E’ sicuro che i motori diesel sono più inquinanti di quelli a benzina?

Marino Melissano

La prima differenza macroscopica tra questi carburanti è il tipo di emissioni che producono.
I motori a gasolio, di fatto, producono una minore quantità di CO2 (-10/15% rispetto ai benzina) ma generano anche molto più ossidi di azoto (NOx) e polveri sottili (il cosiddetto particolato), che se non trattenute dagli appositi filtri, possono disperdersi nell’atmosfera in una quantità fino a 1.000 volte superiore rispetto a quelle rilasciate dai propulsori alimentati a benzina.

In tal senso, dunque, i motori diesel sono molto più inquinanti dei benzina e molto più pericolosi per la salute umana, ma i motori alimentati a gasolio devono essere accessoriati di filtri anti-particolato, così come imposto dalle normative attualmente vigenti.

I filtri anti-particolato sono in grado di trattenere una grande quantità di sostanze inquinanti prodotte durante la combustione e rilasciate nell’atmosfera, abbattendo di 7 volte la loro massa, limitando l’impatto ambientale dei motori a gasolio e riducendo il potenziale inquinante a un valore pari, se non inferiore, a quello di un motore a benzina.

Considerando, poi, che a parità di potenza, l’auto diesel assicura consumi più ridotti (fino al 40% in meno rispetto alla benzina) e miglior performance, i numeri dicono che i motori diesel sono ecologicamente più sostenibili rispetto ai tradizionali propulsori a benzina.

E’ per tutte queste ragioni che fino a pochi anni fa le normative introdotte in tema di inquinamento hanno incentivato gli investimenti delle case automobilistiche sul diesel, nonché spinto alcuni gruppi a mettere a punto filtri anti-particolato sempre più innovativi e performanti.

Gli scenari oggi stanno mutando velocemente sotto la spinta di esigenze ambientali, energetiche e di costo. E “stranamente”, queste tendenze sono accompagnate da una sempre minore proposta industriale di motori a ciclo diesel e da “strane” ordinanze comunali che limitano sempre più l’uso delle auto diesel, euro 2, euro 3 e anche euro 4.

Ricercatori canadesi dell’Università di Montreal hanno effettuato una serie di test in un’apposita “camera dello smog”, misurando le emissioni sia di vetture con motori a benzina che diesel, forniti questi ultimi di congegni anti-particolato.

I risultati hanno messo in evidenza come, tra le due opzioni, non ci sia paragone: “le auto a benzina hanno emesso mediamente 10 volte più polveri sottili a 22 gradi di temperatura, mentre a 7 gradi la differenza è risultata addirittura di 62 volte.

ALTROCONSUMO ha voluto verificare personalmente, effettuando test di consumo.

 

quattro anni dallo scandalo Dieselgate – Quando l’Agenzia americana per la protezione ambientale aveva denunciato il gruppo Volkswagen per aver ingannato i suoi clienti, vendendo auto che emettevano più ossidi di azoto (NOx) di quanto dichiarato e aggirando le normative ambientali sulle emissioni dei diesel – Altroconsumo ha effettuato dei test sulle emissioni di inquinanti e CO2 delle auto. Le analisi sono state condotte insieme alle principali organizzazioni europee di consumatori e ad Adac (Allgemeine Deutsche Automobil-Club e. V.), uno dei maggiori automobil-club europei: i risultati sono stati sorprendenti.

I test sono stati effettuati in 3 fasi:

  • Una ripetizione del ciclo di omologazione WLTP (Worldwide Harmonized Light Vehicles): sul banco a rulli (usato per omologare qualsiasi vettura)
  • Un’attuazione del ciclo autostradale per rilevare emissioni delle vetture ad alta velocità
  • Il Real Driving Emissions (Rde), eseguito su strada solo dalle vetture che hanno superato efficacemente le prove precedenti, installando un’apposita apparecchiatura, chiamata Pems (Portable emissions measurement system).

Queste tre prove portano a un punteggio Ecotest totale, ottenuto per ogni auto dalla media dei punteggi sul consumo di carburante e sulle emissioni di inquinanti.

