Depuratore? No, bioparco!

Mauro Icardi

Generalmente le persone che non li conoscono, si fanno spesso idee particolari sugli impianti di depurazione. La più diffusa, come ho avuto modo di scrivere in passato, è quella che al termine del processo di trattamento l’acqua di uscita sia pronta per essere destinata all’uso potabile. Altre persone sono convinte che nei depuratori sia convogliata l’acqua dei fiumi, e non invece come avviene nella realtà quella degli scarichi fognari. Ma c’è una realtà inconsueta e particolare che voglio raccontare. Cioè la coabitazione tra addetti all’impianto, e comunità di animali di vario genere. Che è un aspetto che personalmente trovo molto interessante.

L’impianto dove lavoro si trova in una zona periferica di Varese, e nelle vicinanze vi sono diverse aree boschive. E anche l’area interna dell’impianto è piantumata, cosa che favorisce questo tipo di fenomeno.

Per iniziare partirei dai gabbiani. Nel periodo invernale, generalmente da Febbraio ad Aprile inoltrato, una colonia piuttosto numerosa di gabbiani reali si stabilisce in impianto.

In Italia la specie è sedentaria e nidificante. Uccelli che normalmente possiamo trovare in Sardegna, Sicilia, isole minori e coste dell’Alto Adriatico, dagli anni 70 ha colonizzato i grandi laghi interni, e tra questi il Lago Maggiore che da Varese dista pochi chilometri. Il gabbiano reale si nutre prevalentemente di pesce, ratti, animali morti e scarti dell’alimentazione umana. Da alcuni decenni i gabbiani reali hanno imparato a trovare cibo nelle discariche urbane, ma prelevano i rifiuti anche direttamente dai cassonetti dell’immondizia. Tra le loro prede vi sono anche altri uccelli, come storni e rondoni, che catturano in volo, o che prelevano dai nidi. Nidificano a terra su isolotti e anche su manufatti, in particolare sui tetti in città, dove trovano grandi quantità di cibo e assenza di predatori. Quindi in impianto possono svolgere egregiamente il loro ruolo di “netturbini”. In effetti lo stormo si posiziona quasi sempre nella zona di sedimentazione primaria.

Sopra la nostra testa volteggiano spesso anche diversi esemplari di poiane. Normalmente circa sei esemplari. E nel mese di febbraio vi è un visibile ed evidente affollamento di volatili. Gabbiani e poiane si dividono il territorio e le prede.

Restando in tema ornitologico un nutrito gruppo di rondini staziona invece nella zona della vasca di disinfezione. Occupandosi di liberarci dagli insetti. Svolgono il loro servizio di disinfestazione con molta costanza. Rivederle ogni anno ritornare è per me motivo di gioia.

In impianto ci sono vaste aree di prato. Ed è per questa ragione che per esempio spesso fanno capolino i fagiani. In questa foto un esemplare di femmina.

Non ho rinvenuto né nido né uova, ma l’animale si è trovato a proprio agio. I fagiani, hanno abitudini stanziali e sono soliti vagare per campi, prati e pianure fertili; difficilmente si inoltrano all’interno di foreste.

Per chiudere la parte dedicata ai volatili un altro uccello che vediamo piuttosto frequentemente è l’airone cenerino.

In effetti è possibile oramai vedere esemplari di Airone cenerino anche lungo le autostrade. Soprattutto al nord, lungo i fiumi della Pianura Padana, dove sono concentrate molte delle sue colonie, ma anche tra le risaie del Piemonte e della Lombardia. Il nostro esemplare qui è ritratto nella zona di ricezione delle acque reflue, ma molto spesso si appollaia con aria regale su un albero di pino domestico che è vicino al cancello d’ingresso principale. La nostra esperienza di ornitologi amatoriali ci ha consentito negli anni di recuperare, e di portare nel centro di recupero della fauna selvatica gestito dal WWF nell’oasi di Vanzago, due esemplari di uccelli molto belli e particolari. Uno svasso maggiore, e un albanella minore. Entrambi feriti sono stati recuperati e rimessi in libertà. Cosa che ci ha fatto davvero molto piacere.

Veniamo ora ai conigli selvatici. In impianto sono molto comuni.

Sono come delle mascotte. I colleghi che si occupano della manutenzione esterna, quando sono impegnati nel taglio erba sono sempre molto attenti a non disturbare gli animali, nell’epoca in cui ci sono le nidiate.

