere solo prefissi che rendono virtuosi i verbi, riempiendo la bocca di chi non sa poi nella pratica cosa fare, dove mettere le mani.

Per esempio, pensiamo a prodotti, costruiti e trasportati usando energie rinnovabili e che, una volta usati, possano restituire i componenti a chi li ha fabbricati e le eventuali parti biologiche all’ambiente, incrementando la produzione agricola. Ciò significa ripensare un modello industriale che usi solo materiali sicuri e compostabili o, se materiali tecnici, riciclabili. Circolare, flusso continuo: dalla materia prima alla produzione del prodotto finito, uso, riuso o riciclo.


Ponendosi come alternativa al classico modello lineare, l’economia circolare promuove, quindi, una concezione diversa della produzione e del consumo di beni e servizi, che passa ad esempio per l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, e mette al centro la diversità, in contrasto con l’omologazione e il consumismo L’idea in sé dell’economia circolare è nata nel 1976, quando spunta in una rapporto presentato alla Commissione europea, dal titolo “The Potential for Substituting Manpower for Energy” di Walter Stahel e Genevieve Reday. Le applicazioni pratiche dell’economia circolare fanno però capolino, concretamente, su sistemi moderni e su processi industriali, solo negli anni ’70.
I maggiori obiettivi dell’economia circolare sono:

– l’estensione della vita dei prodotti (Product Life Cycle o PLC) e la produzione di beni di lunga durata,

– la sostenibilità ambientale,

– le attività di ricondizionamento e

– la riduzione della produzione di rifiuti.

In sintesi, l’economia circolare mira a vendere servizi piuttosto che prodotti.
Lo sviluppo di un sistema di economia circolare indurrebbe un cambiamento epocale ambientale, economico, occupazionale e di stili di vita. Secondo il Ministro dell’Ambiente Galletti “fare economia circolare conviene alle imprese, oltre che all’ambiente, perché significa consumare meno materie prime, avere processi produttivi più performanti, produrre meno rifiuti, che sono un costo e potrebbero, invece, trasformarsi in risorse”.

Nel 2014 la Commissione europea ha approvato una serie di misure per aumentare il tasso di riciclo negli Stati membri e facilitare la transizione verso “un’economia circolare.

La Commissione Europea il 2 dicembre 2015 ha adottato un nuovo Piano d’azione per l’economia circolare che prevede importanti modifiche alla legislazione in materia di rifiuti, fertilizzanti, risorse idriche, per sostenere il passaggio da un’economia lineare ad un’economia circolare, a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici.

Contestualmente all’adozione della comunicazione COM (2015) 614/2 (http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/vari/anello_mancante_piano_azione_economia_circolare.pdf) contenente il Piano per l’economia circolare, sono state presentate quattro proposte di modifica delle direttive che ricadono nell’ambito del pacchetto di misure sulla economia circolare (tra cui la direttiva quadro rifiuti, la direttiva discariche, rifiuti da imballaggio).

 

Economia circolare nel settore rifiuti

Secondo l’economia circolare i rifiuti sono “cibo”, sono nutrienti, quindi in un certo senso non esistono. Se intendiamo un prodotto come un insieme di componenti biologici e tecnici, esso deve essere progettato in modo da inserirsi perfettamente all’interno di un ciclo dei materiali, progettato per lo smontaggio e riproposizione, senza produrre scarti. Rispettivamente, i componenti biologici in una economia circolare devono essere atossici e poter essere semplicemente compostati. Quelli tecnici – polimeri, leghe e altri materiali artificiali – saranno a loro volta progettati per essere utilizzati di nuovo, con il minimo dispendio di energia.

In un mondo in cui regna l’economia circolare si privilegiano logiche di modularità, versatilità e adattabilità, perché ciascun prodotto sia di più lunga durata, sia realizzato e ancora prima pensato per poter essere aggiornato, aggiustato, riparato. Un design sostenibile di nome e di fatto.
L’EXPO 2015, con il suo 67% di raccolta differenziata, è stato un buon esempio di economia circolare. I visitatori hanno potuto essere parte della sfida di Expo e viverne i risultati, passeggiando in un sito dove verde, acqua, energia e illuminazione, materiali e sistemi di mobilità, erano tutti pensati per essere il più “green” possibile. (http://www.ideegreen.it/economia-circolare-67689.html#b888jJUwMogrfb8k.99).