Le auto ibride sono state testate con batteria al 60/70% e quelle elettriche provate in un ciclo che unifica il ciclo WLTP con quello autostradale, fino all’esaurimento della batteria.

I test di Altroconsumo testimoniano che lo scandalo Dieselgate, alla cui class action, promossa in Italia da questa associazione, hanno aderito 75.000 persone, a qualcosa è servito: oggi le auto Diesel inquinano meno, anche se i clienti ingannati da VW, dopo 4 anni, non hanno ancora ottenuto nessun risarcimento (la prossima udienza è prevista per la fine di marzo 2020, salvo rinvii).

Rispetto ai test condotti due anni fa da Altroconsumo, sembra che i produttori abbiano subito una sorta di “effetto Dieselgate”: le emissioni di inquinanti dei motori diesel infatti sono diminuite molto, proprio per consentire alle auto che hanno questo tipo di motore di superare le più stringenti prove di omologazione.

Anche grazie al contributo delle azioni intraprese da Altroconsumo – è stata portata alla luce l’inadeguatezza dei sistemi di controllo delle emissioni, che sono risultati aggirabili dalle case automobilistiche: da allora gli standard di omologazione sono cambiati e proprio da poco tempo è entrato in vigore lo standard Euro 6D Temp, che non solo fissa limiti di emissioni, ma rende anche più stringente ed efficace il modo in cui queste emissioni vengono misurate.

La situazione tra diesel e benzina è quindi risultata quasi ribaltata. Oggi un buon motore diesel. 6d-Temp riesce ad inquinare meno di un propulsore a benzina.

La realtà, tuttavia, è che nelle nostre città circolano parecchie auto a gasolio datate: dunque l’effetto benefico dei filtri viene in pratica annullato. “Le emissioni di polveri sono molto più alte dai diesel senza filtro antiparticolato, quindi le emissioni dalle auto a gasolio saranno importanti ancora per qualche tempo”. Almeno fino a quando non si sostituiranno quasi per intero quelle vecchie con vetture più moderne. Soprattutto per questo, a ben vedere, il ringiovanimento del parco auto rimane una priorità. Che però non significa mettere in difficoltà chi una macchina nuova non se la può permettere.

I Comuni italiani dovrebbero, perciò, incentivare l’istallazione dei filtri antiparticolato e/o incentivare l’acquisto di auto, anche a gasolio, di ultima generazione, invece di procedere a colpi di divieti di circolazione, che mettono in difficoltà i consumatori e non risolvono alcun problema ambientale

Le vetture ibride, invece, sono risultate migliori solo se usate in città, mentre sui percorsi extraurbani inquinano quanto un’auto a benzina, visto che l’apporto del motore elettrico diventa trascurabile.

Per quanto riguarda le auto elettriche, le cui emissioni sono pari a zero, dobbiamo fare riferimento all’inquinamento legato alla produzione dell’elettricità che le alimenta: se arriva da combustibili fossili non vi è un vantaggio per l’ambiente. Nel nostro Paese, la produzione di elettricità è frutto di un mix energetico di fonti rinnovabili e fossili per cui le migliori vetture elettriche comportano emissioni di CO2 al di sotto dei 50 g/km, inferiori a quelle delle vetture tradizionali.

Secondo una presentazione di Ricerca del Sistema Energetico (RSE) del 2017, “i veicoli elettrici hanno prestazioni che vanno nella direzione di ridurre il consumo di risorse e le emissioni di inquinanti atmosferici di interesse per le aree urbane (particolato, ossidanti fotochimici ed acidificazione atmosferica).”

D’altro canto, continua la presentazione, “i veicoli elettrici non sono in grado, allo stato attuale, di essere vincenti per aspetti quali l’eutrofizzazione delle acque dolci o la tossicità umana, per i quali gli impatti legati alla produzione e dismissione della batteria del veicolo giocano un ruolo determinante, per la loro consistenza”.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) nota che ci potrebbe essere una correlazione fra la mobilità elettrica e l’immissione di residui metallici nocivi nelle falde acquifere, a causa delle attività per l’estrazione e la raffinazione di rame, nickel, cobalto e altri minerali.