La precauzione è di fatto inutile. Il coniglio selvatico ha un alto tasso di natalità, anche se nel nostro caso non ne siamo invasi. Rinveniamo spesso le entrate dei cunicoli che le bestiole scavano. A volte questi cunicoli sono sistemi estesi e complessi, ma nel nostro caso la coabitazione è serena. Per altro i conigli aiutano la gestione del taglio erba! Ne possono trovare in abbondanza.

Nella foto si intravede la coda bianca dell’esemplare. Una conferma del fatto che si tratti di coniglio selvatico autoctono. E pur vero che in provincia di Varese, come del resto in tutta Italia, questa specie competa con quella della minilepre (silvilago orientale) di origine Nordamericana. La minilepre venne introdotta a scopo venatorio. E come molte altre specie alloctone può dare luogo a pesanti squilibri nell’equilibrio ecologico locale.

A proposito di specie alloctone, presso un impianto di depurazione più piccolo, situato in prossimità del Lago di Varese ho avuto un incontro con il famigerato Gambero della Louisiana.

Questi animali sono piuttosto comuni in questa zona. Purtroppo anche a causa della loro introduzione, insieme alla diminuzione della qualità ecologica di alcune acque superficiali, stanno soppiantando il gambero di fiume autoctono. In Italia, attualmente, il gambero di fiume è in forte rarefazione e rimane confinato in zone limitate; in genere si tratta di zone poco o per nulla antropizzate, dalle acque pulite e ben ossigenate. In Italia la sua presenza è stata recentemente segnalata in alcuni torrenti abruzzesi e nel bacino del Bussento, in provincia di Salerno. Il gambero d’acqua dolce ha sostenuto per secoli, almeno in parte, molte comunità contadine. Soprattutto in alcune aree del Veneto, era considerato “cibo povero, buono, per ingannare la fame e non per saziarla“.
Era talmente numeroso che anche i più piccoli riuscivano facilmente a catturarlo senza difficoltà. Qualsiasi attrezzo era adatto per catturarlo, un barattolo, un catino, un pezzo di rete. Di gamberi di fiume mi raccontava anche mio padre, che era solito catturarli nei piccoli rii della zona del basso Monferrato. Nel 1859 – 1860 in Lombardia, venne descritta per la prima volta la “peste del gambero“, associata al fungo Aphanomyces astasci, importato involontariamente dal nord America insieme al gambero Orconectes limosus (Rafinesque, 1871). Quest’ultimo, resistente all’infezione, trasferì come portatore sano la malattia alla specie italica, che venne immediatamente decimata. Il gambero della Louisiana venne importato anche per sopperire a questa decimazione, in quanto si riproduce facilmente, ed altrettanto facilmente può essere allevato. Introdotto a scopo commerciale in Toscana è sfuggito al controllo degli allevamenti, diffondendosi velocemente anche nella zona del Varesotto. E non a caso proprio l’immagine di un gambero della Louisiana è stata utilizzata per il manifesto di una mostra naturalistica allestita lo scorso anno in primavera presso i Musei Civici di Villa Mirabello a Varese. La mostra si occupava proprio della proliferazione di specie alloctone in Italia.

Per chiudere questa rassegna, non certamente esaustiva, in quanto si potrebbe parlare di altri animali che sono diventati “inquilini” dell’impianto e che sono utili (mi riferisco alla biscia d’acqua ), è arrivato il momento di parlare degli anfibi.

Mi sono molto appassionato a questa specie di animali. Le specie appartenenti agli anfibi sono tra le più minacciate. Si calcola che delle 85 specie europee il 60% circa sia in rapido declino come numero di esemplari e la situazione italiana sarebbe tra le più gravi dal momento che l’Italia ospita un maggior numero di specie complessivo. Sono animali in pericolo per una serie di ragioni (tra le quali la bonifica delle zone acquatiche, la deforestazione, l’inquinamento diffuso.) Quando ci siamo resi conto che vi erano degli esemplari di rana italica in alcune vasche non utilizzate dell’impianto, abbiamo cercato di creare per loro un habitat dove potessero trovarsi a loro agio.

Questa foto ritrae un esemplare posizionato sopra un asse di legno. L’asse permette alla rana di fuoriuscire da una vasca di contenimento non più utilizzata che si è riempita di acqua, per poi potervi fare ritorno se necessario.

Allo stesso modo, in una vasca di accumulo che si utilizza in caso di forti precipitazioni piovose (evento tutt’altro che raro di questi tempi), abbiamo creato delle isole artificiali per questi simpatici anfibi, per fare in modo che vi si possano issare per riposarsi.

Come si può vedere, il depuratore dove lavoro si è trasformato in una specie di oasi per alcuni animali. O in una specie di bioparco.