La CE ha annunciato, nella Comunicazione del 27.01.17 “Chiudendo il cerchio- un piano d’azione europeo per l’economia circolare”, l’intenzione di intraprendere un’analisi e fornire opzioni sulle connessioni tra prodotti chimici di sintesi, materie prime e legislazione sui rifiuti, che portino anche a come ridurre la presenza e migliorare il monitoraggio di prodotti chimici pericolosi nei composti; ciò significa sviluppare politiche che possono fornire economia circolare attraverso un flusso senza soluzione di continuità di materiali riciclati dai rifiuti come materie prime adatte all’economia. L’analisi prenderà in considerazione un certo numero di studi, incluso quello del 2014 che aveva lo scopo di identificare azioni potenziali per l’economia circolare, settori prioritari, flusso di materiali e catene di valore, nonché il recente studio condotto dalla CE su “Ostacoli normativi per l’economia circolare – Lezioni e studio di casi”. Il risultato della procedura legislativa copre le molteplici direttive rifiuti, inclusa la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98, attualmente in discussione del Consiglio e del Parlamento europei. I risultati sono previsti per la fine dell’anno in corso.

Esempi di applicazione dell’economia circolare

Grandi aziende aderenti al GEO (Green Economy Observatory) stanno sperimentando e mettendo in pratica modelli di economia circolare: Barilla ha lanciato il progetto “Cartacrusca”: viene prodotta la carta dallo scarto della macinazione dei cereali (crusca), lavorato insieme alla cellulosa; la toscana Lucart produce carta igienica, tovaglioli e fazzoletti dal recupero totale del tetrapak; Mapei ha sviluppato un additivo, “Re-con Zero”, che trasforma il calcestruzzo fresco inutilizzato (scarto) in un materiale granulare, usato come aggregato per nuovo calcestruzzo.

Tutto questo potrebbe portare con sé la fine di uno dei meccanismi su cui si basa l’economia lineare: (l’obsolescenza programmata dei prodotti) e potrebbe introdurre anche una serie di cambiamenti a livello culturale. Quella circolare è una forma di economia più collaborativa, che mette al centro non tanto la proprietà e il prodotto in quanto tale, ma la sua funzione e il suo utilizzo. Se una lavatrice viene progettata per funzionare per 10 mila cicli e non per 2 mila, può essere utilizzata da più di un consumatore attraverso l’attivazione di una serie di meccanismi economici a filiera corta: affitto, riutilizzo o rivendita diretta.

Per diventare un modello realizzabile e dominante l’economia circolare dovrebbe naturalmente garantire ai diversi soggetti economici una redditività almeno pari a quella attuale: non basta che sia “buona”, deve diventare conveniente. Gli incentivi a produrre sul modello di un’economia circolare sarebbero essenzialmente due: un risparmio sui costi di produzione e l’acquisizione di un vantaggio competitivo (un consumatore preferisce acquistare un prodotto di consumo circolare piuttosto che lineare). Prolungare l’uso produttivo dei materiali, riutilizzarli e aumentarne l’efficienza servirebbe a rafforzare la competitività, a ridurre l’impatto ambientale e le emissioni di gas e a creare nuovi posti di lavoro: l’UE, facendo le sue proposte sul riciclaggio, ha stimato che nei paesi membri ne sarebbero creati 580 mila.

Economia circolare e standard

Anche l’economia circolare ha il suo standard.

         Dopo la creazione di ISO 20400 è arrivato il momento di regolamentare un modello a cui le aziende possano fare riferimento per attuare in modo performante e funzionale l’economia circolare all’interno della loro organizzazione.

 Nasce così il primo standard di economia circolare, che parla inglese. A lanciarlo è stata, l’1 giugno 2017, la British Standards Institution BSI), un’organizzazione britannica di standardizzazione sul cui lavoro si basa anche la prima serie di norme ISO 9000.

In una prima volta, unica a livello mondiale, l’Istituto apre le porte alle imprese intenzionate a sposare i principi della circular economy.

La BS8001, questo il nome della norma, servirà ad aiutare le aziende di ogni dimensione a integrare le tre R del nuovo modello economico (ridurre, riusare e riciclare) nelle loro attività quotidiane e nelle strategie societarie a lungo termine. (www.bsigroup.com)

BS 8001 è uno standard “guida”: fornisce consigli e raccomandazioni in un quadro flessibile. “Non si può certificare la propria organizzazione o prodotto/servizio a questo standard”, spiega Cumming della BSI, si è completamente liberi di decidere l’allineamento che si desidera con i principi fondamentali stabiliti dallo standard”.