Pur con tutte le precauzioni del caso e qualche limitata eccezione, la IEA indica un contributo positivo dei veicoli a batteria non solo per il clima, ma anche per l’ecosistema nel suo complesso.

Però l’energia accumulabile dalle batterie dipende dal potenziale elettrochimico della sostanza attiva ed è inversamente proporzionale alla massa atomica della stessa. Un’utilitaria richiede una potenza di 50 Kw e quindi ha bisogno di un accumulo di 200 kWh per avere una autonomia di 4 ore. Il potenziale elettrochimico dell’elettrodo al litio è di 3 volt, cioè, facendo due calcoli banali, per garantire quella autonomia ci vogliono 20 kg di litio attivo, cioè 1000 kg di batterie al litio: ma l’auto elettrica, peserebbe almeno il doppio. Scadute poi le 4 ore, ce ne vogliono altre 4 per fare il pieno.

A prescindere dai trend reali di sviluppo del mercato italiano di e-car e dai costi delle batterie, stimati in 176$/KWh nel 2018, con l’avanzare del parco elettrico, oggi calcolato in 5,3 milioni di veicoli nel mondo (contro 1,5 del 2016), aumenteranno anche i consumi energetici. Secondo Terna le e-car raggiungerebbero fino al 5,2% della domanda di elettricità: più alto rispetto ad altri Paesi, ma comunque contenuto. In termini assoluti, nel 2030 il consumo del settore in Italia potrebbe oscillare tra 5 e 16 TWh, a seconda dello scenario realmente raggiunto. L’effetto principale secondo l’operatore di rete, sarà quello di modificare la domanda di picco e il profilo orario dei consumi, a seconda di quello che sarà il comportamento del consumatore e l’infrastruttura di ricarica.

Rimane molto da fare per una mobilità migliore, come per esempio:

  • rendere più rinnovabile la generazione elettrica
  • potenziare l’infrastruttura di ricarica, oggi ferma a 8.300 punti pubblici di ricarica
  • potenziare le attività di riciclo delle batterie e lo sviluppo di un’economia circolare: le batterie al litio potranno essere utilizzate come accumulatori di energia per pannelli fotovoltaici e per il recupero dei componenti preziosi (Li, NI e Co) a costi inferiori a quelli odierni
  • definire indirizzi strategici chiari, che agevolino gli investimenti, nell’ottica del Mobility Package
  • diversificare i luoghi di origine delle materie prime per assicurare approvvigionamenti più affidabili
  • sviluppare carburanti più verdi per ambiti come l’aeronautica, la marina mercantile, l’agricoltura e i trasporti pesanti di lunga lena, che ancora non riescono a sfruttare la propulsione elettrica.

Vero è che oggi le auto sono per lo più di acciaio, robusto, ma pesante. Materiali più leggeri, quali magnesio e alluminio, o composti rinforzati di fibra di carbonio, che è 6 volte più robusta dell’acciaio e 30 volte più leggera dell’alluminio, sono molto più costosi. Anche se l’acciaio si sta evolvendo verso materiali fino a 6 volte più resistenti, che pesano meno e costano meno in energia e CO2: ogni kg di Al richiede circa 5 volte di più di CO2, ogni Kg di Carbonio circa 10 volte di più e di Mg 15 volte di più; quindi questi materiali leggeri emettono meno durante la fase di uso del loro ciclo di vita, ma ciò non compensa le emissioni superiori generate durante la loro produzione, a partire dalle materie prime.
Ma quanta energia viene impiegata per produrre un’auto? La risposta non è univoca, perché dipende dall’auto e dalla casa automobilistica. La Ford, però, si vanta di essere riuscita a risparmiare il 25% negli ultimi 6 anni, passando, nei suoi impianti del Michigan, da 3.576 KWh del 2006 a 2.682 KWh del 2016, ma anche di ridurre del 30% il fabbisogno di acqua (1.100 litri in meno per veicolo), del 70% la produzione di rifiuti (da 5 a 1,5 Kg/auto) e dell’8% le emissioni di CO2.

Il messaggio dell’economia circolare, oggi da tutti invocata, è: riusare, riciclare, non riacquistare.