Ho sempre pensato che sia importante proteggere la biodiversità. E la foto che segue è una di quelle che sono riuscito a scattare con molta pazienza, ma che mi ha dato molta soddisfazione.

E’ scattata all’interno della vasca di contenimento, quella in cui abbiamo predisposto la via di uscita. Mi sono sentito per un attimo come un fotografo del National Geographic. Per altro sono anche l’addetto al salvataggio delle lucertole che incautamente riescono ad entrare nell’ufficio del Laboratorio. Le recupero su un foglio di carta da filtro, poi delicatamente le libero nel prato adiacente. E invariabilmente mi viene in mente l’operazione che Primo Levi faceva con i ragni, descritta in “Fosforo” ne “Il sistema periodico”.

Mi chiamava ad espellere un ragnetto dal suo banco di lavoro (non dovevo però ammazzarlo, ma metterlo in un pesafiltri e portarlo fuori nell’aiuola), e questo mi faceva sentire virtuoso e forte come Ercole davanti all’Idra di Lerna, ed insieme tentato, perché percepivo la intensa carica femminile della richiesta.

Da Fosforo, Primo Levi

Tutto questo non è in conflitto con quello che faccio, anzi il contrario. Prendersi cura di questi animali è uno stimolo maggiore per occuparsi di depurazione con impegno e passione. E questi “inquilini” me lo ricordano ogni giorno.

Ciclo dell’azoto nei depuratori biologici

Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo

a cura di Mauro Icardi

maurobondNella depurazione delle acque reflue la fase più critica e delicata è quella della rimozione dell’azoto.

Nei sistemi di depurazione l’azoto organico e/o ammoniacale in arrivo subisce due processi successivi:

1) in ambiente aerobico viene ossidato biologicamente a nitrato (nitrificazione)

2) successivamente in ambiente anossico viene convertito in azoto gassoso (denitrificazione).

I liquami domestici contengono azoto in forma ridotta, cioè come composto organico oppure come ammoniaca.

Il processo è dovuto a batteri nitrificanti Nitrosomonas e Nitrobacter.

Lo schema di reazione è questo:

2NH3 + 3O2 → 2NO2 + 2H+ + 2H2O (reazione di ossidazione dell’ammoniaca a nitrito). In questa fase sono i Nitrosomonas ad ossidare parzialmente l’ammoniaca a ione nitrito.

I batteri nitrificanti completano l’ossidazione del nitrito a nitrato con questa reazione.

2NO2 + O2 → ​2NO3

 nitro1

 Questa è la prima fase del processo. Come sempre sulla carta tutto funziona perfettamente.

Ma come si suol dire tra il dire e il fare le cose possono cambiare. Il chimico che si occupa di gestire il processo deve occuparsi di fare vari controlli. Il reattore biologico su cui opera (la vasca di ossidazione) è quella dove si svolge questa reazione. Considerando che la vasca è un manufatto che si trova all’aperto si deve considerare un primo fattore limitante,cioè la temperatura. Al di sotto di 15 ° C la velocità di reazione può rallentare anche sensibilmente. Il processo di nitrificazione produce ioni H+. Di solito il potere tamponante dei liquami è sufficiente ad evitare uno spostamento del pH in campo troppo acido. In questo caso si può dosare carbonato di calcio per riportarlo a valori ottimali (8-8,4).

L’ossigeno disciolto in vasca di ossidazione deve essere mantenuto intorno ai 2mg/l. Valori superiori sono di fatto inutili e rappresentano un’inutile spreco di energia elettrica se l’ossigeno viene fornito con aeratori classici (turbine superficiali o piattelli sommersi).

In caso di fornitura di ossigeno puro con impianti appositi si può verificare una maggior pressione parziale di CO2 che si accumula nel reattore non essendo velocemente allontanata. In questo caso è necessario verificare con più attenzione il valore del pH in quanto può essere maggiormente alterato l’equilibrio carbonati-bicarbonati. L’utilizzo di ossigeno puro fornito con impianti di evaporazione di ossigeno liquido è normalmente effettuato per situazioni di emergenza, o per far fronte ad aumenti di carico in ingresso.

Altri parametri di controllo sono di carattere prettamente impiantistico.

Considerando che i batteri nitrificanti sono presenti nel “fango attivo” qualsiasi perdita di fango ne riduce la quantità.   La quantità di batteri nitrificanti che si sintetizza nel fango è circa il 4% quindi una quantità piuttosto bassa rispetto a quelli che operano la demolizione della sostanza organica carboniosa.

