Banalità di base.

Claudio Della Volpe

Questo post rientra nella categoria dei post grafici; ho messo insieme alcuni dati climatici di base in forma grafica; sono dati ufficiali o pubblicati sulle grandi riviste; ho aggiunto pochi commenti.,

Sono dati di base, in un certo senso banali ma una banalità che non dovrebbe evitarci di agire il più presto e il più ampiamente possibile. Se sono disponibili vanno in coppia, il primo dà informazioni su un periodo maggiore e il secondo su un periodo più ristretto e recente. Dovrebbero far parte della cultura di base di ogni chimico, ma anche di ogni persona acculturata oggi.

CO2 atmosferica

I dati di Mauna Loa, raccolti in una atmosfera ben mescolata e lontani da sorgenti antropogeniche provano  l’aumento continuo della CO2 da quando la misuriamo, nel 1956, il primo anno geofisico internazionale.

A più alta risoluzione si nota la struttura annuale e semestrale della oscillazione (il secondo ciclo sfasato di sei mesi) , il respiro della terra, il minimo assoluto di ogni ciclo corrisponde all’inizio della stagione fredda nell’emisfero Nord; durante le stagioni più calde il carbonio viene assorbito per la fotosintesi; poi viene riceduto all’atmosfera. La parte Nord del pianeta gioca il ruolo maggiore perché le terre emerse sono maggiormente presenti. Al momento l’incremento annuo è di 2ppm ogni anno.

Metano

Dietro l’enorme incremento di metano ci sono gli incendi e le perdite da estrazione.

pH oceano

L’asse verticale di questo grafico è LOGARITMICO e dunque la riduzione è enorme su scala percentuale.

Il grafico di quella che definisco la pistola fumante; la riduzione di isotopo 13C si accompagna all’aumento della CO2 atmosferica e questo prova in modo inequivocabile che il carbonio viene dalla combustione dei fossili.

L’ossigeno in atmosfera.

La concentrazione di ossigeno in atmosfera diminuisce di circa 4ppm all’anno. I dati sono raccolti in numerose stazioni mondiali gestite dallo Scripps institute. Secondo Keeling per ogni mole di C bruciata si consumano 1.4 moli di O2 (tenete presente che ogni unità CH2 consumerebbe teoricamente 1.5 moli di O2).

La riduzione di ossigeno in atmosfera corrisponde ad una riduzione ancora più marcata nell’oceano a causa dell’aumento della temperatura oceanica e dell’ingresso della CO2, ma anche a causa dell’arricchimento fosfatico che contribuisce all’espansione delle cosiddette zone morte, la cui superficie è aumentata da 4 a 10 volte dal 1950.

La anomalia termica della superficie terrestre

La anomalia termica NON è la temperatura media, ma l’aumento della temperatura mediato su tutta le stazioni meteo della Terra e rispetto ad un periodo di riferimento (1951-1980). Esso si ripartisce diversamente sulla superficie e sul mare (che hanno due diverse capacità termiche) e varia fortemente con la latitudine (più grande verso nord).

W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro? Recensione

Claudio Della Volpe

W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro?

Ed. Il Mulino, pag. 208 15 euro – 2021

Il libro di Gianfranco Pacchioni che commento qui oggi potrebbe dare adito ad una ambiguità. Il motivo è che in giro si trovano numerosi “difensori” della CO2; anzi che l’aumento di questo gas serra sia da considerare un vantaggio è uno degli argomenti del peggiore negazionismo; purtroppo anche in Italia abbiamo avuto un libro con questo taglio e scritto da due ingegneri che non nomino per non fargli pubblicità.

Diciamo subito che il libro di Pacchioni NON si situa in questa classe di libri; al contrario è frutto dello sforzo complesso e non banale di un chimico che riflette da chimico di razza su questi temi.

Già il sottotitolo, d’altra parte, chiarisce che la CO2 è “il piombo”, insomma una specie chimica che può giocare un ruolo negativo (ricordiamoci che tutto può giocare un ruolo negativo, come diceva il mio mentore Guido Barone, ogni cosa ha due corni o se volete il mondo, la natura è dialettica, contraddittoria).

La prima parte del libro è dedicata a ricostruire la figura chimica della CO2 nei suoi innumerevoli ruoli.

Una cosa da sottolineare è la riscoperta, almeno per l’Italia, di Ebelmen, uno scienziato francese oggi dimenticato che fu il primo scopritore del meccanismo basilare del ciclo del carbonio geologico, il weathering dei silicati, la reazione mediante la quale l’acqua satura di CO2 degrada le rocce silicee assimilandosi come carbonato. Ebelmen scoprì questo processo nel 1845, ma il suo lavoro fu dimenticato e riscoperto solo dopo molti decenni e ancora oggi non è ben assimilato sebbene alcune delle sue conclusioni siano state riscoperte; ma per esempio Arrhenius non lesse mai quel lavoro. E se è per questo si riscopre anche il ruolo di una donna americana, una scienziata poco conosciuta che probabilmente anticipò varie idee sulla CO2 e il clima (ma vedrete voi stessi).