Questa norma è destinata all’applicazione su scala internazionale e al conseguente sviluppo non solo come standard di efficienza organizzativa aziendale, ma anche come strategia di gestione dei costi e dei conseguenti ricavi.

Lo standard BS 8001 è quindi figlio dell’ISO 20400, primo standard internazionale sugli acquisti sostenibili, che ha visto la luce l’1 aprile 2017, dopo 4 anni di lavoro del Comitato di Progetto ISO/PC 277: anche questo standard è una linea guida che vuole aiutare le aziende e le amministrazioni a fare scelte d’acquisto economicamente, eticamente ed ecologicamente migliori lungo tutta la catena di approvvigionamento; vuole indurre una nuova strategia politica di acquisto sostenibile, introducendo principi quali la responsabilità, la trasparenza e il rispetto dei diritti umani.

Anche qui siamo di fronte a semplici raccomandazioni, ma, nel momento in cui la norma viene inserita nei capitolati di appalto, diviene obbligatoria.

E il cerchio si chiude: dallo standard alla norma, dalla norma alla legislazione europea e nazionale, dalla legislazione al superamento di questa attraverso l’economia circolare.

Rimane tuttavia che tale standard presenta ancora aspetti discutibili e migliorabili; in un recentissimo lavoro (Resources, Conservation & Recycling 129 (2018) 81–92) gli autori scrivono che la norma cerca di mettere d’accordo “ le grandi ambizioni della economia circolare con le forti e ben stabilite routine del mondo degli affari.” che il controllo sull’implementazione della strategia dell’economia circolare rimane vaga e che le organizzazioni che usano la norma dovrebbero tener d’occhio la crescita dell’effettivo stock in uso di un determinato bene per verificare il successo concreto della strategia.

 

Occorre anche considerare che di fatto nel passato e nel presente produttivo ed industriale la necessità economica di ridurre i costi ha già indotto in alcuni casi da molti decenni a riciclare i materiali con cifre di riciclo nel caso di acciaio, vetro, alluminio, oro, piombo che sono di tutto rispetto, ma che questo non ha fatto diminuire quasi mai in modo significativo la pressione sulla ricerca di nuove risorse, sia per l’ampiamento continuo dei mercati e dei consumi che per l’uso di tecnologia che privilegiano non tanto il riciclo in se quanto la riduzione dei costi di produzione e che quindi raramente raggiungono valori veramente elevati.

Un altro recente risultato che dovrebbe farci accostare criticamente alla mera enunciazione della questione riciclo è dato dalla stima energetica del risparmio indotto dall’economia circolare in termini energetici; anche qui una stima realistica della riduzione in assenza di regole forti non darebbe risultati eclatanti; nel lavoro Thermodynamic insights and assessment of the circular economy pubblicato in Journal of Cleaner Production 162 (2017) 1356e1367,

gli autori concludono che l’economia circolare ha un potenziale di riduzione energetica non superore al 6-11% e dunque è equivalente alle tecnologie tradizionali per la riduzione energetica nell’industria. Ma che comunque:

.” The circular economy approaches tend to reduce demand for energy efficient processes slightly more than those with low energy efficiency. Therefore, from an overall perspective, the circular economy approaches are unlikely to make further energy efficiency savings disproportionately harder to achieve.

ossia

Gli approcci dell’economia circolare tendono a ridurre leggermente la domanda di processi efficienti dal punto di vista energetico rispetto a quelli a bassa efficienza energetica.

Pertanto, da un punto di vista generale, è improbabile che gli approcci all’economia circolare rendano ancora più difficile ottenere ulteriori risparmi in termini di efficienza energetica.

Ed infine dati analoghi si trovano in una pubblicazione del Club di Roma sul tema del riciclo (The Circular Economy and Benefits for Society di Wijkman ed altri, marzo 2016) in cui riconfermando i valori diretti di riduzione del consumo energetico dovuti al solo riciclo si sottolinea l’effetto sinergico delle scelte di riciclo, riuso, e uso delle rinnovabili.

Insomma le cose non sono automatiche e probabilmente avremo bisogno di norme e di standard più stringenti ed efficaci come anche di scelte politiche coraggiose e ad ampio raggio.