Per avere una quantità sufficiente di questi batteri “spazzini” come spesso vengono chiamati si deve avere una permanenza per un tempo adatto. Il parametro nella terminologia tecnica è chiamato età del fango.

In sostanza si regola l’estrazione del fango di spurgo in modo da non ridurre ulteriormente la quantità di batteri necessari.

nitro2

Batteri nitrificanti in sezione di fiocco di fango.

 

In pratica si effettua una regolazione mirata dell’estrazione dei fanghi di spurgo per permettere ai nitrificanti di effettuare l’operazione di ossidazione dell’ammoniaca a nitrato.

Terminata questa fase il liquame viene trasferito in vasche di denitrificazione agitate ma non areate. Chiedo scusa per la digressione ma la frase mi ricorda “l’agitato non mescolato” dei vodka martini di James Bond.

agitatononmescolato

La spia che mi amava: Barbara Bach interpreta il maggiore Anya Amasova (agente tripla X) e pronuncia la frase famosa rivolta a Roger Moore (in effetti fu Sean Connery il primo a pronunciarla in Goldfinger)

 

 

 

 

Torniamo seri. La denitrificazione consiste nella conversione dei nitrati in azoto gassoso.

Queste le reazioni che avvengono:

2 HNO3 + 4H+ +4e–         → 2HNO2 + 2H2O

2 HNO2 + 2H+ +2e–         → 2 NO     + 2H2O

2 NO   + 2H+ +2e–           →  N2O   + H2O

   N2O + 2H+ + 2e–             → N2             + H2O

La fase di denitrificazione deve avvenire in ambiente anossico. Il fango attivo deve rimanere in sospensione ma non si deve avere un valore di ossigeno disciolto in vasca superiore a 0,5 mg/lt perché in tal caso tornerebbero attivi i batteri nitrificanti che andrebbero a competere con i denitrificanti che invece utilizzano l’ossigeno presente nella molecola di nitrato per il loro metabolismo. Il processo avviene in più fasi attraverso reazioni enzimatiche catalizzate da due enzimi, (nitrato riduttasi A,e ossido nitroso riduttasi) I batteri denitrificanti appartengono al genere Pseudomonas. Questi batteri denitrificanti necessitano di sostanza organica per effettuare questa conversione, quindi il fango deve contenere una quantità adeguata di carbonio organico. In caso di carenza si può sopperire con dosaggio di una fonte di carbonio esterna (generalmente metanolo).

Al temine del processo combinato nitro/ denitro si è ottenuta la riduzione dell’azoto totale che è, insieme al fosforo ,uno dei principali responsabili dell’eutrofizzazione.

Inizialmente impianti di questo tipo erano progettati e costruiti in zone lacustri dove era maggiore il rischio di eutrofizzazione. Ma con il tempo e con i limiti maggiormente restrittivi imposti sulle aree sensibili (tra le quali il bacino fluviale del Po), e in seguito all’emanazione del nuovo codice ambientale (Dlgs 152/2006) i nuovi impianti sono stati totalmente progettati e costruiti con schemi di questo tipo. Quelli esistenti e non provvisti di sezione di denitrificazione dovranno nel tempo essere dismessi o dotati di questa sezione.

Una considerazione finale che parlando di ciclo dell’azoto si lega a quanto è stato detto qui. L’alterazione del ciclo dell’azoto è da farsi risalire al processo Haber –Bosch di sintesi dell’ammoniaca.

Da quel momento la produzione di forme reattive di azoto da convertire in fertilizzante è cresciuta più velocemente della popolazione mondiale.

La quantità di azoto immessa nella biosfera è maggiore di quella che può essere rimossa attraverso questi processi nitro/denitro nei depuratori biologici.

Credo occorra riflettere su alcune cose: l’assorbimento di azoto nel corpo umano è una percentuale dell’ 1%. Il resto viene espulso come rifiuto e finisce in fognatura (circa il 99% di azoto ).

E’ necessario incrementare la percentuale di impianti che effettuano il trattamento nitro-denitro e in generale rivedere tutto il sistema della depurazione in Italia. Che mostra ancora situazioni molto differenziate, passando da realtà di eccellenza ad altre con criticità che devono essere affrontate. L’ultima considerazione riguarda la necessità di pensare ad un riciclo dei composti azotati evitando che siano destinati a diventare rifiuti. Ovviamente utilizzando le migliori tecniche disponibili e rispettando l’ambiente. Le tecniche esistono. Occorre passare ad una mentalità che valorizzi la cosiddetta “materia seconda”.

Per informazioni sullo stato della depurazione in Italia.

http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2014/170-14/istat-il-punto-sulla-situazione-della-depurazione