L’Istituto per la ricerca energetica e ambientale di Heidelberg, ha calcolato che l’estrazione delle materie prime occorrenti alla costruzione di un’auto produce 25t di rifiuti e 992 milioni di m3 di aria inquinata. Secondo l’ing. Bruno Pistone, che ha elaborato dati diffusi dalla Mercedes, per produrre un’auto occorre energia equivalente a 3.800l di petrolio, cioè circa 27,55 KWh/Kg: un’auto media pesa 900 Kg, 180 dei quali provenienti da riciclaggio; restano 720 Kg che, moltiplicati per 27,55, danno un consumo energetico di 19.836 KWh, a cui occorre aggiungere l’eventuale costo energetico della vettura rottamata. Sempre secondo l’ing. Pistone, un uso razionale della vecchia auto per ulteriori 5 anni comporterebbe 12.158 KWh, cioè poco più della metà di una nuova produzione.

Rottamare dai 3 ai 3,5 milioni di veicoli leggeri Euro 3 significa spendere molta CO2 durante la fase di produzione delle nuove vetture che andranno a sostituire le vecchie, magari ancora in ottime condizioni. Parliamo di 25.000 kWh consumati in fabbrica per ogni nuova unità, che porterebbero a spendere 85 milioni di megawatt per la produzione totale, con relativa gigantesca immissione di anidride carbonica in atmosfera.

Concludiamo ribadendo che i divieti tout court della auto diesel non risolvono il problema delle emissioni e dell’effetto serra, ma sono un espediente di quegli amministratori pubblici che cercano la via più semplice (per loro) e diretta, a scapito degli automobilisti e non hanno voglia e tempo per studiare scientificamente e tecnicamente il problema.

Marino Melissano

Chimico – Membro del Gruppo di lavoro europeo sulla Sostenibilità ambientale

https://www.automobilismo.it/per-altroconsumo-oggi-i-diesel-inquinano-meno-anche-dei-benzina-32249

https://www.altroconsumo.it/auto-e-moto/automobili/news/inchiesta-emissioni-auto#

https://cleantechnica.com/2018/04/04/electric-gas-diesel-hybrid-life-cycle-assessment-of-passenger-cars-new-adac-report/

Due lettere a LaRepubblica

Vincenzo Balzani

Con il permesso del’autore riproduciamo qui due lettere inviate recentemente a La Repubblica da Vincenzo Balzani; gli argomenti sono quelli tipici del nostro blog: energia, ambiente, il nostro rapporto con queste cose, il ruolo della Chimica. Non sono state pubblicate e così rimediamo noi nel nostro piccolo.

Eni e noi, abitanti della Terra

Caro Direttore,

ho letto su Repubblica del 16 giugno l’appello sulla Rivoluzione Energetica dell’A.D. di ENI Claudio Descalzi. Quanto è scritto nella prima parte dell’articolo è completamente condivisibile: “Clima ed energia sono i fattori su cui si gioca il futuro, …. la transizione energetica deve essere guidata dalla protezione dell’ambiente, … siamo lontani dal contenere l’aumento delle temperature al di sotto del limite dei 2°C fissato dalla Cop21 di Parigi”.

Da queste premesse si dovrebbe trarre, come scrive papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, la conclusione che “I combustibili fossili devono essere sostituiti senza indugio …”. Descalzi si guarda bene dal dirlo, confermando così quanto affermato dal papa stesso: ”… ma la politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide” (165)”.

Descalzi informa che Eni ha abbattuto la componente carbonica della sua attività, ma non dice che si tratta di una goccia nel mare di CO2 che Eni direttamente o indirettamente genera con i quasi due milioni di barili di petrolio prodotti al giorno! Qua e là Descalzi cita le energie rinnovabili, ma come ha affermato in molte altre occasioni reputa che non siano “mature” e sostiene che l’unica via per salvare il clima è utilizzare il metano come fonte energetica “ponte”. In realtà l’energia elettrica prodotta dalle energie rinnovabili è già oggi competitiva sul piano economico, anche senza considerare i problemi sanitari e climatici creati dai combustibili fossili. Le energie rinnovabili, insomma, sono già disponibili e pronte all’uso: quello che manca è la volontà di utilizzarle, a causa degli enormi interessi economici e di potere che ne verrebbero colpiti.

