A proposito di nanomateriali.

Luigi Campanella, già Presidente SCI.

La strada da percorrere per una gestione sicura e responsabile dei nanomateriali è ancora molto lunga. L’Europa attraverso direttive e regolamenti ha posto i primi paletti a partire dalla prima esigenza conoscitiva: raccogliere quanti più dati scientifici possibile circa questa nuova tipologia di sostanze impegnando su questo fronte già dal 2020 tutte le aziende europee che con esse operano. Negli ultimi decenni, grazie al progresso scientifico si sono fatti sempre più largo prodotti contenenti nanoforme e nanotecnologie. Nel Mercato Europeo sono già presenti numerosi prodotti contenenti nanomateriali (ad esempio farmaci, batterie, rivestimenti, indumenti antibatterici, cosmetici, prodotti alimentari). La presenza di particelle nanostrutturate conferisce molto spesso al prodotto finito caratteristiche superiori all’attesa e prestazioni elevate. Però, come spesso accade in questi casi, l’aspetto commerciale ha di gran lunga preceduto la valutazione di quale potrebbe essere l’effetto di queste sostanze sull’uomo e sull’ambiente. Per capire di cosa parliamo dobbiamo rifarci all’unica definizione legalmente riconosciuta a livello nazionale ed europeo di nanomateriale: con nanomateriale si intende un materiale naturale, derivato o fabbricato, contenente particelle allo stato libero, aggregato o agglomerati, ed in cui per almeno il 50% delle particelle nella distribuzione dimensionale numerica, una o più dimensioni sono comprese fra 1nm e 100nm. I fullereni, i fiocchi di grafene, i nanotubi di carbonio a parete singola con una o più dimensioni esterne inferiori a 1nm dovrebbero di conseguenza essere considerati nanomateriali.

Diversamente dai prodotti chimici a cui il mondo scientifico e produttivo è sempre stato abituato i nanomateriali hanno rivoluzionato il modo di pensare in quanto le proprietà chimiche che dimostrano a causa delle loro estreme dimensioni sono spesso diverse o addirittura opposte a quelle previste dai rispettivi materiali in forma macro. C’è poi l’aspetto conoscitivo: in un coro di 1000 voci fra le quali una sola è stonata (similmente una cellula sola fra le tante modificata) come individuarla? A livello macro la stonatura vocale o biologica non si percepisce. La risposta viene dalle nanotecnologie.  L’inquadramento legale delle nanoforme commerciali rispetto ai nanomateriali con riferimento al Testo Unico di Sicurezza (l. 81/08) e la gestione del rischio da parte dei valutatori e dei datori di lavoro dovrebbero portare ad indicazioni pratiche, senza le quali ogni situazione può risultare come nuova e quindi di difficile gestione. Tali preoccupazioni sono giustificate da un lato dall’ignoranza su come le nanoparticelle interagiscano con l’organismo umano e dall’altro dal crescente uso di esse in applicazioni molto comuni, come la medicina, la cosmetica, la farmaceutica, l’alimentare.

Un ulteriore motivo di preoccupazione deriva dai fenomeni di aggregazione delle particelle in funzione della distribuzione dimensionale. I dati di tossicità dei composti in forma macro non sono trasferibili alla forma nano. Uno dei problemi principali che la scienza deve affrontare nella definizione di queste proprietà ignote, visto che quelle note non valgono, è la realizzazione di sospensioni stabili delle nanoparticelle nei liquidi biologici come sangue ed urine, l’aggregazione essendo il primo processo destabilizzante. Un grande aiuto alla soluzione del problema è venuto dagli ultrasuoni e dalla sonicazione delle sospensioni capace di stabilizzarle per oltre 3gg e da alcuni composti con proprietá disperdenti, come il polivinilpirrolidone ed il polietilenglicole, in ogni caso frutto di ricerche e considerazioni di natura squisitamente chimica.

Nanoinnovation 2018.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Torno a parlare del NANOFORUM (http://www.nanoinnovation.eu/2018 ) in corso dall’11 al 14 presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza a Roma non solo per l’importanza dell’evento, ma per focalizzare ancora una volta il peso e l’influenza delle nanoscienze sulla nostra vita di tutti i giorni, quindi sulla stessa qualità del nostro vivere quotidiano.

Il nanomateriale forse più noto, più studiato, più utilizzato è probabilmente il grafene. Per comprenderne la specificità e l’originalitá basta pensare che con esso la distribuzione degli atomi costituenti perde una delle tradizionali 3 dimensioni delle molecole che rappresentiamo nello spazio: il grafene è un composto bidimensionale, si sviluppa cioè sul piano. Esso è costituito da un singolo strato di carbonio dello spessore di un solo atomo:lo possiamo immaginare come uno strato tipo millefoglie,tanto per addolcire una spiegazione tecnica. Questa caratteristica sin dalla sua scoperta l’ha fatto individuare come un materiale prezioso con aspettative rispetto ad esso confrontabili con quanto atteso da materiali naturali che hanno segnato la storia della nostra civiltà (bronzo, ferro, acciaio, silicio). Al grafene è correlato il premio Nobel ai 2 russi (Geim e Noviselov) che con i loro studi sul comportamento degli elettroni nello spazio a 2 dimensioni hanno di fatto aperto la corsa alle possibili applicazioni del grafene stesso, che sono risultate così molteplici e speciali da assegnare al grafene stesso la denominazione di supermateriale. Come accade in genere per gli strati sottilissimi è trasparente, flessibile, conduttore elettrico (anzi in effetti il grafene è un superconduttore) e termico, ma al contrario  di essi è resistentissimo, impermeabile a gas e liquidi. Una proprietà quasi unica è quella di interagire con luce di qualsiasi lunghezza d’onda e quindi colore.Volendo confrontarlo con i materiali a noi noti si può dire che il grafene si comporta similmente ad una gomma.

