Il grafene può sostituire indio e stagno.

Claudio Della Volpe

L'indio è elencato dall'American Chemical Society come uno dei nove elementi “in via di estinzione” con una limitata abbondanza di circa 250 × 10–9% nella crosta terrestre.
Tuttavia, a causa della mancanza di una valida sostituzione, l'ossido di indio-stagno (ITO) è ancora il materiale preferito per molte applicazioni che richiedono elettrodi conduttivi trasparenti.

Una breve nota su come funziona ITO. L’ossido di indio-stagno (più precisamente ossido di indio drogato con stagno, soprattutto noto con l’acronimo ITO, dall’inglese Indium tin oxide) è una soluzione solida di ossido di indio In2O3 e ossido di stagno (IV) (SnO2), tipicamente in percentuale in peso intorno al 90% In2O3 e 10% SnO2. Esso è elettricamente conduttore e anche trasparente alla luce visibile; come mai?

Gli atomi In+3 nella struttura cubica tipo bixbyite nel In2O3 sono sostituiti con atomi di stagno. Lo stagno forma così un legame interstiziale con l’ossigeno ed esiste sia sotto forma di SnO che SnO2, presentando quindi rispettivamente una valenza +2 e +4. Questi stati di valenza hanno una diretta connessione con la conduttività finale dell’ITO.

Infatti lo stato di valenza più basso (+2) risulta in una netta riduzione nella concentrazione di ioni ossigeno negativi necessari a bilanciare le cariche positive (ce ne vorranno solo due invece di tre ogni coppia di atomi di indio sostituiti); la buca creatasi nella rete di ioni negativi consente la diffusione di questi ioni e dunque parte almeno della conducibilità elettrica (conducibilità ionica). Dall’altro lato una predominanza dello stato SnO2 si comporta come un donatore di tipo n (n sta per negativo) fornendo elettroni alla banda conduttiva (conducibilità elettrica). Dunque nell’ossido di indio-stagno sia lo stagno sostitutivo che la lacuna di ossigeno contribuiscono all’alta conduttività e il materiale potrebbe essere rappresentato come In2-xSnxO3-2x.

L’alta trasmittanza ottica delle pellicole di ITO è anche essa la diretta conseguenza dell’essere un semiconduttore la cui band-gap come si dice, ossia la differenza di energia fra banda di valenza e di conduzione è generalmente maggiore di 3,75 eV. Questo valore corrisponde alla finestra dell’ultravioletto (ma si sposta a più basse lunghezze d’onda con l’aumento della concentrazione di portatori di carica) lasciando libero il visibile.

Dunque ITO è un semiconduttore un po’ particolare e molto usato proprio per queste particolarità. Esso viene depositato su vetri normali in ragione di 20-150nm consentendogli di rimanere trasparente ma di acquisire conduzione elettrica; questo gli consente di essere usato sia nell’industria elettronica che in quella delle costruzioni (le grandi vetrate isolanti sono in pratica “gabbie di Faraday” per gli IR in entrata ed uscita anche se sono costituite di materiali leggermente diversi perché il film è ossido di stagno dopato con fluoro in ragione del diverso bandgap; fateci caso negli edifici con vetrate isolanti spesso il cellulare non riceve!!)

Gli autori del lavoro che presentiamo, membri della Queen Mary University e della Paragraf Limited, affermano: “A causa della sua importanza e scarsità, ci sono stati molti tentativi di sostituire ITO, ma fino ad ora nessun materiale è stato trovato con prestazioni paragonabili in un dispositivo elettronico o ottico“.

Il nostro lavoro è il primo al mondo a dimostrare che il grafene può sostituire ITO in un dispositivo elettronico/ottico. Abbiamo dimostrato che un OLED al grafene ha prestazioni identiche a un ITO-OLED. Gli ITO-OLED sono ampiamente utilizzati come schermi a contatto sui nostri telefoni cellulari.