Nei primi tre capitoli il libro racconta la storia della CO2 come molecola. Chi l’ha scoperta, da dove viene, ossia quali processi geologici possono giustificarne l’esistenza, quali processi biologici o chimici la producono e così via. Nel far questo l’autore è costretto a raccontare (e lo fa con grande abilità) la storia geologica del nostro pianeta, che è un argomento affascinante.

Nei capitoli successivi esplora invece la fotosintesi e la storia della sua delucidazione scientifica. Questa parte è molto completa e mi sembra veramente un lavoro ben fatto.

Ovviamente a questo punto l’autore introduce la scoperta e l’approfondimento del global warming e presenta alcune delle numerose prove chimiche che si possono trovare in letteratura. Anche qui la trattazione sebbene non tecnica è completa e piacevole da leggere.

Infine presenta il quadro di cosa si possa fare per affrontare il problema a partire dalle tecnologie rinnovabili ma anche da quelle legate all’assorbimento della CO2 con reazioni “naturali” come la reazione di Sabatier.

Trovo che questa parte avrebbe dovuto essere più attenta alle questioni che nascono dalla applicazione massiva di tecnologie di assorbimento della CO2 dunque per esempio spiegare o introdurre almeno i concetti di EROEI (energy return on energy investment) o di LCA (Life cycle analysis) perché al momento i punti deboli delle rinnovabili e delle tecnologie di assorbimento sono proprio legati non alla loro possibilità, ma alla loro applicabilità estesa, industriale.

Comunque il testo di Pacchioni rimane un ottimo esercizio di lettura per lo studente di chimica o di ingegneria ambientale che volesse informarsi su questi temi, ma anche per il lettore evoluto che non si ferma alla prima difficoltà.

Fra l’altro i limiti generali dei vari approcci sono ben spiegati.

Il compendio di note, immagini e citazioni è sufficiente a fornire una base del tutto sufficiente non solo al lettore evoluto, ma generico, ma anche al lettore che sia specialista di altri settori e voglia farsi un’idea di questi problemi.

Ho avuto modo di partecipare in qualche modo alla formulazione del testo, fornendo dei consigli che l’autore ha, bontà sua, accettato ma questo non mi rende di parte nella valutazione, anche perché l’accettazione è stata parziale e l’autore conserva i suoi punti di vista originali.

Nelle conclusioni l’autore, in modo per me inaspettato scrive delle cose, relative alla storia umana (il ruolo ipotizzabile della grande eruzione di Toba nella storia della nostra specie) che personalmente mi trovano molto d’accordo e che anzi avevo riassunto in un testo che circolò più di dieci anni fa per qualche tempo in ambienti politicamente impegnati della mia zona e nell’associazione ASPO Italia di cui in quel momento facevo parte.

In conclusione trovo il libro di Gianfranco Pacchioni molto ben scritto e interessante e ve ne consiglio caldamente la lettura.

Il nostro blog ha recensito un altro bel libro di Pacchioni.

Sempre carbonio!

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Il CO2 ha la responsabilità per i cambiamenti climatici, ma è solo una faccia del carbonio, un elemento per altri aspetti prezioso (si pensi ai metodi di datazione isotopica, alle nuove strutture molecolari del nanocarbonio) e per altri aspetti vero anello di congiunzione fra la materia vivente e quella inanimata.

Fra le strutture del nanocarbonio, il grafene è la più popolare per le applicazioni che ha avuto. Si tratta di  uno strato bidimensionale di atomi di carbonio impacchettati con proprietà elettroniche e meccaniche, considerato chimicamente inerte a causa della stabilità dei legami carbonio/carbonio che costituiscono la rete bidimensionale. Questo è però vero solo nel caso di grafene da solo e non stressato meccanicamente : in presenza di una perturbazione chimica (doping) o fisica la reattività aumenta e può essere modulata.

In presenza di un adsorbato sulla superficie del grafene si produce un’interazione, il cui valore ottimale è funzione del tipo di applicazione.

Chinese Chemical Letters

Volume 31, Issue 2, February 2020, Pages 565-569

Ad esempio per l’uso di grafene come elemento attivo in dispositivi elettronici è necessario  che il gap energetico (prodotto dall’interazione) fra banda di valenza e banda di conduzione contenga  il livello di Fermi. In effetti l’adsorbimento di piccole molecole come anche la funzionalizzazione possono consentire che ciò avvenga. Studi teorici suggeriscono che un significativo aumento dell’energia di adsorbimento, che si correla a variazioni delle proprietà elettroniche e chimiche, può essere ottenuto drogando il grafene con atomi donatori o accettori. Anche le vacanze create artificialmente nella struttura del grafene possono essere utili per alcune applicazioni, in particolare nella catalisi e nella sensoristica.

In entrambi i casi è però necessario che adsorbimento e desorbimento siano reversibili.

Un ulteriore studio ha riguardato gli effetti della curvatura locale, ottenuta mediante tensione applicata, del grafene sulla sua reattività giungendo alla conclusione di una possibile finalizzazione del materiale per immagazzinare idrogeno che verrebbe poi rilasciato quando la tensione viene rimossa.

Nanomaterials 2020, 10, 344; doi:10.3390/nano10020344