Gli studi sul grafene sono stati condotti in tutto il mondo e l’Europa ha addirittura lanciato il”graphene flagship”, un consorzio con un miliardo di euro a disposizione, tanto che simulando la Silicon Valley,ci si riferisce all’Europa come alla Graphene Valley. Non si deve credere che la struttura bidimensionale del grafene sia unica: esistono migliaia di composti con questa caratteristica, il grafene è solo il capostipite più conosciuto.

Come si diceva queste proprietà sono state già sfruttate in molte applicazioni e di certo lo saranno in molte altre.

Le applicazioni già mature sono nei campi

-delle batterie con innovazioni che migliorano dimensioni, potenza e ciclo di vita

-delle telecomunicazioni nel passaggio dal 4G al 5G

-della sensoristica applicata alle tecnologie di portabilità ( vestiti e imballaggi) per il controllo ai fini ambientali ed igienico sanitari

-della sicurezza alimentare con la realizzazione di etichette intelligenti.

La produzione del grafene è oggi possibile a livelli di tonnellate o chilometri, ma resta il problema della diversificazione del prodotto in funzione dell’applicazione.

La ricerca è però molto attiva , anche in Italia presso l’Università di Pisa, i Politecnici di Torino e Milano, il CNR ed anche imprese privati e certamente arriveranno le risposte a molte delle attuali domande.

Passato, Futuro e presente delle Biotecnologie

a cura di Luigi Campanella, ex-Presidente SCI

Niente cresce o dura in eterno, le reazioni chimiche, le trasformazioni di fase, le nuove tecnologie e le discipline tecniche sembrano esibire un andamento sigmoidale nel quale esse richiedono un certo tempo per nascere (nucleazione) poi crescono, dapprima a velocità crescente ma poi più lentamente fino ad appiattirsi. La domanda è: questo stato di saturazione e di esaurimento, se non di morte e dismissione, di una nuova tecnologia o disciplina è proprio inevitabile?

Sci2004

(da http://www.eigenfactor.org/map/maps.htm)

Il problema sta nel fatto che le discipline per mantenersi vive hanno bisogno di nuovi input da parte delle aree periferiche correlate. Il fattore chiave è proprio l’infusione di nuove conoscenze provenienti da altre discipline. La premessa è che nuovi campi appaiono come il risultato della confluenza di molte discipline su un problema comune. Ciascuna delle discipline viene stimolata da tale concorso e dai successi conseguiti fino ad una fase di saturazione. In quanto tempo tale fase viene raggiunta? Quanto dura la vita di una disciplina? Ovviamente più una disciplina avanza più breve è il suo ciclo di vita.

Facciamo il caso delle biotecnologie. La prima comparsa di programmi formali di formazione nelle biotecnologie risale agli anni 60. Quando un manipolo di coraggiosi ricercatori intuirono l’importanza delle opportunità offerte da una cooperazione fra medicina, biologia, scienze ed ingegneria ai fini della soluzione di problemi complessi riferiti alla diagnostica medica, ai trapianti ed impianti medici, alla bionica, all’ergometria, al monitoraggio in tempo reale, all’analisi in situ. Così le varie competenze si misero insieme focalizzando i problemi di tale complessivo progetto (la biocompatibilità, immagine e trasduzione di segnale, robotica). Per più di due decadi questa cooperazione procedette con grande impegno da parte di tutti: i progressi che ne derivarono negli anni 90 furono incredibili.

molecularcellbio

(da http://www.eigenfactor.org/map/index.php)

Ma con il crescere della forma di interazione fra le varie culture venne la convinzione che qualunque risposta potesse essere migliorata, che qualunque proposta soluzione potesse essere superata da una migliore o più avanzata. L’esaurirsi prevedibile della capacità innovativa incise macroscopicamente sul rallentamento della crescita e lentamente si entrò in una fase di stallo.

Oggi l’avanzata è ripresa, aiutata da problemi nuovi per i quali quindi non si tratta di trovare soluzioni sempre migliori, ma soltanto soluzioni: la mucca pazza, le nuove malattie orientali, le nuove emergenze ambientali ed alimentari hanno finito per agire da stimolatori di un nuovo ciclo. In quanto si esaurirà nessuno può dirlo ma se la storia è maestra di vita, tali cicli sono destinati, avanzando il tempo, ad esaurirsi in tempi sempre più brevi.

Passando ad altro esempio le nanotecnologie, la scienza dello studio e delle applicazioni dei materiali a scala quasi atomica ha catturato l’interesse di Università, laboratori di ricerca, industria. Dapprima l’impulso fu sostanzialmente ingegneristico, ma poi chimici e fisici applicati, e successivamente ingegneri meccanici furono coinvolti nel processo di crescita delle nanotecnologie. Oggi i nanotecnologi tendono a chiudersi nel loro guscio quasi a costituire una casta scientifica. Questo processo è pericolosissimo per la crescita ulteriore del settore. Si è chiuso in circa 20 anni il primo ciclo, si rischia di non aprirne un altro e di rimanere in regime di plateau nella curva di sviluppo delle nanotecnologie. La lezione che dobbiamo trarre come scienziati e ricercatori, spesso gelosi della propria autonomia e desiderosi di porre steccati divisori che soddisfino l’aspirazione alla colonializzazione culturale che sta spesso dentro di noi, anche inconsciamente, è questa: mai permettere che una disciplina diventi troppo “disciplinare”.