Sfruttando il grafene monostrato di alta qualità depositato direttamente su un substrato trasparente utilizzando un sistema di deposizione di vapore chimico metallo-organico (MOCVD) disponibile in commercio, sono stati sviluppati diodi organici a emissione di luce (OLED) a base di grafene senza l'uso di catalizzatori metallici. 
Il grafene viene modellato utilizzando la fotolitografia e la sua conduttività è migliorata drogandolo con acido nitrico prima della deposizione dello stack OLED. Le prestazioni ottiche ed elettriche degli OLED a base di grafene fabbricati sono identiche a quelle dei dispositivi di controllo con anodi ITO convenzionali.
https://phys.org/news/2022-01-graphene-rare-metal-mobile-screens.html?deviceType=desktop

DOI: 10.1002/adom.202101675  Adv. Optical Mater. 2021, 2101675

2101675 (1 of 8)  Wafer-Scale Graphene Anodes Replace Indium Tin Oxide in Organic Light-Emitting Diodes  Zhichao Weng, Sebastian C. Dixon, Lok Yi Lee, Colin J. Humphreys,* Ivor Guiney, Oliver Fenwick, and William P. Gillin

Nell’arco di pochi anni dalla scoperta del grafene si sono sviluppati ormai metodi a basso costo per produrlo in ingenti quantità, in dimensioni macroscopiche ed usarlo in comuni applicazioni. Questo almeno in teoria consente di risparmiare elementi rari e difficili da estrarre.

Si tratta certamente di una scoperta molto utile e che crediamo potrebbe avere notevoli applicazioni anche nel campo energetico perché i materiali ITO sono usati in numerose applicazioni che hanno a che fare col risparmio energetico e la conversione dell’energia (es.: vetrate isolanti e celle fotovoltaiche).

Sempre carbonio!

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Il CO2 ha la responsabilità per i cambiamenti climatici, ma è solo una faccia del carbonio, un elemento per altri aspetti prezioso (si pensi ai metodi di datazione isotopica, alle nuove strutture molecolari del nanocarbonio) e per altri aspetti vero anello di congiunzione fra la materia vivente e quella inanimata.

Fra le strutture del nanocarbonio, il grafene è la più popolare per le applicazioni che ha avuto. Si tratta di  uno strato bidimensionale di atomi di carbonio impacchettati con proprietà elettroniche e meccaniche, considerato chimicamente inerte a causa della stabilità dei legami carbonio/carbonio che costituiscono la rete bidimensionale. Questo è però vero solo nel caso di grafene da solo e non stressato meccanicamente : in presenza di una perturbazione chimica (doping) o fisica la reattività aumenta e può essere modulata.

In presenza di un adsorbato sulla superficie del grafene si produce un’interazione, il cui valore ottimale è funzione del tipo di applicazione.

Chinese Chemical Letters

Volume 31, Issue 2, February 2020, Pages 565-569

Ad esempio per l’uso di grafene come elemento attivo in dispositivi elettronici è necessario  che il gap energetico (prodotto dall’interazione) fra banda di valenza e banda di conduzione contenga  il livello di Fermi. In effetti l’adsorbimento di piccole molecole come anche la funzionalizzazione possono consentire che ciò avvenga. Studi teorici suggeriscono che un significativo aumento dell’energia di adsorbimento, che si correla a variazioni delle proprietà elettroniche e chimiche, può essere ottenuto drogando il grafene con atomi donatori o accettori. Anche le vacanze create artificialmente nella struttura del grafene possono essere utili per alcune applicazioni, in particolare nella catalisi e nella sensoristica.

In entrambi i casi è però necessario che adsorbimento e desorbimento siano reversibili.

Un ulteriore studio ha riguardato gli effetti della curvatura locale, ottenuta mediante tensione applicata, del grafene sulla sua reattività giungendo alla conclusione di una possibile finalizzazione del materiale per immagazzinare idrogeno che verrebbe poi rilasciato quando la tensione viene rimossa.

Nanomaterials 2020, 10, 344; doi:10.3390/nano10020344

 

Segnali incoraggianti per l’acqua.

Mauro Icardi

Nel gran flusso di notizie, che riguardano l’epidemia di coronavirus in corso, è piuttosto facile che ci sfuggano invece notizie diverse. Che si occupano di altre problematiche, e che spesso rischiano di non ricevere la dovuta attenzione.

Il settore del trattamento delle acque, come sostengo ormai da tempo, deve affrontare cambiamenti necessari, e deve farlo con un impegno costante. Impegno che deve coinvolgere una pluralità di soggetti, partendo dai gestori degli impianti e terminando con gli enti di ricerca e quelli di controllo. Ripeto questo invito, proprio perché ritengo di conoscere il settore, e di capire con una certa chiarezza quelle che sono le criticità che deve affrontare. Oltre che a viverle giornalmente sul campo.