Non serve ricorrere al metano come energia “ponte”, anche perché il metano non è affatto innocente riguardo i cambiamenti clmatici. Descalzi dovrebbe saperlo, ma non lo dice. E’ vero, infatti, che a parità di energia prodotta la quantità di CO2 generata dal metano è inferiore di circa il 25% di quella generata dal petrolio, ma è anche vero che il metano rilasciato in atmosfera è un gas serra 72 volte più potente di CO2 quando l’effetto è misurato su un arco di 20 anni (25 volte più potente quando misurato su 100 anni). Poiché nella lunga filiera del metano si stima ci siano perdite di almeno il 3% rispetto alla quantità di gas usato, è chiaro che estendendo l’uso del metano non si combatte affatto il cambiamento climatico.

Nel campo dei trasporti, oltre che sul metano Eni fa molto affidamento sui biocombustibili, in netta contraddizione con la realtà dei fatti. Studi scientifici dimostrano che l’efficienza di conversione dei fotoni del sole in energia meccanica delle ruote di un’automobile (sun-to-wheels efficiency) è almeno 50 volte superiore per la filiera che dal fotovoltaico porta alle auto elettriche rispetto alla filiera che dalle biomasse porta alle auto alimentate da biocombusibili. In effetti, quello che gli esperti prevedono non è una sostituzione significativa dei combustibili fossili con biocombustibili, ma una rapida, dirompente diffusione delle auto elettriche. La cosa non meraviglia perché i motori elettrici non inquinano, non producono CO2, sono quattro volte più efficienti dei motori a combustione interna e sono molto più facili da riparare e da mantenere.

In Italia, quindi, non servono altre bioraffinerie alimentate da olio di palma proveniente dalla Malesia, ma fabbriche di pannelli fotovoltaici, batterie, auto elettriche e colonnine per la ricarica.

Infine, Descalzi lega lo sviluppo dell’Africa, oltre che all’enorme potenziale di energia solare ed eolica, anche alla presenza, in quel continente, di enormi riserve di combustibili fossili, molte delle quali scoperte da Eni, che ha anche l’obiettivo di scoprire altri 2 miliardi di barili di combustibili fossili perforando 115 pozzi in 25 paesi. In base all’accordo di Parigi, però, la maggior parte delle riserve di combustibili fossili già note dovrà rimanere nel sottosuolo. Se quell’accordo sarà osservato, Eni avrà problemi economici. Se invece la politica permetterà di usare tutte le riserve, i problemi, purtroppo, li avremo noi, abitanti della Terra.

Vincenzo Balzani, Professore Emerito, Università di Bologna

 

Lettera a Repubblica 26 giugno 2018

Egregio direttore Calabresi,

Apprendo da Repubblica di oggi che nel “pacchetto formazione” concesso agli operai della Lamborghini in orario di lavoro retribuito sono state inserite Lezioni sulla Costituzione. E’ certamente un’ottima iniziativa.

Credo però che sarebbe necessario ricordare a tutti, cominciando dai politici che hanno salutato con entusiasmo la produzione del nuovo SUV Urus come straordinario esempio di innovazione che:

  • nei motori a scoppio, usati da più di un secolo, non c’é più nulla da innovare; se si vuol fare

innovazione nel campo delle automobili, oggi la si può fare solo sulle auto elettriche.

  • con la sua mostruosa potenza di 600 CV e gli alti consumi di combustibili fossili, il SUV Lamborghini è un emblema del consumismo dal quale le vere innovazioni dovrebbero farci uscire;
  • col suo prezzo di 250.000 euro, Urus è l’icona delle disuguaglianze che, a parole, tutti dicono di voler abbattere.

Non sarebbe male, allora, inserire nel “pacchetto formazione” anche, un paio di frasi dell’enclica di Papa Francesco:

  • Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le capacità del pianeta; lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi”.
  • Ci dovrebbero indignare le enormi disuguaglianze che esistono tra di Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono”.

Cordiali saluti,

Vincenzo Balzani, Professore emerito, Università di Bologna