Mentre per quanto riguarda i rifiuti è relativamente facile convincere i cittadini, o molti di essi ad effettuare raccolta differenziata, o a cercare di ridurre la quantità di rifiuti, per l’acqua molto spesso il problema risulta più complesso. O meno intuitivo. Nelle nostre acque residue, ma anche parzialmente in quelle per l’approvvigionamento potabile si stanno concentrando un gran numero di inquinanti emergenti. E può sfuggire il legame diretto che si può instaurare tra le nostre azioni personali, e le conseguenze che ne possono derivare per l’ambiente.

Molti inquinanti emergenti finiscono per contaminare le acque probabilmente all’insaputa di molti.

E sono inquinanti costituiti da molecole molto spesso refrattarie all’ordinario trattamento biologico.

Su questo blog abbiamo affrontato molte volte queste tematiche, per esempio parlando di PFAS. Per molecole così refrattarie alla degradazione con meccanismi biologici, è necessario trovare  tecniche alternative di trattamento. In attesa di sostituirle con altre. Dovremmo conoscere ed evitare  l’acquisto di merci che vengono prodotte tramite processi inquinanti e pericolosi. Sia per l’ambiente, che per i lavoratori.    La domanda che spesso mi viene posta  è “cosa si può fare per risolvere questi problemi?

Una buona notizia è del Dicembre dello scorso anno. Prima che la nostra attenzione si concentrasse, per ovvi motivi, quasi esclusivamente sui problemi legati all’epidemia di Covid 19. Una buona notizia che arriva da un comunicato stampa del Consiglio nazionale delle ricerche  per la Sintesi organica e fotoreattività (Cnr-Isof) e per la Microelettronica e microsistemi (Cnr-Imm). L’ente pubblico di ricerca italiano, in collaborazione con l’università svedese Chalmers ha costruito e testato dei filtri per il trattamento dell’acqua tre volte più efficaci di quelli tradizionali grazie al materiale più sottile del mondo: il grafene.

I filtri sono costituiti da ossido di grafene e membrane di polisolfone (PSU). Il PSU è un polimero amorfo ad alte prestazioni, presenta una serie di eccellenti proprietà termiche, meccaniche ed elettriche. E’ trasparente (ambrato) ed ha un elevata stabilità all’idrolisi (resiste a ripetuti cicli di sterilizzazione a vapore), che lo rende ideale per l’utilizzo nell’industria alimentare e per attrezzature mediche.

L’accoppiamento di questi due materiali riesce a catturare contaminanti organici, molecole costituenti principi attivi di farmaci, cosmetici o detergenti che spesso non sono eliminati dai trattamenti convenzionali e che possono contaminare le acque della rete idrica.

Le prove per verificare la capacità di filtraggio del nuovo materiale sono state effettuate su campioni di acque contaminate con sostanze come il colorante rodamina, usato nell’industria tessile e farmaceutica, e principi attivi di antibiotici, antinfiammatori, colliri.

I coordinatori del gruppo di lavoro, Manuela Melucci e Vincenzo Palermo di Cnr-Isof hanno dichiarato: “Abbiamo realizzato filtri capaci di catturare contaminanti organici, molecole costituenti principi attivi di farmaci, cosmetici o detergenti che spesso non sono eliminati dai trattamenti convenzionali e che possono contaminare le acque della rete idrica”.

Secondo Palermo, vicedirettore del progetto europeo Graphene Flagship, le eccellenti prestazioni di questi nuovi filtri sono dovute alla struttura dell’ossido di grafene: la disposizione a strati dei foglietti di carbonio del grafene separati tra loro da distanze molto piccole che si possono controllare, è ideale per intrappolare le molecole contaminanti. Le membrane, inoltre, rileva Melucci, “possono essere recuperate dopo l’uso, lavate con un solvente per rimuovere i contaminanti che hanno raccolto e usate nuovamente”.

Questa è una realizzazione che è davvero molto importante e promettente. La realizzazione è già coperta da una domanda di brevetto internazionale. Si tratta di un altro passo avanti nel perfezionamento e nella scoperta di nuove tecniche di trattamento dell’acqua. Fortemente minacciata nella sua qualità originaria. Troppo spesso ci dimentichiamo il ruolo fondamentale che ha nel permettere lo sviluppo della vita. Intendendo come vita quella dell’intera biosfera, non limitiamo la nostra visione ai soli esseri umani.

Un altro non trascurabile aspetto di questa realizzazione, è che la chimica dei materiali ne è la protagonista. Grafene e Polisolfone sono materiali che nascono tramite la chimica. Quella dei ricercatori e quella dei tecnici di laboratorio e di quelli delle linee produttive. E questa è un’altra buona notizia. Che rende in parte giustizia della ormai proverbiale avversione generalizzata che molti hanno nei confronti di una scienza che può avere avuto luci ed ombre. Ma senza la quale la nostra vita quotidiana sarebbe davvero molto diversa da come la conosciamo. C’è bisogno di chimica per il trattamento delle acqua, e più in generale del risanamento ambientale.

 E’ fortemente auspicabile che, dalla dimensione delle prove di Laboratorio, il filtro possa poi essere utilizzato nelle reti acquedottistiche, o nei trattamenti terziari degli impianti di depurazione. Servono altri segnali incoraggianti come questo. Ma non basta. Dobbiamo anche imparare a rispettare il pianeta nel quale viviamo. Che pensiamo ci appartenga di diritto. Non è cosi. Lo abbiamo da sempre in prestito per le generazioni future, dobbiamo ricordarcelo sempre. Se non comprendiamo questo, qualunque realizzazione, qualunque scoperta, per quanto promettente e meravigliosa, perderebbe il suo significato.

La ricerca e conseguentemente le applicazioni tecniche che ne derivano da sole non bastano. Dobbiamo mettere in discussione il ruolo che abbiamo nelle trasformazioni permanenti che stiamo apportando al pianeta. Dobbiamo modificare gli stili di vita, essere capaci di diventare davvero resilienti. Di resistere alla lusinghe di un consumismo acritico. Di ripensare e criticare profondamente il pensiero unico, che vede capitalismo e liberismo incontrollati come unici sistemi economico- sociali possibili. Le leggi naturali e quelle fisiche ci dicono qualcosa di molto diverso.

https://www.cnr.it/it/comunicato-stampa/9135/nano-fogli-di-grafene-catturano-nuovi-contaminanti-nell-acqua-potabile

https://graphene-flagship.eu/

Nanoinnovation 2018.

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Torno a parlare del NANOFORUM (http://www.nanoinnovation.eu/2018 ) in corso dall’11 al 14 presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza a Roma non solo per l’importanza dell’evento, ma per focalizzare ancora una volta il peso e l’influenza delle nanoscienze sulla nostra vita di tutti i giorni, quindi sulla stessa qualità del nostro vivere quotidiano.

Il nanomateriale forse più noto, più studiato, più utilizzato è probabilmente il grafene. Per comprenderne la specificità e l’originalitá basta pensare che con esso la distribuzione degli atomi costituenti perde una delle tradizionali 3 dimensioni delle molecole che rappresentiamo nello spazio: il grafene è un composto bidimensionale, si sviluppa cioè sul piano. Esso è costituito da un singolo strato di carbonio dello spessore di un solo atomo:lo possiamo immaginare come uno strato tipo millefoglie,tanto per addolcire una spiegazione tecnica. Questa caratteristica sin dalla sua scoperta l’ha fatto individuare come un materiale prezioso con aspettative rispetto ad esso confrontabili con quanto atteso da materiali naturali che hanno segnato la storia della nostra civiltà (bronzo, ferro, acciaio, silicio). Al grafene è correlato il premio Nobel ai 2 russi (Geim e Noviselov) che con i loro studi sul comportamento degli elettroni nello spazio a 2 dimensioni hanno di fatto aperto la corsa alle possibili applicazioni del grafene stesso, che sono risultate così molteplici e speciali da assegnare al grafene stesso la denominazione di supermateriale. Come accade in genere per gli strati sottilissimi è trasparente, flessibile, conduttore elettrico (anzi in effetti il grafene è un superconduttore) e termico, ma al contrario  di essi è resistentissimo, impermeabile a gas e liquidi. Una proprietà quasi unica è quella di interagire con luce di qualsiasi lunghezza d’onda e quindi colore.Volendo confrontarlo con i materiali a noi noti si può dire che il grafene si comporta similmente ad una gomma.

Gli studi sul grafene sono stati condotti in tutto il mondo e l’Europa ha addirittura lanciato il”graphene flagship”, un consorzio con un miliardo di euro a disposizione, tanto che simulando la Silicon Valley,ci si riferisce all’Europa come alla Graphene Valley. Non si deve credere che la struttura bidimensionale del grafene sia unica: esistono migliaia di composti con questa caratteristica, il grafene è solo il capostipite più conosciuto.

Come si diceva queste proprietà sono state già sfruttate in molte applicazioni e di certo lo saranno in molte altre.

Le applicazioni già mature sono nei campi

-delle batterie con innovazioni che migliorano dimensioni, potenza e ciclo di vita

-delle telecomunicazioni nel passaggio dal 4G al 5G

-della sensoristica applicata alle tecnologie di portabilità ( vestiti e imballaggi) per il controllo ai fini ambientali ed igienico sanitari

-della sicurezza alimentare con la realizzazione di etichette intelligenti.

La produzione del grafene è oggi possibile a livelli di tonnellate o chilometri, ma resta il problema della diversificazione del prodotto in funzione dell’applicazione.

La ricerca è però molto attiva , anche in Italia presso l’Università di Pisa, i Politecnici di Torino e Milano, il CNR ed anche imprese privati e certamente arriveranno le risposte a molte delle attuali domande.

Depuratori del futuro: trattamenti a membrana, nanotecnologie e grafene.

Mauro Icardi

Le tecnologie a membrana per i trattamenti di depurazione e potabilizzazione delle acque, sono note e in fase di sviluppo ed applicazione. Ma lo sviluppo tecnologico nel settore è in costante crescita e può trovare un giusto abbinamento con le energie rinnovabili, per ottenere sia una qualità dell’acqua migliore, che la riduzione di consumi energetici ed emissioni.

Il grafene è un materiale che si presta molto bene ad ottenere membrane che siano meno soggette a problemi di intasamento e di incrostazione da accumulo e deposito di organismi viventi, animali e vegetali (bioincrostazione o biofouling).

Due società australiane hanno iniziato un progetto pilota di produzione di membrane in ossido di grafene, in collaborazione con la Monash University di Melbourne.

Secondo i ricercatori impegnati in questo progetto le prospettive dell’utilizzo di questo materiale sono estremamente incoraggianti e si prevede che possano ridurre in maniera significativa i consumi energetici per il processo di filtrazione delle acque.

Altre membrane di nuova progettazione e concezione sono le cosiddette membrane “biomimetiche”.

Il loro funzionamento si ispira al meccanismo con il quale le radici delle piante di mangrovia riescono a utilizzare l’acqua salmastra delle lagune costiere, o dei litorali delle coste marine tropicali. All’interno delle radici ci sono membrane che funzionano grazie a speciali proteine (le acquaporine che sono presenti anche nei reni). Funzionano esattamente come le membrane di osmosi inversa, quindi filtrano l’acqua trattenendo all’esterno i sali. Ma per la loro speciale struttura non richiedono però l’applicazione di alte pressioni di esercizio, e anche in questo caso si ottiene un notevole risparmio energetico ed un maggior vita operativa delle cartucce di filtrazione.

La società danese “Acquaporin” ha già messo in commercio cartucce di filtrazione per uso domestico basate su questo principio. Per il futuro pensa ad una applicazione su scala industriale per la dissalazione a costi concorrenziali delle acque marine, da destinare poi all’utilizzo potabile o industriale.

Altra tecnologia applicata alle membrane, in questo caso destinate alla depurazione delle acque reflue, è quella di costruire membrane costituite da migliaia di tubicini in polimetilsilossano (una resina permeabile appartenente alla categoria dei siliconi). In questo modo si ottiene una maggiore efficienza di diffusione dell’aria alla popolazione batterica che dovrà operare le reazioni di biodegradazione.

In particolare membrane di questo genere riescono ad ottenere un’efficienza di trasferimento di aria pari al 50 – 60%, rispetto al 35% dei diffusori a microbolle presenti negli impianti di depurazione tradizionali.

Se si opera con ossigeno puro l’efficienza può arrivare anche al 100%. Con l’adozione di questo tipo di membrane l’energia necessaria per la depurazione di 1 mc di acqua passa da 0.5-0.6 a 0.2 kWh.

I tempi di trattamento sono ridotti del 40%, e la produzione di fanghi di circa 1/3. La produzione di biofilm risulta limitata dalla maggiore efficacia nella diffusione dell’aria o dell’ossigeno, che produce effetti di cavitazione idrodinamica sui fiocchi di fango biologico, e che riduce quindi la deposizione sulle membrane.

La depurazione, e più in generale il trattamento delle acque sta vivendo un momento di rinnovamento e di implementazione di tecnologie che aiutano nella gestione del bene acqua. E questo è un segnale incoraggiante. Ora l’auspicio è che queste tecniche trovino una diffusione generalizzata sia negli impianti di più antica progettazione e realizzazione, che in quelli di nuova costruzione.